Le caratteristiche principali della formazione dei sintomi sono state studiate da tempo, ed enunciate in un modo che giova sperare inattaccabile.275 Il sintomo sarebbe segno e sostituto di un soddisfacimento pulsionale che è mancato, sarebbe un risultato del processo di rimozione. La rimozione proviene dall’Io, il quale, magari per incarico del Super-io, non vuole esser coinvolto in un investimento pulsionale che ha tratto origine dall’Es. L’Io, mediante la rimozione, ottiene che la rappresentazione, portatrice dell’impulso sgradito, venga tenuta lontana dalla coscienza. L’analisi dimostra frequentemente che essa è rimasta conservata quale formazione inconscia. Sino a questo punto la faccenda sarebbe chiara, ma ben presto cominciano le difficoltà non risolte.
Le descrizioni da noi date sin qui del processo inerente alla rimozione hanno posto l’accento sull’esito dell’esclusione dalla coscienza,276 lasciando però aperto il dubbio su altri punti. È dunque sorta la domanda: qual è il destino del moto pulsionale attivato nell’Es e tendente al soddisfacimento? La risposta, indiretta, è stata che attraverso il processo di rimozione, il piacere atteso dal soddisfacimento si converte in dispiacere; e allora ci si è posti il problema di come possa il risultato di un soddisfacimento pulsionale essere un dispiacere. Speriamo di chiarire la faccenda dichiarando esplicitamente che l’atteso decorso eccitativo non si verifica affatto nell’Es, a causa della rimozione; che l’Io riesce a inibirlo o a deviarlo. In questo modo si scioglie l’enigma della “trasformazione dell’affetto”277 nella rimozione. Contemporaneamente ammettiamo tuttavia che l’Io può manifestare un’influenza assai profonda sui processi dell’Es, e abbiamo il dovere di comprendere per quale via gli sia dato di sviluppare questi sorprendenti poteri.
Io credo che l’Io esplichi questo influsso per effetto delle sue intime relazioni col sistema percettivo, relazioni che costituiscono la sua essenza e che sono diventate il fondamento della sua differenziazione rispetto all’Es. La funzione di questo sistema, che noi abbiamo denominato P-C,278 è collegata al fenomeno della coscienza; esso riceve eccitamenti non solo dall’esterno, ma anche dall’interno, e, per mezzo delle sensazioni di piacere e dispiacere che da là lo raggiungono, esso cerca di volgere tutti i decorsi degli eventi psichici nel senso del principio di piacere. Noi tendiamo a rappresentarci l’Io come impotente di fronte all’Es, tuttavia quando l’Io lotta contro un processo pulsionale nell’Es, gli basta dare un segnale di dispiacere per raggiungere il suo intento grazie a quell’istanza quasi onnipotente che è il principio di piacere. Se noi consideriamo per un attimo questa situazione di per sé, possiamo illustrarla mediante un esempio tratto da un’altra sfera. In uno Stato una certa fazione si oppone a una misura la cui approvazione corrisponderebbe alle inclinazioni della massa. Questa minoranza si impadronisce della stampa, influenza attraverso di essa la sovrana “pubblica opinione”, e ottiene che la progettata decisione non venga presa.
Ma a questa spiegazione si connettono ulteriori quesiti. Da dove procede l’energia impiegata nella produzione del segnale di dispiacere? La via ci è qui indicata dall’idea che la difesa contro un processo indesiderato nell’interno possa compiersi secondo il modello della difesa contro uno stimolo esterno, che l’Io adotti contro il pericolo interno la stessa linea di difesa adottata contro quello esterno. Nel caso di un pericolo esterno, l’organismo intraprende un tentativo di fuga; a tutta prima ritrae l’investimento dalla percezione della cosa pericolosa; poi riconosce un mezzo più efficace: quello di intraprendere azioni muscolari tali che la percezione del pericolo, seppure non ricusata, diventa impossibile; l’organismo si sottrae così alla sfera di azione del pericolo. Ebbene, la rimozione è qualcosa di equivalente a un tentativo siffatto di fuga. L’Io ritira l’investimento (preconscio) dalla rappresentanza pulsionale279 da rimuovere, e lo impiega per sprigionare dispiacere (angoscia). Il problema di come si origini l’angoscia nella rimozione può non essere semplice; ciononostante si ha il diritto di non abbandonare l’idea che l’Io sia la vera e propria sede dell’angoscia, e di respingere la formulazione precedente secondo cui l’energia d’investimento dell’impulso rimosso si trasformerebbe automaticamente in angoscia. Se mi sono espresso altra volta in tal modo, è perché ho dato una descrizione fenomenica e non una rappresentazione metapsicologica. [Vedi cap. 4 e cap. 11, par. b, in OSF, vol. 10.]
