F. L’INCONSCIO E LA COSCIENZA. LA REALTÀ
Guardando più attentamente, non è l’esistenza di due sistemi posti vicino all’estremità motoria dell’apparato, ma quella di due processi o modi di decorso dell’eccitamento, che le disamine psicologiche dei capitoli precedenti ci hanno indotto ad ammettere. Per noi le cose non cambiano; dobbiamo infatti essere sempre pronti a lasciar cadere le nostre ipotesi ausiliarie, quando riteniamo di essere in condizione di sostituirle con qualche altra cosa, che più si avvicina alla realtà sconosciuta. Tentiamo ora di correggere alcune concezioni che potevano essere fraintese, sinché consideravamo i due sistemi, nel senso più immediato e grossolano, come due località poste all’interno dell’apparato psichico; queste concezioni hanno lasciato la loro impronta nelle espressioni “rimuovere” e “penetrare”. Quando dunque diciamo che un pensiero inconscio tende alla traduzione nel preconscio per poi penetrare nella coscienza, non intendiamo dire che debba formarsi un secondo pensiero situato in un altro punto, una trascrizione per così dire, accanto alla quale continua a sussistere l’originale; e anche per la penetrazione nella coscienza, intendiamo escludere accuratamente qualsiasi idea di cambiamento di luogo. Quando diciamo che un pensiero preconscio viene rimosso e poi accolto dall’inconscio, queste immagini – prese a prestito da una cerchia di idee che ricorda la lotta per un terreno – potrebbero indurci all’ipotesi che realmente, in una delle località psichiche, un ordinamento venga dissolto e sostituito da un ordinamento nuovo nell’altra località. Utilizziamo dunque per questi paragoni un’immagine che sembra corrispondere meglio alla situazione reale, vale a dire: un investimento energetico viene trasferito su un determinato dispositivo o ne viene ritirato, di modo che la struttura psichica viene a trovarsi sotto il dominio di un’istanza o ne viene distolta. Qui sostituiamo di nuovo a un modo di rappresentazione topico un modo di rappresentazione dinamico; non è la struttura psichica che ci appare elemento mobile, bensì la sua innervazione.995
Eppure mi sembra utile e giustificato continuare a utilizzare una rappresentazione plastica dei due sistemi. Per evitare ogni abuso basta ricordare che rappresentazioni, pensieri, formazioni psichiche in generale, non possono affatto venire localizzate in elementi organici del sistema nervoso, ma per così dire tra questi, e allora resistenze e facilitazioni ne costituiscono il corrispettivo adeguato. Tutto ciò che può divenire oggetto della nostra percezione interna è virtuale, come l’immagine nel telescopio data dal passaggio dei raggi luminosi. Ma i sistemi – che di per sé non sono affatto psichici e non diventano mai accessibili alla nostra percezione psichica – siamo autorizzati a considerarli alla stregua delle lenti del telescopio, che proiettano l’immagine. Insistendo in questo paragone, la censura tra due sistemi corrisponderebbe alla rifrazione dei raggi, nel passaggio in un nuovo mezzo.
