[Capitolo 1]
Schema generale

Introduzione

L’intenzione di questo progetto è di dare una psicologia che sia una scienza naturale, ossia di rappresentare i processi psichici come stati quantitativamente determinati di particelle materiali identificabili, al fine di renderli chiari e incontestabili. Due, le idee principali:

1) di considerare come ciò che distingue l’attività dalla quiete una quantità (Q),206 soggetta alle leggi generali del movimento;

2) di considerare i neuroni come le particelle materiali.

N e Qἠ. – Tentativi simili sono ora frequenti.

[1.] Prima tesi principale: la concezione quantitativa

Questa concezione è ripresa direttamente dalle osservazioni di patologia clinica, in modo particolare là dove si tratta di rappresentazioni sovraintense, come nell’isteria e nella nevrosi ossessiva, in cui, come vedremo, il carattere quantitativo emerge più chiaramente che nel normale.207 Processi come lo stimolo, la sostituzione, la conversione e la scarica, che si devono là ravvisare, ci hanno direttamente suggerito la considerazione dell’eccitamento neuronico come quantità in movimento. Cercare di generalizzare quanto là riconosciuto, non ci pare illegittimo. Partendo da questa considerazione, è stato possibile formulare un principio fondamentale dell’attività neuronica in rapporto alla Q, principio che prometteva di essere altamente chiarificatore poiché sembrava comprendere l’intera funzione. È questo il principio dell’inerzia neuronica, secondo il quale i neuroni tendono a liberarsi di Q. La struttura, lo sviluppo e le funzioni dei neuroni diventano così comprensibili.208

In primo luogo il principio d’inerzia spiega la bipartizione strutturale [dei neuroni] in motori e sensori, come un ordinamento che ha per scopo di annullare la ricezione di Qἠ mediante una trasmissione. Il movimento riflesso è ora comprensibile come forma fissa di questa trasmissione; il principio d’inerzia ce ne fornisce il motivo. Se guardiamo ancora più indietro, possiamo collegare anzitutto il sistema nervoso (come erede dell’eccitabilità generale del protoplasma) alla superficie esterna irritabile [di un organismo], la quale si alterna a strati considerevoli di superficie non irritabile. Un sistema nervoso primario si serve della Qἠ così acquisita, per rimetterla attraverso la via che lo collega ai meccanismi muscolari, mantenendosi in tal modo privo di stimoli. Questa scarica rappresenta la funzione primaria del sistema nervoso.

A questo punto diventa possibile lo sviluppo di una funzione secondaria, in quanto, tra le varie vie di scarica, sono preferite e mantenute quelle che comportano cessazione dello stimolo: fuga dallo stimolo. Qui vi è in generale una proporzione tra la Q di eccitamento e lo sforzo necessario alla fuga dallo stimolo, così che il principio d’inerzia non ne viene disturbato. Ma, fin dall’inizio, il principio d’inerzia è interrotto da un’altra circostanza. Con la [crescente] complessità dell’interno [dell’organismo], il sistema nervoso riceve stimoli dall’elemento somatico stesso – stimoli endogeni –, che devono essere anch’essi scaricati. Questi hanno origine nelle cellule del corpo e determinano i bisogni fondamentali: fame, respirazione, sessualità.209 L’organismo non può sfuggirli come fa invece con gli stimoli esterni; non può impiegare la loro Q per sfuggire allo stimolo. Essi cessano soltanto in particolari condizioni, che devono realizzarsi nel mondo esterno, per esempio il bisogno di nutrimento. Perché si produca un’azione del genere, che merita di essere chiamata “specifica”,210 è necessario uno sforzo indipendente dalle Qἠ endogene e in genere maggiore, poiché l’individuo è sottoposto a certe condizioni che si possono definire come l’urgenza vitale.211 Di conseguenza, il sistema nervoso è costretto ad abbandonare la sua tendenza originaria all’inerzia (vale a dire alla riduzione del livello [di Qἠ] a zero). Esso deve imparare a mantenere una scorta di Qἠ sufficiente a soddisfare le esigenze di un’azione specifica. Ma nel modo in cui fa ciò, si nota la continuazione della stessa tendenza, modificata nel senso di uno sforzo per mantenere almeno il più basso possibile il livello di Qἠ e per evitare ogni aumento di questo livello, ossia per conservarlo costante.212

Tutte le attività del sistema nervoso debbono essere incluse o entro l’ambito della funzione primaria oppure entro quello della funzione secondaria, imposta dalle esigenze della vita.

[2.] Seconda tesi principale: la teoria dei neuroni

Secondo pilastro di questa dottrina è l’idea di combinare con questa teoria Qἠ la conoscenza dei neuroni che ci viene dalla moderna istologia. Elemento essenziale di questa nuova conoscenza è che il sistema nervoso consiste di neuroni distinti, ma di struttura analoga, i quali sono in contatto tra di loro attraverso una sostanza estranea interposta e terminano l’uno nell’altro come in parti di tessuto estraneo, e nei quali sono precostituite certe linee di conduzione, in quanto ricevono [l’eccitamento] attraverso prosecuzioni delle cellule [o dendriti] e [lo] rimettono213 attraverso il cilindrasse. Si aggiungono numerose ramificazioni di dimensioni variabili.

Se noi combiniamo questo modo di concepire i neuroni con la concezione della teoria Qἠ perveniamo a rappresentarci un neurone “investito [di carica quantitativa]”, ripieno di una certa Qἠ, mentre altre volte può essere vuoto.214 Il principio d’inerzia trova la sua espressione nell’ipotesi di una corrente, che si diriga dalle ramificazioni cellulari o prolungamenti [dendriti] verso il cilindrasse. Ogni singolo neurone costituisce così un modello del sistema nervoso nel suo insieme, con la sua dicotomia strutturale, essendo il cilindrasse l’organo di scarica. La funzione secondaria, che richiede un’accumulazione di Qἠ, è resa possibile supponendo che vi siano resistenze che si oppongano alla scarica; la struttura del neurone lascia credere che queste resistenze debbano essere tutte ricercate nei punti di contatto [tra i neuroni] i quali, in tal caso, funzionano da barriere. L’ipotesi delle barriere di contatto si dimostra proficua sotto molti punti di vista.215

[3.] Le barriere di contatto

La prima giustificazione di questa ipotesi deriva dalla considerazione che in questo punto la conduzione passa attraverso un protoplasma indifferenziato, e non, come avviene all’interno del neurone, attraverso un protoplasma differenziato, il quale è probabilmente più adatto alla conduzione. Ciò fa supporre che debba esservi un rapporto tra differenziazione e capacità di conduzione, per modo che potremo aspettarci di scoprire che lo stesso processo di conduzione possa creare una differenziazione nel protoplasma e quindi una maggiore capacità di ulteriore conduzione.

La teoria delle barriere di contatto presenta inoltre i seguenti vantaggi: una delle principali caratteristiche del tessuto nervoso è la memoria, cioè, generalmente parlando, la facoltà di subire un’alterazione permanente in seguito a un evento, ciò che rappresenta un notevole contrapposto al comportamento di una materia che permetta invece il passaggio di un movimento di onde per ritornare poi alla condizione di partenza. Qualsiasi teoria psicologica meritevole di considerazione deve fornire una spiegazione della “memoria”. Ora, qualsiasi spiegazione si scontra con la difficoltà, da un lato, di dover postulare che i neuroni, dopo l’eccitamento, restino permanentemente mutati rispetto alle condizioni iniziali, mentre, dall’altro lato, non si può negare che in generale i nuovi eccitamenti incontrano le stesse condizioni di ricettività dei precedenti. I neuroni quindi dovrebbero essere contemporaneamente influenzati e inalterati, non prevenuti. Non possiamo così a priori immaginare un apparato capace di un funzionamento tanto complesso. Ma la situazione viene risolta se assegniamo la caratteristica di venire permanentemente influenzati dall’eccitamento a una certa classe di neuroni, e quella di restare immutabili, pronti a ricevere nuovi eccitamenti, a un’altra classe.216 Così è nata la distinzione corrente tra “cellule percettive” e “cellule mnemoniche”, distinzione che non si adatta però ad alcun altro contesto e che non ha alcun elemento a suo sostegno.

La teoria delle barriere di contatto può servirsi di questa scappatoia, qualora la si formuli nei seguenti termini: vi sono due classi di neuroni, quelli che permettono il passaggio di Qἠ come se non avessero barriere di contatto e che si ritrovano, quindi, nelle condizioni di partenza anche dopo il passaggio di un eccitamento, e quelli le cui barriere di contatto agiscono in modo tale da permettere solo un passaggio difficile o parziale alla Qἠ. La seconda classe di neuroni può trovarsi in condizioni modificate dopo ogni eccitamento, e offrire quindi la possibilità di rappresentare la memoria.

Così vi sono neuroni permeabili (cioè che non offrono resistenza e che non trattengono nulla), i quali soddisfano alla funzione della percezione, e neuroni impermeabili (che offrono resistenza e trattengono Qἠ), i quali sono i veicoli della memoria e presumibilmente anche dei processi psichici in genere. D’ora innanzi, quindi, io chiamerò il primo sistema di neuroni φ e ψ il secondo.

A questo punto sarà opportuno chiarire quali ipotesi debbano essere espresse riguardo ai neuroni ψ, per includervi le caratteristiche più generali della memoria. Noi poniamo che questi neuroni vengono alterati in modo permanente dal fluire dell’eccitamento; oppure, se introduciamo la teoria delle barriere di contatto, che le loro barriere di contatto vengono a trovarsi in uno stato di permanente alterazione. E, poiché la conoscenza psicologica mostra che esiste un riapprendimento217 sulla base della memoria, questa alterazione deve consistere nel fatto che le barriere di contatto diventano più capaci di conduzione, meno impermeabili, cioè più simili a quelle del sistema φ. Descriveremo questa situazione delle barriere di contatto come grado di facilitazione.218 Possiamo quindi asserire che la memoria è rappresentata dalle facilitazioni che esistono tra i neuroni ψ.

Se dovessimo supporre che tutte le barriere di contatto ψ avessero facilitazioni di uguale grado oppure, ciò che è lo stesso, offrissero uguali resistenze, le caratteristiche della memoria non risulterebbero evidenti. Poiché, quanto al decorso dell’eccitamento, la memoria è senza dubbio una delle forze che determinano la via seguìta, se la facilitazione fosse ovunque uguale non vi sarebbe nulla che potrebbe spiegare perché una via dovrebbe essere preferita. Perciò si può dire in modo ancora più corretto che la memoria è rappresentata dalle differenze delle facilitazioni esistenti tra i neuroni ψ.

Ora, da che cosa dipende la facilitazione dei neuroni ψ? La conoscenza psicologica ci insegna che la memoria (cioè la forza continuamente attiva di un’esperienza) dipende da un fattore chiamato “entità dell’impressione”, e dalla frequenza con cui una stessa impressione si ripete. Tradotto nella nostra teoria: la facilitazione dipende dalla Qἠ che passa attraverso il neurone durante il processo di eccitamento, e dal numero di ripetizioni del processo. Vediamo così la Qἠ come il fattore efficiente, e la quantità e la facilitazione come l’esito della Qἠ e, nello stesso tempo, come ciò che può sostituire Qἠ.

Qui vien fatto di pensare quasi involontariamente allo sforzo primario del sistema nervoso – che si mantiene attraverso tutte le modificazioni – di evitare un carico di Qἠ o di ridurlo nei limiti del possibile. Sotto la pressione delle esigenze della vita, il sistema nervoso è stato costretto a immagazzinare Qἠ. A tal fine esso ha dovuto aumentare il numero dei suoi neuroni, e questi dovevano essere impermeabili. Ma ora esso evita, almeno fino a un certo punto, di lasciarsi colmare di Qἠ (la carica), stabilendo le facilitazioni. Si vede quindi che le facilitazioni servono alla funzione primaria.

