Introduzione di C. L. Musatti al primo volume

Questo primo volume delle Opere di Sigmund Freud si apre con la Relazione da lui scritta sopra il soggiorno di studio effettuato a Parigi nell’inverno 1885-86.

Data da questa esperienza l’orientamento assunto successivamente dagli interessi scientifici di Freud: per cui, abbandonando progressivamente altre forme di lavoro scientifico, finì col dedicarsi completamente ed esclusivamente a quel tipo di indagini e di attività attraverso le quali doveva assumere la sua specifica posizione nella scienza e nella cultura moderne.

Chi era questo giovane medico, non ancora trentenne, che da Vienna si recava a Parigi, attratto dalla fama del grande Charcot, per approfondire la propria preparazione neurologica? E che invece dal contatto con la personalità di Charcot, e dall’esperienza acquisita nella clinica della Salpêtrière, doveva ricevere la spinta a dedicarsi proprio a quelle malattie nervose nelle quali un substrato neurologico non è reperibile?

Sigmund Freud è nato il 6 maggio 1856 a Freiberg in Moravia in una famiglia ebraica. Il padre Jacob, di origine galiziana, aveva allora quarantun anni. Da un precedente matrimonio aveva avuto due figli, Emanuel e Philipp. Rimasto vedovo aveva sposato Amalie Nathanson, la madre di Freud. Questa aveva circa la stessa età dei propri figliastri, i quali vivevano con la famiglia paterna; Emanuel aveva a sua volta moglie e un figlio John, di un anno maggiore di Sigmund, a cui seguì più tardi una bambina, Pauline. Nacquero in seguito pure cinque sorelle e due fratelli di Sigmund, cosicché la famiglia era assai numerosa e complicata nei rapporti familiari. Malgrado ciò la vita era semplice e priva di elementi di rilievo.

Non avrebbe senso riferire gli aspetti di questa vita, così eguale a quella di tante altre simili famiglie ebree di piccoli commercianti dell’Europa centrale, se non fosse accaduto che Freud, accingendosi molti anni più tardi, nel 1897, a sottoporsi a un’autoanalisi, si sia soffermato su alcuni particolari della propria infanzia, tratti dall’oblio durante l’analisi o interpretati: i quali perciò si sono rivelati significativi per lo sviluppo della sua personalità.

Effettivamente non si può fare la biografia di un uomo come Freud, anche nei ridottissimi termini di questi cenni inseriti in una introduzione riguardante le opere, al modo stesso come questo si fa in genere per un autore qualsiasi. In quanto la storia personale di Freud acquista significati particolari e non può non essere per così dire essa stessa, almeno in parte, una storia in termini psicoanalitici.

Rilievo ha avuto nei primi anni di vita di Freud la sua posizione presso la madre di figlio maschio primogenito. Come spesso accade in famiglie di modeste condizioni economiche e conducenti una difficile esistenza, il figlio maschio primogenito appare alla madre destinato a grandi cose, e questa aspettazione si proietta nella costruzione di certi miti familiari. Anche nella famiglia di Freud divenne tradizionale la leggenda di profezie che varie persone avrebbero pronunciato di fronte alla madre, annunciando che lui, Sigmund, sarebbe divenuto nella vita un grand’uomo.

Una certa posizione di privilegio fu sempre conservata a Freud in famiglia. Nei tempi duri a Vienna, quando egli era studente, sia per la organizzazione della famiglia nei ristretti locali della abitazione, sia per le spese dei suoi studi, Sigmund godette rispetto ai fratelli di un trattamento fortemente privilegiato.

Accanto alla figura materna ebbe per Freud nei primi anni importanza quella di una domestica boema, Nannie: che dovette esercitare funzioni educativo-repressive sul bambinetto. A un certo momento Nannie scomparve: era stata accusata di furto e allontanata. Per Freud allora la cosa fu misteriosa, e lasciò traccia in un “ricordo di copertura”, che più tardi raccontò.

Il padre di Freud non era particolarmente anziano, ma per il fatto che la moglie era di vent’anni più giovane e che in casa vivevano anche i figli di primo letto, si presentava a Freud come se un’altra generazione intermedia fosse inserita fra lui e il padre. Quando Freud era già adulto, suo fratello Emanuel gli fece osservare questa situazione, e che cioè il padre più che padre avrebbe dovuto essere nonno per lui; e Freud si rese conto che così egli aveva percepito la figura paterna. Ebbe sul piano cosciente affetto e devozione per il proprio genitore, anche se dovette subire una forte delusione quando questi gli raccontò che una volta gli era capitato di essere affrontato da un gruppo di antisemiti, che gli avevano buttato il cappello per terra nel fango dicendogli: “sporco ebreo”, e che poi lo avevano costretto a raccattare lo stesso cappello. Freud fu profondamente colpito dal fatto che il padre non si fosse ribellato, ma avesse subito in silenzio la umiliazione. Quando a lui stesso accadde una volta in treno un episodio, meno grave ma pur simile, reagì con estrema violenza.

Nel corso della propria autoanalisi, all’epoca della morte del proprio padre, Freud ritrovò in sé sentimenti inconsci fortemente aggressivi verso di lui.

Un notevole spirito di ribellione fu sempre presente in Freud. Durante il periodo scolastico si identificava con Annibale, un eroe semita dunque, che aveva minacciato il potere di Roma, e con il generale Masséna, ritenuto ebreo, e che era nato lo stesso suo giorno di nascita (con un secolo di differenza). Egli faceva risalire questi elementi militaristici della sua adolescenza alle lotte che da bambino aveva dovuto sostenere col proprio nipote coetaneo John. Questi era un poco più grande di lui, e Freud doveva difendersi dalle sue prepotenze.