Abbiamo sinora fatto della psicologia per conto nostro; è ora di ritrovare le concezioni scientifiche che dominano la psicologia odierna e di esaminarne il rapporto con i nostri orientamenti. Il problema dell’inconscio nella psicologia è, secondo la vigorosa asserzione di Lipps,996 non tanto un problema psicologico, quanto il problema della psicologia. Fin quando la psicologia risolveva questo problema con la dichiarazione verbale che lo “psichico” è precisamente ciò che è “cosciente”, e che i “processi psichici inconsci” sono un evidente controsenso, era inammissibile un’utilizzazione psicologica delle osservazioni che un medico poteva ricavare da stati psichici anormali. L’incontro fra medico e filosofo è possibile soltanto se entrambi riconoscono che i processi psichici inconsci sono “l’espressione funzionale e ben giustificata di un fatto certo”. Il medico non può che respingere con un’alzata di spalle l’assicurazione che “la coscienza è il carattere indispensabile dello psichico” ed eventualmente, qualora il suo rispetto per le espressioni dei filosofi glielo consenta, ammettere che medico e filosofo non trattano dello stesso oggetto e non coltivano la stessa scienza. Infatti, anche una sola intelligente osservazione della vita psichica di un nevrotico, la sola analisi di un sogno, debbono imporgli la salda convinzione che i processi ideativi più complessi e corretti, ai quali non si negherà certo il nome di processi psichici, possono verificarsi senza stimolare la coscienza del soggetto.997 Certo, il medico non ha notizia di questi processi inconsci finché non esercitano sulla coscienza un effetto che consente una comunicazione o un’osservazione. Ma quest’effetto cosciente può dimostrare un carattere psichico del tutto divergente dal processo inconscio, per cui alla percezione interna riesce assolutamente impossibile riconoscere nell’uno il sostituto dell’altro. Il medico deve mantenere il proprio diritto di inoltrarsi, mediante un procedimento dimostrativo, dall’effetto cosciente nel processo psichico inconscio; viene così a sapere che l’effetto cosciente non è che un lontano risultato psichico del processo inconscio, che quest’ultimo è diventato cosciente come tale e, inoltre, che è esistito e ha agito senza peraltro tradirsi in alcun modo di fronte alla coscienza.
La rinuncia alla sopravvalutazione della quantità della coscienza diventa condizione prima indispensabile per qualsiasi visione esatta dello svolgimento dello psichico. Secondo l’espressione di Lipps, l’inconscio dev’essere accettato come base generale della vita psichica.998 L’inconscio è il cerchio maggiore, che racchiude in sé quello minore del conscio; tutto ciò che è conscio ha un gradino preliminare inconscio, mentre l’inconscio può restar fermo a questo gradino e pretendere tuttavia al pieno valore di prestazione psichica. L’inconscio è lo psichico reale nel vero senso della parola, altrettanto sconosciuto nella sua natura più intima quanto lo è la realtà del mondo esterno, e a noi presentato dai dati della coscienza in modo altrettanto incompleto, quanto il mondo esterno dalle indicazioni dei nostri organi di senso.
Annullando l’antico contrasto fra vita conscia e vita onirica con l’inserimento dello psichico inconscio nella posizione che gli spetta, si elimina una serie di problemi del sogno che hanno intensamente preoccupato gli studiosi precedenti. Numerose attività, il cui verificarsi nel sogno poteva meravigliare, non vanno ora più attribuite al sogno, ma al pensiero inconscio attivo anche di giorno. Se il sogno, secondo Scherner,999 sembra giocare con una raffigurazione simboleggiante del corpo [vedi il cap. 1, par. G, in OSF, vol. 3], sappiamo che questa è opera di certe fantasie inconsce che accondiscendono probabilmente a impulsi sessuali, e che si esprimono non soltanto nel sogno, ma anche nelle fobie isteriche e in altri sintomi. Quando il sogno prosegue e termina certi lavori del giorno e porta alla luce addirittura idee pienamente valide, dobbiamo detrarne soltanto il travestimento del sogno, opera del lavoro onirico e suggello dell’attività ausiliaria di forze oscure, che provengono dalle profondità della psiche (confronta il diavolo nel sogno della sonata di Tartini).1000 La prestazione intellettuale spetta alle medesime forze psichiche che l’effettuano di giorno. Probabilmente siamo troppo inclini a sopravvalutare il carattere conscio anche della produzione intellettuale e artistica. Dai resoconti di uomini estremamente produttivi, come Goethe e Helmholtz, sappiamo piuttosto che l’essenziale e il nuovo delle loro creazioni è venuto loro in mente all’improvviso, giungendo alla loro percezione quasi già compiuto. Il concorso dell’attività conscia non può d’altro canto stupire nei casi in cui è richiesta una tensione di tutte le nostre forze spirituali. Ma è prerogativa di cui l’attività conscia abusa abbondantemente quella di nascondere ai nostri occhi ogni altra attività con cui essa coopera.