Da quanto si è detto deriva il nuovo quesito, come sia economicamente possibile che un semplice processo di ritiro e di scarica, quale si ha nel recedere dell’investimento preconscio dell’Io, possa produrre dispiacere o angoscia, dal momento che, stando ai nostri presupposti, il dispiacere e l’angoscia possono soltanto essere conseguenze di un aumentato investimento. Rispondo che in questo caso il prodursi dell’angoscia non esige una spiegazione economica, che l’angoscia non viene prodotta ex novo nel processo di rimozione, bensì viene riprodotta quale stato affettivo in base a un’immagine mnestica già esistente. Ma con l’ulteriore domanda circa l’origine di questa angoscia, e degli affetti in generale, noi abbandoniamo il terreno che appartiene incontestabilmente alla psicologia per entrare nel territorio limitrofo della fisiologia. Gli stati affettivi sono incorporati nella vita psichica come sedimenti di antichissime esperienze traumatiche, e vengono ridestati quali simboli mnestici280 in situazioni simili. Voglio dire che non avevo torto a equipararli agli attacchi isterici acquisiti più tardi e individualmente, e a considerarli come i prototipi normali di quegli attacchi.281 Nell’uomo e negli animali superiori sembra che l’atto della nascita, in quanto prima esperienza individuale di angoscia, abbia conferito aspetti caratteristici all’espressione dell’affetto d’angoscia in genere. Non dobbiamo però sopravvalutare questa connessione, e, pur riconoscendola, non dobbiamo trascurare il fatto che un simbolo affettivo per la situazione del pericolo è una necessità biologica, e sarebbe stato creato in ogni caso. Considero altresì ingiustificato ritenere che per ogni esplosione d’angoscia debba avvenire nella vita psichica un che di equivalente alla riproduzione della situazione della nascita. Non è neppure certo che gli attacchi isterici, i quali pure all’origine sono riproduzioni traumatiche siffatte, conservino durevolmente questo carattere.
Ho indicato in altro luogo282 che le rimozioni con cui abbiamo a che fare nel nostro lavoro terapeutico sono, per la maggior parte, casi di post-rimozione. Esse presuppongono rimozioni originarie già effettuate, che esercitano la loro attrazione sulla situazione nuova. Di questi sfondi e gradi preliminari della rimozione si sa ancora troppo poco. Si corre facilmente il rischio di sopravvalutare la parte svolta dal Super-io nel processo di rimozione. Non possiamo per ora decidere se sia la comparsa del Super-io a creare la divisione tra rimozione originaria e post-rimozione. I primi e intensissimi accessi di angoscia avvengono in ogni caso prima della differenziazione del Super-io. È del tutto plausibile che a determinare le rimozioni originarie siano fattori quantitativi come l’eccessiva intensità degli eccitamenti e la rottura dello scudo che protegge dagli stimoli.283
La menzione dello scudo che protegge dagli stimoli ci funge da segnale del fatto che le rimozioni appaiono in due differenti situazioni, e cioè sia quando un moto pulsionale sgradito viene risvegliato da una percezione esterna, sia quando esso affiora dall’interno senza una simile provocazione. Torneremo più avanti [vedi cap. 10, in OSF, vol. 10] su questa differenza. La protezione contro gli stimoli concerne però soltanto gli stimoli esterni, e non si ha contro le pretese pulsionali interne.