L’applicazione dell’esigenza della memoria alla teoria delle barriere di contatto postula ancora qualcosa d’altro: occorre che in genere ogni neurone ψ abbia parecchie vie di collegamento con gli altri neuroni, cioè varie barriere di contatto. Da questo fatto dipende la possibilità della scelta, che è determinata dalla facilitazione. È chiaro quindi che la situazione di facilitazione di ogni barriera di contatto deve essere indipendente da quella di tutte le altre che fanno parte dello stesso neurone ψ, altrimenti mancherebbe di nuovo ogni preferenza nella scelta, ossia ogni motivo. Da questo fatto possiamo trarre una deduzione negativa circa la natura dello stato di facilitazione. Se immaginiamo un neurone colmo di Qἠ, cioè investito, possiamo solo supporre che questa Q [sic] sia distribuita in modo uniforme su tutta la zona del neurone e del pari su tutte le barriere di contatto. D’altra parte, non è difficile immaginare che, nel caso di una corrente di Qἠ, sia presa solo una determinata via attraverso il neurone, per modo che una sola delle barriere di contatto sia investita da quella corrente di Qἠ e che ne rimanga in seguito la facilitazione. Dunque la facilitazione non può avere la sua origine in una carica trattenuta, poiché questo fatto non produrrebbe le differenze di facilitazione nelle barriere di contatto dello stesso neurone.219

Resta ancora da vedere, quindi, in che cosa consista la facilitazione. Potremmo dapprima pensare: in un assorbimento di Qἠ attraverso le barriere di contatto. Forse su ciò si farà luce più tardi [par. 10]. La Qἠ, che si è lasciata dietro una facilitazione, viene certamente scaricata proprio a causa della facilitazione che aumenta la permeabilità.220 Non è necessario, inoltre, postulare che la facilitazione rimasta dopo il deflusso della Qἠ sia altrettanto grande quanto lo era al momento del flusso. Forse ne rimane solo un quoziente in forma di facilitazione permanente. Allo stesso modo non possiamo ancora precisare se il flusso di Q : 3 una volta produca lo stesso effetto del flusso di una Qἠ 3 volte.221 Tutto questo dev’essere ripreso in considerazione alla luce di ulteriori applicazioni della teoria ai fatti psichici.

[4.] Il punto di vista biologico

L’ipotesi di due sistemi neuronici, φ e ψ, il primo costituito di elementi permeabili e il secondo di elementi impermeabili, ci sembra dunque poter spiegare una delle caratteristiche del sistema nervoso: la capacità di ritenere restando allo stesso tempo ricettivo. Ogni acquisizione psichica sarebbe quindi costituita dall’organizzazione del sistema ψ, mediante sospensioni parziali e topicamente [cioè: quanto a luogo] determinate dalla resistenza nelle barriere di contatto, che differenzia ψ da φ. Con il progresso di questa organizzazione, la capacità del sistema nervoso di ricevere nuove impressioni verrebbe, in realtà, a trovare un limite.

Tuttavia chiunque s’impegni nell’elaborazione scientifica di ipotesi comincerà a prestare seria considerazione alle proprie teorie solo quando esse possano essere inserite nel sapere da più di un punto di vista, e se, a loro riguardo, si può mitigare l’arbitrarietà di una costruzione ad hoc. Contro la nostra ipotesi delle barriere di contatto, si obietterà che le due classi di neuroni – con una differenza fondamentale nelle loro condizioni di funzionamento – sono postulate in assenza, per ora, di altri elementi su cui fondarsi. Almeno dal punto di vista morfologico, cioè istologico, non sono noti elementi che appoggino questa distinzione.

In che altra direzione possiamo trovare elementi che confermino questa divisione in classi? Possibilmente, nello sviluppo biologico del sistema nervoso che, come tutto il resto, viene considerato dal naturalista come un qualcosa determinatosi per gradi. Si vuol sapere se le due classi di neuroni possano aver avuto un significato biologico diverso e, in tal caso, attraverso quale meccanismo possano aver sviluppato caratteristiche tanto diverse come la permeabilità e l’impermeabilità. La soluzione più soddisfacente si avrebbe naturalmente qualora il meccanismo che noi cerchiamo derivasse dal ruolo biologico primitivo; in tal modo si troverebbe una sola risposta alle due domande.

Ricordiamo che, sin dall’inizio, il sistema nervoso ebbe due funzioni: quella di ricevere stimoli dall’esterno, e quella di scaricare eccitamenti di origine endogena; è da quest’ultimo obbligo che, per le necessità della vita, è risultata la coazione all’ulteriore sviluppo biologico. Si potrebbe quindi supporre che proprio i nostri sistemi φ e ψ si siano arrogati ciascuno una delle due funzioni primarie. Il sistema φ sarebbe il gruppo di neuroni raggiunto dagli stimoli esterni, mentre il sistema ψ conterrebbe i neuroni che ricevono gli eccitamenti endogeni. Se così fosse, non avremmo inventato (erfunden) φ e ψ, ma li avremmo solo scoperti (vorgefunden). Si tratterebbe solo di identificarli con quello che già si conosce. In realtà sappiamo dall’anatomia che vi è un sistema di neuroni (la sostanza grigia del midollo spinale) il quale è il solo che sia in contatto con il mondo esterno, e un sistema sovrapposto (la sostanza grigia del cervello) che non ha collegamenti periferici diretti, ma da cui dipendono lo sviluppo del sistema nervoso e le funzioni psichiche. Il cervello primario non contraddice alle caratteristiche che abbiamo attribuito al sistema ψ, solo che si supponga che il cervello abbia vie dirette e indipendenti da φ verso l’interno del corpo. L’origine e il significato biologico originario del cervello primario non sono conosciuti agli anatomisti; in base alla nostra teoria esso non sarebbe altro, per esprimerci direttamente, che un ganglio del simpatico. Qui c’è una prima possibilità di provare la nostra teoria con dati di fatto.

Pensiamo, per il momento, che il sistema ψ s’identifichi con la sostanza grigia del cervello. Dalle osservazioni introduttive di natura biologica, si può facilmente comprendere come proprio ψ sia soggetto a ulteriore sviluppo per aumento del numero dei neuroni e accumulo di Q e si comprende anche come sia utile il fatto che ψ sia costituito da neuroni impermeabili, poiché altrimenti esso non potrebbe soddisfare alle esigenze dell’azione specifica. Ma in che modo ψ ha acquistato la caratteristica di impermeabilità? Dopotutto, anche φ ha barriere di contatto; e se queste non esercitano alcuna funzione, perché dovrebbero esercitarla quelle di ψ? L’ipotesi di una differenza originaria tra il valore delle barriere di contatto di φ e di ψ presenta di nuovo uno spiacevole aspetto di arbitrarietà, anche se sarebbe possibile, perseguendo una linea di pensiero darwiniana, appellarsi al fatto che i neuroni impermeabili sono indispensabili e, di conseguenza, sopravvivono.

Un’altra via di uscita ci sembra più fruttuosa e meno ambiziosa. Ricordiamo che anche le barriere di contatto dei neuroni ψ finiscono per essere soggette alla facilitazione, e che questa proviene loro da Qἠ. Quanto maggiore la Qἠ nel decorso dell’eccitamento, tanto maggiore la facilitazione, ossia, però, tanto più ci si avvicinerà alle caratteristiche dei neuroni φ. Possiamo quindi attribuire la differenza non ai neuroni, ma alle quantità con cui essi hanno a che fare. Vi è allora ragione di supporre che attraverso i neuroni φ passino quantità contro le quali la resistenza offerta dalle barriere di contatto sia trascurabile, mentre i neuroni ψ vengano raggiunti solo da quantità le quali siano dello stesso ordine di grandezza della resistenza. In questo caso, un neurone φ diverrebbe impermeabile e un neurone ψ diverrebbe permeabile se si scambiassero le loro sedi e connessioni; ma essi mantengono le loro caratteristiche in quanto il neurone φ è collegato solo con la periferia e il neurone ψ solo con l’interno del corpo. Alla loro diversità di essenza si sostituisce una diversità dell’ambiente a cui sono destinati.

Ora dobbiamo, però, esaminare l’ipotesi secondo la quale le quantità di stimolo che raggiungono i neuroni dalla periferia esterna del corpo sarebbero di ordine più elevato di quelle che provengono dalla periferia interna del corpo. In realtà molti elementi parlano in favore di questo punto di vista.

In primo luogo, non vi è dubbio che il mondo esterno sia la sorgente di tutte le principali quantità di energia, poiché la fisica ci insegna che esso è costituito da masse potenti in violento movimento, che trasmettono il loro moto. Il sistema φ, che è rivolto verso questo mondo esterno, avrà il compito di scaricare il più rapidamente possibile le Qἠ che irrompono sui neuroni, ma sarà in ogni modo soggetto all’influenza di maggiori Q.

Per quanto sappiamo, il sistema ψ non è in contatto con il mondo esterno; esso riceve Q soltanto dai neuroni φ stessi, da una parte, e, dall’altra, dagli elementi cellulari nell’interno del corpo; si tratta ora di mettere in evidenza che queste quantità di stimolo sono di un ordine di grandezza inferiore. In un primo tempo potremmo essere sconcertati dal fatto di dover attribuire ai neuroni ψ due sorgenti di stimolo tanto diverse quanto lo sono φ e le cellule dell’interno del corpo; ma proprio a questo punto ci viene un aiuto conclusivo dalla recente istologia del sistema nervoso. Questa ci mostra che la terminazione e la connessione neuronica hanno una struttura dello stesso tipo, e che i neuroni terminano l’uno nell’altro analogamente a come terminano negli elementi somatici; è probabile che anche il lato funzionale dei due processi sia dello stesso genere. È quindi probabile che quantità simili abbiano a trovarsi interessate nelle terminazioni nervose e nella conduzione intercellulare. Ed è anche da supporre che gli stimoli endogeni siano dello stesso ordine intercellulare di grandezza.222 A questo punto ci è offerta una seconda possibilità di verificare la teoria.223

[5.] Il problema della quantità

Non so nulla della grandezza assoluta degli stimoli intercellulari, ma oso immaginare che sia di un ordine relativamente piccolo e dello stesso ordine delle resistenze della barriera di contatto, come è facile supporre. Con questa ipotesi si salva l’uguaglianza essenziale dei neuroni ψ e φ, mentre la loro differenza di permeabilità viene spiegata su base biologica e meccanica.224

In mancanza di prove evidenti, è tanto più interessante considerare certi punti di vista e certe interpretazioni che derivano da questa ipotesi. Per cominciare, se ci siamo formati un’impressione esatta della grandezza delle Q nel mondo esterno, possiamo chiederci se la tendenza originaria del sistema nervoso al mantenimento della Qἠ a[l livello] zero non si soddisfi allora con la rapida scarica, seppure non sia già in atto durante l’assunzione degli stimoli. Troviamo, infatti, che i neuroni φ non terminano in modo libero alla periferia, ma entro strutture cellulari, che ricevono gli stimoli esogeni in loro vece. Questi “apparati nervosi terminali”, nel senso più generale, possono ben avere lo scopo di impedire alle Q esogene di produrre un effetto illimitato su φ, di smorzarle.225 Avrebbero allora una funzione di schermi di Q, attraverso i quali passano solo quozienti delle Q esogene.

Ciò si accorda con il fatto che l’altro tipo di terminazione nervosa – il tipo libero, senza organi terminali – è molto più comune nella periferia interna del corpo. Uno schermo di Q sembra essere inutile qui, probabilmente perché le Qἠ che debbono essere ricevute non hanno bisogno di essere prima ridotte al livello intercellulare, perché lo sono fin dall’inizio.

Poiché ci è possibile calcolare le Q ricevute dalle terminazioni dei neuroni φ, questo ci darà forse il modo di farci un’idea delle grandezze che passano tra i neuroni ψ, le quali sono dello stesso ordine delle resistenze delle barriere di contatto.

A questo punto possiamo, inoltre, intravedere una tendenza che può regolare lo strutturarsi del sistema nervoso da vari sistemi: una tendenza sempre crescente a far sì che i neuroni trattengano la Qἠ. Così la struttura del sistema nervoso servirebbe allo scopo di trattenere dai neuroni la Qἠ, mentre sua funzione sarebbe quella di scaricarla.