Ai rapporti con questo nipote coetaneo, che fu il suo primo amico-nemico, Freud faceva anche risalire una certa sua ambivalenza affettiva verso i propri amici. Sta di fatto che Freud ebbe amicizie assai profonde, ma che per lo più queste amicizie comprendevano anche elementi di viva ostilità, cosicché a un certo momento erano destinate a risolversi in clamorose definitive rotture.

Quando Freud non aveva ancora compiuto l’anno, nacque il primo dei suoi fratelli, Julius, che morì dopo otto mesi. In una lettera a Fliess del 3 ottobre 1897, e cioè all’epoca dell’autoanalisi, egli parla della propria gelosia verso questo fratellino, dell’aggressività verso di lui (come verso il nipote coetaneo) e dei sentimenti di colpa che vi erano collegati. Nella stessa lettera parla pure dell’eccitazione provata, verso i due anni o i due anni e mezzo, alla vista della madre nuda.

Freiberg era un piccolo centro di 5000 abitanti. Gli ebrei erano assai pochi, un centinaio circa. Conformemente all’uso vigente, specialmente in quell’epoca, per gli ambienti ebraici dell’Europa centrale, gli ebrei facevano molto vita in comune. Anche in seguito del resto, a Vienna, quando Freud era già adulto, i suoi rapporti di amicizia, e anche quelli di collaborazione scientifica e di attività professionale, si svolsero per lungo tempo prevalentemente in ambiente ebraico.

Fra le famiglie amiche a Freiberg, era quella dei Fluss. Una bambina di questa famiglia, Gisela, fu sua compagna di giochi. Il ricordo di questa bambina lasciò una traccia in Freud. All’età di sedici anni, quando da tempo la famiglia era stabilita a Vienna, egli ritornò in periodo di vacanza al paese natale e ritrovò Gisela di cui si innamorò segretamente. Poté però vedere per pochissimo tempo la ragazza, perché essa partì dopo pochi giorni per un altro luogo dove studiava. Freud si abbandonò allora a fantasie nostalgiche: se la sua famiglia non avesse abbandonato Freiberg, quando egli era bambino, avrebbe potuto amare questa ragazza e sposarla.

Queste fantasie amorose si mescolavano ad altre dello stesso periodo che egli fece nei confronti della propria nipote Pauline (figlia di Emanuel e sorella di John). Emanuel con la propria famiglia era emigrato in Inghilterra, a Manchester; e Freud ebbe in un certo periodo l’impressione che il padre, per motivi economici, avesse progettato di distoglierlo dagli studi per farlo andare a Manchester, dove avrebbe potuto lavorare col fratello, sposandone la figlia Pauline. La fantasia di un simile progetto doveva collegarsi al ricordo di giochi sessuali, a base di violenza, effettuati (insieme a John) sopra Pauline, all’epoca di Freiberg. Questo ricordo era tale da suscitare un’eccitazione mista a sentimenti di colpa. Quando però, a diciannove anni, egli si recò effettivamente a Manchester in visita alla famiglia del fratello, la ragazza lo lasciò indifferente.

Freud ha raccontato questo insieme di cose, attribuendole a un paziente, nel suo articolo Ricordi di copertura del 1899, che è riportato nel secondo volume di questa edizione.

Quando Freud ebbe tre anni, il padre Jacob, di fronte alle aumentate difficoltà nella sua modesta attività nel commercio della lana, dovette pensare a mutare residenza. La famiglia si spostò prima a Lipsia, dove rimase un anno, e poi a Vienna. I fratelli maggiori di Freud emigrarono invece, come si è detto, in Inghilterra.

Anche a Vienna la vita fu molto difficile. Freud ricevette la prima istruzione dalla madre, e poi dal padre. Frequentò quindi una scuola tenuta da Samuel Hammerschlag, che rimase poi sempre amico della famiglia. A nove anni superò l’esame per l’ammissione allo “Sperl Gymnasium”. Fece brillantemente il ginnasio, ed aiutò in questo periodo le sorelle minori nei loro studi.

La famiglia di Freud non era particolarmente religiosa; tuttavia Freud fu allevato nella osservanza delle più importanti tradizioni ebraiche, e comprendeva l’ebraico, che aveva studiato con Hammerschlag. Oltre al tedesco e all’ebraico apprese perfettamente il francese e l’inglese, conosceva inoltre il greco e il latino studiati a scuola, e lo spagnolo e l’italiano appresi per proprio conto, senza l’aiuto di alcuno.

A diciassette anni Freud si diplomò ottenendo la menzione summa cum laude.

Il padre gli aveva promesso per tale occasione un viaggio in Inghilterra, che però dovette essere rimandato. Invece si ebbe probabilmente a quest’epoca (ma la data è dubbia) la gita a Freiberg a cui sopra si è fatto cenno. In Inghilterra Freud andò soltanto a diciannove anni.

Prima Freud dovette risolvere il problema della scelta dei suoi studi ulteriori, e quindi della professione. Nell’Autobiografia (1924) Freud racconta come la determinazione di dedicarsi agli studi di medicina si sarebbe prodotta.

Durante il ginnasio, sotto la influenza di un compagno di scuola, egli aveva pensato per un certo periodo di studiare legge, e di dedicarsi a un’attività politico-sociale. D’altra parte lo interessavano molto le dottrine scientifiche di portata generale, come la teoria di Darwin. E così, dopo aver ascoltato la pubblica lettura del saggio La natura attribuito a Goethe, egli avrebbe deciso di dedicarsi alle scienze naturali e di iscriversi alla facoltà di medicina.

Il problema della presenza o meno di una vocazione medica in Freud è molto importante e complesso.

