Lezione 34
Schiarimenti, applicazioni, orientamenti

Signore e signori, mi consentite per una volta, sazio di questo tono arido, di parlarvi di cose che hanno pochissima importanza teorica, ma che vi riguardano da vicino, posto che siate favorevolmente disposti verso la psicoanalisi? Mettiamo il caso, ad esempio, che nelle vostre ore libere prendiate in mano un romanzo tedesco, inglese o americano, in cui vi aspettate di trovare una descrizione degli uomini e delle condizioni di oggi. Dopo qualche pagina vi imbattete in un primo commento a proposito della psicoanalisi e subito dopo in altri ancora, benché il contesto non sembri richiederli. Non penserete davvero che si sia inteso applicare la psicologia del profondo alla migliore comprensione dei personaggi del testo o delle loro azioni, per quanto non manchino opere più serie in cui ciò è effettivamente tentato! No, si tratta perlopiù di notazioni beffarde, con le quali l’autore del romanzo vuole dimostrare le proprie vaste letture o la propria superiorità intellettuale. E non sempre dà l’impressione di conoscere realmente ciò su cui si pronuncia. Oppure vi recate per svago a una riunione mondana, non necessariamente a Vienna. Dopo un po’ la conversazione cade sulla psicoanalisi, sentite le persone più disparate esprimere il loro giudizio, perlopiù in tono d’infallibilità. Questo giudizio è di solito spregiativo, spesso ingiurioso o, quantomeno, come si è detto, beffardo. Se siete tanto incauti da rivelare che vi intendete un po’ dell’argomento, tutti si precipiteranno su di voi, esigendo informazioni e chiarimenti: in breve, sarete presto convinti che tutti quei severi giudizi sono stati formulati senza una qualsiasi informazione, che quasi nessuno di quegli oppositori ha mai preso in mano un libro di psicoanalisi o, se lo ha fatto, non ha saputo andare oltre la prima resistenza sorta dall’incontro con la nuova materia.

Da un’introduzione alla psicoanalisi forse vi attendete anche un’indicazione sugli argomenti da impiegare per correggere gli errori evidenti a proposito dell’analisi, qualche consiglio sui libri da raccomandare per una migliore informazione, o addirittura sugli esempi, traibili dalle vostre letture o dalla vostra esperienza, ai quali appellarvi nella discussione, onde modificare l’atteggiamento delle persone che vi circondano. Vi prego di non farne nulla, sarebbe comunque inutile; la miglior cosa è che nascondiate completamente di conoscerla. Se non vi è più possibile, limitatevi a dire che, per quanto ne siete informati, ritenete che la psicoanalisi sia un particolare ramo dello scibile, assai difficile da comprendere e da giudicare, il quale si occupa di cose molto serie, sicché non ci si accosta ad essa con un paio di battute di spirito, e meglio si farebbe a scegliersi un altro passatempo per conversazioni da salotto. Naturalmente, non prenderete nemmeno parte a tentativi di interpretazione se qualche incauto racconterà i suoi sogni, e resisterete anche alla tentazione di attirar favori alla psicoanalisi con resoconti di guarigioni.

Vien però fatto di domandarsi perché queste persone, tanto quelle che scrivono libri quanto quelle che conversano, si comportino in modo così scorretto, e vi verrà il dubbio che ciò non dipenda solo dalle persone, ma anche dalla psicoanalisi. Questa è precisamente la mia opinione. Ciò che nella letteratura e nella società vi appare come pregiudizio è l’effetto ritardato di un precedente giudizio, e precisamente del giudizio che i rappresentanti della scienza ufficiale avevano espresso nei confronti della giovane psicoanalisi. Già una volta, in un’esposizione storica,217 mi sono lamentato di quant’era avvenuto e non lo farò mai più – forse quell’unica volta fu già troppo –; ma davvero non c’è offesa alla logica, alla creanza e al buon gusto che gli avversari scientifici della psicoanalisi non si permisero in quei tempi. Cose simili accadevano nel Medioevo, allorché un malfattore o anche solo un avversario politico veniva messo alla gogna e lasciato in balia dei maltrattamenti della plebe. Forse non sapete con chiarezza fino a che punto può giungere nella nostra società la volgarità e quali eccessi si permettano gli uomini quando, sentendosi parte di una massa, si reputano dispensati dalla responsabilità personale. All’inizio di quel periodo ero quasi solo: mi resi conto ben presto che le polemiche non servivano, ma che anche lamentarsi e invocare spiriti migliori non aveva senso, mancando le istanze davanti alle quali presentare lagnanza. Seguii perciò un’altra strada: applicai per la prima volta la psicoanalisi in questo campo, spiegandomi il comportamento della massa come una manifestazione di quella stessa resistenza che dovevo combattere nei singoli pazienti; personalmente mi astenni dalla polemica e nel medesimo senso influenzai i miei seguaci, a mano a mano che si presentarono. Il sistema era buono. Il bando da cui a quel tempo era stata colpita l’analisi è stato ormai abolito; tuttavia, come una fede abbandonata sopravvive sotto forma di superstizione, come una teoria lasciata cadere dalla scienza persiste sotto forma di credenza popolare, così quell’originario ostracismo dato alla psicoanalisi dai circoli scientifici continua oggi a sussistere nell’ironico disprezzo dei profani che scrivono libri o fanno conversazione. Non state perciò a meravigliarvi di queste cose.

Non crediate ora di ascoltare il lieto annuncio che la lotta intorno all’analisi è terminata e che alla fin fine è stata riconosciuta come scienza e ammessa come materia di insegnamento nelle università. Nemmeno per sogno; la lotta continua, sia pure in forme più civili. Nuovo è il fatto che nella comunità scientifica si è formato una specie di cuscinetto fra l’analisi e i suoi avversari: è formato di individui che riconoscono validi alcuni aspetti dell’analisi e lo ammettono con spassose riserve, e per contro ne respingono altri, proclamandolo ai quattro venti. Non è facile indovinare che cosa li induca a questa scelta. Sembrano essere simpatie personali. L’uno si scandalizza per la sessualità, l’altro per l’inconscio; particolarmente inviso sembra essere il simbolismo. Questi eclettici non sembrano tener conto che l’edificio della psicoanalisi, benché incompiuto, costituisce tuttavia già oggi un’unità da cui nessuno può staccare elementi singoli a suo arbitrio. Nessuno di questi mezzi seguaci, o quarti di seguaci, mi ha mai dato l’impressione di basare la propria opposizione su una verifica dei fatti. In questa categoria rientrano anche parecchi uomini eminenti. Essi, a dire il vero, sono scusati dal fatto che il loro tempo e il loro interesse appartengono ad altre cose, nel padroneggiare le quali hanno raggiunto risultati davvero significativi. Ma perché, allora, anziché prendere così decisamente partito non sospendono il giudizio? Una volta con uno di questi grandi uomini mi riuscì di avere una brevissima conversione. Era un critico di fama mondiale, che aveva seguito le correnti spirituali del suo tempo con benevola comprensione e profetico acume. Lo conobbi solo quando aveva già oltrepassato gli ottant’anni, ma la sua conversazione era ancora affascinante. Non vi sarà difficile immaginare a chi mi riferisco.218 Non cominciai io a parlare della psicoanalisi. Lo fece lui, misurandosi con me con estrema modestia. “Io non sono che un letterato, – mi disse, – lei invece è un naturalista e un inventore. Ma devo dirle una cosa: non ho mai provato sentimenti sessuali per mia madre.” “Ma non necessariamente ne è stato consapevole – fu la mia replica, – per l’adulto questi processi sono inconsci.” “Ah! È così che lei intende” disse sollevato, e mi strinse la mano. Discorremmo ancora per alcune ore in perfetta armonia. Appresi più tardi che nel breve tempo che gli fu concesso ancora di vivere egli si espresse ripetutamente in termini amichevoli sull’analisi e impiegò volentieri la parola “rimozione” che prima non conosceva.

Un noto proverbio ammonisce che bisogna imparare dai propri nemici. Confesso che non ci sono mai riuscito, ma pensavo inizialmente che avrebbe potuto essere istruttivo passare in rivista insieme a voi tutti i rimproveri e le obiezioni sollevate contro la psicoanalisi dai suoi oppositori, additandovi le ingiustizie e le trasgressioni logiche che con tanta facilità vi si potrebbero scoprire. Ma, on second thoughts [ripensandoci], mi son detto che far questo, lungi dall’essere interessante, sarebbe stato faticoso e sgradevole, e sarebbe stato proprio quello che in tutti questi anni ho accuratamente evitato. Scusatemi dunque se non proseguo per questa strada e vi risparmio i giudizi dei nostri cosiddetti avversari scientifici. In fin dei conti, si tratta quasi sempre di individui che possono vantare come unico titolo di merito l’imparzialità, un’imparzialità che sono riusciti a conservare tenendosi lontani dalle esperienze della psicoanalisi. Ma per quanto riguarda altri casi, so che non mi consentirete di cavarmela così a buon mercato. Mi sembra di sentirvi: “Eppure per molti la sua ultima osservazione non è valida. Molti che non hanno evitato l’esperienza analitica, hanno fatto analisi, forse anche sono stati analizzati, addirittura per qualche tempo hanno collaborato con lei, e tuttavia sono giunti a concezioni e teorie diverse, in base alle quali si sono staccati da lei e hanno fondato scuole psicoanalitiche indipendenti. Lei dovrebbe pur darci un chiarimento sulla possibilità e l’importanza di questi movimenti secessionisti, così numerosi nella storia dell’analisi.”

Sta bene, tenterò; ma in modo succinto, perché, ai fini della comprensione dell’analisi, questi ragguagli servono meno di quanto possiate aspettarvi. So che pensate in primo luogo alla “psicologia individuale” di Adler, la quale in America, per esempio, è considerata un indirizzo collaterale della nostra psicoanalisi a parità di diritti con essa, e insieme ad essa è infatti regolarmente menzionata. In realtà ha ben poco a che fare con la psicoanalisi anche se, a causa di certe circostanze storiche, conduce una specie di esistenza parassitaria a spese di quest’ultima. Le condizioni che abbiamo supposto valere per gli antagonisti di questo genere valgono solo in scarsa misura per il fondatore della “psicologia individuale”. Il nome stesso non è calzante, sembra dovuto a un certo imbarazzo, e può legittimamente essere usato soltanto per indicare il contrario della “psicologia delle masse”; anche noi ci occupiamo soprattutto e prevalentemente della psicologia dell’individuo umano. Non mi addentrerò oggi in un esame critico obiettivo della psicologia individuale adleriana, che non rientra nel programma di questa introduzione, tanto più che già una volta mi ci sono cimentato e ho scarsi motivi per modificare le mie asserzioni di allora.219 Mi limiterò a illustrare l’impressione che essa suscita con un piccolo episodio verificatosi negli anni precedenti all’analisi.