[6.] Il dolore226

Tutti i dispositivi di natura biologica hanno limiti alla loro efficienza, oltre i quali falliscono. Questo fallimento si manifesta in fenomeni che confinano con il patologico e che possono essere descritti come modelli normali del patologico. Abbiamo visto che il sistema nervoso è costituito in modo che le grandi Q esterne vengono trattenute da φ e ancor più da ψ, mediante gli schemi delle terminazioni nervose e la connessione solo indiretta tra ψ e il mondo esterno. Esiste un fenomeno che si possa far coincidere con il fallire di questi dispositivi? Io credo sia il dolore.

Tutto ciò che sappiamo del dolore conferma questa tesi. Il sistema nervoso ha la più netta tendenza alla fuga dal dolore. In questo possiamo vedere una manifestazione della tendenza primaria contro un aumento di tensione Qἠ e ne traiamo la conseguenza che il dolore consiste nella irruzione in ψ di grandi Q.227 Le due tendenze sono quindi una sola. Il dolore mette in movimento tanto il sistema φ quanto il sistema ψ; non vi sono ostacoli al suo progredire, è il più autoritario di tutti i processi. I neuroni ψ sembrano dunque essere permeabili al dolore, che consiste quindi nell’azione di alcune Q di ordine relativamente elevato.

Il dolore può, da una parte, essere determinato da un aumento di quantità; tutti gli eccitamenti sensoriali (anche quello degli organi sensori superiori) tendono al dolore con l’aumento dello stimolo. Ciò è da interpretarsi senz’altro come un fallimento. D’altra parte, si può avere dolore anche quando le quantità esterne sono deboli, e in questi casi esso si collega sempre a una soluzione di continuità; si ha dolore, cioè, quando una Q esterna agisce direttamente sulle terminazioni dei neuroni φ e non tramite gli apparati nervosi terminali. Il dolore è quindi caratterizzato dall’irruzione di Q eccessivamente grandi in φ e in ψ, cioè di Q di ordine ancora superiore agli stimoli φ.

Che il dolore passi per tutte le vie di scarica è facilmente comprensibile. Secondo la nostra teoria, in base alla quale la Q produce facilitazione, è indubbio che il dolore lascia dietro di sé facilitazioni permanenti in ψ, come se fosse passato un fulmine, facilitazioni le quali probabilmente eliminano del tutto la resistenza delle barriere di contatto e vi stabiliscono una via di conduzione simile a quella che esiste in φ.228

[7.] Il problema della qualità

Fino ad ora non è stato ancora detto che ogni teoria psicologica, oltre alle esigenze che deve soddisfare dal punto di vista della scienza naturale, ha da rispondere a un altro grande requisito. Deve spiegarci ciò che conosciamo, in maniera oltremodo enigmatica, attraverso la nostra “coscienza”; e poiché questa coscienza non sa nulla di ciò che noi abbiamo sin qui supposto, cioè quantità e neuroni, deve anche spiegarci questo non sapere.

Subito cominciamo a comprendere una premessa che ci ha guidato finora. Abbiamo trattato i processi psichici come qualcosa che poteva prescindere da questa conoscenza attraverso la coscienza, come qualcosa che esisteva indipendentemente da una conoscenza siffatta; siamo cioè preparati a trovare che alcune delle nostre ipotesi non vengono confermate dalla coscienza. Se non ci lasciamo confondere da questo, ciò avviene in conseguenza della premessa che la coscienza non ci dà una conoscenza né completa né attendibile dei processi neuronici, e che questi processi debbono essere in primo luogo considerati nel loro insieme come inconsci e spiegati alla stessa stregua di altri fenomeni naturali.229

Poi però bisogna inscrivere il contenuto della coscienza nei nostri processi quantitativi ψ. La coscienza ci dà ciò che noi chiamiamo qualità: sensazioni differenti in grandi varietà di modi e la cui differenza dipende dai rapporti con il mondo esterno. Entro questa differenza vi sono delle serie, delle somiglianze, e simili, ma non vi sono propriamente delle quantità. Possiamo chiederci come e dove abbiano origine le qualità. Sono problemi che hanno bisogno di un’indagine molto approfondita e che possono essere trattati, qui, solo in modo approssimativo.

Dove hanno origine le qualità? Non nel mondo esterno, poiché in esso, secondo l’opinione della nostra scienza naturale, alla quale in questa sede anche la psicologia deve essere soggetta, vi sono masse in movimento e niente altro. Nel sistema φ, forse? Ciò concorderebbe con il fatto che le qualità sono connesse con la percezione, ma è in contrasto con tutto ciò che giustamente fa porre, a sede della coscienza, i piani superiori del sistema nervoso. Nel sistema ψ, allora. Ma vi è un’importante obiezione al riguardo. Nella percezione i sistemi φ e ψ agiscono insieme; vi è però un processo psichico che si attua certamente solo in ψ: la riproduzione o ricordo, e questo processo è, in generale, privo di qualità. Il ricordo, di norma, non comporta nulla del carattere proprio della qualità percettiva. Perciò dobbiamo avere il coraggio di ammettere che vi sia un terzo sistema di neuroni ([che potrebbero essere chiamati] ω, forse), i quali vengono eccitati assieme agli altri durante la percezione, ma non durante la riproduzione, e i cui stati di eccitamento determinano le diverse qualità, cioè sono sensazioni coscienti.

Se sosteniamo che la nostra coscienza fornisce solo delle qualità, mentre la scienza naturale riconosce solo delle quantità, emerge in modo evidente, come per una regola del tre, una caratteristica dei neuroni ω. Essendosi la scienza posta il compito di condurre tutte le qualità delle nostre sensazioni alle quantità esterne, si può presumere, della struttura del sistema nervoso, che essa consista di dispositivi per trasformare la quantità in qualità, dove sembra trionfare ancora una volta la tendenza originaria a liberarsi della quantità. Gli apparati nervosi terminali erano uno schermo per lasciare operare in φ solo quozienti della quantità esterna, mentre nello stesso tempo φ si occupava della scarica grossolana della quantità. Il sistema ψ era già difeso contro quantità di livello più alto e aveva solo a che fare con grandezze intercellulari. Andando ancora oltre, possiamo supporre che il sistema ω sia mosso da quantità ancora minori. Può darsi che la caratteristica della qualità (cioè la sensazione cosciente) compaia solo dove le quantità sono state, per quanto è possibile, eliminate. Ma esse non si lasciano eliminare del tutto, poiché è da pensare che anche i neuroni ω siano investiti di Qἠ e tendenti alla scarica.230

A questo punto, però, ci troviamo di fronte a quella che sembra essere un’enorme difficoltà. Abbiamo visto [par. 3] che la permeabilità dipende dagli effetti prodotti dalla Qἠ, e che i neuroni ψ sono già impermeabili. Con una Qἠ ancora inferiore, i neuroni ω dovrebbero essere ancora più impermeabili. Senonché non possiamo attribuire questa caratteristica ai veicoli della coscienza. La variabilità del loro contenuto, la transitorietà della coscienza, la facile combinazione di qualità percepite simultaneamente, concordano soltanto con la totale permeabilità dei neuroni ω, insieme con la loro piena restitutio in integrum. I neuroni ω si comportano come organi percettivi, e non sapremmo trovare posto in essi per una memoria. Permeabilità quindi, piena facilitazione, che non deriva dalla quantità. Donde deriva allora?

Scorgo solo una via d’uscita: rivedere la nostra ipotesi fondamentale sul decorso della Qἠ. Fino ad ora l’ho considerato solo come un trasferimento di Qἠ da un neurone a un altro. Ma deve avere anche un altro carattere, di ordine temporale; infatti anche ai movimenti delle masse nel mondo esterno la meccanica dei fisici ha assegnato questa caratteristica temporale. La chiamerò con una parola: periodo. Ammetterò così che tutta la resistenza delle barriere di contatto sia valida solo per il trasferimento di Q, ma che il periodo del movimento neuronico si propaghi non inibito in ogni direzione, come un processo d’induzione.

A questo proposito resta molto da fare nel senso di una chiarificazione fisica, perché anche qui le leggi generali del movimento debbono potersi applicare senza contraddizione. Ma la mia ipotesi va oltre, [e asserisce] che i neuroni ω sono incapaci di ricevere Qἠ, ma assimilano in cambio il periodo dell’eccitamento, e che questa loro condizione di essere influenzati da un periodo con minimi di Qἠ è la base fondamentale della coscienza. Naturalmente anche i neuroni ψ hanno il loro periodo, ma è privo di qualità o, per dir meglio, è monotono. Le deviazioni da questo loro specifico periodo psichico raggiungono la coscienza come qualità.

Da dove traggono origine le differenze del periodo? Tutto sembra indicare gli organi di senso, le cui qualità devono essere rappresentate proprio da diversi periodi di movimento neuronico. Gli organi di senso non agiscono solo come schermi di Qἠ, come ogni apparato nervoso terminale, ma anche come setacci, in quanto lasciano passare solo gli stimoli che provengono da certi processi aventi un particolare periodo. Probabilmente essi trasferiscono questa differenza su φ, comunicando al movimento neuronico periodi analogamente diversi (energia specifica); e sono queste modificazioni che passano da φ, attraverso ψ, fino a ω, dove, quasi prive di quantità, generano sensazioni coscienti di qualità. Questa propagazione di qualità non è durevole, non lascia tracce, non è riproducibile.231

[8.] La coscienza

Solo per mezzo di tali complesse e poco chiare ipotesi sono riuscito fino ad ora a inserire i fenomeni della coscienza nella struttura della psicologia quantitativa. Naturalmente è impossibile tentare di spiegare come mai i processi di eccitamento nei neuroni ω comportino la coscienza. Si tratta soltanto di far coincidere le proprietà della coscienza che ci sono note con processi nei neuroni ω varianti parallelamente. E non è difficile farlo con una certa precisione.

Un accenno al rapporto di questa teoria della coscienza con le altre. Secondo una moderna teoria meccanicistica, la coscienza non sarebbe altro che un’appendice dei processi fisiopsichici, la cui omissione non recherebbe alcun mutamento al corso psichico. Secondo un’altra teoria, la coscienza è il lato soggettivo di tutti gli eventi psichici e perciò inseparabile dai processi fisiologici della psiche. La teoria qui sviluppata sta tra le due. Qui, la coscienza è il lato soggettivo di una parte dei processi fisici nel sistema nervoso, cioè dei processi ω, e l’assenza della coscienza non lascia immutati gli eventi psichici, ma implica l’omissione del contributo da parte del sistema ω.232

Rappresentando la coscienza mediante neuroni ω, si hanno varie conseguenze. Questi neuroni debbono avere una scarica, sia pure piccola, e vi deve essere un modo di colmare i neuroni ω con Qἠ nella piccola misura richiesta. Come in tutti gli altri casi, questa scarica si effettua dalla parte della motilità; dove è da osservare come, con lo scambio in movimento, si perde ovviamente ogni caratteristica della qualità, ogni particolarità del periodo. I neuroni ω possono essere riempiti di Qἠ solo da ψ, poiché vorremmo escludere un qualsiasi rapporto diretto di questo terzo sistema con φ. È impossibile precisare quale fosse il valore biologico originario dei neuroni ω.233

Ma fino ad ora abbiamo descritto in modo incompleto il contenuto della coscienza. Oltre alla serie delle qualità sensoriali, essa ne presenta un’altra assai diversa: la serie delle sensazioni di piacere e dispiacere, che richiede ora una spiegazione. Poiché noi conosciamo certamente una tendenza della vita psichica ad evitare il dispiacere, siamo tentati di identificarla con la tendenza primaria all’inerzia. In questo caso, il dispiacere verrebbe a coincidere con un aumento del livello di Qἠ o con un aumento di tensione quantitativa; sarebbe una sensazione ω quando la Qἠ aumenta in ψ. Il piacere sarebbe la sensazione della scarica. Poiché [sopra] si presume che ω sia riempito da ψ, ne deriverebbe l’ipotesi che la carica in ω aumenti quando il livello in ψ aumenta, e diminuisca con il decrescere di tale livello. Il piacere e il dispiacere sarebbero le sensazioni in ω della propria carica, del proprio livello; in un certo senso, ω e ψ rappresenterebbero vasi comunicanti. In questo modo anche i processi quantitativi in ψ raggiungerebbero la coscienza, di nuovo in forma di qualità.

