Prefazione a “Il rito religioso: studi psicoanalitici”
di Theodor Reik

La psicoanalisi nacque da necessità mediche, ebbe origine dall’esigenza di aiutare quei malati di nervi ai quali né il riposo, né le tecniche idroterapeutiche, né il trattamento elettrico erano riusciti a portare alcun sollievo. Un’esperienza davvero notevole di Josef Breuer102 aveva destato la speranza di poter recare a questi malati un aiuto tanto maggiore quanto più profondamente si fosse riusciti a penetrare l’origine, fino ad allora inesplorata, dei loro sintomi morbosi. Tecnica in origine puramente medica, la psicoanalisi fu dunque volta fin dall’inizio alla ricerca e al palesamento di nessi nascosti e di vasta portata.

Nel suo ulteriore sviluppo la psicoanalisi si distolse a tal punto dallo studio delle determinanti somatiche della sofferenza nervosa che i medici ne rimasero sconcertati. In compenso le toccò di occuparsi di tutta quanta la tematica psichica che pervade l’esistenza umana, compresa quella delle persone sane, normali, e più che normali. Dovette così interessarsi ad affetti e passioni, soprattutto a quelli che i poeti non si stancano di illustrare e magnificare nelle loro opere, e cioè agli affetti della vita amorosa; ebbe modo di appurare inoltre la potenza dei ricordi, l’insospettata importanza dei lontani anni infantili per la configurazione della successiva personalità adulta, la forza dei desideri che falsificano i giudizi della gente e prescrivono percorsi ben precisi alle umane aspirazioni.

Per un certo periodo la psicoanalisi sembrò destinata a calarsi completamente nella psicologia senza riuscire a indicare la ragione per cui la psicologia del malato differisce da quella della persona normale. Ma sul suo cammino si imbatté nel problema del sogno, che è un prodotto psichico anomalo creato dalle persone normali in condizioni fisiologiche regolarmente ricorrenti. Ebbene, nel risolvere l’enigma del sogno, la psicoanalisi scoprì nella psiche inconscia il terreno comune in cui hanno radice gli impulsi psichici più elevati e quelli più infimi, e da cui si sviluppano sia le prestazioni psichiche assolutamente normali sia quelle più morbosamente stravaganti. A questo punto il quadro dell’ingranaggio psichico cominciò a farsi sempre più nitido e completo: oscure forze pulsionali che traggono origine dalla sfera organica e tendono a mete loro connaturate, e, al di sopra di esse, un’istanza formata da strutture appartenenti a un livello superiore di organizzazione psichica (punti fermi acquisiti progressivamente dagli uomini sotto l’incalzare della storia del genere umano); tali strutture hanno inglobato determinate componenti dei moti pulsionali succitati, le hanno ulteriormente plasmate o hanno loro assegnato mete più elevate, tenendole comunque avvinte con solidi legami e manipolandone le forze motrici in vista dei propri intenti. Un’altra parte di questi stessi moti pulsionali elementari è stata invece ripudiata, perché ritenuta inservibile, da tale organizzazione superiore, che ci è nota come l’Io; ciò è accaduto perché questi moti pulsionali non sono riusciti a inserirsi nell’unità organica dell’individuo, oppure perché si sono ribellati alle sue finalità di incivilimento. L’Io non è in grado di estirpare queste forze psichiche che non gli si sono sottomesse, ma se ne distoglie, le abbandona a un livello psicologico estremamente primitivo, si difende dalle loro pretese mediante energiche formazioni protettive e strutture psichiche di contrasto, oppure cerca di venirne a capo mediante soddisfacimenti sostitutivi. Indomite e indistruttibili, se pur impossibilitate a estrinsecarsi in qualsiasi tipo di attività, queste pulsioni cadute in preda alla rimozione e la loro rappresentanza psichica primitiva costituiscono il mondo psichico sotterraneo, il nucleo del vero e proprio inconscio, sempre pronte a far valere le loro pretese e a conquistarsi in un modo o nell’altro il soddisfacimento. Da qui deriva la labilità della nostra orgogliosa sovrastruttura psichica, il farsi avanti di notte, nei sogni, del proibito e del rimosso, e la nostra tendenza a cader vittime della nevrosi e della psicosi non appena il rapporto di forze tra l’Io e il rimosso si modifica a sfavore dell’Io.

Ma bastò portare avanti la riflessione ancora di un passo per rendersi conto che una simile concezione della vita psichica umana non poteva restar confinata al solo ambito del sogno e delle malattie nervose. Se era riuscita a cogliere qualcosa di vero, tale concezione non poteva non risultare valida anche per l’accadere psichico normale, e perfino le produzioni più elevate dello spirito umano dovevano lasciar trasparire un rapporto con gli elementi rintracciati nell’ambito della patologia, con la rimozione, con gli sforzi per padroneggiare l’inconscio, con le possibilità di soddisfacimento delle pulsioni primitive. Da quel momento in avanti divenne una tentazione irresistibile, un imperativo scientifico, applicare i metodi esplorativi della psicoanalisi in campi lontanissimi dal suo terreno d’origine, ovverosia alle più svariate scienze dello spirito. Del resto, dallo stesso lavoro psicoanalitico sui malati venivamo incessantemente rinviati a questo nuovo compito, giacché non potevamo contestare che le singole configurazioni nevrotiche lasciavano cogliere consonanze fortissime con le creazioni più apprezzate della nostra civiltà. L’isterico è indubitabilmente un poeta, anche se dà una raffigurazione essenzialmente mimica alle sue fantasie, senza curarsi che gli altri le comprendano; il cerimoniale e i divieti del nevrotico ci costringono a ritenere che egli si sia creato una religione privata, e perfino le formazioni deliranti del paranoico rivelano una sgradita somiglianza esterna e un’affinità interna con i sistemi dei nostri filosofi. Non ci si può sottrarre all’impressione che, in guisa asociale, questi malati tentino di risolvere i loro conflitti e di placare le loro impellenti esigenze e che, se questi stessi tentativi fossero compiuti in modo da ottenere il consenso unanime di più persone, allora si chiamerebbero poesia, religione e filosofia.