Negli ultimi anni della sua vita Freud tendeva a dire che egli non era mai stato veramente un medico nel senso tradizionale della parola. Effettivamente, durante i suoi primi studi universitari, tendeva a comportarsi come uno scienziato, avviato a una carriera scientifica, e non come uno studente di medicina che volesse divenire un buon clinico. È bensì vero che quando a un certo momento, nel 1882, il suo maestro, il fisiologo Brücke, gli fece comprendere che date le sue condizioni economiche era necessario che egli si avviasse ad una carriera pratica, Freud si sottopose a un accurato tirocinio per questo. Ma egli finì egualmente col trovare il modo per non fare il medico nel senso comune della parola, e per divenire qualche cosa di diverso: per svolgere cioè una attività, quella psicoanalitica, la quale per le attitudini che richiede, per il modo con cui si esplica, per il tipo di rapporto che crea con i propri pazienti, per la base culturale in cui si muove, si differenzia radicalmente dalla attività medica nel senso comunemente inteso.

Per i medici che al giorno d’oggi, rinunciando ad essere “medici veri”, diventano psicoanalisti, spesso il fattore motivante della scelta è una sorta di fuga dal letto del malato. Ma in certo modo per lo stesso Freud (che pure fu anche un ottimo medico generale) si può affermare che egli riuscì ad evadere dalla professione medica inventando e fondando un nuovo tipo di assistenza e di terapia per le sofferenze umane.

Su determinati atteggiamenti che nel seguito della sua vita Freud assunse rispetto alla classe medica, come quando sostenne in Il problema dell’analisi condotta da non medici (1926) che per fare lo psicoanalista non sia rigorosamente necessario essere laureati in medicina, mentre è più importante una diversa specie di preparazione culturale generale, ha probabilmente agito – oltre a un certo rancore per le forti diffidenze che gli ambienti medici hanno per lungo tempo opposto alle sue dottrine – anche il fatto che Freud, fin da quando si iscrisse come studente alla facoltà di medicina, non si è mai pienamente identificato con l’ideale della professione.

Freud entrò all’università nel 1873, a diciassette anni dunque. Gli studenti potevano muoversi con una certa libertà nel complesso delle materie d’insegnamento. Freud fin dal secondo anno seguì, oltre ai corsi prescritti, vari corsi di biologia generale e di zoologia, e inoltre un seminario di filosofia tenuto da Franz Brentano, e in seguito anche un altro corso di Brentano sulla logica aristotelica.

Nella primavera del 1876, quando egli non aveva ancora vent’anni, il professore di zoologia Carl Claus gli affidò una ricerca, da compiersi nella stazione zoologica sperimentale di Trieste, su un importante problema, quello della struttura delle gònadi dell’anguilla. Il lavoro, che fu compiuto con due soggiorni a Trieste, e di cui però Freud non era molto soddisfatto data la incertezza dei risultati, fu pubblicato l’anno successivo.

Fin dai primi anni di studi universitari, Freud, frequentando le lezioni di fisiologia, entrò in contatto con la personalità di Ernst Brücke (1819-92). Questi era di origine germanica, si era formato a Berlino, e faceva parte di un gruppo di biologi che hanno fortemente influenzato la cultura e la scienza tedesche della seconda metà del secolo. Gli altri del gruppo erano Emil Du Bois-Reymond, Carl Ludwig e soprattutto Hermann von Helmholtz. Essi avevano costituito nel 1845 la Berliner physikalische Gesellschaft (la Società fisica tedesca). Il loro orientamento teoretico, accentrato sul principio della conservazione dell’energia, già formulato da Robert Mayer e divulgato da Helmholtz, si contrapponeva alla Naturphilosophie di derivazione idealistica che aveva prevalso in Germania nella prima metà del secolo, e costituì la base teoretica sulla quale si sviluppò in Germania tutta la biologia moderna.

Freud fu ammesso nell’Istituto di Brücke nel 1876 come famulus, e cioè allievo ricercatore. In quell’Istituto egli subì non solo l’influenza di Brücke, ma anche quella dei due suoi assistenti: Ernst von Fleischl-Marxow, di cui divenne amico e che morì prematuramente nel 1891, e Sigmund Exner, che doveva succedere a Brücke sulla cattedra.

Brücke affidò a Freud una ricerca di carattere istologico sopra particolari cellule nervose, note come cellule di Reissner, che si trovano nel midollo spinale di alcuni pesci. Freud condusse a termine questa ricerca che fu pubblicata nel gennaio 1877, proseguì poi le indagini con un secondo lavoro che uscì nell’agosto 1878, e spostò poi la ricerca sopra analoghe cellule nervose del gambero, esponendone i risultati in una comunicazione del gennaio 1882.

Con queste ricerche Freud portava un notevole contributo alla teoria del neurone. L’insieme dei risultati raggiunti fu riassunto in una conferenza che Freud tenne alla Società di psichiatria, quando già aveva lasciato l’Istituto di Brücke, e che fu stampata nel 1884.

Freud dimostrò con queste ricerche istologiche, effettuate dunque al microscopio, particolari attitudini per l’osservazione. Anche alla tecnica della preparazione e colorazione dei preparati istologici Freud apportò rilevanti innovazioni: modificando fin dal 1877 la formula di Reichert per l’allestimento dei preparati microscopici di tessuti nervosi, e soprattutto più tardi introducendo il metodo della colorazione al cloruro d’oro per le stesse cellule nervose.

È stato notato come invece i tentativi fatti da Freud per lavorare con indagini sperimentali nella fisiologia non abbiano avuto eguale successo. Negli anni dell’università Freud si cimentò tre volte con ricerche sperimentali di questo tipo: Una prima, anteriormente ancora al 1879, nel laboratorio dell’Istituto di patologia diretto da Stricker, con una ricerca sulle glandole acinose che non portò ad alcun risultato. Una seconda volta con la collaborazione, egualmente senza successo, a una ricerca condotta nello stesso Istituto sulla funzione di determinate altre glandole per l’apparato circolatorio. E una terza con una indagine sugli effetti al dinamometro dell’assorbimento della cocaina, ricerca questa effettuata con scarsi risultati nello stesso anno in occasione del suo lavoro sulla coca.