Con le sensazioni di piacere e di dispiacere sparisce la capacità di percepire le qualità sensoriali che si trovano, per così dire, nella zona di indifferenza tra il piacere e il dispiacere. Ciò potrebbe tradursi così: i neuroni ω rivelano una capacità ottimale di ricevere il periodo del movimento neuronico quando hanno una determinata carica; quando la carica è più forte producono dispiacere, quando è più debole, piacere: fino a che, quando non vi è più carica, sparisce la capacità ricettiva.234 Il tipo di movimento corrispondente dovrebbe essere costruito sulla base di questi dati.

[9.] II funzionamento dell’apparato235

Possiamo ora rappresentare il seguente quadro delle prestazioni costituito da φ ψ ω.

Somme di eccitamento premono dall’esterno sulle terminazioni del sistema φ. Esse vengono in primo luogo a incontrare gli apparati nervosi terminali, dai quali sono frammentate in quozienti che sono probabilmente di ordine più elevato degli stimoli intercellulari (o forse, però, dello stesso ordine?). Qui troviamo una prima soglia: al di sotto di una certa quantità non si determina alcun quoziente efficace, così che la capacità effettiva degli stimoli è ridotta in certo modo alle quantità medie. Inoltre le guaine nervose terminali funzionano da setaccio, per modo che non tutti i tipi di stimolo possono essere efficaci nelle singole terminazioni nervose. Gli stimoli che raggiungono di fatto i neuroni φ hanno una quantità e hanno una caratteristica qualitativa:236 nel mondo esterno essi formano una serie di uguale qualità e crescente quantità, che dalla soglia si eleva sino al limite del dolore.

Mentre i processi nel mondo esterno formano un continuo in due direzioni, secondo la quantità e il periodo (qualità), gli stimoli che corrispondono ad essi sono, per quanto si riferisce alla quantità, in primo luogo ridotti e, in secondo luogo, limitati da un’interruzione, e, per quanto si riferisce alla qualità, discontinui, per modo che certi periodi non agiscono affatto da stimoli [fig. 1].

La caratteristica della qualità negli stimoli procede ora senza intoppi per φ attraverso ψ in direzione di ω, dove produce la sensazione; essa è rappresentata da un particolare periodo di movimento neuronico, che certamente non è uguale a quello dello stimolo, ma che ha qualche rapporto con esso, secondo una formula di riduzione che ci è ignota. Questo periodo non si mantiene per lungo tempo e sparisce dalla parte della motilità, né, essendogli permesso il passaggio, lascia alcuna memoria dietro di sé.

La quantità dello stimolo φ suscita la tendenza alla scarica nel sistema nervoso, in quanto viene trasformata in un eccitamento motorio proporzionale. L’apparato della motilità è direttamente unito a φ. Le quantità così trasformate producono un effetto che è quantitativamente molto superiore ad esse, in quanto entrano nei muscoli, nelle ghiandole ecc. e vi agiscono mediante una emissione [di quantità], mentre tra i neuroni si ha solo trasferimento.

Figura_5

[Figura 1.]

Inoltre nei neuroni φ terminano i neuroni ψ, ai quali viene trasferita una parte della Qἠ, ma solamente una parte, forse un quoziente che corrisponde alla grandezza di uno stimolo intercellulare. A questo punto possiamo chiederci se la Qἠ trasferita a ψ non possa aumentare in proporzione alla Q corrente in φ, per modo che uno stimolo maggiore produca un effetto psichico più forte. Un particolare dispositivo sembra agire qui, il quale di nuovo mantiene la Q lontana da ψ. La conduzione sensoriale in φ ha infatti una struttura particolare: si ramifica di continuo e mostra vie più fitte e sottili, che terminano in vari punti, probabilmente con il seguente significato: uno stimolo più forte segue vie diverse da uno stimolo più debole. Per esempio [fig. 2], [1](Qἠ) passerà soltanto per la via I, trasferendo un quoziente a ψ in un punto terminale α. 2(Qἠ) non trasferirà un quoziente doppio in α, ma sarà in grado di passare anche lungo la via II, che è di minore ampiezza, e di aprire [in β] un secondo punto terminale a ψ. 3(Qἠ) aprirà il passaggio più stretto (III) e potrà trasferire anche attraverso γ. In questo modo il singolo canale φ si sbarazzerà della sua carica e una maggiore quantità in φ sarà espressa dal fatto che diversi neuroni, invece di uno solo, saranno caricati in ψ. Le singole cariche dei neuroni ψ possono, in tal modo, essere di una grandezza approssimativamente uguale. Quando Qἠ in ω produce una carica in ψ, allora 3(Qἠ) sarà espresso dalla carica in ψ1 + ψ2 + ψ3. La quantità in φ si esprime dunque con complicazione in ψ. Grazie a ciò la Q è tenuta lontana da ψ, almeno entro certi limiti. Questo ha una certa somiglianza con le condizioni della legge di Fechner, che potrebbe così localizzarsi.237

Figura_6

[Figura 2.]

In questo modo ψ è investito da φ con Q le quali, normalmente, sono piccole. Mentre la quantità dell’eccitamento φ è espressa in ψ dalla complicazione, la qualità viene espressa topicamente, giacché, secondo le relazioni anatomiche, i differenti organi di senso comunicano attraverso φ solo con particolari neuroni ψ. Ma ψ riceve anche cariche dall’interno dell’organismo e sembra probabile dover dividere i neuroni ψ in due gruppi: i neuroni del pallio,238 che sono investiti da φ, e i neuroni nucleari (Kern-Neurone), che sono investiti dalle vie endogene di conduzione.

[10.] Le vie di conduzione ψ

Il nucleo di ψ è connesso con i canali per i quali salgono le quantità endogene di eccitamento. Senza escludere la possibilità che questi canali possano essere collegati con φ, dobbiamo nondimeno attenerci al nostro originale assunto secondo il quale un diretto passaggio conduce dall’interno del corpo ai neuroni ψ. Ma questo implica che ψ sia esposto senza difesa, in questa parte, alle Q, e in questo fatto risiede la “molla” del meccanismo psichico.239

Ciò che noi sappiamo degli stimoli endogeni si può esprimere con l’ipotesi che essi siano di natura intercellulare, che sorgano continuamente e che solo periodicamente diventino stimoli psichici.240 Non possiamo evitare l’idea di un accumulo; e la natura intermittente del loro effetto psichico ci consente solo di pensare che, lungo la loro via di conduzione verso ψ, essi s’imbattono in resistenze, superabili solo quando aumenta la quantità. Sono quindi vie di conduzione composte di molti segmenti, con interpolazione di parecchie barriere di contatto sino al nucleo di ψ. Tuttavia, al di sopra di una certa Q, [gli stimoli endogeni] operano in continuità come uno stimolo e ogni aumento di Q viene percepito come un aumento dello stimolo ψ. Questo fatto ha come conseguenza uno stato in cui la via di conduzione è diventata permeabile. L’esperienza mostra inoltre che, dopo lo scarico dello stimolo ψ, la via di conduzione ripristina ancora una volta la sua resistenza.

Un processo di questo genere viene chiamato sommazione. Le vie di conduzione ψ si riempiono per sommazione finché diventano permeabili. Evidentemente è la piccolezza dei singoli stimoli che permette questa sommazione. Si trova la sommazione anche nelle vie di conduzione φ, per esempio nel caso della conduzione del dolore, ma si applica solo a piccole quantità. L’importanza minore della sommazione dalla parte di φ è in favore del fatto che ivi abbiamo a che fare in realtà con Q di grandezza maggiore: quelle piccolissime sembrano essere trattenute dalla funzione di soglia degli apparati nervosi terminali, mentre dal lato di ψ tali apparati mancano e operano solo piccole Qἠ.

È molto notevole il fatto che i neuroni di conduzione ψ possono mantenersi a mezza via fra le caratteristiche di permeabilità e quelle di impermeabilità, giacché essi possono ripristinare, in modo quasi totale, la loro resistenza nonostante il passaggio di Qἠ. Tale fatto è del tutto in contraddizione con la proprietà, che noi abbiamo attribuito ai neuroni ψ, di essere costantemente facilitati da una corrente di Qἠ. Come si può spiegare questa contraddizione? Supponendo che la restaurazione di una resistenza, dopo che la corrente è cessata, sia un attributo generale delle barriere di contatto. Non vi è una difficoltà troppo grande ad armonizzare questo fatto con quello che i neuroni ψ sono influenzati nel senso della facilitazione. Dobbiamo solo supporre che la facilitazione che rimane dopo il deflusso di Q consista non nel rimuovere del tutto la resistenza, ma nella sua riduzione a un minimo necessario. Durante il flusso di Q la resistenza è sospesa, per venire poco dopo ristabilita, ma solo fino a un particolare livello proporzionale alla Q che è defluita, in modo che la volta successiva già una Q più piccola sia in grado di passare, e così di seguito. Quando si sia stabilita la più completa facilitazione, ivi rimarrà una certa resistenza, uguale per tutte le barriere di contatto, così che le Q dovranno aumentare oltre una certa soglia per essere in grado di passare. Questa resistenza dovrebbe essere una costante. Di conseguenza, il fatto che le Qἠ endogene operano mediante sommazione, non significa altro che questa Qἠ è composta di grandezze molto piccole di eccitamento, minori della costante. La via endogena di conduzione è nondimeno, perciò, completamente facilitata.

Da questo, tuttavia, consegue che le barriere di contatto ψ sono in generale più alte delle barriere di conduzione, così che una nuova accumulazione di Qἠ può verificarsi nei neuroni nucleari. Ad essa, dopo che la via di conduzione è riassestata, non è posto più alcun limite. Qui ψ è alla mercé di Q ed è per questo fatto che si origina, all’interno del sistema, l’impulso che sostiene ogni attività psichica. Noi conosciamo questa forza come la volontà, il derivato delle pulsioni.241

[11.] L’esperienza di soddisfacimento

La saturazione dei neuroni nucleari in ψ porta come conseguenza una tendenza alla scarica, una tensione che si libera lungo le vie motorie. L’esperienza dimostra che la prima via a essere utilizzata è quella che conduce a una modificazione interna (espressione di emozioni, grida, innervazioni vascolari). Ma, come mostrammo all’inizio, nessuna scarica di questo genere può produrre alcun risultato definitivo, perché la ricezione degli stimoli endogeni continua tuttavia e la tensione in ψ si ristabilisce. La sospensione dello stimolo può essere operata solo mediante un intervento che temporaneamente interrompa l’emissione di Qἠ all’interno del corpo; e questo intervento richiede un’alterazione nel mondo esterno (rifornimento di cibo, prossimità dell’oggetto sessuale), la quale, come azione specifica, può seguire solo determinate vie. L’organismo umano è, dapprima, incapace di produrre tale azione specifica. Essa viene attuata mediante un aiuto esterno, quando un individuo maturo viene indotto a fare attenzione alle condizioni del bambino mediante una scarica lungo la via della modificazione interna.242 Tale via di scarica acquista pertanto la funzione secondaria estremamente importante dell’intendersi, e l’impotenza iniziale degli esseri umani è la fonte originaria di tutte le motivazioni morali.

