Lezione 26
La teoria della libido e il narcisismo

Signore e signori, ripetutamente (e ancora poco tempo fa [vedi lez. 22, in OSF, vol. 8]) ci siamo occupati della distinzione tra pulsioni dell’Io e pulsioni sessuali. Dapprima la rimozione ci ha mostrato che queste possono entrare in contrasto tra loro, nel qual caso le pulsioni sessuali soccombono formalmente e sono costrette a procurarsi soddisfacimento per vie indirette e regressive trovando così nella propria indomabilità un compenso per la disfatta subita. Successivamente abbiamo appreso che i due tipi di pulsioni hanno fin dall’inizio un diverso rapporto con la Necessità dell’educazione [ibid.], per cui non compiono la stessa evoluzione e non vengono a trovarsi nella medesima relazione col principio di realtà. Infine, crediamo di poter dire che le pulsioni sessuali sono legate allo stato affettivo di angoscia con vincoli di gran lunga più diretti che non le pulsioni dell’Io: risultato, questo, che appare incompleto soltanto in un punto essenziale. Per rafforzarlo, intendiamo quindi addurre un fatto notevolissimo, e cioè che il mancato soddisfacimento della fame e della sete, le due più elementari pulsioni di autoconservazione, non ha mai come conseguenza il loro mutarsi in angoscia, mentre, come abbiamo visto, la conversione della libido insoddisfatta in angoscia fa parte dei fenomeni meglio conosciuti e più frequentemente osservati.

Il nostro buon diritto di separare le pulsioni dell’Io da quelle sessuali non può comunque esser messo in questione. Esso è implicito nell’esistenza stessa della vita sessuale come attività separata dell’individuo. Ci si può solo chiedere quale significato annettiamo a questa distinzione, quale incisività vogliamo attribuirle. La risposta a questa domanda sarà determinata dalla nostra capacità di appurare la diversità di comportamento delle pulsioni sessuali, nelle loro manifestazioni somatiche e psichiche, rispetto alle pulsioni che contrapponiamo loro, e dall’importanza degli esiti di queste differenze. Naturalmente, ci manca qualsiasi motivo per affermare una diversità essenziale – peraltro difficilmente afferrabile – tra i due gruppi di pulsioni. Entrambi i gruppi ci forniscono solo denominazioni delle fonti energetiche dell’individuo, e la discussione se siano fondamentalmente una sola cosa o essenzialmente diversi – e, nel caso che siano una sola cosa, quando si siano separati l’uno dall’altro – non può essere condotta in base a definizioni concettuali, ma deve attenersi ai fatti biologici che stanno dietro a quelle definizioni. Per il momento sappiamo troppo poco a tale riguardo e, anche se ne sapessimo di più, non avrebbe importanza per il nostro compito analitico.

È evidente, poi, che c’è ben poco da guadagnare accentuando, secondo il modo di procedere di Jung, l’unità originaria di tutte le pulsioni e chiamando “libido” l’energia che in tutte si manifesta.690 Dal momento che non c’è artificio che riesca a eliminare la funzione sessuale dalla vita psichica, ci vediamo costretti a parlare di libido sessuale e di libido asessuale. Il nome libido va pertanto impiegato per designare esclusivamente le forze pulsionali della vita sessuale, come finora abbiamo fatto.

Penso quindi che la questione fino a che punto si debba proseguire nella distinzione, indubbiamente giustificata, tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io, non abbia molta rilevanza per la psicoanalisi; né essa ha la competenza di risolverla. La biologia, però, offre diversi appigli per sostenere che tale distinzione significa qualcosa di importante. La sessualità è infatti l’unica funzione dell’organismo vivente che trascende l’individuo singolo e provvede a congiungerlo con la specie. È innegabile che non sempre l’esercizio della sessualità giova al singolo come le altre sue funzioni, e che al contrario, in cambio di un piacere insolitamente elevato, lo espone a pericoli che ne minacciano la vita e abbastanza spesso la distruggono. È probabile, inoltre, che siano necessari processi metabolici particolarissimi, divergenti da tutti gli altri, per mantenere una porzione della vita individuale disponibile per la progenie. E infine, l’organismo singolo, che considera sé stesso la cosa principale e la propria sessualità un mezzo fra gli altri per il proprio soddisfacimento, dal punto di vista biologico è solo un episodio in una successione di generazioni, un’effimera appendice di un plasma germinale dotato di virtuale immortalità, quasi il detentore temporaneo di un fidecommesso destinato a sopravvivergli.691