Il contrasto fra le eccellenti qualità di osservatore e la mediocre disposizione all’intervento sperimentale è un dato caratterologico importante. E ad esso si può forse fare riferimento anche per interpretare quello che dovrà essere l’atteggiamento di Freud nella cura delle nevrosi, caratterizzato da un abbandono di ogni intervento diretto di tipo tradizionale (farmacologico, elettroterapeutico, o altro) e da una concentrazione sulla semplice osservazione del comportamento e del materiale comunicato verbalmente dal malato.

Nell’estate del 1879 Freud fu chiamato sotto le armi per il servizio militare di un anno, che egli effettuò come studente di medicina, e quindi con la possibilità di continuare a frequentare gli istituti medici. Durante il servizio militare, che lasciava molto tempo libero, Freud si dedicò alla traduzione di un libro di John Stuart Mill, per la collezione completa delle opere di Mill in tedesco curata da Theodor Gomperz.

Freud, come abbiamo detto, avrebbe voluto dedicarsi alla scienza pura. Si sottopose però anche agli esami necessari per l’abilitazione all’esercizio della medicina, i cosiddetti rigorosa di medicina. Sostenne il primo rigorosum nelle materie propedeutiche il 9 giugno 1880; il secondo in medicina generale lo stesso giorno; e il terzo, nelle varie specialità, il 30 marzo 1881. Il giorno successivo gli fu consegnata la laurea con cerimonia solenne.

La laurea non portò modificazioni nella vita di Freud. Esse si produssero invece nel 1882 in seguito al colloquio che ebbe con Brücke. Questi fece dunque osservare a Freud le scarse possibilità di una rapida carriera scientifica, e la opportunità per lui, che era ancora a carico della famiglia, e che cioè doveva vivere sullo scarso e poco redditizio lavoro del padre, di conquistarsi una posizione con l’esercizio professionale della medicina.

Nello stesso periodo, la necessità di crearsi una professione si presentò a Freud come urgente anche in funzione di un fatto nuovo. Egli aveva conosciuto nell’aprile in casa propria, dove era venuta in visita, Martha Bernays, una ragazza poco più che ventenne di una nota famiglia ebraica, originaria di Amburgo ma residente a Vienna, e se ne era innamorato. Il 10 giugno Freud ebbe la conferma che Martha accettava il suo amore, e il 17 giugno i due giovani si fidanzavano segretamente.

Agli studiosi della vita di Freud, l’amore per Martha Bernays, conosciuto attraverso l’epistolario che (sia pure in parte) è stato pubblicato, offre – per la profondità del sentimento e per la speciale capacità di vivere una vita spirituale comune con la persona amata – una materia preziosa.

Qui dobbiamo limitarci ad accennare al fatto che l’amore per la fidanzata, e futura moglie, è l’unico della vita di Freud. Esso fu preceduto soltanto dall’episodio adolescenziale a cui è stato accennato più su, e di cui è evidente la tenuità.

Più tardi, quando Freud era già sposato da tempo, e la moglie fu presa dalle cure della casa e dei figli, le funzioni di confidente, sul piano delle esperienze spirituali e culturali, che Martha aveva avuto per Freud, furono in parte esercitate dalla sorella di lei, Mina. Si trattò di un legame esclusivamente spirituale. Ma anche dando a questo legame un certo peso, si può dire che esso rivela ancora una volta la fedeltà di Freud, posto che la cognata ripeteva molti dei caratteri psicologici della moglie.

L’amore di Freud per la fidanzata si è ripercosso sulla attività di studio e scientifica di lui, perché Freud fu preso dalla febbre di giungere al più presto a costituirsi una posizione professionale. La situazione divenne drammatica l’anno dopo, quando nel giugno 1883 Martha, con la madre e la sorella, lasciò Vienna per tornare a Wandsbek presso Amburgo, e la lontananza – anche se interrotta da alcuni viaggi che Freud fece a Wandsbek – rese l’attesa più dolorosa.

Freud, subito dopo il colloquio con Brücke, lasciò l’Istituto e il 31 luglio 1882 entrò nell’Ospedale generale di Vienna, allo scopo di acquistare una certa pratica nelle varie specialità, e poter così esercitare la medicina come libero professionista. Incominciò con due mesi di pratica in un reparto di chirurgia. Nell’ottobre passò nel reparto di medicina interna diretto dal professor Nothnagel. Nel maggio 1883 entrò nel reparto di psichiatria col professor Meynert, che era un’autorità per l’anatomia patologica del cervello, e che per un certo periodo di tempo fu assai amichevole verso Freud. Questi ripetutamente pensò di poter divenire assistente di Meynert, di cui aveva profonda stima e con cui si trovava bene. Ma non si presentarono mai possibilità concrete.

Nell’ottobre del 1883 Freud passò nel reparto di dermatologia, e nel gennaio successivo in quello delle malattie nervose di Scholz. Là rimase anche durante l’estate, quando per vicende particolari gli capitò di dirigere interinalmente il reparto.

Nel gennaio del 1885 Freud presentò all’Università di Vienna la domanda per essere nominato libero docente in malattie del sistema nervoso. La procedura era piuttosto laboriosa, ma con l’appoggio di Brücke, di Meynert e di Nothnagel, Freud fu prima ammesso alla prova orale che ebbe luogo il 30 giugno, e poi alla lezione di prova. Il 16 luglio la Facoltà decise di nominare Freud libero docente e il 5 settembre il Ministero comunicò la nomina.

Intanto però i rapporti con Scholz si erano guastati, e Freud era stato costretto a cambiare reparto, entrando il 1° marzo in quello oftalmologico, dove rimase tre mesi. Il 1° giugno si era trasferito nel reparto dermatologico dove era già stato nell’83, ma contemporaneamente aveva accettato una supplenza in una clinica psichiatrica privata situata nei dintorni di Vienna.