Nel 1913 Otto Rank e Hanns Sachs hanno raccolto in un libro estremamente succoso i risultati ottenuti fino a quel momento dall’applicazione della psicoanalisi alle scienze dello spirito.103 La mitologia, la storia letteraria e quella delle religioni apparvero i territori più facilmente accessibili. Per quanto riguarda il mito, non è ancora stata trovata la formula definitiva che indichi come esso possa esser collocato in questo contesto. In un voluminoso libro sul complesso dell’incesto, Otto Rank104 ha reso testimonianza di un fatto sorprendente, e cioè che, in specie per la poesia drammatica, la scelta del materiale è prevalentemente determinata dall’ambito dei fenomeni che la psicoanalisi ha chiamato complesso edipico; ha dimostrato inoltre che, attraverso l’elaborazione di questo complesso, il quale viene modificato, deformato e dissimulato in guise molteplici e svariatissime, il poeta cerca di risolvere il proprio personalissimo rapporto con questo tema affettivo. Proprio nel tentativo di padroneggiare il complesso edipico – ossia l’atteggiamento affettivo nei confronti della famiglia, anzi, in senso più stretto nei confronti del padre e della madre – i nevrotici, singolarmente presi, falliscono, ed è per questo che tale complesso costituisce invariabilmente il nucleo della loro nevrosi. Comunque, l’importanza del complesso edipico non è affatto dovuta a un concorso di circostanze di cui non sia possibile farsi una ragione; nel risalto che caratterizza il rapporto con i genitori si esprime al contrario il dato di fatto biologico della lunga dipendenza e della lenta maturazione del giovane essere umano, come pure il complicato evolversi della sua capacità di amare. Ne consegue che il superamento del complesso edipico coincide con il modo più efficace di vincere l’eredità arcaica e animale dell’uomo. Anche se è vero che in tale eredità sono presenti tutte le forze necessarie al successivo incivilimento del singolo individuo, è pure vero che queste forze vanno prima selezionate ed elaborate. Tale retaggio arcaico non è utilizzabile ai fini della convivenza sociale e civile nella stessa forma in cui è connaturato al singolo essere umano.

Un ulteriore passo avanti è necessario per trovare il punto da cui avviare la considerazione psicoanalitica della vita religiosa. Ciò che oggi è per il singolo patrimonio ereditario fu, in un lontano passato, acquisizione ex novo, tramandata poi, nei secoli, di generazione in generazione. Anche il complesso edipico può dunque avere una sua peculiare storia evolutiva, che lo studio della preistoria può mettere in luce. Nella nostra ricerca partiamo dall’ipotesi che la vita familiare umana avesse in quei tempi remotissimi caratteristiche completamente diverse da quelle che oggi conosciamo, e tale assunto è confermato dai fatti che si possono riscontrare presso le popolazioni primitive tuttora viventi. Se sottoponiamo a elaborazione psicoanalitica questo materiale preistorico ed etnologico, perveniamo al seguente inatteso e preciso risultato: un tempo il dio-padre visse in carne e ossa su questa terra ed esercitò il suo dominio come capo supremo dell’orda umana primordiale fintantoché i suoi figli, alleatisi insieme, non lo abbatterono. È risultato inoltre che per effetto di questo misfatto liberatore e in reazione ad esso sorsero i primi vincoli sociali, le prime restrizioni morali e la più antica forma di religione: il totemismo; e che comunque questo contenuto ha pervaso anche le religioni successive, le quali da una parte si sono sforzate di cancellare le tracce o di espiare quell’antico crimine proponendo soluzioni diverse per la lotta tra il padre e i figli, e dall’altra non hanno potuto evitare di ripetere in forme nuove l’eliminazione del padre. In questo modo è stato possibile cogliere, anche nel mito, l’eco di quell’evento formidabile che incombe sull’intero sviluppo del genere umano. Questa ipotesi, basata sulle concezioni di Robertson Smith105 e da me sviluppata in Totem e tabù (1912-13 [in OSF, vol. 7]), è stata posta da Theodor Reik a fondamento delle sue ricerche sulla psicologia della religione; di esse è qui presentato il primo volume.106 Attenendosi alle regole della tecnica psicoanalitica, questi studi prendono le mosse da alcune particolarità sinora incomprese della vita religiosa e sono intesi ad attingere, mediante tale lavoro di dilucidazione, i presupposti più profondi e i fini ultimi delle religioni; essi tengono inoltre costantemente presenti da una parte la relazione tra le popolazioni primitive dei tempi remoti e quelle tuttora viventi, dall’altra la connessione tra le produzioni della civiltà umana e le formazioni sostitutive dei nevrotici. Per il resto mi sia consentito di rimandare i lettori all’introduzione dello stesso Reik, e di esprimere la convinzione che la sua opera si raccomanderà da sé all’attenzione dei cultori di questa materia.

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