Tuttavia, per la spiegazione psicoanalitica delle nevrosi non occorrono considerazioni di così vasta portata. Con l’aiuto dello studio separato delle pulsioni sessuali e di quelle dell’Io abbiamo ottenuto la chiave per la comprensione delle nevrosi di traslazione. Abbiamo potuto ricondurle alla situazione fondamentale, in cui le pulsioni sessuali entrano in conflitto con le pulsioni di conservazione, oppure, per esprimerci in termini biologici (sebbene in modo meno preciso), a una situazione in cui un aspetto dell’Io, in quanto creatura singola indipendente, entra in contrasto con l’altro suo aspetto, in quanto membro di una successione di generazioni. Questo dissidio si verifica probabilmente soltanto nell’uomo e perciò la nevrosi può grosso modo dirsi la prerogativa dell’uomo rispetto agli animali. È come se l’eccessivo sviluppo della sua libido e il configurarsi di una vita psichica riccamente articolata (resa possibile forse proprio da quello sviluppo) avessero creato le condizioni per il sorgere di un tale conflitto. È senz’altro evidente che questi sono anche i presupposti dei grandi passi avanti che l’uomo ha fatto rispetto a ciò che lo accomuna agli animali; talché la sua attitudine alla nevrosi sarebbe soltanto il rovescio di ciò che per altro verso è una dote. Anche queste però sono soltanto speculazioni, che ci portano lontano dal nostro compito più immediato.

Presupposto del nostro lavoro è stato finora di riuscire a distinguere le pulsioni dell’Io dalle pulsioni sessuali in base alle loro manifestazioni. Nel caso delle nevrosi di traslazione questo ci è stato possibile senza difficoltà. Chiamammo “libido” gli investimenti energetici che l’Io dirige sugli oggetti dei suoi impulsi sessuali, e “interesse” tutti gli altri investimenti, i quali provengono dalle pulsioni di autoconservazione;692 seguendo gli investimenti libidici, le loro trasformazioni e il loro destino finale, potemmo gettare un primo sguardo nel congegno delle forze psichiche. A questo scopo il materiale più propizio ci fu offerto dalle nevrosi di traslazione. Ma l’Io, con la sua composizione risultante da diverse organizzazioni, e la struttura e il funzionamento di queste, ci rimasero nascosti, e avemmo motivo di supporre che solo l’analisi di altri disturbi nevrotici avrebbe potuto fornirci la desiderata comprensione.

Cominciammo presto a estendere le vedute psicoanalitiche a queste altre affezioni. Già nel 1908 Karl Abraham, dopo uno scambio di opinioni con me, formulò la tesi che il carattere principale della dementia praecox (annoverata fra le psicosi) consiste nel fatto che in essa manca l’investimento libidico degli oggetti.693 Ma allora si sollevò l’interrogativo: che cosa avviene della libido dei dementi distolta dagli oggetti? Abraham non esitò a dare la risposta: essa viene fatta riconvergere sull’Io e questa riconversione riflessiva è la fonte del delirio di grandezza della dementia praecox. Il delirio di grandezza si può paragonare benissimo alla nota sopravvalutazione sessuale dell’oggetto nella vita erotica [normale].694 Imparammo così per la prima volta a comprendere un tratto di un’affezione psicotica mediante il riferimento alla vita amorosa normale.

Vi dico subito che queste prime concezioni di Abraham si sono conservate nella psicoanalisi e sono diventate la base della posizione da noi assunta riguardo alle psicosi. Ci familiarizzammo lentamente con l’idea che la libido, che sappiamo ancorata agli oggetti e che esprime l’aspirazione a ottenere un soddisfacimento in relazione ad essi, può anche abbandonare questi oggetti e mettere al loro posto l’Io del soggetto; e a poco a poco questa idea fu strutturata in modo sempre più conseguente. Il nome che distingue questa collocazione della libido, narcisismo, fu da noi preso a prestito da una perversione descritta da Paul Näcke,695 nella quale un individuo adulto tratta il proprio corpo con tutte le blandizie che di solito vengono rivolte a un oggetto sessuale esterno.696

Viene subito spontaneo il pensiero che, se esiste una fissazione siffatta della libido sul proprio corpo e sulla propria persona anziché su un oggetto, ciò non può essere un avvenimento eccezionale o irrilevante. È semmai probabile che questo narcisismo sia lo stato generale e originario, dal quale solo più tardi si è sviluppato l’amore oggettuale, senza che ciò implicasse necessariamente la sparizione del narcisismo. A questo proposito, era impossibile non ricordare, rifacendoci alla storia evolutiva della libido oggettuale, che molte pulsioni sessuali inizialmente si soddisfano sul corpo del soggetto – autoeroticamente, come noi diciamo [vedi lez. 20, in OSF, vol. 8] – e che questa attitudine all’autoerotismo è la vera ragione per cui, nel corso dell’educazione al principio di realtà [vedi lez. 22, in OSF, vol. 8], la sessualità rimane indietro. Così dunque l’autoerotismo andava inteso come l’attività sessuale che caratterizza lo stadio narcisistico della collocazione libidica.