Nello stesso 1885 (precisamente il 3 marzo) Freud aveva fatto domanda per ottenere dall’Università di Vienna una borsa di studio di 600 fiorini (e cioè circa 1200 lire dell’epoca) che gli consentisse di recarsi per sei mesi a Parigi nella clinica della Salpêtrière diretta da Charcot, allo scopo di perfezionarsi presso di lui che era allora la massima autorità in campo neurologico. Ancora con l’aiuto di Brücke il 19 giugno egli ottenne che la Facoltà gli assegnasse la borsa.

Col titolo di libero docente in malattie del sistema nervoso, e con la pratica che egli riteneva di poter acquistare a Parigi, Freud si sentiva ormai in grado di affrontare la professione, e di potersi quindi sposare.

Il fidanzamento aveva avuto le sue burrasche. Dapprima nel 1882-83 molteplici difficoltà derivarono dalla necessità di mantenere il fidanzamento segreto, perché Freud, non avendo ancora prospettive di guadagno, non era un fidanzato presentabile. Poi si determinarono forme dissennate di gelosia da parte di Freud, in quanto Martha prima di conoscere lui aveva avuto della simpatia per un proprio cugino, Max Meyer, e poi anche per un amico intimo di Freud, Fritz Wahle: quello stesso Fritz Wahle che serviva da intermediario per il segreto scambio di lettere fra Freud e Martha. Poi ancora altre difficoltà si crearono per la forte aggressività (e ancora gelosia) di Freud verso i familiari di Martha. Verso la madre, Emmeline Bernays nata Philipp, che aveva imposto nell’estate dell’83 alla figlia l’abbandono di Vienna e il soggiorno a Wandsbek. E verso il fratello di Martha, Eli: questi era divenuto cognato di Freud in quanto aveva sposato sua sorella Anna (ottobre 1883). Con lui Freud ebbe ripetutamente dissidi per motivi di denaro: dapprima perché Eli tardava a corrispondere uno stipendio al fratello minore di Freud, Alexander, che lavorava con lui come apprendista; e più tardi perché Martha, che disponeva di una propria piccola dote, ne aveva affidata l’amministrazione al fratello e Freud ingiustamente sospettò che il cognato ne approfittasse.

Freud visse nella prima parte della sua vita immerso nelle difficoltà economiche. E non era sereno nelle questioni di denaro, fino ad assumere facilmente posizioni ingiuste e irragionevoli.

Durante il periodo di pratica medica fatta da Freud presso l’Ospedale generale, e quindi durante il periodo del fidanzamento, si produsse uno strano e significativo episodio.

Freud, pur avendo abbandonato la ricerca pura per la pratica clinica, non rinunciò completamente a pubblicare lavori scientifici. Nel 1884 pubblicò la conferenza riassuntiva sulle sue ricerche sulle cellule nervose, a cui è già stato accennato. Nella stessa epoca pubblicò una comunicazione preliminare in cui descrisse il proprio metodo di colorazione al cloruro d’oro. Nel 1885 pubblicò pure tre casi clinici studiati nel reparto di Scholz. Altri tre lavori a carattere neurologico sul bulbo, iniziati quando lavorava ancora con Brücke, e portati a termine negli anni successivi, furono pubblicati nel 1885-86.

Freud pensava ancora ogni tanto alla possibilità di acquistar fama con qualche scoperta scientifica a carattere clamoroso. Così nel 1884 si procurò, con notevoli sacrifici, una certa quantità di cocaina, un alcaloide tratto dalla coca, che in quell’epoca era poco noto, allo scopo di studiarne le qualità fisiologiche. Pensava che forse ne sarebbe potuta venir fuori una scoperta importante (lettera alla fidanzata del 21 aprile 1884). Provò la cocaina su di sé, sul suo amico Fleischl (l’assistente di Brücke, che in seguito a una infezione richiedente tutta una serie di operazioni chirurgiche demolitrici a una mano, era divenuto morfinomane, e che lottava per liberarsi da questa tossicomania), e su qualche ammalato. Ne spedì anche alla fidanzata “per darle forza e colorirle le guance”.

Nell’estate pubblicò, dopo aver raccolto la bibliografia, una monografia Über Coca (Sulla coca), dove, alla fine, Freud descrisse in modo riassuntivo gli effetti dell’assunzione della cocaina, e suggerì, in modo molto generico, la possibilità di un suo impiego come anestetico.

Freud partì per le vacanze ai primi di settembre, andando a passare quattro settimane con la fidanzata a Wandsbek. Al ritorno trovò che un suo collega ed amico, il dottor Koller, aveva in una comunicazione preliminare, datata ai primi di settembre, esposto la possibilità, sperimentalmente controllata, di ottenere con la cocaina un’anestesia locale nell’occhio, utilizzabile per interventi chirurgici. Anche Freud e un altro amico suo, l’oculista Königstein, fecero insieme esperienze del genere, ma la priorità rimase a Koller. Questa questione di priorità non turbò molto Freud, che non si rese subito conto come la vera importanza della cocaina stesse proprio e soltanto nelle sue proprietà per una anestesia locale. Più gravi furono altre due questioni.

L’una riguarda l’amico di Freud, Fleischl. Freud gli aveva consigliato l’uso della cocaina per vincere la morfinomania; ma Fleischl divenne cocainomane, e prese dosi sempre maggiori di cocaina, con tremende sofferenze, non soltanto al moncone della mano, ma di carattere generale.

Anche gli ambienti medici, dopo un iniziale interesse per la monografia di Freud sulla coca (che dovette essere ristampata nel febbraio 1885), assunsero atteggiamenti negativi. Freud aveva pubblicato nel gennaio 1885 le sue ricerche sperimentali intorno agli effetti dell’uso della cocaina sull’attività muscolare, controllati al dinamometro, e aveva tenuto una conferenza (poi pubblicata) il 3 marzo alla Società di fisiologia, e il 5 marzo alla Unione psichiatrica. Nel luglio apparve un’aspra critica all’uso della cocaina raccomandato da Freud, e nei mesi successivi furono denunciati qua e là nei vari paesi casi di assuefazione alla cocaina.