Nei pressi della cittadina morava in cui sono nato e che ho lasciato all’età di tre anni,220 si trova una modesta stazione termale, in bella posizione fra il verde. Negli anni del ginnasio vi trascorsi più volte le mie vacanze. All’incirca due decenni dopo, la malattia di una mia parente prossima mi offrì il destro di rivedere quel luogo. Durante una conversazione col medico dell’istituto, il quale aveva assistito la mia parente, mi informai tra l’altro sui suoi rapporti con i contadini – slovacchi a quel che mi sembrava – che d’inverno costituivano la sua unica clientela. Egli raccontò che l’attività medica si svolgeva nel modo seguente. Nelle ore di consultazione i pazienti entravano nella sua stanza e si disponevano in fila. Uno dopo l’altro si facevano avanti e lamentavano i loro disturbi: chi aveva dolori lombari, chi crampi allo stomaco, chi stanchezza alle gambe e così via. Egli li visitava e dopo essersi reso conto della situazione pronunciava la diagnosi, la stessa in tutti i casi. Mi tradusse la parola, significava pressappoco “stregato”. Domandai stupito se i contadini non protestassero che il verdetto fosse uguale per tutti i malati. “Oh no – replicò lui, – sono contenti: è proprio quello che si aspettano. Ognuno, ritornando nella fila, fa capire agli altri con l’espressione e con i gesti: ‘Questo sì che se ne intende!’” Non presentivo allora in quali circostanze mi sarei nuovamente imbattuto in una situazione analoga.

Infatti, che il malato sia omosessuale o necrofilo, isterico sofferente d’angoscia, segregato dalla nevrosi ossessiva oppure pazzo furioso, lo psicologo individuale di indirizzo adleriano dichiarerà imperturbabile che il motivo che preme alla base del suo stato è che egli vuole affermarsi, sovraccompensare la sua inferiorità, stare “sopra”, procedere dalla linea femminile a quella maschile. Quasi lo stesso discorso sentivamo in clinica quando ero giovane studente e ci veniva presentato un caso di isteria: gli isterici producono i loro sintomi per rendersi interessanti, per attirare su di sé l’attenzione. Sempre le antiche massime che ritornano! Ma già allora questa psicologia in pillole ci sembrava insufficiente a render ragione dell’enigma dell’isteria; lasciava inspiegato, ad esempio, perché i malati non si servissero di un altro mezzo per raggiungere il loro intento. Naturalmente qualcosa di giusto dev’esserci, in questa teoria degli psicologi individuali, ma è un pezzettino preso per il tutto. La pulsione di autoconservazione tenterà di approfittare di ogni situazione; l’Io cercherà di volgere a proprio vantaggio anche la malattia. In psicoanalisi ciò è chiamato il “tornaconto secondario della malattia”.221 Però, se si pensa ai fatti del masochismo, del bisogno inconscio di punizione e dell’autolesionismo nevrotico, che suggeriscono l’ipotesi di moti pulsionali che contrastano l’autoconservazione, non si sa più che pensare nemmeno della validità generale di questa banale verità sulla quale è eretto l’edificio teorico della psicologia individuale. Ma al grosso pubblico non può non giungere gradita una teoria simile, che non ammette complicazioni, non introduce concetti nuovi e difficili da afferrare, ignora l’inconscio, elimina d’un sol colpo il problema opprimente della sessualità, limitandosi alla scoperta di qualche mezzuccio per rendere più comoda l’esistenza. Giacché la massa ama la vita comoda, non richiede che una spiegazione alla volta, non è grata alla scienza per le sue lungaggini, vuole avere soluzioni semplici e sapere che i problemi sono risolti. Se si considera come la psicologia individuale va incontro a queste richieste, non si può fare a meno di ricordare una massima del Wallenstein:

Wär’ der Gedank’ nicht so verwünscht,
Man wär’ versucht, ihn herzlich dumm.

[Se l’idea non fosse così maledettamente furba,
Si sarebbe francamente tentati di chiamarla sciocca.]222

In generale la critica dei circoli specializzati, così spietata nei riguardi della psicoanalisi, ha trattato la psicologia individuale con guanti di velluto. È vero che in America uno dei più stimati psichiatri ha pubblicato un articolo contro Adler, intitolato Enough [Basta!], nel quale la sua irritazione per la “coazione a ripetere” degli psicologi individuali ha trovato un’espressione quanto mai energica. Ma altri si sono comportati in modo assai più gentile, e a ciò ha grandemente contribuito l’ostilità per la psicoanalisi.

Non occorre che dica granché a proposito di altre scuole che si sono diramate dalla nostra psicoanalisi. Il fatto che questo sia avvenuto non può essere utilizzato né pro né contro il contenuto di verità della psicoanalisi. Pensate ai forti fattori affettivi che rendono difficile a molti allinearsi con altri o subordinarsi ad essi, e alla difficoltà più grande ancora che a ragione è sottolineata dal detto quot capita tot sensus.223 Quando le divergenze d’opinione ebbero oltrepassato un certo limite, separarsi e procedere da quel momento in poi per strade diverse si rivelò come la cosa più opportuna, specialmente quando il dissenso teorico portò come conseguenza un cambiamento nel procedimento pratico. Supponete, per esempio, che un analista tenga in poco conto l’influsso del passato del paziente e ricerchi le cause della sua nevrosi esclusivamente in motivi attuali e in ciò che costui si attende dal futuro.224 Egli trascurerà in tal caso anche l’analisi dell’infanzia, adotterà una tecnica completamente diversa e sarà costretto a compensare la mancanza dei risultati che sarebbero derivati dall’analisi dell’infanzia, intensificando il proprio influsso didattico e indicando direttamente determinate mete da perseguire nella vita. A noialtri non resta che dire: “Questa sarà una scuola di saggezza, ma non è più un’analisi.” Oppure un altro può giungere alla convinzione che l’esperienza d’angoscia della nascita getti il seme di tutti i disturbi nevrotici successivi; per conseguenza, potrà sembrargli legittimo limitare l’analisi agli effetti di quest’unica impressione e promettere il successo terapeutico con un trattamento di tre o quattro mesi.225 Come noterete, ho scelto due esempi che muovono da premesse diametralmente opposte. È una caratteristica quasi generale di questi “movimenti secessionisti” che ognuno di essi si è appropriato di una parte del vasto patrimonio tematico della psicoanalisi e, forte di questa presa di possesso, si è reso indipendente: penso, per esempio, alla pulsione di potenza, al conflitto etico, alla madre, alla genitalità e così via. Se vi sembra che tali secessioni si siano manifestate già oggi con maggiore frequenza nella storia della psicoanalisi che in altri movimenti intellettuali, non sono pienamente convinto di dovervi dare ragione. E, ammesso che sia così, ciò andrebbe imputato agli intimi nessi esistenti in psicoanalisi fra vedute teoriche e procedimento terapeutico. Le sole divergenze d’opinione sarebbero tollerate assai più a lungo.

Si è soliti rivolgere a noi psicoanalisti l’accusa di intolleranza. L’unica manifestazione di questa brutta qualità fu appunto quella di separarci da coloro che la pensavano diversamente da noi. Quanto al resto, non ne venne a costoro alcun male; al contrario, hanno avuto fortuna, da allora stanno meglio di prima, giacché separandosi si sono di regola liberati da uno degli oneri che a noi tocca sopportare – dall’odio, per esempio, a causa della sessualità infantile o dall’accusa di ridicolaggine dovuta al simbolismo – e adesso passano nel loro ambiente per persone per bene, vantaggio di cui noi, i superstiti, ancora non godiamo. Inoltre – a parte una significativa eccezione –226 si sono separati di loro iniziativa.

Che cosa pretendete d’altro in nome della tolleranza? Probabilmente che, se qualcuno ha espresso un’opinione che noi riteniamo fondamentalmente errata, gli diciamo: “Grazie per averci contraddetti. Lei ci preserva dal pericolo dell’autocompiacimento e ci dà l’occasione di dimostrare agli americani che siamo davvero così broadminded [di mentalità aperta] com’essi sempre auspicano che la gente sia.227 È vero che non crediamo una sola parola di ciò che lei dice, ma questo non importa. Probabilmente lei ha ragione quanto noi. Chi può mai sapere, infatti, di chi è la ragione? Ci permetta, nonostante l’antagonismo, di ospitare il suo punto di vista nelle nostre pubblicazioni. Speriamo in compenso che lei avrà la gentilezza di adoperarsi in favore del nostro, che pure respinge.” Sarà questa, evidentemente, l’usanza del futuro, quando l’abuso della relatività einsteiniana avrà preso piede definitivamente. Per il momento, invero, non siamo ancora giunti a tanto. Ci limitiamo, secondo la vecchia maniera, a sostenere unicamente le nostre convinzioni, ci esponiamo al pericolo dell’errore perché da esso non ci si può salvaguardare, e respingiamo quanto è in contraddizione con le nostre vedute. Abbiamo fatto largo uso, nella psicoanalisi, del diritto di modificare le nostre opinioni, quando abbiamo creduto di aver trovato qualcosa di meglio.

Una delle prime applicazioni della psicoanalisi consistette precisamente nel farci comprendere questa ostilità che il mondo contemporaneo ci dimostrava perché ci occupavamo di psicoanalisi. Altre applicazioni, di natura obiettiva, possono rivendicare un interesse più generale.