Per dirla in breve, ci siamo rappresentati il rapporto tra libido dell’Io e libido oggettuale in un modo che posso illustrarvi con una similitudine tratta dalla zoologia. Pensate a quegli esseri viventi semplicissimi [le amebe], che sono composti da un grumo scarsamente differenziato di sostanza protoplasmatica. Essi emettono dei prolungamenti, chiamati pseudopodi, nei quali fanno affluire la sostanza del loro corpo. Possono però anche ritirare questi prolungamenti e raccogliersi di nuovo a forma di grumo. Noi paragoniamo l’emissione di questi prolungamenti all’invio di libido sugli oggetti, mentre la massa principale della libido può rimanere nell’Io; e supponiamo che in condizioni normali la libido dell’Io possa venir trasformata senza impedimenti in libido oggettuale, e che quest’ultima possa nuovamente essere assunta all’interno dell’Io.697

Con l’aiuto di queste rappresentazioni possiamo ora spiegare o, per esprimerci più modestamente, descrivere nel linguaggio della teoria della libido, tutta una serie di stati psichici che sono da attribuire alla vita normale, come il comportamento psichico in caso di innamoramento, di malattia organica, di sonno. Per quanto riguarda lo stato di sonno, abbiamo formulato l’ipotesi che esso sia basato sul distacco dal mondo esterno e su un disporsi al desiderio di dormire [vedi lez. 5, in OSF, vol. 8]. Trovammo che l’attività psichica notturna che si esprime nel sogno è al servizio di un desiderio di dormire e, oltre a ciò, è dominata da motivi assolutamente egoistici [vedi lez. 9, in OSF, vol. 8]. In conformità alla teoria della libido, precisiamo ora che il sonno è uno stato nel quale si abbandonano tutti gli investimenti oggettuali, quelli libidici come quelli egoistici, che vengono ritirati nell’Io. Questo non getta forse una nuova luce sul ristoro che proviene dal sonno e sulla natura dell’affaticamento in generale? L’immagine del beato isolamento della vita intrauterina, che il dormiente rievoca per noi ogni notte, è così compiuta anche sotto il profilo psichico. Nel dormiente si è ristabilito lo stato primario di distribuzione della libido, il pieno narcisismo, nel quale libido e interesse dell’Io, ancora congiunti e indistinguibili, coabitano nell’Io bastante a sé stesso.

È il momento per due osservazioni. Primo: come si distinguono concettualmente narcisismo ed egoismo? Ebbene, io credo che il narcisismo sia il complemento libidico dell’egoismo. Quando si parla di egoismo, si ha di mira solo il vantaggio dell’individuo; quando si dice narcisismo, si prende in considerazione anche il suo soddisfacimento libidico. In quanto motivi pratici, i due si possono seguire per un buon tratto separatamente. Si può essere assolutamente egoisti e mantenere tuttavia forti investimenti libidici oggettuali, nella misura in cui il soddisfacimento libidico sull’oggetto rientra nei bisogni dell’Io; l’egoismo baderà allora che l’aspirazione all’oggetto non rechi alcun danno all’Io. Ma si può essere egoisti e nel contempo straordinariamente narcisisti, cioè avere un bisogno scarsissimo di oggetti e ciò, a sua volta, o in relazione al soddisfacimento sessuale diretto o anche a quelle aspirazioni più elevate, derivate dal bisogno sessuale, che talora siamo soliti contrapporre alla “sensualità” col nome di “amore”. L’egoismo è in tutti questi casi l’elemento ovvio, costante, mentre il narcisismo è quello variabile. Il contrario dell’egoismo, l’altruismo, non coincide concettualmente con gli investimenti libidici oggettuali, ma se ne differenzia per l’assenza delle aspirazioni al soddisfacimento sessuale. Nel caso del pieno innamoramento, però, l’altruismo coincide con l’investimento libidico oggettuale: l’oggetto sessuale attira solitamente su di sé una parte del narcisismo dell’Io, il che diventa visibile nella cosiddetta “sopravvalutazione sessuale” dell’oggetto [vedi lez. 26, in OSF, vol. 8]; se a questo si aggiunge ancora la trasposizione altruistica dell’egoismo sull’oggetto sessuale, quest’ultimo diventa strapotente; esso ha, per così dire, assorbito l’Io.