Freud dovette rendersi conto, anche in relazione alle condizioni di Fleischl, dei pericoli presentati dall’uso della droga. Cercò quindi con un articolo pubblicato nel luglio 1887 di difendersi. Sostenne allora che l’assuefazione alla cocaina si sarebbe prodotta solo in chi già era morfinomane, e non negli individui normali. E inoltre affermò di aver suggerito l’uso della cocaina solo per via orale: riferendosi per questo alla monografia del 1884, e obliando invece completamente la conferenza del 1885 (che non è più apparsa negli elenchi preparati da Freud delle proprie pubblicazioni), in cui era esplicitamente consigliata la somministrazione dell’alcaloide per iniezioni sottocutanee.

Il soggiorno di Freud a Parigi durò dal 13 ottobre 1885 al 2 febbraio 1886, con una interruzione per la settimana di Natale passata a Wandsbek presso la fidanzata. Tre mesi e mezzo dunque, in luogo dei sei progettati.

L’importanza che questa esperienza parigina ebbe per tutto l’orientamento scientifico di Freud, risulta dagli stessi scritti di Freud pubblicati in questo volume. Vogliamo qui accennare soltanto al fatto che a Parigi, dopo le prime settimane, durante le quali egli lavorò a ricerche anatomiche nel laboratorio annesso alla clinica della Salpêtrière, Freud affermò di voler abbandonare per sempre la neuropatologia e il microscopio (lettera alla fidanzata del 28 novembre 1885). Attratto dallo studio che Charcot veniva svolgendo con criteri nuovi sulle forme isteriche, egli stava modificando radicalmente i propri interessi.

In realtà la decisione di abbandonare la neurologia non ebbe attuazione immediata. Ancora a Parigi, Freud si mise a scrivere un libretto Introduzione alla neurologia, di cui finì la prima parte, ma che non fu mai terminato. Esso fu probabilmente inglobato in un altro libro più ambizioso sull’Anatomia del cervello, a cui Freud lavorò nel 1887 e 1888, come sappiamo dalle lettere a Fliess dell’epoca, ma che rimase pure incompiuto.

Nel febbraio 1886, di ritorno da Parigi, Freud si era fermato una settimana a Berlino nella clinica pediatrica di Baginsky, per fare un minimo di pratica pediatrica. Gli era stata infatti offerta la direzione del reparto neurologico che il pediatra Max Kassowitz aveva appena aperto nel “Primo Istituto pediatrico pubblico” di Vienna.

Freud ebbe di fatto tale direzione, che tenne per vari anni. Ciò gli consentì di svolgere una serie di ricerche neurologiche sopra bambini, ricerche consegnate in nove monografie pubblicate fra il 1888 e il 1893.

Nel 1891 pubblicò pure un importante libro (dedicato a Breuer) sull’Afasia. Si trattava di un argomento sul quale aveva già tenuto conferenze alla Società di fisiologia nel 1886 e all’università nel 1887, e che aveva trattato nella “voce” corrispondente per l’“Handwörterbuch der gesamten Medizin” di Villaret (1888-91). Una breve nota sopra un particolare disturbo a un nervo della coscia è del 1895.

La competenza dimostrata da Freud nel campo delle paralisi cerebrali infantili, con alcuni dei lavori condotti nella clinica Kassowitz, indussero Nothnagel ad affidargli questo capitolo per la sua grande “Enciclopedia medica”. Il capitolo, finito nel 1898, fu l’ultimo lavoro di neurologia scritto da Freud.

Quando nell’inverno del 1886 Freud rientrò a Vienna da Parigi, dopo la breve sosta a Berlino, trovò un ambiente che, al suo entusiasmo per le nuove esperienze da lui vissute, opponeva un notevole scetticismo. Ciò diede luogo a contrasti che recarono una grande amarezza e anche una forte irritazione in Freud, di cui troviamo le tracce nei lavori e nelle lettere di quest’epoca.

Oltre che sul piano scientifico Freud desiderava vivamente di affermarsi professionalmente. Aprì il 25 aprile (era domenica di Pasqua) il proprio studio, annunciandolo con un avviso sui quotidiani e sui periodici di medicina: “Il dottor Sigmund Freud, docente di neuropatologia nell’Università di Vienna, è tornato da un soggiorno di sei mesi a Parigi e risiede ora nella Rathausstrasse 7.” I primi pazienti gli furono indirizzati da Nothnagel e da Breuer.

L’apertura dello studio professionale e i guadagni che Freud se ne riprometteva avrebbero dovuto consentire finalmente il matrimonio. Penose difficoltà d’ordine economico sembravano costituire ancora un ostacolo non sormontabile. Un provvidenziale intervento di una zia di Martha, Lea Löwbeer, di Brünn, che regalò alla nipote una forte somma, permise che si giungesse il 13 settembre 1886 alle nozze. Benché Freud ne fosse molto seccato, esse furono celebrate col rito religioso ebraico.

Le difficoltà economiche a cui si è accennato erano anche dovute al fatto che Freud si era impegnato a versare una somma annua alla famiglia paterna, e che inoltre egli si era già indebitato durante gli anni precedenti con amici e colleghi.