Il nostro primo intento fu ovviamente quello di comprendere i disturbi della vita psichica umana, perché una singolare esperienza228 ci aveva mostrato che in questo campo comprensione e guarigione sono pressoché coincidenti, esistendo una strada, ben praticabile, che porta da una all’altra. E fu questo per molto tempo il nostro unico intento. Poi però discernemmo le intime relazioni, anzi l’intrinseca identità, fra i processi patologici e i processi cosiddetti normali: la psicoanalisi divenne psicologia del profondo e, dal momento che nulla di ciò che gli uomini creano o fanno è comprensibile senza l’aiuto della psicologia, le applicazioni della psicoanalisi in numerosi campi del sapere, specialmente in quelli delle scienze dello spirito, vennero da sé, si imposero, avanzarono la pretesa di essere elaborate. Purtroppo questo compito si imbattè in ostacoli, che avendo un fondamento reale, non sono stati a tutt’oggi superati. Un’applicazione del genere presuppone conoscenze specifiche che l’analista non possiede, mentre coloro che le possiedono, gli specialisti, non sanno nulla di psicoanalisi, e forse nulla vogliono saperne. Il risultato fu che gli analisti, pur essendo dilettanti dalla preparazione più o meno sufficiente, spesso imbastita in tutta fretta, fecero incursioni in campi del sapere quali la mitologia, la storia della civiltà, l’etnologia, la scienza delle religioni eccetera. Il trattamento loro riservato dagli studiosi che lì erano di casa non fu migliore di quello destinato in genere agli intrusi; i loro metodi e i loro risultati, nei casi in cui fu prestata loro attenzione, furono a tutta prima respinti. Ma questa situazione è in via di costante miglioramento; in tutti i campi sta aumentando il numero delle persone che studiano la psicoanalisi per utilizzarla nel loro ambito specifico, con l’intento di dare il cambio, come colonizzatori, a quelli che sono stati i pionieri. Possiamo aspettarci, qui, una ricca messe di nuove scoperte. Le applicazioni della psicoanalisi sono sempre altresì sue conferme. Là dove il lavoro scientifico è più lontano dall’attività pratica, i contrasti d’opinione, comunque inevitabili, si manifesteranno probabilmente in forme meno esasperate.

La tentazione di condurvi attraverso tutte le applicazioni della psicoanalisi alle scienze dello spirito è forte. Si tratta di cose degne di essere conosciute da chiunque abbia interessi intellettuali, e non sentir parlare per qualche tempo di anormalità e di malattia vi recherebbe un meritato sollievo. Ma devo rinunciarvi: anche questa volta la cosa ci porterebbe al di là dei limiti di queste lezioni e, per dirla onestamente, non sarei neppure all’altezza del compito. In alcuni di questi campi feci il primo passo io stesso, ma oggi non riesco più ad averne una visione d’insieme e mi toccherebbe studiare moltissimo per venire a capo di tutto quello che si è aggiunto dopo i miei esordi. Chi di voi è deluso dal mio rifiuto è pregato di rifarsi leggendo la nostra rivista “Imago”, dedicata alle applicazioni non mediche dell’analisi.229

Su un tema soltanto non posso sorvolare così facilmente, e non perché me ne intenda in modo particolare o vi abbia molto contribuito personalmente – al contrario, non me ne sono pressoché mai occupato –,230 ma perché esso è estremamente importante, ricchissimo di promesse per il futuro, forse il più importante dei compiti dell’analisi. Mi riferisco all’applicazione della psicoanalisi alla pedagogia, all’educazione della prossima generazione. Ho la soddisfazione, almeno, di potervi comunicare che mia figlia Anna Freud ha fatto di questo lavoro lo scopo della sua vita, riparando in tal modo alla mia negligenza.

La strada che ha portato a questa applicazione è presto detta. Allorché, nel trattamento di un nevrotico adulto, ricercavamo ciò che aveva determinato i suoi sintomi, venivamo regolarmente ricondotti fino ai primi anni della sua infanzia. La conoscenza dei fattori etiologici successivi non era sufficiente né per la comprensione né per l’intervento terapeutico. Fummo così costretti a prender dimestichezza con le particolarità psichiche dell’età infantile, venimmo a conoscenza di una quantità di cose che non avremmo potuto apprendere se non mediante l’analisi e riuscimmo anche a rettificare molte opinioni correnti sull’infanzia. Riconoscemmo che ai primi anni di vita (all’incirca fino al quinto anno) spetta, per varie ragioni, una particolare importanza. In primo luogo, perché comprendono la prima fioritura della sessualità, la quale lascia dietro di sé sollecitazioni decisive per la vita sessuale della maturità. In secondo luogo, perché le impressioni di questo periodo colpiscono un Io incompiuto e debole, sul quale agiscono come traumi; l’Io non può difendersi altrimenti che con la rimozione dalle tempeste affettive che queste impressioni scatenano, e in tal modo acquista nell’età infantile tutte le disposizioni a future malattie e a disturbi funzionali. Abbiamo così capito che la difficoltà dell’infanzia consiste nel fatto che il bambino deve far propri, in un breve lasso di tempo, i risultati di un’evoluzione della civiltà umana che si è estesa per migliaia di anni, ossia la padronanza delle pulsioni e l’adattamento sociale, o perlomeno l’inizio di entrambi. Il bambino giunge a modificarsi soltanto in parte per sviluppo autonomo; molto gli deve essere imposto dall’educazione. Nessuna meraviglia che spesso egli riesca ad assolvere questo compito soltanto in maniera imperfetta. In questa prima età molti bambini – e certamente tutti quelli che più tardi palesemente si ammalano – attraversano stati che si possono equiparare a nevrosi. In alcuni la malattia nevrotica non aspetta l’epoca della maturità, ma scoppia già nell’infanzia e dà molto filo da torcere a genitori e medici.

Noi non esitammo a impiegare la terapia analitica con i bambini che presentavano inequivocabili sintomi nevrotici o erano avviati verso uno sfavorevole sviluppo del carattere. La preoccupazione, manifestata da avversari dell’analisi, che con essa si possa nuocere al bambino, si dimostrò infondata. L’utilità che ricavammo da questa impresa fu di confermare sul soggetto vivente quanto nell’adulto avevamo per così dire inferito in base a documenti storici. Ma anche il vantaggio che ne trassero i bambini, i quali si rivelarono soggetti adattissimi per la terapia analitica, ci procurò grandi soddisfazioni: i risultati furono radicali e durevoli.

Naturalmente per il bambino si deve modificare ampiamente la tecnica di trattamento elaborata per gli adulti. Il bambino è un soggetto psicologico diverso dall’adulto: egli non possiede ancora un Super-io, il metodo dell’associazione libera non conduce lontano e la traslazione, esistendo ancora i genitori reali, assume una funzione diversa. Le resistenze interne, che combattiamo nell’adulto, nel bambino sono perlopiù sostituite da difficoltà esterne. Se i genitori diventano sostegno della resistenza, lo scopo dell’analisi o l’analisi stessa sono sovente messi in pericolo; perciò è spesso necessario unire all’analisi del bambino un certo influenzamento analitico dei genitori. D’altro canto, le inevitabili differenze tra l’analisi dei bambini e l’analisi degli adulti sono ridimensionate dalla circostanza che parecchi dei nostri pazienti adulti hanno conservato numerosi tratti caratteriali infantili, così che l’analista – sempre per adeguarsi al soggetto – non può fare a meno di servirsi con loro di certe tecniche dell’analisi infantile. Automaticamente, l’analisi infantile è diventata un dominio riservato alle donne analiste, e sono convinto che tale rimarrà.

L’affermazione che la maggior parte dei nostri bambini attraversano nel loro sviluppo una fase nevrotica contiene in germe un’esigenza igienica. Ci si può domandare se non sarebbe opportuno venire in aiuto al bambino sottoponendolo ad analisi anche se non presenta alcun disturbo, come misura preventiva per la sua salute, così come oggi si vaccinano contro la difterite i bambini sani, senza aspettare di vedere se si ammalano di difterite. La discussione di questo problema ha oggi soltanto un interesse accademico, ma con voi posso permettermi di accennarne; alla grande massa dei nostri contemporanei già il solo progetto apparirebbe un orrendo oltraggio e, dato l’atteggiamento della maggior parte dei genitori nei riguardi dell’analisi, si deve abbandonare per il momento ogni speranza di realizzarlo. Una simile profilassi delle malattie nervose, che sarebbe verosimilmente molto efficace, presupporrebbe anche un assetto sociale completamente diverso.

Il criterio per l’applicazione della psicoanalisi all’educazione va oggi cercato altrove. Tentiamo di mettere in chiaro quale sia il compito più immediato dell’educazione. Il bambino deve imparare a padroneggiare le pulsioni. Dargli la libertà di seguire illimitatamente i suoi impulsi è impossibile. Sarebbe un esperimento molto istruttivo per gli psicologi dell’età infantile, ma i genitori non riuscirebbero a vivere in tali condizioni e i bambini stessi ne trarrebbero un danno notevole, che in parte si vedrebbe subito e in parte negli anni successivi. L’educazione deve quindi inibire, proibire, reprimere; e ha anche abbondantemente provveduto a farlo in tutti i tempi. Ma dall’analisi abbiamo appreso che proprio questa repressione delle pulsioni comporta il pericolo della malattia nevrotica. Come ricorderete, abbiamo esaminato minuziosamente come ciò avvenga.231 L’educazione deve quindi cercare una via fra Scilla del lasciar fare e Cariddi del divieto frustrante. Ammesso che il compito non sia comunque insolubile, dev’essere trovato un optimum per l’educazione, in modo che essa possa ottenere il massimo e nuocere il minimo. Si tratterà perciò di decidere quanto si può proibire, in quali periodi e con quali mezzi. E si deve poi tener conto di un’altra cosa: coloro che sono sottoposti alla nostra influenza educativa recano con sé disposizioni costituzionali molto diverse, per cui è impossibile che lo stesso procedimento educativo sia ugualmente valido per tutti i bambini. Basta riflettere un attimo per rendersi conto che l’educazione ha assolto finora malissimo il suo compito e ha arrecato grave danno ai bambini. Essa, qualora trovi l’optimum e risolva il suo compito in modo ideale, può sperare di cancellare uno dei fattori dell’etiologia della malattia: l’influsso dei traumi accidentali dell’infanzia; ma in nessun caso può eliminare l’altro: la forza di una costituzione pulsionale che non si lascia soggiogare. Se si considerano ora i difficili problemi che si presentano all’educatore – riconoscere le caratteristiche costituzionali specifiche del bambino, indovinare da piccoli indizi che cosa si svolga nella sua vita psichica incompleta, accordargli la giusta quantità di amore pur mantenendo un sufficiente grado di autorità – si deve concludere che l’unica preparazione adeguata alla professione di educatore è un rigoroso apprendistato psicoanalitico. Meglio di tutto sarebbe che egli stesso fosse analizzato poiché tutto sommato non è possibile impadronirsi dell’analisi senza averla sperimentata sulla propria persona. L’analisi degli insegnanti e degli educatori sarebbe una misura profilattica più efficace che quella degli stessi bambini, e inoltre le difficoltà che si oppongono alla sua realizzazione sono minori.