Quando il soccorritore ha adempiuto il lavoro dell’azione specifica nel mondo esterno a sollievo dell’impotente, questi si trova in grado, grazie a dispositivi riflessi, di compiere immediatamente all’interno del proprio corpo l’attività necessaria a eliminare lo stimolo endogeno. Il tutto poi costituisce un’esperienza di soddisfacimento, che ha le più rilevanti conseguenze nello sviluppo funzionale dell’individuo. Tre ordini di fatti avvengono nel sistema ψ: 1) si effettua una scarica duratura, così che la tensione che aveva prodotto dispiacere in ω si esaurisce; 2) uno (o più) neuroni del pallio è investito di una carica corrispondente alla percezione di un oggetto; 3) altri punti del pallio sono informati della scarica che ha avuto luogo mediante il movimento riflesso, il quale ha fatto seguito all’azione specifica. Si stabilisce quindi una facilitazione tra queste cariche e i neuroni nucleari.243

L’informazione che la scarica riflessa è avvenuta, è data dal fatto che ogni movimento, attraverso i suoi risultati secondari, dà origine a nuovi eccitamenti sensoriali (provenienti dalla pelle e dai muscoli), che producono un’immagine motoria in ψ. La facilitazione, tuttavia, si viene a formare in un modo che ci consente di approfondire le nostre conoscenze sullo sviluppo di ψ. Fin qui abbiamo appreso che i neuroni ψ sono stimolati da φ e attraverso le vie endogene di conduzione, mentre i vari neuroni ψ sono isolati l’uno dall’altro da barriere di contatto dotate di potenti resistenze. Esiste tuttavia una legge fondamentale di associazione per simultaneità, la quale entra in azione durante la pura attività ψ, durante la rievocazione riproduttiva; tale legge può essere considerata la base dei rapporti tra i neuroni ψ. Noi troviamo che la coscienza – vale a dire l’investimento quantitativo di un neurone ψ,244 [neurone che chiameremo] α – passa a un secondo, β, se α e β sono stati simultaneamente investiti da φ (o da altra sorgente). Quindi mediante l’investimento simultaneo di α e β è facilitata una barriera di contatto. Ne consegue, nel linguaggio della nostra teoria, che una Qἠ passa più facilmente da un neurone a un altro neurone investito piuttosto che a uno non investito.245 In tal modo la carica del secondo neurone opera come la carica accresciuta del primo. Anche in questo caso la carica sembra equivalere, rispetto al flusso di Qἠ, alla facilitazione [vedi par. 3].

Veniamo dunque a conoscere un secondo fattore avente importanza nel dirigere il corso preso da una Qἠ. Una Qἠ in un neurone α si dirigerà non solo in direzione della barriera meglio facilitata, ma anche in direzione della barriera che è stata investita dal lato opposto. Questi due fattori possono collaborare o, in alcune situazioni, opporsi l’uno all’altro.

Quindi, l’esperienza di soddisfacimento porta a una facilitazione tra due immagini mnestiche e i neuroni nucleari che sono stati investiti durante lo stato di tensione. Senza dubbio, con la scarica di soddisfacimento, la Q defluisce anche dalle immagini mnestiche. Appena lo stato di tensione o di desiderio si ripresenta, la carica rifluirà e attiverà le due immagini mnestiche. Con molta probabilità l’immagine mnestica dell’oggetto sarà la prima a sperimentare l’attivazione operata dal desiderio.

Non dubito che questa attivazione operata dal desiderio produrrà in prima istanza qualcosa di uguale a una percezione: cioè, un’allucinazione. Se s’introdurrà inoltre un’azione riflessa, inevitabilmente ne risulterà una delusione.

[12.] L’esperienza di dolore

Normalmente, ψ è esposto a Q provenienti dalle vie endogene di conduzione, e anormalmente, sebbene non ancora patologicamente, è esposto a Q eccessivamente grandi penetranti attraverso i dispositivi di schermo che sono in φ, nei casi, cioè, di dolore. Il dolore determina in ψ: 1) un forte aumento del livello, che è provato come dispiacere da ω;246 2) una tendenza alla scarica, che può essere operata in varie direzioni; 3) una facilitazione tra questa tendenza e un’immagine mnestica dell’oggetto che ha generato il dolore. Inoltre, non vi è dubbio che il dolore possiede una qualità particolare che si fa sentire parallelamente al dispiacere.

Se recentemente l’immagine mnestica dell’oggetto (ostile) è stata investita in qualche modo, ad esempio mediante nuove percezioni, s’instaura uno stato che non è di dolore ma con questo ha molta somiglianza. Esso include il dispiacere e la tendenza alla scarica che corrisponde all’esperienza di dolore. Poiché il dispiacere significa un innalzamento del livello, sorge il problema della provenienza di questa Qἠ. Nella effettiva esperienza di dolore, era l’erompere della Q esterna a provocare l’aumento del livello in ψ. Nella riproduzione dell’esperienza, nell’affetto, la sola Q addizionale è quella che investe il ricordo; ed è ovvio che ciò è della stessa natura di qualsiasi altra percezione e non può risultare in un aumento generale della Qἠ.

Resta dunque solo da supporre che, a motivo dell’investimento dei ricordi, il dispiacere provenga dall’interno del corpo, ne sia provocato in modo attuale. Il meccanismo di questa emissione si può descrivere solo nel modo seguente: come esistono neuroni motori che, quando vengono riempiti fino a un certo livello, conducono le Qἠ nei muscoli e ivi le scaricano, così devono esservi neuroni “secretori” i quali, quando vengono eccitati, generano all’interno del corpo qualcosa che agisce come uno stimolo sulle vie endogene di conduzione che portano a ψ, e quindi influenzano la produzione di Qἠ endogene, e con ciò non scaricano Qἠ ma le introducono per via indiretta. Chiameremo “neuroni chiave” questi neuroni secretori.247 Evidentemente essi si eccitano solo quando un certo livello è raggiunto in ψ. Attraverso l’esperienza di dolore l’immagine mnestica dell’oggetto ostile ha ricevuto un’eccellente facilitazione verso questi neuroni chiave, e in virtù di essa il dispiacere si può ora liberare nell’affetto.248

A questa problematica ma indispensabile ipotesi è offerto un sostegno da quanto si verifica durante la scarica sessuale. Contemporaneamente, ci viene il sospetto che, in entrambi questi esempi, gli stimoli endogeni consistano di sostanze chimiche, il cui numero possa essere considerevole.249 Poiché la liberazione di dispiacere può essere molto grande anche ove esiste un leggero investimento di ricordi ostili, possiamo concludere che il dolore lascia dietro di sé facilitazioni particolarmente abbondanti. In rapporto a ciò possiamo supporre che la facilitazione dipenda interamente dalla grandezza della Qἠ raggiunta, così che la facilitazione operata da 3Qἠ sia talvolta di gran lunga più grande di quella di 3 Qἠ.250

[13.] Affetti e stati di desiderio

I residui dei due generi di esperienze [di dolore e di soddisfacimento] che abbiamo discusso sono gli affetti e gli stati di desiderio.251 Essi hanno in comune il fatto che entrambi comportano un aumento della tensione di Qἠ in ψ: nel caso di un affetto, ciò si realizza mediante un’improvvisa emissione; nel caso di un desiderio per mezzo della sommazione. Entrambi questi stati sono della più grande importanza in relazione al flusso [di Qἠ] in ψ, perché lasciano dietro a sé motivi per esso che hanno forza coattiva. Lo stato di desiderio produce un’attrazione positiva per l’oggetto del desiderio, ossia per la sua immagine mnestica;252 l’esperienza dolorosa ha come conseguenza una repulsione, un’avversione, a mantenere investita l’immagine mnestica ostile. Qui abbiamo attrazione di desiderio e difesa primarie.

L’attrazione operata dal desiderio può facilmente spiegarsi supponendo che l’investimento dell’immagine mnestica gradevole, durante lo stato di desiderio, sia di Qἠ molto più grande di quanto non sia in caso di semplice percezione; per modo che nel primo caso esiste una facilitazione particolarmente buona tra il nucleo ψ e il corrispondente neurone del pallio.

È più difficile spiegare la difesa primaria o rimozione: cioè il fatto che un’immagine mnestica ostile viene regolarmente abbandonata dalla carica appena possibile. Nondimeno la spiegazione può essere che le esperienze primarie di dolore siano state interrotte da una difesa riflessa. L’emergere di qualche altro oggetto in luogo di quello ostile era il segnale che l’esperienza di dolore era terminata, e il sistema ψ, istruito biologicamente, cerca di riprodurre in ψ lo stato che ha segnato una cessazione del dolore. Con l’espressione “istruito biologicamente” s’introduce una nuova base esplicativa che deve acquistare un valore indipendente, quantunque allo stesso tempo non escluda, ma invero richieda, un appello a princìpi meccanici (a fattori quantitativi). Nel nostro caso si può trattare di un aumento di Qἠ che si determina invariabilmente quando vi è investimento di ricordi ostili, cosa che opera un aumento nell’attività di scarica e, quindi, anche un deflusso di ricordi.

[14.] Introduzione dell’Io

In realtà con la nostra ipotesi dell’attrazione di desiderio e di una tendenza alla rimozione, siamo pervenuti a un certo stato di ψ che non è ancora stato discusso. Entrambi questi processi dimostrano infatti che in ψ si è andata formando un’organizzazione, la cui presenza disturba decorsi che si sono prodotti per la prima volta in un particolare modo [cioè: o con soddisfacimento o con dolore]. Questa organizzazione si chiama l’Io, e può facilmente essere descritta se pensiamo che la ricezione, costantemente ripetuta, di Qἠ endogene in certi neuroni (del nucleo), e il conseguente effetto facilitante, produrranno un gruppo di neuroni dotati di una carica costante, corrispondente quindi al veicolo di scorta necessario alla funzione secondaria. L’Io deve quindi essere definito come la totalità delle cariche ψ in un dato momento, ove una porzione stabile può essere distinta da un’altra soggetta a mutarsi [vedi oltre par. 16]. È facile vedere che le facilitazioni tra i neuroni ψ fanno parte del dominio dell’Io, in quanto rappresentano la possibilità di indicargli l’ammontare dei suoi cambiamenti nei momenti successivi.

Mentre questo Io non può non tentare di liberarsi dalle sue cariche mediante il soddisfacimento, ciò non può avvenire altrimenti che esercitando un’influenza sulla ripetizione delle esperienze di dolore e degli affetti; e deve esercitarla nel seguente modo, che è generalmente chiamato inibizione.

Una Qἠ che, da qualsiasi luogo, irrompe in un neurone cercherà la sua strada attraverso le barriere di contatto che possiedono maggiore facilitazione e determinerà una corrente in quella direzione. In termini più appropriati: la corrente Qἠ si dividerà attraverso le barriere di contatto in rapporto inversamente proporzionale alle resistenze che esse offrono, e quando un quoziente si troverà a dover superare una barriera di contatto la cui resistenza è superiore ad esso non avverrà praticamente alcun passaggio. Questo rapporto può facilmente risultare diverso per ogni Qἠ che entra nel neurone, giacché possono allora comparire dei quozienti che sono superiori alla soglia anche di altre barriere di contatto. Di conseguenza il decorso dipende sia dalle Qἠ sia dai rapporti delle facilitazioni. Abbiamo però già conosciuto il terzo potente fattore: se un neurone collaterale è simultaneamente investito, ciò opera come una temporanea facilitazione della barriera di contatto che sta tra i due neuroni, e modifica il decorso, che altrimenti si sarebbe indirizzato verso la sola barriera di contatto facilitata. Un investimento laterale è quindi una inibizione al flusso di Qἠ. Immaginiamo l’Io come una rete di neuroni investiti, ben facilitati in relazione l’uno all’altro [fig. 3]. Supponiamo poi una Qἠ che entri nel neurone a dall’esterno (φ). Se non fosse stata influenzata, sarebbe proceduta verso il neurone b. Ma in realtà è tanto influenzata dall’investimento laterale a-α che solamente un quoziente passa in b e, talvolta, nemmeno lo raggiunge. Ove dunque esiste un Io, esso deve inibire i processi psichici primari.

Figura_7

[Figura 3.]

Tuttavia una inibizione di questo genere è decisamente a vantaggio di ψ. Supponiamo che a sia un ricordo ostile e b un neurone chiave per il dispiacere. Al risvegliarsi di a, la prima conseguenza sarà la liberazione di dispiacere, forse superfluo, superfluo in ogni caso in tutta la sua forza. Con un effetto inibitorio di α la liberazione di dispiacere è però piccola, e al sistema nervoso sono risparmiati lo sviluppo e la scarica di Q senza altro danno. Possiamo facilmente immaginare come, con l’aiuto di un meccanismo che attiri l’attenzione dell’Io verso l’imminente nuovo investimento dell’immagine mnestica ostile, l’Io possa giungere a inibire il decorso dell’immagine mnestica alla liberazione di dispiacere, mediante un copioso investimento laterale che, se è necessario, può essere rinforzato. Se ammettiamo, infatti, che l’iniziale spiacevole emissione Qἠ di dispiacere sia sussunta dall’Io stesso, si verrà ad avere in essa la sorgente del dispendio necessario all’investimento laterale inibitore da parte dell’Io.