Principale finanziatore di Freud fu Josef Breuer (1842-1925). Breuer, quando nel 1879 conobbe Freud nell’Istituto di fisiologia di Brücke (di cui egli stesso era medico di famiglia) si legò di forte amicizia per il giovane collega. Egli e la moglie protessero Freud, e lo aiutarono in tutti i modi, anche economicamente, quando Freud, in seguito al colloquio con Brücke, iniziò il suo tirocinio nell’Ospedale generale. Dal 1882 al 1886 Breuer prestò a Freud 2300 fiorini, pari a 4600 lire dell’epoca (che Freud cominciò a restituire solo nel 1897). Altro denaro Freud ricevette da Fleischl, il disgraziato assistente di Brücke, e dal dottor Josef Paneth, suo compagno di studi che aveva preso il suo posto nell’Istituto di fisiologia. Erano entrambi ricchi di famiglia. Paneth, per facilitare il matrimonio a Freud, mise a disposizione la somma di 1500 fiorini, che Freud fino al matrimonio non avrebbe dovuto però intaccare, utilizzando solo gli interessi per effettuare gite a Wandsbek dalla fidanzata. Freud però fu costretto a spendere anche il capitale mentre era a Parigi.

Le ristrettezze economiche continuarono dopo l’inizio dell’attività professionale e il matrimonio, in quanto scarsi erano i pazienti.

Nell’Autobiografia Freud descrive come, all’inizio, si svolgeva tecnicamente il suo lavoro nell’attività professionale privata. La maggior parte degli ammalati che si presentavano come “nervosi” appartenevano a quella categoria di ammalati che oggi si indicano come nevrotici. Freud tentò di utilizzare con costoro la cosiddetta elettroterapia, allora in voga, ma si rese presto conto che gli scarsi eventuali effetti erano di natura puramente suggestiva. L’esperienza acquisita a Parigi sull’impiego della ipnosi apriva altre possibilità. Così per un certo tempo Freud, non solo usò l’ipnosi, ma cercò di approfondire la propria conoscenza teorica e la propria tecnica ipnotica. Ciò accadde soprattutto negli anni che vanno dal 1888 al 1892 (vedi Studi sull’isteria, 1892-95, cap. 2, par. 3, nota 174, in OSF, vol. 1).

Gli scritti di questo periodo (che sono riportati nel presente volume) ci consentono di seguire gli sforzi compiuti in questa direzione. Tuttavia Freud, che pure difese l’ipnosi con grande energia (come appare dalle sue frecciate polemiche contro il vecchio maestro Meynert) non ne fu mai pienamente soddisfatto.

Lamentava di non riuscire a ottenere con molti pazienti uno stato di ipnosi convenientemente profondo. Si rendeva conto che i risultati terapeutici ottenuti dipendevano strettamente dal rapporto fra medico ed ammalato, rapporto che sfuggiva a un preciso controllo da parte del medico. Spesso i risultati erano temporanei e si dissolvevano quando l’ammalato usciva dalla sfera di influenza del medico. Inoltre l’impiego della tecnica ipnotica contrastava con la sua mentalità scientifica: il semplice ordine dato in ipnosi per far scomparire i sintomi lamentati lasciava del tutto irrisolto il problema del meccanismo di produzione dei sintomi, e quindi si riduceva a un procedimento meccanico, grossolano ed empirico, che non aveva assolutamente nulla di scientifico.

Freud scrisse nell’Autobiografia di aver fin dall’inizio usato l’ipnosi non soltanto per “proibire” i sintomi, ma anche per esplorare la personalità dell’ammalato, allo scopo di rendersi conto dei processi psichici che sostenevano quei sintomi.

Dall’esame dei casi clinici pubblicati, sembra tuttavia che sia vero piuttosto il contrario: anche quando Freud, seguendo la indicazione del caso della signorina Anna O., curata da Breuer nell’80-82, cominciò a utilizzare l’ipnosi per ricostruire la genesi della sintomatologia presentata dall’ammalata (e ciò dovrebbe essere avvenuto la prima volta nel 1888, o nel 1889, con il caso della signora Emmy von N.), egli alternò un tale impiego con quello (che in certo modo lo contraddice) di una diretta inibizione dei sintomi.

Allorché Freud si decise a sostituire completamente questa inibizione diretta dei sintomi, con una terapia che cercasse di agire sui sintomi attraverso una ricostruzione della loro psicogenesi, egli anche abbandonò l’ipnosi: creando un metodo nuovo di esplorazione psichica, quello delle associazioni libere. Ciò avvenne nel 1892 con il caso della signorina Elisabeth von R.

Questo primo volume delle Opere comprende i suoi scritti psicologici che vanno dal 1886 agli Studi sull’isteria. In particolare esso contiene: i lavori che hanno una immediata e diretta connessione con l’esperienza parigina presso Charcot e con la concezione dell’isteria come malattia psicogena (1886-88); i lavori riguardanti l’ipnosi, che coprono un periodo durante il quale Freud, anche con un viaggio e breve soggiorno a Nancy presso Bernheim (estate 1889), tentò di migliorare la propria tecnica ipnotica e di approfondirne lo studio teorico (1888-92); la prefazione e le note (limitatamente a quelle che hanno un rilievo psicologico) scritte da Freud per la sua traduzione delle Lezioni del martedì della Salpêtrière di J.-M. Charcot (1892-94); e infine l’opera più significativa e più importante di questo periodo: Studi sull’isteria.

Da un punto di vista formale Studi sull’isteria, apparso nel 1895 come opera collettiva di Breuer e di Freud – con una premessa (costituita dalla “Comunicazione preliminare: Sul meccanismo psichico dei fenomeni isterici”), che era già stata pubblicata due anni prima in rivista, e con una serie di nuovi lavori, in parte clinici e in parte teorici, scritti singolarmente dall’uno o dall’altro dei due autori – è un libro molto complesso.

La collaborazione scientifica di Breuer e Freud ebbe inizio quando Freud, che già usava l’ipnosi per inibire i sintomi dei malati (come aveva visto fare a Charcot e più recentemente a Bernheim), fu indotto a riprodurre il procedimento a cui Breuer era pervenuto nel 1880-82, con la paziente indicata come Anna O., in certo senso dietro indicazione della stessa paziente.

Può apparire abbastanza semplice e naturale, disponendo, di fronte a un ammalato con una sintomatologia isterica, di quel particolare strumento che è la suggestione ipnotica, il passaggio dall’un tipo all’altro di impiego. In realtà questo diverso impiego presuppone anche un diverso modo di concepire i sintomi isterici.