Va menzionata, se non altro per inciso, un’azione promotrice indiretta che l’analisi ha sui metodi educativi, la quale col tempo potrà acquistare una maggior influenza. I genitori che hanno provato personalmente un’analisi e le sono in larga misura debitori – tra l’altro della conoscenza degli errori dell’educazione che essi stessi hanno ricevuto – tratteranno i loro figli con maggior discernimento e risparmieranno a questi ultimi molte cose sbagliate che a loro stessi non erano state risparmiate.

Parallelamente agli sforzi degli analisti per influire sull’educazione, procedono altre indagini sulla genesi e la prevenzione della delinquenza giovanile e della criminalità. Anche qui mi limito a socchiudervi una porta e a mostrarvi che cosa c’è al di là di essa, senza però andare oltre.232 È certo che, se continuerete a mantenere vivo il vostro interesse per la psicoanalisi, avrete modo di apprendere a questo proposito molte preziose novità.

Non vorrei comunque abbandonare il tema dell’educazione senza menzionarne un particolare aspetto. È stato detto, senza dubbio giustamente, che ogni educazione ha un indirizzo di parte, tendendo a inserire il bambino nell’ordine sociale vigente, senza considerare quanto questo sia valido o stabile di per se stesso; mentre, se siamo convinti delle deficienze delle nostre attuali istituzioni sociali, non è ammissibile che l’educazione di indirizzo psicoanalitico si ponga ancora una volta al loro servizio; dobbiamo porle un altro scopo, più elevato, che si sia svincolato dalle esigenze sociali dominanti. A parer mio, tuttavia, questo argomento è qui fuori luogo. La richiesta esorbita dalla legittima funzione dell’analisi. Anche il medico, chiamato per curare una polmonite, non ha bisogno di preoccuparsi se l’ammalato sia un brav’uomo, un suicida o un criminale, se meriti di rimanere in vita e se si debba augurarglielo o no. Quest’altro scopo che si vuole imporre all’educazione sarà esso pure di parte, e non sta all’analista decidere fra le parti. A prescindere completamente dal fatto che se la psicoanalisi professasse intendimenti incompatibili con l’ordine sociale esistente, le verrebbe rifiutato il permesso di influenzare in qualsiasi modo l’educazione. Comunque l’educazione psicoanalitica si addosserebbe una responsabilità non richiesta qualora si proponesse di plasmare il suo discepolo fino a farne un ribelle. Avrà assolto il suo compito se al momento del congedo costui sarà divenuto quanto più possibile sano e capace. Nella psicoanalisi sono contenuti sufficienti elementi rivoluzionari per garantire che chi è stato da essa educato non si porrà mai, più avanti nella vita, dalla parte della reazione e della repressione. Ritengo comunque che i bambini rivoluzionari non siano desiderabili sotto nessun punto di vista.

Signore e signori, ho intenzione di dirvi ancora poche parole sulla psicoanalisi in quanto terapia. Dell’aspetto teorico della questione ho già discusso quindici anni fa233 e non posso oggi formularlo diversamente; rimane da parlare dell’esperienza fatta in questo frattempo. Come sapete, la psicoanalisi è sorta come terapia e si è poi estesa molto oltre questo limite; tuttavia non ha abbandonato il terreno d’origine, e il suo approfondimento, nonché il suo ulteriore sviluppo, sono tuttora legati alla pratica con i malati. Non è possibile ottenere altrimenti la massa di impressioni dalle quali sviluppiamo le nostre teorie. Gli insuccessi ai quali andiamo incontro come terapeuti ci pongono compiti sempre nuovi e le esigenze della vita reale sono una protezione efficace contro l’ipertrofia speculativa, di cui d’altronde non possiamo fare a meno nel nostro lavoro. Già da tempo abbiamo discusso con quali mezzi la psicoanalisi aiuti i malati (ammesso che li aiuti) e con quali metodi;234 oggi ci domanderemo quali risultati consegua.

Come forse sapete, non sono mai stato un entusiasta della terapia; non c’è pericolo che abusi di questa lezione per farne gli elogi. Preferisco dire troppo poco piuttosto che troppo. All’epoca in cui ero l’unico analista, mi capitava spesso di udire da persone che pretendevano di essere favorevoli alla mia causa: “Tutto ciò è molto bello e intelligente, ma mi mostri un caso da lei guarito con la psicoanalisi.” Era questa una delle molte formule che si sono alternate nel corso del tempo al fine di scongiurare la scomoda novità. Oggi questa formula è superata, al pari di molte altre: anche l’analista conserva tra le sue carte un fascio di lettere di ringraziamento scritte dai pazienti guariti. L’analogia non si arresta qui, perché la psicoanalisi è realmente una terapia come tante altre: ha i suoi trionfi e le sue disfatte, le sue difficoltà, i suoi limiti e le sue indicazioni. Un’accusa rivolta all’analisi in un certo periodo sosteneva che essa non doveva essere presa sul serio come terapia dal momento che non si azzardava a pubblicare una statistica dei suoi successi. Da allora l’Istituto psicoanalitico di Berlino, fondato dal dottor Max Eitingon, ha pubblicato un resoconto relativo al primo decennio,235 ove i successi terapeutici non danno motivo né di vantarsi né di vergognarsi. Ma tali statistiche non sono affatto istruttive; infatti il materiale elaborato è talmente eterogeneo che soltanto cifre molto grandi potrebbero significare qualcosa. È meglio interrogare le proprie esperienze. A questo proposito vorrei dire che non credo che i nostri successi terapeutici possano competere con quelli di Lourdes; le persone che credono ai miracoli della Santa Vergine sono molto più numerose di quelle che credono all’esistenza dell’inconscio. Se ci volgiamo a considerare la concorrenza terrena, dobbiamo collocare la terapia analitica accanto agli altri metodi psicoterapeutici, essendovi oggi ben pochi trattamenti fisico-organici di stati nevrotici meritevoli di essere menzionati. Come procedimento terapeutico l’analisi non è in contrasto con gli altri metodi di questo speciale ramo della medicina; essa non sminuisce il loro valore né li esclude. In teoria sarebbe perfettamente compatibile che un medico, che vuol definirsi psicoterapeuta, impiegasse per i suoi malati l’analisi accanto a tutti gli altri metodi di cura, a seconda della particolare natura del caso e delle favorevoli o avverse circostanze esterne. In realtà è stata la tecnica a render necessaria la specializzazione dell’attività medica. È così che dovettero separarsi anche la chirurgia e l’ortopedia. L’attività psicoanalitica è difficile ed esigente, non si lascia maneggiare come un paio di occhiali che si mettono quando si legge e si tolgono quando si va a passeggio. Di regola la psicoanalisi o impegna il medico interamente o non lo impegna affatto. Gli psicoterapeuti che occasionalmente si servono anche dell’analisi non poggiano, per quanto ne so, su un sicuro terreno analitico; non hanno accettato l’analisi nella sua interezza, ma l’hanno annacquata, forse “svelenita”; non possono essere annoverati fra gli analisti. Ritengo che questo sia deplorevole; ma una collaborazione nell’attività medica fra un analista e uno psicoterapeuta, il quale si limitasse agli altri metodi della specialità, sarebbe quanto mai opportuna.

Paragonata agli altri procedimenti psicoterapeutici, la psicoanalisi è senz’alcun dubbio il più potente. Ed è più che giusto che sia così, essendo di tutti il più faticoso e quello che richiede più tempo; perciò non la si applicherà in casi lievi; ma in casi idonei si possono con essa eliminare disturbi, provocare mutamenti che nessuno avrebbe osato sperare in epoca preanalitica. Essa ha però anche i suoi limiti ben tangibili. L’ambizione terapeutica di taluni miei seguaci ha fatto un grandissimo sforzo per superare questi ostacoli e far sì che tutti i disturbi nevrotici diventassero curabili mediante la psicoanalisi. Essi hanno cercato di comprimere il lavoro analitico entro un periodo di tempo più breve, di intensificare la traslazione in modo da renderla capace di superare ogni resistenza, di combinarla con altri tipi di influsso per strappare a forza la guarigione. Questi sforzi certamente lodevoli, io li ritengo vani. Comportano inoltre il pericolo che l’analista stesso sconfini dall’analisi e cada in uno sperimentalismo senza fine.236 La convinzione di poter guarire ogni forma nevrotica deriva a mio parere dalla credenza del profano che le nevrosi siano qualcosa di completamente superfluo, che non ha assolutamente diritto di esistere. In realtà, le nevrosi sono affezioni gravi, costituzionalmente fissate, che raramente si limitano ad alcune crisi e perlopiù persistono per lunghi periodi della vita o per tutta la vita. L’esperienza analitica secondo cui su di esse si può influire purché si riesca a rendersi ragione delle cause storiche della malattia e dei fattori accessori accidentali, ci ha indotto a trascurare nella pratica terapeutica il fattore costituzionale; per questo non si può far nulla, ovviamente, ma in teoria dovremmo sempre tenerlo presente. La stessa totale inaccessibilità delle psicosi da parte della terapia analitica dovrebbe ammonirci, data la loro stretta parentela con le nevrosi, che non possiamo pretendere troppo dalla cura di queste ultime. L’efficacia terapeutica della psicoanalisi è limitata da una serie di fattori importanti e pressoché inattaccabili. Nel caso del bambino, dove si potrebbe contare sui risultati migliori, le massime difficoltà sono quelle del suo rapporto con i genitori, che dopotutto però appartengono alla sua condizione infantile. Nel caso dell’adulto sono in primo piano due fattori: il grado di rigidità psichica e la forma della malattia con tutte le determinanti più profonde che essa copre.

Il primo fattore viene spesso ingiustamente trascurato. Per grande che sia la plasticità della vita psichica e la possibilità di ravvivare antiche situazioni, non si può far rivivere tutto. Alcuni cambiamenti sembrano definitivi, corrispondono a cicatrici che si sono formate dopo la conclusione di un processo. Altre volte si ha l’impressione di un generale irrigidimento della vita psichica; i processi psichici, pur suscettibili di essere indirizzati verso altre strade, sembrano incapaci di abbandonare le vecchie vie. Ma forse è la stessa cosa di prima, soltanto vista in una prospettiva diversa. Ci pare sin troppo spesso di avvertire che alla terapia manchi solo la forza propulsiva per attuare il cambiamento. Una determinata relazione di dipendenza, una certa componente pulsionale è troppo forte se paragonata alle forze contrarie che noi siamo in grado di mobilitare. È il caso costante delle psicosi. Noi le comprendiamo al punto che sapremmo benissimo dove inserire le leve, ma queste non sarebbero ugualmente in grado di smuovere il peso. A questo proposito chissà che in futuro la conoscenza dell’azione degli ormoni (sapete che cosa sono) ci fornisca i mezzi per lottare con successo contro i fattori quantitativi delle malattie; oggi però siamo ben lungi da questo. Capisco che l’incertezza che qui prevale sia un continuo incentivo a perfezionare la tecnica dell’analisi e in particolare della traslazione. Specialmente l’analista principiante rimane in dubbio, nel caso di un fallimento, se attribuire la colpa alle peculiarità del caso o al proprio uso maldestro del procedimento terapeutico. Ma non credo, come ho già detto, che gli sforzi fatti in questa direzione ci porteranno molto lontano.