Penso che dopo il linguaggio figurato, ma pur sempre arido, della scienza, vi farà piacere un’esposizione poetica del contrasto economico698 fra narcisismo e innamoramento. La attingo dal Divano occidentale-orientale di Goethe:

Suleika: Popolo e sudditi e potenti
Dichiaran tutti ad ogni passo:
Che sulla terra unico sommo
Bene è la personalità.

Che ad ogni vita può adattarsi
Chi di sé stesso non è privo;
Che tutto perdere può un uomo,
Purché rimanga quel che è.

Hatem: Così si crede e può ben darsi,
Ma io sono su un’altra pista:
Tutti in Suleika radunati
Io trovo i beni della terra.

Finché mi è prodiga di sé,
Sono per me quest’Io prezioso;
Se in altro luogo si volgesse,
Me stesso perderei all’istante.

Hatem sarebbe ormai finito;
Ma già ho mutato la mia sorte;
S’ella accarezza un nuovo amante,
In lui son pronto ad incarnarmi.

[Traduzione di Filiberto Borio]

La seconda osservazione è un’aggiunta alla teoria del sogno. Non possiamo spiegarci la genesi del sogno se non introduciamo l’ipotesi che l’inconscio rimosso abbia acquistato una certa indipendenza dall’Io, talché non consente al desiderio di dormire e mantiene i propri investimenti anche quando vengono ritirati in favore del sonno tutti gli investimenti oggettuali dipendenti dall’Io. Solo così si può capire come questo inconscio possa approfittare della abolizione o attenuazione notturna della censura, e sappia impadronirsi dei residui diurni per formare col loro materiale un desiderio onirico proibito. D’altra parte è possibile che la resistenza dei residui diurni contro il ritiro della libido – ritiro disposto dal desiderio di dormire – risalga a un collegamento già esistente con questo inconscio rimosso. Vogliamo quindi aggiungere questo tratto dinamicamente importante alla nostra concezione della formazione del sogno.699

La malattia organica, la stimolazione dolorosa, l’infiammazione di organi, creano uno stato che ha chiaramente come conseguenza un distacco della libido dai suoi oggetti: la libido rifluisce nell’Io sotto forma di investimento intensificato della parte malata del corpo. Si può, anzi, azzardare l’affermazione che in queste condizioni il ritrarsi della libido dai suoi oggetti è più appariscente che non lo storno dell’interesse egoistico dal mondo esterno. Sembra qui dischiudersi una via per la comprensione dell’ipocondria, nella quale, allo stesso modo, un organo polarizza su di sé l’Io, senza che quest’organo sia malato, per quanto risulta alla nostra percezione.

Resisto alla tentazione di proseguire oltre su questo punto, o di discutere altre situazioni che diventano comprensibili o descrivibili mediante l’ipotesi di una migrazione della libido oggettuale nell’Io, perché mi preme affrontare due obiezioni che, lo so bene, avete adesso in mente. Per prima cosa volete che vi spieghi perché a proposito del sonno, della malattia e di situazioni simili io intenda assolutamente distinguere tra libido e interesse, tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io, quando a spiegare questi fatti empirici basterebbe l’ipotesi di un’energia unica e uniforme, liberamente mobile, che si concentra ora sull’oggetto ora sull’Io, ponendosi al servizio sia di una pulsione sia dell’altra. E, in secondo luogo, come io possa essere sicuro che il distacco della libido dall’oggetto provochi uno stato patologico, quando tale conversione della libido oggettuale in libido dell’Io – o, più generalmente, in energia dell’Io – fa parte dei processi normali della dinamica psichica che si ripetono ogni giorno e ogni notte.