Non vale quasi la pena di esporre, come tema particolare, l’importanza storica dei sogni. Il caso in cui per esempio un condottiero sia stato determinato da un sogno a compiere un’impresa temeraria, il cui esito ha inciso nella storia, mutandola, dà luogo a un nuovo problema soltanto fino a che si contrappone il sogno, come potenza estranea, ad altre forze psichiche più familiari; non più, quando si considera il sogno come una forma espressiva di impulsi, sui quali di giorno pesa una resistenza, e che di notte han potuto attingere a rinforzi provenienti da fonti di eccitamento profonde.1001 Il rispetto che i popoli antichi avevano per il sogno è però un omaggio, fondato su un’intuizione psicologica esatta, a ciò che di indomito e di indistruttibile è nell’anima umana, al demoniaco che fornisce il desiderio del sogno e che ritroviamo nel nostro inconscio.
Non è senza intenzione ch’io dico nel nostro inconscio, perché ciò che definiamo in questo modo non coincide con l’inconscio dei filosofi e neppure con l’inconscio di Lipps. Nel primo caso, esso sembra definire semplicemente l’opposto di conscio; il fatto che, oltre ai processi consci, esistano anche processi psichici inconsci, costituisce una nozione che viene accanitamente contestata o energicamente difesa. Con Lipps, veniamo a conoscenza di un principio più vasto, secondo il quale tutto lo psichico esiste come inconscio, parte del quale poi esiste anche come conscio. Ma non è per confermare questo principio che ci siamo accostati ai fenomeni del sogno e della formazione dei sintomi isterici; l’osservazione della vita diurna normale basta da sola a stabilirlo, al di sopra di ogni dubbio. Ciò che di nuovo ci ha insegnato l’analisi delle formazioni psicopatologiche – e già del loro primo anello, il sogno – consiste nel fatto che l’inconscio – dunque lo psichico – si presenta come funzione di due sistemi separati e come tale esiste già nella vita psichica normale. Vi sono dunque due tipi di inconscio, che negli psicologi non troviamo ancora distinti. Entrambi costituiscono un inconscio nel senso psicologico; ma nel senso nostro, uno – quello che chiamiamo Inc – è per di più incapace di giungere alla coscienza, mentre l’altro viene da noi chiamato Prec, perché i suoi eccitamenti, sia pur sottostando, è vero, a certe regole – forse soltanto superando una nuova censura, ma senza tener conto del sistema Inc – possono giungere alla coscienza. Il fatto che gli eccitamenti, per giungere alla coscienza, debbano passare attraverso una successione invariabile, una processione di istanze (che ci è stata svelata dai suoi mutamenti dovuti alla censura), ci è servito per stabilire un paragone di ordine spaziale. Abbiamo descritto i rapporti dei due sistemi tra loro e con la coscienza, dicendo che il sistema Prec sta come uno schermo tra il sistema Inc e la coscienza; che il sistema Prec non solo sbarra l’accesso alla coscienza, ma governa anche l’accesso alla motilità volontaria e dispone dell’emissione di un’energia d’investimento mobile, una parte della quale ci è nota come attenzione. [Vedi il cap. 7, par. E, in OSF, vol. 3.]1002
Dobbiamo tenerci lontani anche dalla distinzione fra coscienza superiore e coscienza inferiore, che tanto favore ha incontrato nella letteratura più recente sulle psiconevrosi, poiché proprio essa accentua l’equivalenza tra psichico e conscio.
Che parte rimane nella nostra esposizione alla coscienza, che un tempo era onnipotente e ricopriva tutto il resto? Nient’altro che quella di organo di senso per la percezione di qualità psichiche.1003 Secondo il concetto fondamentale del nostro tentativo di schema, non possiamo concepire la percezione cosciente che come attività propria di un sistema particolare, per il quale è opportuna la definizione abbreviata C. Immaginiamo che questo sistema sia simile, nei suoi caratteri meccanici, ai sistemi percettivi P, quindi: eccitabile da parte di qualità psichiche e incapace di conservare la traccia dei mutamenti, cioè senza memoria. L’apparato psichico che, con l’organo di senso dei sistemi P, è rivolto al mondo esterno, è esso stesso mondo esterno per l’organo di senso della C, la cui giustificazione teleologica consiste appunto in tale rapporto. Ci viene qui incontro ancora una volta il principio della processione di istanze che sembra dominare la struttura dell’apparato. Il complesso degli eccitamenti affluisce all’organo di senso della C da due parti: dal sistema P, il cui eccitamento, determinato dalle qualità, subisce probabilmente una nuova elaborazione fino a diventare sensazione cosciente, e dall’interno dell’apparato stesso, i cui processi, di ordine quantitativo, sono sentiti, appena approdano a certe trasformazioni, come serie qualitative di piacere e dispiacere.