L’ordine dato in ipnosi allo scopo di ottenere una diretta eliminazione dei sintomi, implica la considerazione dei sintomi stessi come formazioni parassitarie e pleonastiche, veri corpi estranei, che possono dunque essere semplicemente elisi, lasciando per il resto integro il funzionamento dell’apparato psichico.

La utilizzazione dell’ipnosi per una esplorazione in profondità della personalità del malato, così da individuare gli elementi della sua vita che in qualche modo possono essere responsabili dei sintomi, e una liquidazione dei sintomi ottenuta attraverso questa attività esplorativa, implica invece la interpretazione dei sintomi come formazioni psichiche aventi un preciso significato, e richiede che in qualche modo ci si rappresenti il processo attraverso il quale essi sono stati costruiti.

Questa interpretazione dei sintomi isterici fu appunto elaborata da Breuer e da Freud negli anni che vanno dal 1889 al 1892. Freud, vincendo le perplessità e le incertezze di Breuer, riuscì a persuaderlo a rendere pubblici in un breve scritto collettivo, che è precisamente la “Comunicazione preliminare”, i risultati a cui essi erano pervenuti.

Come Freud ha ripetutamente raccontato, esistevano già da allora alcune differenze nelle posizioni dei due autori. Di esse ci si può render conto, sia esaminando gli abbozzi (parzialmente conservati e qui inclusi) scritti da Freud mentre si stava preparando collegialmente la “Comunicazione preliminare”, sia considerando gli ulteriori sviluppi del pensiero di Freud.

Tali differenze fecero sì che quando Freud volle far seguire alla “Comunicazione preliminare” una esposizione del materiale clinico che egli stesso aveva raccolto, e che avrebbe dovuto essere aggiunto all’unico caso originariamente curato da Breuer, completando il tutto con una più esauriente trattazione, sia della nuova tecnica, sia dei punti di vista teoretici che la giustificavano, non fu più possibile la stesura di testi collettivi (come, sia pur con difficoltà, era stato fatto per la “Comunicazione preliminare”), ma fu necessario dividere i compiti.

Ciascuno dei due autori espose, e firmò, i casi da lui stesso trattati (e fin qui la cosa era semplice e chiara). In più Breuer si riservò la stesura di un capitolo teorico, mentre Freud, che andava già modificando la tecnica terapeutica originaria di Breuer, si assunse il compito di illustrare tale tecnica modificata. Aggiungendo tuttavia egli stesso una serie di considerazioni teoriche, che in parte si sommavano, ma in parte anche si contrapponevano, a quelle di Breuer.

Malgrado lo sforzo compiuto dai due autori per non far esplodere i loro dissidi, e per rendere possibile la pubblicazione della loro opera comune, questa risente fortemente nella sua struttura di tale situazione.

Gli Studi sull’isteria non sono perciò un libro che fissi una specifica e determinata posizione scientifica, ma espongono per così dire gli elementi di un pensiero che è tutto in movimento. Del resto il titolo stesso di Studi, dato dagli autori all’opera, è in funzione di questo suo carattere composito.

Se da un punto di vista sistematico ciò si traduce in una imperfezione formale, come documento dello sviluppo di pensiero da cui la psicoanalisi ha tratto origine gli Studi costituiscono invece un quadro di estremo interesse, proprio perché vi è in certo modo condensata la matrice della psicoanalisi.

Certo la lettura di questo libro esige una impostazione particolare.

Il lettore deve proporsi di vedere in trasparenza i vari piani sovrapposti che lo compongono. Così il piano su cui si è operata la collaborazione fra Freud e Breuer, ma dietro ad esso, e in trasparenza dunque, anche quello del loro dissidio. Per cui Breuer rimarrà ancorato a determinate posizioni di partenza, mentre Freud spiccherà il volo (come Breuer stesso, ammirato e un po’ spaventato, riconoscerà qualche anno più tardi) verso più alti cieli.

Così pure si trovano sovrapposte senza un netto distacco, come dicemmo, e vanno perciò vedute in prospettiva, le varie fasi dello sviluppo della tecnica: l’impiego della ipnosi nel più ingenuo uso della diretta inibizione dei sintomi; la sua utilizzazione per una esplorazione di remote esperienze dimenticate; e la sua sostituzione infine con la nuova tecnica esplorativa propriamente psicoanalitica che Freud viene abbozzando.

Il libro poi, nelle parti che sono opera di Freud, è per così dire denso di cose che pur non vi sono chiaramente espresse. Nei due anni che vanno dalla pubblicazione della “Comunicazione preliminare” a quella del libro completo – sia pur attraverso le difficoltà che cominciavano a prodursi nei rapporti personali dei due autori – Freud ha affrontato una molteplicità di altri temi, che hanno dato luogo a vari scritti: in parte apparsi fin da allora su riviste scientifiche, in parte rimasti per lungo tempo inediti e solo recentemente pubblicati. Questi scritti, che sono dunque contemporanei agli Studi sull’isteria (e che nella presente edizione sono contenuti nel secondo volume) non possono esser considerati separatamente da quelli. A loro volta però gli Studi sull’isteria richiedono che il lettore attento sappia anche intravedere ciò che nel libro è da Freud sottaciuto, perché in certo modo rinviato a questi altri lavori, ma che pure è già inglobato nel suo pensiero così da trasparire anche in quest’opera.

Tale è dunque la natura di questo libro. Quando però le difficoltà che qui sono state indicate siano consapevolmente affrontate, gli Studi sull’isteria appaiono in tutta la loro ricchezza concettuale, come un ampio paesaggio dove sono visibili le vie che conducono ai futuri sviluppi della dottrina di Freud; e il lettore, ripagato per quelle difficoltà, ha l’impressione di assistere concretamente alla nascita della psicoanalisi.

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