L’altra limitazione ai successi analitici è data dalla forma della malattia. Come già sapete, il campo d’applicazione della terapia analitica è costituito dalle nevrosi di traslazione – fobie, isterie, nevrosi ossessive – e inoltre dalle anomalie del carattere che si sono sviluppate al posto di tali affezioni. Tutto il resto – stati narcisistici, psicotici – è più o meno inadatto. Sarebbe dunque assolutamente legittimo cautelarsi dal pericolo di insuccessi evitando con ogni cura questi casi. Con tale precauzione le statistiche dell’analisi migliorerebbero assai. Già, ma vi è un inconveniente. Le nostre diagnosi hanno luogo assai spesso solo posticipatamente, sono simili alla “prova della strega” del re scozzese, di cui ho letto in Victor Hugo.237 Questo re asseriva di essere in possesso di un metodo infallibile per riconoscere una strega. La faceva immergere in un calderone d’acqua bollente e quindi assaggiava il brodo. Dopo di che era in grado di dire: “Era una strega”, oppure: “No, non lo era.” Il nostro caso è analogo, solo che a portarne i danni siamo noi. Non possiamo giudicare il paziente che viene a farsi curare – o, allo stesso modo, il candidato che viene per perfezionarsi – prima di averlo studiato analiticamente per settimane o per mesi. Noi comperiamo effettivamente la gatta nel sacco. Il paziente lamenta malanni generici e indefiniti, che non consentono una diagnosi sicura. Dopo un periodo di prova il caso può risultare inadatto. Rimandiamo indietro il candidato, oppure, se si tratta di un paziente, proviamo ancora per qualche tempo, per vedere se è possibile considerarlo sotto una luce più favorevole. Il paziente si vendica di ciò aumentando la lista dei nostri insuccessi; il candidato respinto, se è un paranoico, scrivendo magari egli stesso libri psicoanalitici. Come vedete, la nostra precauzione non ci avrà giovato.

Temo che queste considerazioni così dettagliate esorbitino dal vostro interesse. Ma ancor più mi spiacerebbe se doveste pensare che il mio intento sia di sminuire la vostra considerazione per la psicoanalisi come terapia. Forse ho veramente cominciato in modo incauto; intendevo infatti il contrario, scusare le limitazioni terapeutiche dell’analisi, mettendo in risalto come esse siano inevitabili. Con lo stesso intento affronto un altro punto: il rimprovero che il trattamento analitico richiede periodi di tempo sproporzionatamente lunghi. A questo proposito va detto che i mutamenti psichici si effettuano solo lentamente; se subentrano in modo rapido e repentino, è cattivo segno. È pur vero che il trattamento di una nevrosi piuttosto grave si protrae facilmente per parecchi anni, ma, in caso di successo, ponetevi la domanda di quanto tempo sarebbe durata la sofferenza. Probabilmente un decennio per ogni anno di cura; la malattia, cioè, come vediamo tanto spesso in malati non curati, non sarebbe cessata assolutamente mai. In alcuni casi ci sono buone ragioni per riprendere un’analisi dopo molti anni, avendo la vita sviluppato nuove reazioni morbose di fronte a nuovi motivi occasionali, ed essendo nel frattempo il paziente rimasto sano. Vorrà dire che la prima analisi non aveva messo in luce tutte le predisposizioni patologiche del soggetto ed era perciò venuto naturale sospenderla una volta raggiunto il successo. Vi sono inoltre individui gravemente svantaggiati, che vengono tenuti tutta la vita sotto osservazione analitica e di tanto in tanto vengono ripresi in analisi; si tratta di persone che, altrimenti, non sarebbero nemmeno capaci di affrontare l’esistenza, e dobbiamo ritenerci soddisfatti di riuscire a mantenerli in piedi con questo trattamento frazionato e ricorrente. Anche l’analisi di disturbi del carattere richiede lunghi periodi di cura, ma in compenso è spesso coronata da successo; conoscete voi un’altra terapia che possa anche solo proporsi di affrontare questo compito? L’ambizione terapeutica può sentirsi insoddisfatta di queste mie dichiarazioni, tuttavia noi abbiamo imparato, sull’esempio della tubercolosi e del lupus, che si può avere successo solo se si adegua la terapia alle caratteristiche del male.

Vi ho detto che la psicoanalisi è nata come terapia, ma non è questa la ragione per cui ho inteso raccomandarla al vostro interesse, bensì per il suo contenuto di verità, per quanto essa ci insegna su ciò che all’uomo sta a cuore al di sopra di ogni altra cosa – la sua stessa essenza – e per le connessioni che mette in luce fra le più diverse attività umane. Come terapia, è una fra le tante, senza dubbio prima inter pares. Se fosse priva di valore terapeutico, non sarebbe stata scoperta sugli ammalati, né avrebbe potuto perfezionarsi per oltre trent’anni.238