Per i filosofi che si sono accorti del fatto che sono possibili formazioni ideative corrette e assai complesse anche senza partecipazione della coscienza, è stato poi difficile attribuire alla coscienza una funzione; è parsa loro una superflua immagine riflessa del processo psichico ormai compiuto. L’analogia tra il nostro sistema C e i sistemi percettivi ci toglie d’imbarazzo. Vediamo che la percezione, attraverso i nostri organi di senso, ha per conseguenza di dirigere un investimento d’attenzione verso le vie per le quali si diffonde l’eccitamento sensoriale in arrivo; l’eccitamento qualitativo del sistema P serve da regolatore del decorso della quantità mobile presente nell’apparato psichico. Possiamo valerci della stessa funzione per l’organo di senso sovrastante, quello del sistema C. Percependo nuove qualità, esso offre un nuovo contributo alla direzione e alla distribuzione funzionale delle quantità mobili di investimento. Con la percezione di piacere e dispiacere, influenza il decorso degli investimenti all’interno dell’apparato psichico, e che di solito opera inconsciamente e per spostamenti quantitativi. È probabile che in un primo tempo il principio di dispiacere regoli automaticamente gli spostamenti dell’investimento energetico; ma è pure molto probabile che la coscienza di queste qualità aggiunga una seconda e più sottile regolazione, che può addirittura opporsi alla prima, e che perfeziona la capacità di prestazione dell’apparato, mettendolo in condizione, contrariamente alla primitiva disposizione, di investire nonché di elaborare anche ciò che è collegato con uno sprigionamento di dispiacere. La psicologia delle nevrosi insegna che a queste regolazioni, opera dell’eccitamento qualitativo degli organi di senso, spetta una parte di grande rilievo nell’attività funzionale dell’apparato. Il dominio automatico del principio primario di dispiacere, e la connessa limitazione della capacità di prestazione, vengono spezzati da regolazioni sensitive, che sono esse pure automatiche. La rimozione – che, originariamente utile, sfocia tuttavia in una dannosa rinuncia all’inibizione e al controllo della psiche – si compie in questo modo molto più facilmente sui ricordi che sulle percezioni, perché nei primi viene a mancare l’aumento di investimento determinato dall’eccitamento degli organi di senso psichici. Se da un lato un pensiero che dev’essere respinto talvolta non diventa cosciente, perché soggiace alla rimozione, altre volte esso può venire rimosso, semplicemente perché, per altre ragioni, è stato sottratto alla percezione della coscienza. Queste sono indicazioni, di cui si serve la terapia per revocare rimozioni ormai compiute.
Da un punto di vista teleologico nulla dimostra il valore del sovrainvestimento, prodotto dall’influenza regolatrice dell’organo di senso C sulla quantità mobile, meglio della creazione di una nuova serie qualitativa e con ciò di una nuova regolazione, che costituisce la prerogativa dell’uomo rispetto agli animali. Infatti i processi ideativi sono di per sé privi di qualità, a eccezione degli eccitamenti concomitanti di piacere e dispiacere, che però devono essere tenuti a freno come possibili elementi di perturbazione del pensiero. Per conferire una qualità a tali processi, essi vengono nell’uomo associati ai ricordi verbali, i cui residui qualitativi bastano ad attrarre l’attenzione della coscienza e, a partire da questa, a rivolgere al pensiero un nuovo investimento energetico mobile.1004
Soltanto con l’analisi dei processi ideativi isterici è possibile valutare tutta la molteplicità dei problemi della coscienza. Se ne ricava l’impressione che anche il passaggio dal preconscio all’investimento della coscienza sia legato a una censura, analoga alla censura tra Inc e Prec.1005 Anche questa censura incomincia ad agire soltanto a un certo livello quantitativo, e così le sfuggono formazioni di pensiero poco intense. Ogni sorta di esempi in cui determinati pensieri restano fuori dalla coscienza, o penetrano in essa con determinate limitazioni, si trovano riuniti nell’ambito di fenomeni psiconevrotici; tutti richiamano l’attenzione sull’intimo e mutuo rapporto esistente fra censura e coscienza. Voglio concludere questa trattazione psicologica comunicando due casi di questo genere.