Così la difesa primaria sarà tanto maggiore quanto più grande sarà il dispiacere.

[15.] Processo primario e secondario in ψ

Da ciò che siamo venuti svolgendo fin qui, segue che l’Io in ψ – che noi possiamo considerare, in relazione alle sue tendenze, come il sistema nervoso nella sua totalità – può cadere due volte, quando i processi in ψ non sono influenzati, in uno stato d’impotenza e subire danni.

La prima di queste si verifica se, mentre è in uno stato di desiderio, esso investe il ricordo di un oggetto e mette quindi in movimento un processo di scarica, dove il soddisfacimento non può essere raggiunto perché l’oggetto non è reale ma è presente solo in una rappresentazione fantastica. Dapprima ψ non è in grado di operare questa distinzione, perché esso può solo operare sulla base di una successione di stati analoghi tra i suoi neuroni.253 È quindi necessario un altro criterio che permetta di distinguere tra percezione e rappresentazione.

In secondo luogo, ψ ha bisogno di un segno che attiri la sua attenzione sul reinvestimento dell’immagine mnestica ostile e lo metta in grado di prevenire, per mezzo di un investimento laterale, la conseguente liberazione di dispiacere. Se ψ è in grado di operare questa inibizione abbastanza presto, sia la liberazione di dispiacere, sia la difesa contro di essa saranno leggere; diversamente vi saranno un grandissimo dispiacere e un’eccessiva difesa primaria.

Sia l’investimento di desiderio, sia la liberazione di dispiacere, quando c’è un nuovo investimento del ricordo relativo, possono essere biologicamente dannosi. Questo accade per l’investimento di desiderio ogni volta che supera un certo limite e quindi incoraggia alla scarica; e accade per la liberazione di dispiacere almeno ogni volta che l’investimento dell’immagine mnestica ostile sorge da ψ stesso (per associazione) e non dal mondo esterno. Quindi, anche qui ciò che occorre è un segno che permetta di distinguere una percezione da un ricordo (o rappresentazione).254

Con tutta probabilità sono i neuroni ω che forniscono questo segno: il segno di realtà. In ogni percezione esterna avviene un eccitamento qualitativo in ω, ma questo, in un primo tempo, è senza importanza per ψ. Dobbiamo quindi aggiungere che l’eccitamento ω conduce a una scarica ω e che un’informazione di quest’ultima (come di ogni altra scarica) raggiunge ψ. L’informazione della scarica proveniente da ω costituisce quindi per ψ il segno di qualità o di realtà.

Se l’oggetto desiderato è investito abbondantemente, in modo da essere attivato in maniera allucinatoria, si avrà lo stesso segno di scarica o di realtà come nel caso della percezione esterna. In questo caso il criterio cade. Ma se accade che l’investimento di desiderio è soggetto a inibizione, come è possibile se l’Io è caricato, si può immaginare una situazione di ordine quantitativo, durante la quale l’investimento di desiderio, non essendo abbastanza intenso, non produce un “segno di qualità”, come avverrebbe nel caso della percezione esterna. In questo caso, quindi, il criterio mantiene il suo valore. La distinzione risiede nel fatto che, mentre il “segno di qualità” derivato dall’esterno fa la sua apparizione qualunque sia l’intensità della carica, quello derivato da ψ si presenta solo se le intensità sono notevoli. Di conseguenza l’inibizione operata dall’Io rende possibile un criterio per distinguere tra la percezione e il ricordo. L’esperienza biologica insegnerà poi a non iniziare la scarica finché non sia arrivato il “segno di realtà”, e che, per questa ragione, l’investimento dei ricordi desiderati non deve essere portato oltre un certo limite.

D’altra parte, l’eccitamento dei neuroni ω può anche servire a proteggere il sistema ψ nel secondo caso: cioè, attirando l’attenzione di ψ sul fatto della presenza o assenza di una percezione. A questo scopo dobbiamo supporre che i neuroni ω fossero, in origine, collegati anatomicamente con le vie di conduzione provenienti dai diversi organi sensori, e che dirigano la loro scarica nuovamente agli apparati motori appartenenti a questi stessi organi sensori. Allora la più recente informazione della scarica (quella dell’attenzione riflessa) diventerà biologicamente per ψ un segnale255 per inviare una quantità d’investimento nella stessa direzione.

Per riassumere, ove l’inibizione è operata da un Io caricato, i segni di una scarica ω diventano in generale segni di realtà, che ψ biologicamente impara a usare. Se l’Io è in stato di desiderio nel momento in cui emerge tale “segno di realtà”, questo fatto permetterà alla scarica di effettuarsi grazie all’azione specifica. Quando un incremento di dispiacere coincide con il “segno di realtà”, ψ instaurerà una difesa di grandezza normale mediante un adeguato investimento laterale nel punto indicato. Se non si verifica nessuno di questi casi, sarà permesso all’investimento di procedere senza ostacoli secondo le condizioni di facilitazione. L’investimento di desiderio portato fino all’allucinazione e lo sviluppo pieno del dispiacere, che reca con sé l’esaurirsi completo della difesa, si possono definire come processo psichico primario. D’altra parte quei processi che sono resi possibili solo da una buona carica dell’Io e che funzionano da moderatori del processo primario, possono essere definiti come processi psichici secondari. Come si vede, condizione indispensabile di questi ultimi è una corretta utilizzazione dei “segni di realtà”, e questa è possibile solo quando esiste inibizione da parte dell’Io.

[16.] La conoscenza e il pensiero riproduttivo256

Abbiamo qui avanzato l’ipotesi che, durante il processo del desiderare, una inibizione proveniente dall’Io conduca a un investimento moderato dell’oggetto desiderato, cosa che permette di riconoscerlo come non reale. Portiamo ora più avanti l’analisi di questo processo; esiste infatti più di una possibilità.

Primo caso: simultaneamente all’investimento di desiderio dell’immagine mnestica, sia presente la percezione di essa. Le due cariche quindi coincideranno, il che biologicamente non è utilizzabile, ma in aggiunta a ciò, il segno di realtà sorge da ω, ed esso, come abbiamo appreso dall’esperienza, è seguìto da una scarica che ha successo. Questo caso è presto sbrigato.

Secondo caso: l’investimento di desiderio sia presente e sia accompagnato da una percezione che è in accordo con esso solo in parte e non del tutto. È questo il momento di ricordare che le cariche percettive non sono mai cariche di singoli neuroni ma sempre di complessi di neuroni. Fin qui abbiamo trascurato questa particolarità, ma è ormai ora di prenderla in considerazione. Supponiamo, genericamente parlando, che l’investimento di desiderio sia applicato a un neurone a + un neurone b, l’investimento percettivo a un neurone a + un neurone c. Poiché questo è il caso più comune, più comune di quello dell’identità, esso merita un più attento studio.

L’esperienza biologica anche qui [come nel primo caso] insegna che è azzardato iniziare la scarica se i segni di realtà confermano solo una parte e non tutto il complesso. Tuttavia, ora, si trova una via per convertire la somiglianza in completa identità. Se noi paragoniamo questo complesso percettivo con altri complessi percettivi, siamo in grado di scomporlo in due componenti: un neurone a, che rimane generalmente sempre lo stesso, e un neurone b che è per lo più variabile. In seguito il linguaggio applicherà il termine di giudizio a questa scomposizione, e scoprirà la somiglianza esistente di fatto tra il nucleo dell’Io e la componente percettiva costante [da una parte] e tra le mutevoli cariche nel pallio e la componente incostante [dall’altra]; il linguaggio descrive il neurone a come la cosa e il neurone b come la sua attività o attributo, cioè il suo predicato.

Quindi il giudizio è un processo ψ, reso possibile solo dall’inibizione esercitata dall’Io e messo in atto dalle differenze tra l’investimento di desiderio di un ricordo e un consimile investimento percettivo. Ne segue che, quando queste due cariche coincidono, la conseguenza sarà un segnale biologico per porre termine al pensiero e lasciare iniziare una scarica. Quando esse non coincidono, viene dato incremento all’attività del pensiero, alla quale verrà posto di nuovo termine quando esse coincideranno.257

Il processo può essere ulteriormente analizzato. Se il neurone a coincide [nei due investimenti], ma anziché il neurone b viene percepito il neurone c, gli sforzi dell’Io seguono le connessioni di questo neurone c e, per mezzo di una corrente di Qἠ lungo queste connessioni, provocano l’emersione di nuove cariche, finché alla fine il neurone b mancante viene raggiunto. Di regola, si produce l’immagine di un movimento, che s’interpone tra il neurone c e il neurone b, e, quando essa è fatta rivivere dall’esplicarsi di un movimento reale, la percezione del neurone b è ottenuta e si stabilisce la desiderata identità.258 Per esempio, l’immagine mnestica desiderata sia quella del seno materno con il capezzolo in piena vista, e la prima percezione sia l’immagine laterale dello stesso oggetto senza il capezzolo. Il bambino ha il ricordo di un’esperienza, fatta incidentalmente mentre poppava, per cui un particolare movimento della sua testa modificava la visione frontale in visione laterale. La visione laterale lo induce all’[immagine del] movimento della testa, e una prova mostra che si deve compiere il movimento inverso per ottenere la percezione frontale.259

Per ora qui si tratta ben poco di un giudizio; ma ciò costituisce un esempio della possibilità, mediante la riproduzione di cariche, di pervenire a una azione che appartiene già al lato accidentale dell’azione specifica.

Non vi è dubbio che ciò che rende fattibili questi itinerari lungo i neuroni facilitati è una Qἠ derivata dall’Io caricato, e che questo itinerario non è determinato dalle facilitazioni ma da uno scopo. Qual è dunque questo scopo e come lo si può raggiungere?

Lo scopo è di ritornare al neurone b mancante e di scatenare la sensazione d’identità: il momento, cioè, nel quale il solo neurone b è investito e la carica itinerante sfocia in b. Questo si ottiene spostando sperimentalmente Qἠ in ogni direzione, e per tale motivo un maggiore o minore dispendio di investimenti laterali sarà chiaramente necessario, secondo che si possa far uso delle facilitazioni esistenti o si debba operare contro di esse. La lotta tra le facilitazioni fisse e gli investimenti mutevoli è caratteristica del processo secondario del pensiero riproduttivo, in contrasto con la successione primaria delle associazioni.

Che cosa porta a questo itinerare? Il fatto che la rappresentazione di desiderio del ricordo260 [cioè del neurone b] è mantenuta investita mentre si segue l’associazione partendo dal neurone c. Noi sappiamo che un tale investimento del neurone b rende più facilitate e accessibili tutte le sue possibili connessioni.

Nel corso di questo itinerare può anche accadere che la Qἠ s’incontri con un ricordo correlato con un’esperienza di dolore e dia quindi luogo a una liberazione di dispiacere. Poiché questo è un segno sicuro che il neurone b non può essere raggiunto lungo questa via, la corrente devierà immediatamente dalla carica in questione. I canali che danno dispiacere mantengono però il loro grande valore per la guida della corrente di riproduzione.

[17.] Memoria e giudizio

Il pensiero riproduttivo ha quindi uno scopo pratico e una finalità biologicamente stabilita: cioè riportare una Qἠ, che si stia spostando da una percezione superflua, a investire il neurone mancante. Così si ottengono identità261 e diritto alla scarica, sempre che, inoltre, sia dato il segno di realtà dal neurone b. Il processo tuttavia può trascurare il secondo di questi scopi [cioè la scarica] e tendere alla sola identità. In tal caso ci troviamo davanti a un puro atto di pensiero che, tuttavia, potrà sempre in seguito essere usato praticamente. In questi casi, inoltre, l’Io caricato si comporta esattamente nello stesso modo.