Opere complete
9788833972077_cov01.html
9788833972077_fm01.html
9788833972077_fm02.html
9788833972077_tp01.html
9788833972077_OP01_a.html
9788833972077_OP01_fm03.html
9788833972077_OP01_fm04.html
9788833972077_OP01_01_0.html
9788833972077_OP01_01_1.html
9788833972077_OP01_01_2.html
9788833972077_OP01_02_0.html
9788833972077_OP01_02_1.html
9788833972077_OP01_02_2.html
9788833972077_OP01_03_0.html
9788833972077_OP01_03_1.html
9788833972077_OP01_03_2.html
9788833972077_OP01_04_0.html
9788833972077_OP01_04_1.html
9788833972077_OP01_04_2.html
9788833972077_OP01_04_3.html
9788833972077_OP01_05_0.html
9788833972077_OP01_05_1.html
9788833972077_OP01_05_2.html
9788833972077_OP01_05_3.html
9788833972077_OP01_06_0.html
9788833972077_OP01_06_1.html
9788833972077_OP01_06_2.html
9788833972077_OP01_06_3.html
9788833972077_OP01_06_4.html
9788833972077_OP01_06_5.html
9788833972077_OP01_06_6.html
9788833972077_OP01_07_0.html
9788833972077_OP01_07_1.html
9788833972077_OP01_07_2.html
9788833972077_OP01_07_3.html
9788833972077_OP01_07_4.html
9788833972077_OP01_08_0.html
9788833972077_OP01_08_1.html
9788833972077_OP01_08_2.html
9788833972077_OP01_08_3.html
9788833972077_OP01_09_0.html
9788833972077_OP01_09_1.html
9788833972077_OP01_09_2.html
9788833972077_OP01_09_3.html
9788833972077_OP01_09_4.html
9788833972077_OP01_09_5.html
9788833972077_OP01_09_6.html
9788833972077_OP02_a.html
9788833972077_OP02_fm03.html
9788833972077_OP02_fm04.html
9788833972077_OP02_01_0.html
9788833972077_OP02_01_00.html
9788833972077_OP02_01_01.html
9788833972077_OP02_01_02.html
9788833972077_OP02_01_03.html
9788833972077_OP02_01_04.html
9788833972077_OP02_01_05.html
9788833972077_OP02_01_06.html
9788833972077_OP02_01_07.html
9788833972077_OP02_01_08.html
9788833972077_OP02_01_09.html
9788833972077_OP02_01_10.html
9788833972077_OP02_01_11.html
9788833972077_OP02_01_12.html
9788833972077_OP02_01_13.html
9788833972077_OP02_02_0.html
9788833972077_OP02_02_00.html
9788833972077_OP02_02_01.html
9788833972077_OP02_03_0.html
9788833972077_OP02_03_00.html
9788833972077_OP02_03_01.html
9788833972077_OP02_04_0.html
9788833972077_OP02_04_00.html
9788833972077_OP02_04_01.html
9788833972077_OP02_05_0.html
9788833972077_OP02_05_00.html
9788833972077_OP02_05_01.html
9788833972077_OP02_06_0.html
9788833972077_OP02_06_00.html
9788833972077_OP02_06_01.html
9788833972077_OP02_07_0.html
9788833972077_OP02_07_00.html
9788833972077_OP02_07_01.html
9788833972077_OP02_07_02.html
9788833972077_OP02_08_0.html
9788833972077_OP02_08_00.html
9788833972077_OP02_08_01.html
9788833972077_OP02_08_02.html
9788833972077_OP02_08_03.html
9788833972077_OP02_09_0.html
9788833972077_OP02_09_00.html
9788833972077_OP02_09_01.html
9788833972077_OP02_10_0.html
9788833972077_OP02_10_00.html
9788833972077_OP02_10_01.html
9788833972077_OP02_11_0.html
9788833972077_OP02_11_00.html
9788833972077_OP02_11_01.html
9788833972077_OP02_12_0.html
9788833972077_OP02_12_00.html
9788833972077_OP02_12_01.html
9788833972077_OP02_12_02.html
9788833972077_OP02_12_03.html
9788833972077_OP02_13_0.html
9788833972077_OP02_13_00.html
9788833972077_OP02_13_01.html
9788833972077_OP02_14_0.html
9788833972077_OP02_14_00.html
9788833972077_OP02_14_01.html
9788833972077_OP02_15_0.html
9788833972077_OP02_15_00.html
9788833972077_OP02_15_01.html
9788833972077_OP02_16_0.html
9788833972077_OP02_16_00.html
9788833972077_OP02_16_01.html
9788833972077_OP02_17_0.html
9788833972077_OP02_17_00.html
9788833972077_OP02_17_01.html
9788833972077_OP03_a.html
9788833972077_OP03_fm03.html
9788833972077_OP03_fm04.html
9788833972077_OP03_fm05.html
9788833972077_OP03_00.html
9788833972077_OP03_01_1.html
9788833972077_OP03_01_A.html
9788833972077_OP03_01_B.html
9788833972077_OP03_01_C.html
9788833972077_OP03_01_D.html
9788833972077_OP03_01_E.html
9788833972077_OP03_01_F.html
9788833972077_OP03_01_G.html
9788833972077_OP03_01_H.html
9788833972077_OP03_01_p1.html
9788833972077_OP03_01_p2.html
9788833972077_OP03_02.html
9788833972077_OP03_03.html
9788833972077_OP03_04.html
9788833972077_OP03_05_1.html
9788833972077_OP03_05_A.html
9788833972077_OP03_05_B.html
9788833972077_OP03_05_C.html
9788833972077_OP03_05_D.html
9788833972077_OP03_06_1.html
9788833972077_OP03_06_A.html
9788833972077_OP03_06_B.html
9788833972077_OP03_06_C.html
9788833972077_OP03_06_D.html
9788833972077_OP03_06_Ea.html
9788833972077_OP03_06_Eb.html
9788833972077_OP03_06_Ec.html
9788833972077_OP03_06_F.html
9788833972077_OP03_06_G.html
9788833972077_OP03_06_H.html
9788833972077_OP03_06_I.html
9788833972077_OP03_07_1.html
9788833972077_OP03_07_A.html
9788833972077_OP03_07_B.html
9788833972077_OP03_07_C.html
9788833972077_OP03_07_D.html
9788833972077_OP03_07_E.html
9788833972077_OP03_07_F.html
9788833972077_OP04_a.html
9788833972077_OP04_fm03.html
9788833972077_OP04_01_0.html
9788833972077_OP04_01_1.html
9788833972077_OP04_01_2.html
9788833972077_OP04_02_0.html
9788833972077_OP04_02_1.html
9788833972077_OP04_02_2.html
9788833972077_OP04_02_3.html
9788833972077_OP04_02_4.html
9788833972077_OP04_02_5.html
9788833972077_OP04_02_6.html
9788833972077_OP04_02_7.html
9788833972077_OP04_02_8.html
9788833972077_OP04_02_9.html
9788833972077_OP04_02_10.html
9788833972077_OP04_02_11.html
9788833972077_OP04_02_12.html
9788833972077_OP04_02_13.html
9788833972077_OP04_03_0.html
9788833972077_OP04_03_1.html
9788833972077_OP04_03_2.html
9788833972077_OP04_03_3.html
9788833972077_OP04_03_4.html
9788833972077_OP04_03_5.html
9788833972077_OP04_03_6.html
9788833972077_OP04_04_0.html
9788833972077_OP04_04_1.html
9788833972077_OP04_04_2.html
9788833972077_OP04_05_0.html
9788833972077_OP04_05_1.html
9788833972077_OP04_05_2.html
9788833972077_OP04_05_3.html
9788833972077_OP04_05_4.html
9788833972077_OP04_05_5.html
9788833972077_OP04_05_6.html
9788833972077_OP04_06_0.html
9788833972077_OP04_06_1.html
9788833972077_OP04_06_2.html
9788833972077_OP04_07_0.html
9788833972077_OP04_07_1.html
9788833972077_OP04_07_2.html
9788833972077_OP04_08.html
9788833972077_OP04_09.html
9788833972077_OP04_10.html
9788833972077_OP04_11.html
9788833972077_OP05_a.html
9788833972077_OP05_fm03.html
9788833972077_OP05_01_0.html
9788833972077_OP05_01_1.html
9788833972077_OP05_01_A1.html
9788833972077_OP05_01_A2.html
9788833972077_OP05_01_A3.html
9788833972077_OP05_01_B4.html
9788833972077_OP05_01_B5.html
9788833972077_OP05_01_C6.html
9788833972077_OP05_01_C7.html
9788833972077_OP05_02_0.html
9788833972077_OP05_02_1.html
9788833972077_OP05_02_2.html
9788833972077_OP05_03_0.html
9788833972077_OP05_03_1.html
9788833972077_OP05_03_2.html
9788833972077_OP05_04_0.html
9788833972077_OP05_04_1.html
9788833972077_OP05_04_2.html
9788833972077_OP05_05_0.html
9788833972077_OP05_05_1.html
9788833972077_OP05_05_2.html
9788833972077_OP05_06_0.html
9788833972077_OP05_06_1.html
9788833972077_OP05_06_2.html
9788833972077_OP05_06_3.html
9788833972077_OP05_06_4.html
9788833972077_OP05_06_5.html
9788833972077_OP05_06_6.html
9788833972077_OP05_07_0.html
9788833972077_OP05_07_1.html
9788833972077_OP05_07_2.html
9788833972077_OP05_08_0.html
9788833972077_OP05_08_1.html
9788833972077_OP05_08_2.html
9788833972077_OP05_09_0.html
9788833972077_OP05_09_1.html
9788833972077_OP05_09_2.html
9788833972077_OP05_09_3.html
9788833972077_OP05_10_0.html
9788833972077_OP05_10_1.html
9788833972077_OP05_10_2.html
9788833972077_OP05_11_0.html
9788833972077_OP05_11_1.html
9788833972077_OP05_11_2.html
9788833972077_OP05_12_0.html
9788833972077_OP05_12_1.html
9788833972077_OP05_12_2.html
9788833972077_OP05_13_0.html
9788833972077_OP05_13_1.html
9788833972077_OP05_13_2.html
9788833972077_OP05_14_0.html
9788833972077_OP05_14_1.html
9788833972077_OP05_14_2.html
9788833972077_OP05_15_0.html
9788833972077_OP05_15_1.html
9788833972077_OP05_15_2.html
9788833972077_OP05_16_0.html
9788833972077_OP05_16_1.html
9788833972077_OP05_16_2.html
9788833972077_OP05_17_0.html
9788833972077_OP05_17_1.html
9788833972077_OP05_17_2.html
9788833972077_OP05_18_0.html
9788833972077_OP05_18_1.html
9788833972077_OP05_18_2.html
9788833972077_OP05_18_3.html
9788833972077_OP05_18_4.html
9788833972077_OP05_18_5.html
9788833972077_OP06_a.html
9788833972077_OP06_fm03.html
9788833972077_OP06_01_0.html
9788833972077_OP06_01_1av.html
9788833972077_OP06_01_2_0.html
9788833972077_OP06_01_2_1.html
9788833972077_OP06_01_2_2.html
9788833972077_OP06_01_3.html
9788833972077_OP06_02_0.html
9788833972077_OP06_02_1.html
9788833972077_OP06_02_2_1.html
9788833972077_OP06_02_2_2.html
9788833972077_OP06_02_2_3.html
9788833972077_OP06_02_2_4.html
9788833972077_OP06_02_2_5.html
9788833972077_OP06_03_0.html
9788833972077_OP06_03_1.html
9788833972077_OP06_03_2.html
9788833972077_OP06_04_0.html
9788833972077_OP06_04_1.html
9788833972077_OP06_04_2.html
9788833972077_OP06_05_0.html
9788833972077_OP06_05_1.html
9788833972077_OP06_05_2.html
9788833972077_OP06_06_0.html
9788833972077_OP06_06_1.html
9788833972077_OP06_06_2_1.html
9788833972077_OP06_06_2_2.html
9788833972077_OP06_06_2_3.html