La mia replica è che la vostra prima obiezione suona bene. Considerando soltanto gli stati di sonno, di malattia e di innamoramento, probabilmente non saremmo mai giunti a distinguere una libido dell’Io da una libido oggettuale, o la libido dall’interesse. Ma in questo modo voi trascurate le indagini da cui abbiamo preso l’avvio e alla cui luce consideriamo ora le situazioni psichiche in questione. Da un lato la distinzione tra libido e interesse, e quindi tra pulsioni sessuali e pulsioni di autoconservazione, ci è stata imposta dall’esame del conflitto dal quale scaturiscono le nevrosi di traslazione: da allora non possiamo più rinunciarvi. Dall’altro lato l’ipotesi che la libido oggettuale possa trasformarsi in libido dell’Io, che si debba quindi fare i conti con una libido dell’Io, ci è parsa l’unica in grado di risolvere l’enigma delle cosiddette nevrosi narcisistiche, per esempio della dementia praecox, e di rendere ragione delle loro affinità e diversità rispetto all’isteria e all’ossessione. A questo punto applichiamo alla malattia, al sonno e all’innamoramento ciò che abbiamo irrefutabilmente stabilito altrove. Potremmo proseguire in tali applicazioni e vedere dove ci portano. L’unica affermazione che non sia il diretto risultato della nostra esperienza analitica è che la libido rimane libido, sia che venga rivolta a oggetti, sia al proprio Io, e non si trasforma mai in interesse egoistico, e viceversa. Questa affermazione è però equivalente alla distinzione tra pulsioni sessuali e pulsioni dell’Io, distinzione che abbiamo già vagliato criticamente e alla quale, per ragioni euristiche, vogliamo attenerci fino al suo eventuale crollo.

Anche la vostra seconda obiezione coglie un problema che è giusto porsi, ma mira in una direzione sbagliata. Certamente il ritrarsi della libido oggettuale nell’Io non è direttamente patogeno; vediamo infatti che viene sempre intrapreso prima di dormire, per essere riannullato al risveglio. L’animaletto protoplasmatico ritira i suoi prolungamenti, per emetterli nuovamente alla prossima occasione. Ma tutt’altra cosa è quando un determinato processo, dotato di forte energia, impone a forza il ritiro della libido dagli oggetti. La libido divenuta narcisistica può allora non trovare la via di ritorno agli oggetti e questo impedimento alla mobilità della libido diventa effettivamente patogeno. Sembra che l’accumulo di libido narcisistica non venga sopportato oltre una certa misura. Possiamo anche immaginare che si sia giunti all’investimento oggettuale appunto perché l’Io dovette sprigionare la sua libido per non ammalarsi a causa del suo ingorgo. Se rientrasse nei nostri piani occuparci più a fondo della dementia praecox, vi mostrerei che quel processo che stacca la libido dagli oggetti e le sbarra la via di ritorno ad essi è molto vicino al processo di rimozione e va inteso come un corrispettivo di quest’ultimo. Soprattutto però vi sentireste su un terreno conosciuto apprendendo che le condizioni determinanti questo processo sono quasi identiche – per quanto ci consta finora – a quelle della rimozione. Il conflitto sembra essere il medesimo e svolgersi tra le stesse forze. Se l’esito è così diverso da quello, per esempio, dell’isteria, la ragione può risiedere solo in una diversità della disposizione. In questi malati lo sviluppo libidico ha il suo punto debole in un’altra fase; la fissazione decisiva che, come ricorderete [vedi lez. 22, in OSF, vol. 8], permette l’irruzione che conduce alla formazione dei sintomi, è situata altrove, probabilmente nello stadio del narcisismo primitivo, al quale la dementia praecox fa ritorno nel suo esito finale. È assai degno di nota che per tutte le nevrosi narcisistiche dobbiamo supporre punti di fissazione della libido che risalgono a fasi dello sviluppo di gran lunga più remote che nell’isteria o nella nevrosi ossessiva. Avete visto però che i concetti che abbiamo acquisito nello studio delle nevrosi di traslazione sono sufficienti anche per orientarci nelle nevrosi narcisistiche, tanto più gravi sul piano pratico. Ciò che hanno in comune è moltissimo; si tratta, in fondo, dello stesso ambito di fenomeni. Non è difficile immaginare quanto si delinei priva di prospettive la spiegazione di queste affezioni (che già sono di competenza della psichiatria) per chi è sprovvisto di una conoscenza analitica delle nevrosi di traslazione.