Seguiamo ora la terza eventualità che si può verificare in uno stato di desiderio:262 in presenza di un investimento di desiderio emerga una percezione non coincidente in alcun modo con l’immagine mnestica desiderata (mnes.+).263 Sorgerà quindi un interesse a conoscere tale immagine percettiva, in modo che, nonostante tutto, sia possibile trovare una via da essa a mnes.+. A questo scopo l’immagine percettiva è presumibilmente sovraccaricata dall’Io, esattamente come nel caso precedente accadeva solo con una componente di essa, il neurone c. Se l’immagine percettiva non è assolutamente nuova, essa richiamerà e farà rivivere un’immagine percettiva mnestica con la quale avrà almeno qualcosa in comune. Allora il processo del pensiero descritto in precedenza verrà ripetuto a proposito di questa immagine mnestica, quantunque privo, fino a un certo grado, dello scopo fornito in precedenza dalla rappresentazione di desiderio che era investita.

Fintanto che le cariche coincidono, esse non forniscono l’occasione per l’attività di pensiero. Per contro le parti non coincidenti “suscitano interesse” e possono dare spunto ad attività di pensiero di due generi. O la corrente si dirigerà sui ricordi risvegliati e svilupperà un’attività mnemonica senza scopo, che sarà mossa dalle differenze e non dalle somiglianze, oppure rimarrà concentrata sulle componenti da poco presentatesi [della percezione] e metterà in atto un’attività di giudizio ugualmente senza scopo.

Supponiamo che l’oggetto che fornisce la percezione sia simile al soggetto, cioè un essere umano prossimo. L’interesse teorico [suscitato nel soggetto] si spiega anche in quanto un oggetto siffatto è stato simultaneamente il primo oggetto di soddisfacimento e il primo oggetto di ostilità, così come l’unica forza ausiliare. Per tale ragione è sul suo prossimo che l’uomo impara a conoscere. I complessi percettivi che sorgono da questo prossimo saranno in parte nuovi e imparagonabili: per esempio i suoi lineamenti (nella sfera visiva); ma altre percezioni visive (per esempio i movimenti delle mani) coincideranno nel soggetto con i suoi ricordi di analoghe impressioni visive del suo corpo, i quali si assoceranno a ricordi di movimenti sperimentati da lui stesso. La stessa cosa accadrà con altre percezioni dell’oggetto; quindi, per esempio, se l’oggetto grida, un ricordo delle proprie grida risusciterà [nel soggetto] rinnovando le sue esperienze di dolore. Così il complesso di un altro essere umano si divide in due componenti; di cui una s’impone per la sua struttura costante come una cosa coerente, mentre l’altra può essere capita mediante l’attività della memoria: può, cioè, essere ricondotta a un’informazione che [il soggetto] ha del proprio corpo.264 Questo scomporre un complesso percettivo si chiama conoscenza di esso; comporta un giudizio e ha termine quando questo scopo ultimo si è realizzato. Il giudizio, come si vede, non è una funzione primaria, ma presuppone l’investimento da parte dell’Io delle parti disparate [della percezione]. In un primo momento il giudizio non ha una finalità pratica, e durante il processo del giudizio, l’investimento delle differenti componenti viene probabilmente scaricato, giacché questo spiegherebbe perché le attività, o “predicati”, siano separate attraverso una via piuttosto imprecisa dal complesso soggettuale.265

Da qui si potrebbe partire per un approfondimento dell’analisi dell’atto del giudizio, ma ciò costituirebbe una deviazione dal nostro tema. Ci basti aver chiaro in mente che è l’interesse originario a stabilire la situazione di soddisfacimento, che produce in un caso la riflessione riproduttiva e nell’altro il giudizio, come metodi per procedere dalla situazione percettiva, come essa si presenta in realtà, verso la situazione desiderata.266 Di tutto ciò è premessa il fatto che i processi ψ non facciano il loro corso senza inibizione, ma in connessione con un Io attivo. Ma con ciò verrebbe dimostrato il senso eminentemente pratico di ogni attività del pensiero.

[18.] Pensiero e realtà

Scopo e finalità di tutti i processi di pensiero è dunque di stabilire uno stato d’identità, di smistare una Qἠ d’investimento proveniente dall’esterno in un neurone investito dall’Io.267 Il pensiero conoscitivo o giudicante cerca d’identificarsi con una carica somatica; il pensiero riproduttivo cerca d’identificarsi con una propria carica psichica (una propria esperienza vissuta). Il pensiero giudicante opera in anticipo rispetto al pensiero riproduttivo, fornendo a quest’ultimo facilitazioni già pronte per l’ulteriore itinerario associativo. Se, conclusosi l’atto di pensiero, giunge alla percezione il segno di realtà, allora si ottiene un giudizio di realtà, la credenza, e lo scopo di tutta l’attività è raggiunto.

Vi è ancora da osservare, circa il giudizio, che esso si basa evidentemente sulla presenza di esperienze somatiche, di sensazioni e di immagini motorie del soggetto stesso. Fino a quando esse sono assenti, la parte variabile del complesso percettivo non può essere compresa; cioè, essa può venire riprodotta ma non dà nessuna indicazione per ulteriori direzioni di pensiero. Per esempio (fatto che avrà importanza più avanti [cap. 2]), tutte le esperienze sessuali non producono alcun effetto finché il soggetto non avrà provato sensazioni sessuali, cioè, in generale, fino all’inizio della pubertà.

Il giudizio primario sembra presupporre un grado minore d’influenza da parte dell’Io caricato di quanto non avvenga per gli atti di pensiero riproduttivi. In esso si tratta solo del proseguimento di un’associazione per coincidenze parziali [degli investimenti di desiderio e percettivi], associazione che è senza modificazioni. Così capitano anche casi nei quali il processo associativo di giudizio si compie con quantità piena. Si può dire che la percezione corrisponde a un nucleo oggettuale + un’immagine motoria. Mentre si percepisce la percezione, si copia il movimento; cioè s’innerva con tanta forza la propria immagine motoria, suscitata per coincidere [con la percezione], che il movimento si compie. Qui si può parlare di percezione avente un valore imitativo. Oppure la percezione suscita l’immagine mnestica di una sensazione dolorosa patita dal soggetto stesso, in modo tale che esso prova il dispiacere corrispondente e ripete gli appropriati movimenti difensivi. Qui abbiamo il valore simpatetico di una percezione.

Senza dubbio questi due casi ci mostrano il processo primario nel giudizio, e possiamo supporre che tutti i giudizi secondari si effettuino mediante l’attenuarsi di questi processi puramente associativi. Quindi il giudizio – mezzo, più tardi, per conoscere un oggetto di possibile importanza pratica – è, alla sua origine, un processo di associazione tra gli investimenti dall’esterno e quelli derivati dal corpo stesso dell’individuo, una identificazione di informazioni, o investimenti, provenienti da φ e dall’interno. Non è forse ingiustificato supporre che allo stesso tempo il giudizio indichi anche il modo con il quale le Q provenienti da φ possano venire trasmesse e scaricate. Quelle che noi chiamiamo cose sono residui che si sottraggono al giudizio.

L’esempio del giudizio ci suggerisce per la prima volta una differenza quantitativa che si deve presumere esista tra il pensiero e il processo primario. È ragionevole supporre che, durante il pensiero, una piccola corrente d’innervazione motoria defluisca da ψ, ma solo, naturalmente, se durante questo atto sia innervato un neurone motore o un neurone chiave. Sarebbe tuttavia erroneo considerare questa scarica come il processo stesso di pensiero, del quale essa è esclusivamente un risultato non intenzionale e sussidiario. Il processo di pensiero consiste nell’investimento di neuroni ψ con modifica della coazione che è creata dalla facilitazione, modifica che avviene per investimento laterale da parte dell’Io. È comprensibile, dal punto di vista meccanico, che qui solo una parte della Qἠ è capace di seguire le facilitazioni, e che la grandezza di questa parte è costantemente regolata dalle cariche. Ma è ugualmente chiaro che, in tal modo, una sufficiente Qἠ viene allo stesso tempo economizzata, così da rendere la riproduzione in generale vantaggiosa. Altrimenti l’intera Qἠ, che è necessaria per la scarica finale, verrebbe spesa ai punti di sfogo motorio durante il suo passaggio. Quindi il processo secondario è una ripetizione dell’originario flusso ψ, ma a più basso livello e con quantità minori.268

Con Qἠ – ci si può chiedere – persino più piccole di quelle che normalmente passano attraverso i neuroni ψ? Come è possibile che per Qἠ così piccole si aprano vie che sono di norma solo percorribili da quantità più grandi di quelle che ψ usualmente riceve? La sola risposta possibile è che deve esservi una conseguenza meccanica degli investimenti laterali. Dobbiamo concludere che le cose sono organizzate in modo che, quando vi è un investimento laterale, le piccole Qἠ possono scorrere attraverso facilitazioni che sarebbero normalmente attraversate solo da quelle grandi. L’investimento laterale “lega”, per così dire, un certo importo della Qἠ che corre attraverso il neurone.

Il pensiero deve inoltre soddisfare un’altra condizione. Esso non deve apportare essenziali cambiamenti alle facilitazioni stabilite dai processi primari, altrimenti falsificherebbe le tracce della realtà. A questo proposito basti osservare che la facilitazione è probabilmente il risultato [del passaggio] di una singola quantità notevole e che l’investimento, quantunque molto potente al momento, non lascia dietro di sé un effetto di durata paragonabile. Le piccole Q che passano durante il pensiero non possono in genere prevalere sulle facilitazioni.

Nondimeno non vi è dubbio che il processo di pensiero lascia tracce permanenti, dal momento che ripensare269 a qualcosa una seconda volta richiede uno sforzo molto minore della prima. Perché, quindi, la realtà non venga falsificata, devono esservi speciali tracce (indicazioni dei processi di pensiero) che rappresentino una memoria del pensiero, qualcosa che non è stato fino ad oggi possibile formulare. Più oltre [cap. 3] si vedrà con quali mezzi le tracce dei processi di pensiero siano distinte dalle tracce della realtà.

[19.] Processi primari: sonno e sogno270

Sorge ora la questione da quali fattori quantitativi sia messo in atto il processo primario ψ. Nel caso dell’esperienza di dolore questa origine è ovviamente la Q irrompente dall’esterno; nel caso di un affetto si tratta della Q endogena liberata dalla facilitazione. Se si tratta del processo secondario del pensiero riproduttivo, una maggiore o minore Qἠ può ovviamente essere trasferita dall’Io al neurone c, e questa può venire indicata come l’interesse di pensiero ed è proporzionale all’interesse affettivo, ove questo abbia potuto svilupparsi. Il problema è solo di sapere se esistano processi ψ di natura primaria per i quali sia sufficiente la Qἠ fornita da φ, o se alla carica φ della percezione si aggiunga automaticamente un contributo ψ (cioè l’attenzione), che sia il solo a rendere possibile un processo ψ. Tale questione rimane aperta, quantunque forse possa venir decisa in riferimento a particolari fatti psicologici.

Uno di questi importanti fatti è che i processi primari ψ, quelli che sono stati biologicamente a poco a poco repressi nel corso dello sviluppo di ψ, si ripresentano quotidianamente a noi durante il sonno. Un secondo fatto di uguale importanza è che i meccanismi patologici rivelati dalla più attenta analisi nelle psiconevrosi hanno la più grande somiglianza con i processi onirici. Una conclusione importantissima segue da questo confronto, che verremo in seguito approfondendo.271

Per prima cosa, il fatto stesso del sonno deve essere incluso nella nostra teoria. La condizione essenziale del sonno è facilmente riconoscibile nei bambini. I bambini, quando non siano tormentati da bisogni o da stimoli esterni (fame o sensazioni di freddo derivanti dal bagnato), continuano a dormire. Essi si addormentano quando si sono saziati (al seno). Così anche gli adulti si addormentano facilmente post coenam et coitum. Di conseguenza, ciò che condiziona il sonno è un abbassamento del carico endogeno nel nucleo ψ, che rende la funzione secondaria superflua. Durante il sonno l’individuo si trova in uno stato d’inerzia ideale, libero dalla sua scorta di Qἠ.

Negli adulti questa scorta è raccolta nell’Io, e possiamo pensare che condizione e caratteristica del sonno sia il discarico dell’Io. E qui, è subito evidente, noi abbiamo la condizione necessaria ai processi psichici primari.