9788833972077_OP06_06_2_4.html
9788833972077_OP06_06_2_5.html
9788833972077_OP06_06_2_6.html
9788833972077_OP06_06_3.html
9788833972077_OP06_07_0.html
9788833972077_OP06_07_1.html
9788833972077_OP06_07_2.html
9788833972077_OP06_08_0.html
9788833972077_OP06_08_1.html
9788833972077_OP06_08_2.html
9788833972077_OP06_09_0.html
9788833972077_OP06_09_1.html
9788833972077_OP06_09_2.html
9788833972077_OP06_10_0.html
9788833972077_OP06_10_1.html
9788833972077_OP06_10_2.html
9788833972077_OP06_11_0.html
9788833972077_OP06_11_1.html
9788833972077_OP06_11_2.html
9788833972077_OP06_12_0.html
9788833972077_OP06_12_1.html
9788833972077_OP06_12_2.html
9788833972077_OP06_13_0.html
9788833972077_OP06_13_1.html
9788833972077_OP06_13_2_0.html
9788833972077_OP06_13_2_1.html
9788833972077_OP06_13_2_2.html
9788833972077_OP06_13_2_3.html
9788833972077_OP06_13_2_4.html
9788833972077_OP06_14_0.html
9788833972077_OP06_14_1.html
9788833972077_OP06_14_2.html
9788833972077_OP06_14_3.html
9788833972077_OP06_14_4.html
9788833972077_OP06_15_0.html
9788833972077_OP06_15_1.html
9788833972077_OP06_15_2.html
9788833972077_OP06_16_0.html
9788833972077_OP06_16_1.html
9788833972077_OP06_16_2.html
9788833972077_OP06_17_0.html
9788833972077_OP06_17_1.html
9788833972077_OP06_17_2.html
9788833972077_OP06_18_0.html
9788833972077_OP06_18_1.html
9788833972077_OP06_18_2.html
9788833972077_OP06_19_0.html
9788833972077_OP06_19_1.html
9788833972077_OP06_19_2.html
9788833972077_OP06_20_0.html
9788833972077_OP06_20_1.html
9788833972077_OP06_20_2.html
9788833972077_OP06_20_3.html
9788833972077_OP06_20_4.html
9788833972077_OP06_21_0.html
9788833972077_OP06_21_1.html
9788833972077_OP06_21_2.html
9788833972077_OP06_22_0.html
9788833972077_OP06_22_1.html
9788833972077_OP06_22_2_1.html
9788833972077_OP06_22_2_2.html
9788833972077_OP06_23_0.html
9788833972077_OP06_23_1.html
9788833972077_OP06_23_2.html
9788833972077_OP07_a.html
9788833972077_OP07_fm03.html
9788833972077_OP07_01_0.html
9788833972077_OP07_01_1.html
9788833972077_OP07_01_2.html
9788833972077_OP07_01_3.html
9788833972077_OP07_01_4.html
9788833972077_OP07_01_5.html
9788833972077_OP07_01_6.html
9788833972077_OP07_02_0.html
9788833972077_OP07_02_1.html
9788833972077_OP07_02_2.html
9788833972077_OP07_03_0.html
9788833972077_OP07_03_1.html
9788833972077_OP07_03_2.html
9788833972077_OP07_03_3.html
9788833972077_OP07_03_4.html
9788833972077_OP07_04_0.html
9788833972077_OP07_04_1.html
9788833972077_OP07_04_2.html
9788833972077_OP07_05_0.html
9788833972077_OP07_05_1.html
9788833972077_OP07_05_2.html
9788833972077_OP07_06_0.html
9788833972077_OP07_06_1.html
9788833972077_OP07_06_2.html
9788833972077_OP07_07_0.html
9788833972077_OP07_07_1.html
9788833972077_OP07_07_2.html
9788833972077_OP07_08_0.html
9788833972077_OP07_08_1.html
9788833972077_OP07_08_2.html
9788833972077_OP07_08_3.html
9788833972077_OP07_09_0.html
9788833972077_OP07_09_1.html
9788833972077_OP07_09_2.html
9788833972077_OP07_10_0.html
9788833972077_OP07_10_1.html
9788833972077_OP07_10_2.html
9788833972077_OP07_11_0.html
9788833972077_OP07_11_1.html
9788833972077_OP07_11_2.html
9788833972077_OP07_11_3.html
9788833972077_OP07_11_4.html
9788833972077_OP07_11_5.html
9788833972077_OP07_11_6.html
9788833972077_OP07_11_7.html
9788833972077_OP07_12_0.html
9788833972077_OP07_12_1.html
9788833972077_OP07_12_2.html
9788833972077_OP07_12_3.html
9788833972077_OP07_12_4.html
9788833972077_OP07_13_0.html
9788833972077_OP07_13_1.html
9788833972077_OP07_13_2.html
9788833972077_OP07_13_3.html
9788833972077_OP07_13_4.html
9788833972077_OP07_14_0.html
9788833972077_OP07_14_1.html
9788833972077_OP07_14_2.html
9788833972077_OP07_14_3.html
9788833972077_OP07_14_4.html
9788833972077_OP07_15_0.html
9788833972077_OP07_15_1.html
9788833972077_OP07_15_2.html
9788833972077_OP07_16_0.html
9788833972077_OP07_16_1.html
9788833972077_OP07_16_2.html
9788833972077_OP07_16_3.html
9788833972077_OP07_16_4.html
9788833972077_OP07_16_5.html
9788833972077_OP07_16_6.html
9788833972077_OP07_16_7.html
9788833972077_OP07_16_8.html
9788833972077_OP07_16_9.html
9788833972077_OP07_16_10.html
9788833972077_OP08_a.html
9788833972077_OP08_fm03.html
9788833972077_OP08_01_0.html
9788833972077_OP08_01_1.html
9788833972077_OP08_01_2.html
9788833972077_OP08_01_3.html
9788833972077_OP08_01_4.html
9788833972077_OP08_01_5.html
9788833972077_OP08_01_6.html
9788833972077_OP08_01_7.html
9788833972077_OP08_01_8.html
9788833972077_OP08_01_9.html
9788833972077_OP08_01_10.html
9788833972077_OP08_01_11.html
9788833972077_OP08_01_12.html
9788833972077_OP08_01_13.html
9788833972077_OP08_02_0.html
9788833972077_OP08_02_1.html
9788833972077_OP08_02_2.html
9788833972077_OP08_02_3.html
9788833972077_OP08_03_0.html
9788833972077_OP08_03_1.html
9788833972077_OP08_03_2.html
9788833972077_OP08_04_0.html
9788833972077_OP08_04_1.html
9788833972077_OP08_04_2.html
9788833972077_OP08_05_0.html
9788833972077_OP08_05_1.html
9788833972077_OP08_05_2.html
9788833972077_OP08_06_0.html
9788833972077_OP08_06_1.html
9788833972077_OP08_06_2.html
9788833972077_OP08_07_0.html
9788833972077_OP08_07_1.html
9788833972077_OP08_07_2.html
9788833972077_OP08_07_3.html
9788833972077_OP08_07_4.html
9788833972077_OP08_07_5.html
9788833972077_OP08_07_6.html
9788833972077_OP08_07_7.html
9788833972077_OP08_07_8.html
9788833972077_OP08_07_9.html
9788833972077_OP08_07_10.html
9788833972077_OP08_07_11.html
9788833972077_OP08_07_12.html
9788833972077_OP08_07_13.html
9788833972077_OP08_07_14.html
9788833972077_OP08_07_15.html
9788833972077_OP08_07_16.html
9788833972077_OP08_07_17.html
9788833972077_OP08_07_18.html
9788833972077_OP08_07_19.html
9788833972077_OP08_07_20.html
9788833972077_OP08_07_21.html
9788833972077_OP08_07_22.html
9788833972077_OP08_07_23.html
9788833972077_OP08_07_24.html
9788833972077_OP08_07_25.html
9788833972077_OP08_07_26.html
9788833972077_OP08_07_27.html
9788833972077_OP08_07_28.html
9788833972077_OP08_07_29.html
9788833972077_OP08_07_30.html
9788833972077_OP08_08_0.html
9788833972077_OP08_08_1.html
9788833972077_OP08_08_2.html
9788833972077_OP08_09_0.html
9788833972077_OP08_09_1.html
9788833972077_OP08_09_2.html
9788833972077_OP08_10_0.html
9788833972077_OP08_10_1.html
9788833972077_OP08_10_2.html
9788833972077_OP08_10_3.html
9788833972077_OP08_10_4.html
9788833972077_OP08_10_5.html
9788833972077_OP08_11_0.html
9788833972077_OP08_11_1.html
9788833972077_OP08_11_2.html
9788833972077_OP09_a.html
9788833972077_OP09_fm03.html
9788833972077_OP09_01_0.html
9788833972077_OP09_01_1.html
9788833972077_OP09_01_2.html
9788833972077_OP09_02_0.html
9788833972077_OP09_02_1.html
9788833972077_OP09_02_2.html
9788833972077_OP09_03_0.html
9788833972077_OP09_03_1.html
9788833972077_OP09_03_2.html
9788833972077_OP09_04_0.html
9788833972077_OP09_04_1.html
9788833972077_OP09_04_2.html
9788833972077_OP09_05_0.html
9788833972077_OP09_05_1.html
9788833972077_OP09_05_2.html
9788833972077_OP09_06_0.html
9788833972077_OP09_06_1.html
9788833972077_OP09_06_2.html
9788833972077_OP09_06_3.html
9788833972077_OP09_06_4.html
9788833972077_OP09_06_5.html
9788833972077_OP09_07_0.html
9788833972077_OP09_07_1.html
9788833972077_OP09_07_2.html
9788833972077_OP09_07_3.html
9788833972077_OP09_07_4.html
9788833972077_OP09_07_5.html
9788833972077_OP09_08_0.html
9788833972077_OP09_08_1.html
9788833972077_OP09_08_2.html
9788833972077_OP09_09_0.html
9788833972077_OP09_09_1.html
9788833972077_OP09_09_2.html
9788833972077_OP09_10_0.html
9788833972077_OP09_10_1.html
9788833972077_OP09_10_2.html
9788833972077_OP09_10_3.html
9788833972077_OP09_10_4.html
9788833972077_OP09_11_0.html
9788833972077_OP09_11_1.html
9788833972077_OP09_11_2.html
9788833972077_OP09_11_3.html
9788833972077_OP09_11_4.html
9788833972077_OP09_11_5.html
9788833972077_OP09_11_6.html
9788833972077_OP09_11_7.html
9788833972077_OP09_11_8.html
9788833972077_OP09_12_0.html
9788833972077_OP09_12_1.html
9788833972077_OP09_12_2.html
9788833972077_OP09_13_0.html
9788833972077_OP09_13_1.html
9788833972077_OP09_13_2.html
9788833972077_OP09_13_3.html
9788833972077_OP09_13_4.html
9788833972077_OP09_13_5.html
9788833972077_OP09_13_6.html
9788833972077_OP09_13_7.html
9788833972077_OP09_13_8.html
9788833972077_OP09_13_9.html
9788833972077_OP09_13_10.html
9788833972077_OP09_13_11.html
9788833972077_OP09_13_12.html
9788833972077_OP09_13_13.html
9788833972077_OP09_14_0.html
9788833972077_OP09_14_1.html
9788833972077_OP09_14_2.html
9788833972077_OP09_14_3.html
9788833972077_OP09_15_0.html
9788833972077_OP09_15_1.html
9788833972077_OP09_15_2.html
9788833972077_OP09_16_0.html
9788833972077_OP09_16_1.html
9788833972077_OP09_16_2.html
9788833972077_OP09_17_0.html
9788833972077_OP09_17_1.html
9788833972077_OP09_17_2.html
9788833972077_OP09_18_0.html
9788833972077_OP09_18_1.html
9788833972077_OP09_18_2.html
9788833972077_OP09_18_3.html
9788833972077_OP09_19_0.html
9788833972077_OP09_19_1.html
9788833972077_OP09_19_2.html
9788833972077_OP09_20_0.html
9788833972077_OP09_20_1.html