L’anno scorso mi recai per consulto presso una ragazza dallo sguardo intelligente e disinvolto. La sua tenuta è sorprendente: mentre di solito l’abbigliamento femminile è curato in ogni minimo particolare, lei porta una calza a penzoloni e due asole della camicetta sono sbottonate. Si lagna di dolori a una gamba e denuda spontaneamente un polpaccio. Ma la sua lagnanza principale è questa, testualmente: ha una sensazione nel corpo, come se ci fosse dentro qualche cosa che si muove in qua e in là e che la scuote tutta. Qualche volta allora tutto il corpo per così dire s’irrigidisce. Il mio collega, che è anch’egli presente, mi guarda: trova la lagnanza inequivocabile. A entrambi sembra strano che la madre della paziente non abbia alcun sospetto; infatti deve essersi trovata ripetutamente nella situazione descritta dalla figlia. La ragazza stessa non suppone minimamente la pregnanza del suo discorso, altrimenti non lo farebbe. In questo caso è stato possibile schermare la censura, in modo da far giungere alla coscienza, sotto l’innocente maschera di una lagnanza, una fantasia che di solito rimane nel preconscio.
Un altro esempio: inizio un trattamento psicoanalitico con un ragazzo di quattordici anni che soffre di tic convulsivo, vomito isterico, cefalea e così via; gli dico che chiudendo gli occhi vedrà immagini o gli verranno in mente dei pensieri che dovrà comunicarmi. Mi risponde con immagini. Ritorna visivamente nel suo ricordo l’impressione che ha provato per ultima, prima di venire da me. Ha giocato a scacchi con suo zio e ora vede dinanzi a sé la scacchiera. Discute diverse posizioni, favorevoli o sfavorevoli, mosse non consentite. Poi vede sulla scacchiera un pugnale, un oggetto posseduto dal padre, ma che la sua fantasia trasferisce sulla scacchiera. Poi sulla scacchiera si trova un falcetto, vi si aggiunge una falce e infine compare l’immagine di un vecchio contadino che falcia l’erba davanti alla lontana casa natia. Pochi giorni dopo riesco a capire questa serie di immagini. Una spiacevole situazione familiare ha turbato il ragazzo. Un padre duro, iracondo, che viveva in disaccordo con la madre e che come mezzi educativi usava le minacce. Il divorzio del padre dalla madre tenera e affettuosa; il secondo matrimonio del padre, che un giorno portò a casa una giovane, presentandola come la nuova mamma. Pochi giorni dopo esplose la malattia del ragazzo. È la rabbia repressa contro il padre, che ha composto quelle immagini in trasparenti allusioni. Una reminiscenza mitologica ne ha fornito il materiale. Il falcetto è quello con cui Zeus evirò il padre, la falce e l’immagine del contadino descrivono Crono, il vecchio violento che divora i suoi figli, del quale Zeus si vendica in modo così poco filiale. [Vedi il cap. 5, par. D, sottopar. β, in OSF, vol. 3.] Il matrimonio del padre era un’occasione per restituirgli i rimproveri e le minacce che una volta aveva ricevuto perché giocava con i genitali (il giuoco degli scacchi; le mosse proibite; il pugnale col quale si può uccidere). In questo caso si tratta di ricordi a lungo rimossi e di loro derivati rimasti inconsci, che si insinuano nella coscienza, attraverso la via indiretta che è stata loro aperta, come immagini apparentemente prive di senso.