Non è certo se negli adulti l’Io si liberi completamente del suo carico nel sonno. In ogni caso, esso ritira un largo numero dei suoi investimenti, quantunque al risveglio questi si ristabiliscano immediatamente e senza difficoltà. Ciò non contraddice nessuno dei nostri presupposti, ma c’induce a ritenere che tra i neuroni intimamente legati devono esistere delle correnti che influenzano il livello totale, come si verifica nei vasi intercomunicanti; quantunque il livello dei diversi neuroni debba essere solo proporzionale e non necessariamente uniforme.

Le caratteristiche del sonno rivelano alcune cose che altrimenti non si sarebbero potute comprendere.

Il sonno è caratterizzato da paralisi motoria (paralisi della volontà).272 La volontà consiste nella scarica dell’intera Qἠ ψ. Durante il sonno il tono spinale è parzialmente rilasciato; è verosimile che la scarica motoria φ si manifesti nel tono; altre innervazioni persistono, insieme con le sorgenti eccitatrici.

È di rilevante interesse il fatto che lo stato di sonno inizia ed è provocato dalla chiusura di quegli organi sensori che sono in condizione di chiudersi.273 Durante il sonno non devono aversi percezioni e nulla disturba più il sonno dell’emergere di impressioni sensorie, di investimenti da φ, che entrano in ψ. Questo sembra indicare che durante il giorno un investimento costante, quantunque spostabile (attenzione), è diretto ai neuroni del pallio, che ricevono le percezioni da φ; per modo che appunto i processi primari ψ possano compiersi mediante questo contributo di ψ. Rimane da vedere se i neuroni stessi del pallio, o i neuroni nucleari collegati, siano già precaricati. Se ψ ritira queste cariche dal pallio, le percezioni raggiungono neuroni non caricati e sono deboli, e possono persino non essere in grado di dare un segno di qualità da ω. Come abbiamo suggerito, assieme allo svuotamento dei neuroni ω cessa anche l’innervazione di una scarica che aumenta l’attenzione. Da questo punto noi dovremmo anche avvicinarci all’enigma dell’ipnosi. Ivi l’apparente insensibilità degli organi sensori sembra dipendere da questo ritiro della carica di attenzione.274

Così, mediante un meccanismo automatico inverso a quello dell’attenzione, ψ esclude le impressioni φ fintanto che esso stesso non è caricato.

Ma la cosa più straordinaria di tutte è che, durante il sonno, avvengono dei processi ψ, i sogni, che hanno molte caratteristiche incomprese.

[20.] L’analisi dei sogni

I sogni mostrano ogni sfumatura di transizione allo stato di veglia e alla mescolanza dei normali processi ψ; pure, i loro caratteri essenziali possono facilmente essere posti in evidenza.

1) I sogni sono privi di scarica motoria nonché, per la maggior parte, di elementi motori. Noi siamo paralizzati nei sogni.

La più facile spiegazione di questa caratteristica è l’assenza di una precarica spinale dovuta alla cessazione della scarica φ. Quando i neuroni non sono caricati, l’eccitamento motorio non può superare la barriera. In altri stati simili al sogno il movimento non è escluso. Questa non è la caratteristica più essenziale del sogno.

2) I nessi onirici sono in parte controsensi, in parte di scarso senso, o anche senza senso, stranamente folli.

Quest’ultima particolarità si spiega con il fatto che la coazione ad associare prevale nei sogni come, senza dubbio, avviene primariamente in tutta la vita psichica.275 Due investimenti che sono presenti simultaneamente devono, così sembra, essere posti in relazione. Ho raccolto alcuni divertenti esempi del predominio di questa coazione durante la veglia. (Per esempio, alcuni provinciali che erano presenti al Parlamento francese durante un attentato, credettero di concludere che ogni volta che un deputato faceva un brillante discorso un colpo venisse sparato come segno di plauso.)276

Le altre due particolarità, identiche di fatto, mostrano che una parte delle esperienze psichiche è stata dimenticata. In effetti, sono state dimenticate tutte quelle esperienze biologiche che normalmente inibiscono il processo primario, e questo in conseguenza dell’insufficiente carica dell’Io. L’insensato e illogico carattere dei sogni è probabilmente riconducibile alla stessa caratteristica. È come se le cariche ψ che non sono state eliminate trovassero il loro equilibrio parte nelle facilitazioni collaterali e, parte, nelle cariche vicine. Se il discarico dell’Io fosse completo, il sonno sarebbe necessariamente senza sogni.

3) Le rappresentazioni oniriche sono di natura allucinatoria; esse risvegliano la coscienza e vengono credute.277

Questa è la più importante caratteristica del sonno. Essa diventa immediatamente evidente con l’alternarsi del sonno [alla veglia]: si chiudono gli occhi e le allucinazioni si producono, si aprono e si pensa in parole. Esistono diverse spiegazioni della natura allucinatoria degli investimenti onirici. In primo luogo, si può supporre che [durante la veglia] la corrente da φ verso la motilità agisca come un ostacolo all’investimento regressivo dei neuroni φ a partire da ψ;278 ma, quando questa corrente cessa, φ si trova investito regressivamente e sussistono allora le condizioni richieste per la [produzione di] qualità. La sola obiezione che si potrebbe sollevare contro questa tesi è la considerazione che i neuroni φ, per il fatto che non sono caricati, dovrebbero essere protetti dagli investimenti provenienti da ψ, proprio come nel caso della motilità. Caratteristica del sonno è di invertire l’intera situazione: arresta la scarica motoria da ψ e rende possibile quella regressiva verso φ. Si è tentati di assegnare un ruolo determinante, durante lo stato di veglia, alla grande corrente di scarica che va da φ verso la motilità.279 Secondariamente, noi potremmo fare ricorso alla natura del processo primario e sottolineare che il ricordo primario di una percezione è sempre allucinatorio e che solo l’inibizione proveniente dall’Io ci insegna a non investire mai un’immagine percettiva in modo che essa possa trasferire regressivamente [Qἠ] a φ. Tale ipotesi è resa più plausibile dalla considerazione che la conduzione da φ a ψ è in ogni caso più facile che da ψ a φ; così che l’investimento ψ di un neurone, anche se è più intenso dell’investimento percettivo dello stesso neurone, non comporta ancora necessariamente una conduzione regressiva. Questa spiegazione è inoltre suffragata dal fatto che, nei sogni, la vividezza dell’allucinazione è direttamente proporzionale all’importanza (cioè all’investimento quantitativo) dell’immagine in questione. Questo indica che è Q che condiziona l’allucinazione. Se una percezione proviene da φ durante la veglia, l’investimento ψ (interesse) la rende più distinta ma non più vivida; non ne altera il carattere quantitativo.280

4) Lo scopo e il significato dei sogni (almeno di quelli normali) possono essere stabiliti con sicurezza. I sogni sono appagamenti di desiderio,281 cioè processi primari che seguono ad esperienze di soddisfacimento; se essi non vengono riconosciuti come tali, è esclusivamente perché la liberazione di piacere (la riproduzione [di tracce] di scariche piacevoli) è in essi leggera; infatti generalmente essi seguono il loro corso quasi senza affetto (cioè senza reazioni motorie). Ma è molto facile provare che questa è la loro natura, ed è proprio per questa ragione che inclino a credere che anche l’investimento primario di desiderio fosse di carattere allucinatorio.

5) È da notare quanto sia cattiva la nostra memoria dei sogni e quanto poco danno rechino i sogni in paragone ad altri processi primari. Questo tuttavia è facilmente spiegato dal fatto che i sogni seguono prevalentemente antiche facilitazioni, e non producono così nessun cambiamento [in esse]; che le esperienze φ sono tenute lontane da loro, e inoltre che, in conseguenza della paralisi della motilità, essi non lasciano tracce di scarica.

6) È inoltre interessante che la coscienza fornisca nel sogno le qualità senza alcun turbamento rispetto alla veglia. Questo mostra che la coscienza non è legata all’Io ma può aggiungersi ad ogni processo ψ. Ciò è anche un avvertimento contro ogni possibile identificazione dei processi primari con quelli inconsci. Si trovano qui due validissimi suggerimenti per quanto seguirà!

Se, quando ricordiamo i sogni, noi indaghiamo sul loro contenuto, troveremo che il significato dei sogni come appagamento di desiderio è mascherato da una serie di processi ψ, tutti presenti nelle nevrosi e caratteristici della loro natura patologica.282

[21.] La coscienza nel sogno

La coscienza delle rappresentazioni oniriche è in primo luogo discontinua. Non si acquista coscienza di un intero decorso associativo, ma solamente di singole stazioni in esso. In mezzo giacciono anelli intermedi inconsci facilmente scopribili nello stato di veglia. Se investighiamo la ragione di questa discontinuità, ecco che cosa troviamo: sia A [fig. 4] una rappresentazione onirica divenuta cosciente e che conduce a B. Ma, invece di B, si trova nella coscienza C, e questo avviene perché esso giace sul cammino tra B e un’altra carica D che è presente simultaneamente. Vi è quindi una diversione dovuta a una carica simultanea differente che non è, inoltre, cosciente. C ha preso il posto di B, quantunque B si adatti meglio al collegamento dei pensieri, cioè all’appagamento di desiderio.

Figura_8

[Figura 4.]

Per esempio, [ho sognato che] R. ha fatto ad A. una iniezione di propile. Io vedo allora molto distintamente davanti a me trimetilamina, allucinata come una formula.283 Spiegazione: il pensiero che è simultaneamente presente [D] è la natura sessuale della malattia di A. Però tra questo pensiero e il propile [A] giace un’associazione sulla chimica sessuale [B], di cui ho discusso con W. Fl[liess] e durante la quale egli attrasse la mia attenzione specialmente sulla trimetilamina. Questa è quindi sospinta verso la coscienza [C] da entrambe le direzioni.

È sorprendente il fatto che non sono coscienti né l’anello intermedio [B] (chimica sessuale) né la rappresentazione interferente [D] (natura sessuale della malattia) e questo merita una spiegazione. Si potrebbe pensare che l’investimento di B oppure di D non fosse da solo abbastanza intenso da produrre un’allucinazione regressiva, ma che C, venendo investito da entrambi, sarebbe in grado di farlo. Tuttavia, nell’esempio che ho dato, D (natura sessuale) era certamente tanto intenso quanto A (iniezione di propile) e il derivato di questi due, la formula chimica [C], era enormemente vivido. Il problema degli anelli intermedi inconsci si applica ugualmente allo stato di veglia, nel quale simili avvenimenti si verificano ogni giorno. Ma ciò che rimane caratteristico dei sogni è la facilità dello spostamento della Qἠ e quindi la sostituzione di B con C superiore quantitativamente.

Lo stesso può dirsi dell’appagamento di desiderio nei sogni in generale. Noi non troveremo, per esempio, un desiderio cosciente il cui soddisfacimento venga in seguito allucinato; ma solo quest’ultimo, mentre l’anello intermedio dovrà essere supposto. Questo anello si è certamente prodotto, ma senza aver potuto formarsi qualitativamente. È ovvio, tuttavia, che l’investimento della rappresentazione di desiderio non può verosimilmente essere più forte del motivo che lo provoca. Quindi il corso psichico, nei sogni, ha luogo secondo Q; ma non è Q che decide ciò che diverrà cosciente.

Possiamo anche dedurre dai processi onirici che la coscienza emerge durante un flusso di Qἠ, vale a dire che non viene risvegliata da una carica costante. D’altra parte possiamo supporre che un’intensa corrente di Q non favorisca la presa di coscienza, giacché quest’ultima è connessa col risultato del movimento, cioè, entro certi limiti, legata a un indugiare della carica. È difficile giungere a una reale determinazione della coscienza attraverso queste condizioni reciprocamente contraddittorie. Dobbiamo anche prendere in considerazione le circostanze nelle quali la coscienza emerge nel corso del processo secondario.

La peculiarità sopra menzionata della coscienza onirica può forse spiegarsi supponendo che una corrente regressiva di Qἠ verso φ sia incompatibile con una corrente più energica diretta verso le vie ψ di associazione. Altre condizioni sembrano valere per i processi coscienti φ.

25 settembre 1895

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