Sin tanto che studiamo i tentativi di fuga dell’Io, rimaniamo lontani dalla formazione dei sintomi. Il sintomo ha la sua origine nel moto pulsionale ostacolato dalla rimozione. Se l’Io, utilizzando il segnale di dispiacere, raggiunge il suo intento di reprimere completamente il moto pulsionale, non veniamo a saper nulla di ciò che è accaduto. Impariamo solo dai casi che sono da indicarsi come rimozioni più o meno fallite.
Si può dir dunque nell’insieme che il moto pulsionale ha trovato un sostituto malgrado la rimozione, ma un sostituto guastato, spostato, inibito, che non è neanche più riconoscibile come soddisfacimento. Quando tale sostituzione si compie, non si verifica alcuna sensazione piacevole e anzi essa assume il carattere della coazione. Ma degradando così il processo di soddisfacimento fino al sintomo, la rimozione mostra la sua potenza anche in un altro punto. Il processo di sostituzione viene tenuto lontano, se possibile, dalla scarica mediante motilità; anche laddove ciò non riesce, esso deve esaurirsi nel mutamento del proprio corpo, e non può incidere sul mondo esterno; gli è vietato convertirsi in azione. Comprendiamo che nella rimozione l’Io lavora sotto l’influenza della realtà esterna, ed esclude perciò che il processo di sostituzione si realizzi in essa con successo.
L’Io governa l’accesso alla coscienza, come pure il passaggio all’azione verso il mondo esterno; nella rimozione, esso esercita il suo potere in entrambe le direzioni: da un lato manifesta la sua potenza sul moto pulsionale stesso, e dall’altro sulla rappresentanza [psichica] di tale impulso. E qui è il caso di chiederci come si concili questo riconoscimento della potenza dell’Io con la descrizione della posizione dell’Io stesso quale l’abbiamo tracciata nel nostro studio L’Io e l’Es. Là abbiamo descritto la dipendenza dell’Io dall’Es non meno che dal Super-io, la sua impotenza e la sua disposizione all’angoscia nei riguardi di entrambi, la fatica che fa a mantenere la propria superiorità.284 Questo giudizio ha trovato dipoi una forte eco nella letteratura psicoanalitica. Moltissime voci insistono sulla debolezza dell’Io rispetto all’Es, e di ciò che è razionale rispetto a ciò che in noi è demoniaco, e sono pronte a far di questo enunciato un pilastro di una “concezione del mondo” psicoanalitica. Uno sguardo al modo d’agire della rimozione non dovrebbe di per sé trattenere l’analista dal prendere posizioni così estreme?
In generale, io non sono per la fabbricazione di concezioni del mondo.285 Si lasci pur questo ai filosofi, i quali dichiarano di non credere che si possa intraprendere il viaggio della vita senza un simile Baedeker, che dà informazioni su tutto. Accogliamo umilmente la commiserazione con la quale i filosofi, dall’alto delle loro superiori esigenze, guardano in basso verso di noi. Dato però che neppur noi possiamo sconfessare il nostro orgoglio narcisistico, osserveremo a nostra consolazione che tutte queste “guide di vita” invecchiano presto, che il nostro piccolo lavoro, per quanto miope e limitato, è ciò che rende necessari i loro ammodernamenti, e che tutti questi “Baedeker”, anche i più moderni, altro non sono che tentativi di rimpiazzare il vecchio catechismo, così confortante nella sua completezza. Sappiamo bene quanta poca luce la scienza abbia saputo proiettare sin qui sull’enigma di questo mondo, e non c’è chiacchiera di filosofi che possa cambiare questa realtà; solo proseguendo pazientemente il lavoro indefesso che tutto subordina alla ricerca della certezza, si può produrre a poco a poco un mutamento. Quando il viandante canta nell’oscurità, rinnega la propria apprensione, ma non per questo vede più chiaro.