Per me dunque il valore teorico dello studio sul sogno consisterebbe nei suoi contributi alla conoscenza psicologica e nelle conoscenze propedeutiche che fornisce allo studio delle psiconevrosi. Chi mai è in condizione di prevedere l’importanza cui può assurgere la conoscenza approfondita della struttura e delle attività dell’apparato psichico, se già l’attuale livello del nostro sapere è tale da consentire una felice influenza terapeutica sulle forme in sé curabili di psiconevrosi? Ma qual è il valore pratico di questo lavoro – sento chiedere – per la conoscenza psichica, per la rivelazione delle segrete qualità caratteriali dei singoli? Non hanno forse gli impulsi inconsci rivelati dal sogno il valore di potenze reali nella vita psichica? Dobbiamo tenere in poco conto il significato etico dei desideri repressi, i quali, così come creano sogni, potranno un giorno creare altre cose?
Non mi sento autorizzato a rispondere a queste domande. Il mio pensiero non ha approfondito questo aspetto del problema del sogno. Ritengo soltanto che, in ogni caso, aveva torto l’imperatore romano che fece giustiziare un suddito perché questi aveva sognato di ammazzare l’imperatore. [Vedi il cap. 1, par. F, in OSF, vol. 3.] In primo luogo, si sarebbe dovuto preoccupare di sapere il significato di quel sogno: molto probabilmente, non era quello messo in mostra. E quand’anche un sogno diverso avesse questo significato di lesa maestà, sarebbe ancora opportuno ricordare il detto di Platone: l’uomo virtuoso si limita a sognare quel che l’uomo malvagio fa nella vita [ibid.]. Penso dunque che la cosa migliore sia di mettere i sogni in libertà. Non sono in condizione di dire se si debba riconoscere una realtà ai desideri inconsci. Naturalmente essa va negata a tutti i pensieri di passaggio e intermedi. Quando si hanno di fronte i desideri inconsci, portati alla loro espressione ultima e più vera, bisogna dire che la realtà psichica è una particolare forma di esistenza che non dev’essere confusa con la realtà materiale.1006 Non è quindi giustificata la riluttanza degli uomini ad assumersi la responsabilità dell’immoralità dei loro sogni. La valutazione del modo di funzionamento dell’apparato psichico e l’esame dei rapporti tra conscio e inconscio fanno perlopiù dileguare ciò che di scandaloso in senso etico vi è nella nostra vita onirica e fantastica. “Quel che il sogno ci ha rivelato sui rapporti con il presente (realtà), va poi ricercato anche nella coscienza e non dobbiamo meravigliarci di ritrovare, come infusorio, il mostro che abbiamo visto sotto la lente di ingrandimento dell’analisi.”1007
Per l’esigenza pratica di valutare il carattere dell’uomo, bastano perlopiù l’azione e il modo di sentire, che si manifestano consciamente. Soprattutto l’azione merita di essere posta in prima linea, perché molti impulsi penetrati nella coscienza vengono soppressi da reali potenze della vita psichica ancor prima di sfociare nell’azione; anzi, spesso non incontrano alcun ostacolo psichico sulla loro via, proprio perché l’inconscio è certo ch’essi verranno impediti in un altro modo. In ogni caso, è istruttivo imparare a conoscere il terreno sconvolto sul quale fieramente si ergono le nostre virtù. La complessità del carattere di un uomo, sospinto dinamicamente in tutte le direzioni, giunge assai di rado a un approdo per mezzo di una semplice alternativa, come vorrebbe la nostra antiquata dottrina morale.1008
E il valore del sogno per la conoscenza del futuro? Naturalmente, non è il caso di pensarci.1009 Si vorrebbe inserire in sua vece: per la conoscenza del passato. Poiché è dal passato che deriva il sogno, in ogni senso. È vero, anche l’antica credenza che il sogno ci mostra il futuro, non è completamente priva di un fondamento di verità. Rappresentandoci un desiderio come appagato, il sogno ci porta certo verso il futuro; ma questo futuro, considerato dal sognatore come presente, è modellato dal desiderio indistruttibile a immagine di quel passato.