9788833972077_OP09_20_2.html
9788833972077_OP09_20_3.html
9788833972077_OP09_21_0.html
9788833972077_OP09_21_1.html
9788833972077_OP09_21_2.html
9788833972077_OP09_22_0.html
9788833972077_OP09_22_1.html
9788833972077_OP09_22_2.html
9788833972077_OP09_22_3.html
9788833972077_OP09_22_4.html
9788833972077_OP09_22_5.html
9788833972077_OP09_22_6.html
9788833972077_OP09_22_7.html
9788833972077_OP09_23_0.html
9788833972077_OP09_23_1.html
9788833972077_OP09_23_2.html
9788833972077_OP09_23_3.html
9788833972077_OP09_23_4.html
9788833972077_OP09_23_5.html
9788833972077_OP09_23_6.html
9788833972077_OP09_23_7.html
9788833972077_OP09_24_0.html
9788833972077_OP09_24_1.html
9788833972077_OP09_24_2.html
9788833972077_OP09_25_0.html
9788833972077_OP09_25_1.html
9788833972077_OP09_25_2.html
9788833972077_OP09_25_3.html
9788833972077_OP09_25_4.html
9788833972077_OP09_25_5.html
9788833972077_OP09_26_0.html
9788833972077_OP09_26_1.html
9788833972077_OP09_26_2.html
9788833972077_OP09_27_0.html
9788833972077_OP09_27_1.html
9788833972077_OP09_27_2.html
9788833972077_OP09_28_0.html
9788833972077_OP09_28_1.html
9788833972077_OP09_28_2.html
9788833972077_OP10_a.html
9788833972077_OP10_fm03.html
9788833972077_OP10_01_0.html
9788833972077_OP10_01_1.html
9788833972077_OP10_01_2.html
9788833972077_OP10_02_0.html
9788833972077_OP10_02_1.html
9788833972077_OP10_02_2.html
9788833972077_OP10_03_0.html
9788833972077_OP10_03_1.html
9788833972077_OP10_03_2.html
9788833972077_OP10_04_0.html
9788833972077_OP10_04_1.html
9788833972077_OP10_04_2.html
9788833972077_OP10_05_0.html
9788833972077_OP10_05_1.html
9788833972077_OP10_05_2.html
9788833972077_OP10_06_0.html
9788833972077_OP10_06_1.html
9788833972077_OP10_06_2.html
9788833972077_OP10_07_0.html
9788833972077_OP10_07_1.html
9788833972077_OP10_07_2.html
9788833972077_OP10_07_3.html
9788833972077_OP10_07_4.html
9788833972077_OP10_07_5.html
9788833972077_OP10_07_6.html
9788833972077_OP10_07_7.html
9788833972077_OP10_07_8.html
9788833972077_OP10_08_0.html
9788833972077_OP10_08_1.html
9788833972077_OP10_08_2.html
9788833972077_OP10_09_0.html
9788833972077_OP10_09_1.html
9788833972077_OP10_09_2.html
9788833972077_OP10_09_3.html
9788833972077_OP10_09_4.html
9788833972077_OP10_10_0.html
9788833972077_OP10_10_1.html
9788833972077_OP10_10_2.html
9788833972077_OP10_11_0.html
9788833972077_OP10_11_1.html
9788833972077_OP10_11_2.html
9788833972077_OP10_12_0.html
9788833972077_OP10_12_1.html
9788833972077_OP10_12_2.html
9788833972077_OP10_13_0.html
9788833972077_OP10_13_1.html
9788833972077_OP10_13_2.html
9788833972077_OP10_14_0.html
9788833972077_OP10_14_1.html
9788833972077_OP10_14_2.html
9788833972077_OP10_15_0.html
9788833972077_OP10_15_1.html
9788833972077_OP10_15_2.html
9788833972077_OP10_16_0.html
9788833972077_OP10_16_1.html
9788833972077_OP10_16_2.html
9788833972077_OP10_17_0.html
9788833972077_OP10_17_1.html
9788833972077_OP10_17_2.html
9788833972077_OP10_17_3.html
9788833972077_OP10_17_4.html
9788833972077_OP10_17_5.html
9788833972077_OP10_17_6.html
9788833972077_OP10_17_7.html
9788833972077_OP10_17_8.html
9788833972077_OP10_17_9.html
9788833972077_OP10_17_10.html
9788833972077_OP10_17_11.html
9788833972077_OP10_17_12.html
9788833972077_OP10_18_0.html
9788833972077_OP10_18_1.html
9788833972077_OP10_18_2.html
9788833972077_OP10_19_0.html
9788833972077_OP10_19_1.html
9788833972077_OP10_19_2.html
9788833972077_OP10_20_0.html
9788833972077_OP10_20_1.html
9788833972077_OP10_20_2.html
9788833972077_OP10_21_0.html
9788833972077_OP10_21_1.html
9788833972077_OP10_21_2.html
9788833972077_OP10_22_0.html
9788833972077_OP10_22_1.html
9788833972077_OP10_22_2.html
9788833972077_OP10_22_3.html
9788833972077_OP10_22_4.html
9788833972077_OP10_22_5.html
9788833972077_OP10_22_6.html
9788833972077_OP10_22_7.html
9788833972077_OP10_22_8.html
9788833972077_OP10_22_9.html
9788833972077_OP10_22_10.html
9788833972077_OP10_23_0.html
9788833972077_OP10_23_1.html
9788833972077_OP10_23_2.html
9788833972077_OP10_24_0.html
9788833972077_OP10_24_1.html
9788833972077_OP10_24_2.html
9788833972077_OP10_24_3.html
9788833972077_OP10_24_4.html
9788833972077_OP10_24_5.html
9788833972077_OP10_24_6.html
9788833972077_OP10_24_7.html
9788833972077_OP10_24_8.html
9788833972077_OP10_24_9.html
9788833972077_OP10_24_10.html
9788833972077_OP10_24_11.html
9788833972077_OP10_25_0.html
9788833972077_OP10_25_1.html
9788833972077_OP10_25_2.html
9788833972077_OP10_26_0.html
9788833972077_OP10_26_1.html
9788833972077_OP10_26_2.html
9788833972077_OP10_27_0.html
9788833972077_OP10_27_1.html
9788833972077_OP10_27_2.html
9788833972077_OP10_28_0.html
9788833972077_OP10_28_1.html
9788833972077_OP10_28_2.html
9788833972077_OP10_29_0.html
9788833972077_OP10_29_1.html
9788833972077_OP10_29_2.html
9788833972077_OP10_30_0.html
9788833972077_OP10_30_1.html
9788833972077_OP10_30_2.html
9788833972077_OP10_31_0.html
9788833972077_OP10_31_1.html
9788833972077_OP10_31_2.html
9788833972077_OP10_31_3.html
9788833972077_OP10_31_4.html
9788833972077_OP10_31_5.html
9788833972077_OP10_31_6.html
9788833972077_OP10_31_7.html
9788833972077_OP10_31_8.html
9788833972077_OP10_31_9.html
9788833972077_OP11_a.html
9788833972077_OP11_fm03.html
9788833972077_OP11_01_0.html
9788833972077_OP11_01_1.html
9788833972077_OP11_01_2.html
9788833972077_OP11_02_0.html
9788833972077_OP11_02_1.html
9788833972077_OP11_02_2.html
9788833972077_OP11_03_0.html
9788833972077_OP11_03_1.html
9788833972077_OP11_03_2.html
9788833972077_OP11_04_0.html
9788833972077_OP11_04_1.html
9788833972077_OP11_04_2.html
9788833972077_OP11_05_0.html
9788833972077_OP11_05_1.html
9788833972077_OP11_05_2.html
9788833972077_OP11_06_0.html
9788833972077_OP11_06_1.html
9788833972077_OP11_06_2.html
9788833972077_OP11_07_0.html
9788833972077_OP11_07_1.html
9788833972077_OP11_07_2.html
9788833972077_OP11_08_0.html
9788833972077_OP11_08_1.html
9788833972077_OP11_08_2.html
9788833972077_OP11_09_0.html
9788833972077_OP11_09_1.html
9788833972077_OP11_09_2.html
9788833972077_OP11_10_0.html
9788833972077_OP11_10_1.html
9788833972077_OP11_10_2.html
9788833972077_OP11_11_0.html
9788833972077_OP11_11_1.html
9788833972077_OP11_11_2.html
9788833972077_OP11_12_0.html
9788833972077_OP11_12_1.html
9788833972077_OP11_12_2.html
9788833972077_OP11_13_0.html
9788833972077_OP11_13_1.html
9788833972077_OP11_13_2.html
9788833972077_OP11_14_0.html
9788833972077_OP11_14_1.html
9788833972077_OP11_14_2.html
9788833972077_OP11_14_3.html
9788833972077_OP11_14_4.html
9788833972077_OP11_14_5.html
9788833972077_OP11_14_6.html
9788833972077_OP11_14_7.html
9788833972077_OP11_14_8.html
9788833972077_OP11_14_9.html
9788833972077_OP11_15_0.html
9788833972077_OP11_15_1.html
9788833972077_OP11_15_2.html
9788833972077_OP11_16_0.html
9788833972077_OP11_16_1.html
9788833972077_OP11_16_2.html
9788833972077_OP11_17_0.html
9788833972077_OP11_17_1.html
9788833972077_OP11_17_2.html
9788833972077_OP11_18_0.html
9788833972077_OP11_18_1.html
9788833972077_OP11_18_2.html
9788833972077_OP11_19_0.html
9788833972077_OP11_19_1.html
9788833972077_OP11_19_2.html
9788833972077_OP11_19_3.html
9788833972077_OP11_19_4.html
9788833972077_OP11_19_5.html
9788833972077_OP11_19_6.html
9788833972077_OP11_20_0.html
9788833972077_OP11_20_1.html
9788833972077_OP11_20_2.html
9788833972077_OP11_21_0.html
9788833972077_OP11_21_1.html
9788833972077_OP11_21_2.html
9788833972077_OP11_22_0.html
9788833972077_OP11_22_1.html
9788833972077_OP11_22_2.html
9788833972077_OP11_23_0.html
9788833972077_OP11_23_1.html
9788833972077_OP11_23_2.html
9788833972077_OP11_24_0.html
9788833972077_OP11_24_1.html
9788833972077_OP11_24_2.html
9788833972077_OP11_25_0.html
9788833972077_OP11_25_1.html
9788833972077_OP11_25_2.html
9788833972077_OP11_26_0.html
9788833972077_OP11_26_1.html
9788833972077_OP11_26_2.html
9788833972077_OP11_27_0.html
9788833972077_OP11_27_1.html
9788833972077_OP11_27_2.html
9788833972077_OP11_28_0.html
9788833972077_OP11_28_1.html
9788833972077_OP11_28_2.html
9788833972077_OP11_29_0.html
9788833972077_OP11_29_1.html
9788833972077_OP11_29_1b.html
9788833972077_OP11_29_2.html
9788833972077_OP11_29_2_2.html
9788833972077_OP11_29_2_3.html
9788833972077_OP11_29_2_4.html
9788833972077_OP11_29_2_5.html
9788833972077_OP11_29_3.html
9788833972077_OP11_29_3_7.html
9788833972077_OP11_29_4.html
9788833972077_OP11_29_4_9.html
9788833972077_OP11_30_0.html
9788833972077_OP11_30_1.html
9788833972077_OP11_30_2.html
9788833972077_OP11_31_0.html
9788833972077_OP11_31_1.html
9788833972077_OP11_31_2.html
9788833972077_OP11_32_0.html
9788833972077_OP11_32_1.html
9788833972077_OP11_32_2.html
9788833972077_OP_ftn01.html
9788833972077_OP_ftn02.html
9788833972077_OP_ftn03.html
9788833972077_OP_ftn04.html
9788833972077_OP_ftn05.html
9788833972077_OP_ftn06.html
9788833972077_OP_ftn07.html
9788833972077_OP_ftn08.html
9788833972077_OP_ftn09.html
9788833972077_OP_ftn10.html
9788833972077_OP_ftn11.html
9788833972077_bm01.html
9788833972077_bm02.html
9788833972077_bm03.html