Il quadro sintomatico della dementia praecox, che del resto è molto variabile, non è determinato esclusivamente dai sintomi che hanno origine dal distacco violento della libido dagli oggetti e dal suo accumularsi nell’Io come libido narcisistica. Un posto più ampio spetta, piuttosto, ad altri fenomeni che nascono dagli sforzi della libido di pervenire nuovamente agli oggetti, e che corrispondono quindi a un tentativo di ristabilimento o di guarigione. Questi sintomi sono anzi i più appariscenti e clamorosi; mostrano un’indubbia affinità con quelli dell’isteria o, più raramente, con quelli della nevrosi ossessiva, pur essendo diversi da questi punto per punto. Sembra che nella dementia praecox la libido, sforzandosi di tornare a raggiungere gli oggetti (ossia le rappresentazioni degli oggetti), ne colga effettivamente qualcosa, ma, per così dire, solo l’ombra, e cioè le rappresentazioni verbali che ad essi sono connesse. Non posso qui dilungarmi, ma penso che questo comportamento della libido, che cerca la via del ritorno, ci abbia permesso di comprendere in che cosa consista effettivamente la differenza tra le rappresentazioni consce e quelle inconsce.700

Vi ho condotto, ora, nel territorio dove dobbiamo aspettarci i prossimi progressi del lavoro analitico [vedi lez. 24, in OSF, vol. 8]. Da quando abbiamo il coraggio di avvalerci del concetto di libido dell’Io, le nevrosi narcisistiche ci sono diventate accessibili; ne è derivato il compito di giungere a una spiegazione dinamica di queste affezioni e contemporaneamente di perfezionare la nostra conoscenza della vita psichica mediante la comprensione dell’Io. La psicologia dell’Io, alla quale aspiriamo, non deve essere fondata sui dati della nostra autopercezione, ma, come per la libido, sull’analisi dei disturbi e delle devastazioni dell’Io. È verosimile che quando quel maggior lavoro sarà compiuto, non terremo in gran conto la nostra attuale conoscenza dei destini della libido, attinta dallo studio delle nevrosi di traslazione. Ma non abbiamo ancora fatto molti progressi in questa direzione. Le nevrosi narcisistiche non sono praticamente aggredibili con la tecnica di cui ci siamo serviti nelle nevrosi di traslazione. Apprenderete presto [vedi lez. 27, in OSF, vol. 8] il perché. Con esse, ci succede sempre che dopo un breve passo innanzi veniamo a trovarci di fronte a un muro che ci intima l’alt. Anche nelle nevrosi di traslazione, come sapete, ci siamo imbattuti in tali barriere di resistenza, ma siamo riusciti a smantellarle pezzo per pezzo. Nel caso delle nevrosi narcisistiche la resistenza è insuperabile; possiamo tutt’al più gettare uno sguardo curioso al di sopra del muro per spiare cosa avvenga al di là. I nostri metodi tecnici devono quindi essere sostituiti con altri; non sappiamo ancora se una simile sostituzione ci riuscirà. Per la verità, anche nel caso di questi malati il materiale non ci fa difetto. Essi fanno ogni sorta di dichiarazioni, anche se non in risposta a nostre domande, e noi non abbiamo provvisoriamente altra risorsa che interpretare tali dichiarazioni con l’aiuto della comprensione che ci viene dai sintomi delle nevrosi di traslazione. La concordanza è sufficiente per assicurarci un vantaggio iniziale. Resta da vedere fino a che punto giungerà questa tecnica.

A trattenere il nostro progresso si aggiungono altre difficoltà. Le affezioni narcisistiche e le psicosi che a esse si riconnettono possono essere decifrate solo da osservatori che si siano addestrati analiticamente con lo studio delle nevrosi di traslazione. Ma i nostri psichiatri non studiano la psicoanalisi e noi psicoanalisti vediamo troppo pochi casi psichiatrici. Dovrà prima maturare una generazione di psichiatri che sia passata attraverso la scuola della psicoanalisi come scienza propedeutica. È quel che si comincia oggi a fare in America, dove moltissimi eminenti psichiatri espongono agli studenti le dottrine psicoanalitiche e dove proprietari di istituti e direttori di manicomi si sforzano di osservare i loro malati in conformità a queste dottrine. Tuttavia, anche qui da noi, siamo riusciti alcune volte a gettare uno sguardo al di sopra del muro narcisistico, e in ciò che segue vi riferirò qualcosa di quello che crediamo di aver colto.

La forma di malattia detta paranoia, la pazzia cronica sistematica, occupa una posizione oscillante nei tentativi di classificazione dell’odierna psichiatria. Sulla sua stretta parentela con la dementia praecox non vi è tuttavia alcun dubbio. Mi sono permesso una volta di avanzare la proposta di riunire la paranoia e la dementia praecox sotto la comune denominazione di “parafrenia”.701 A seconda del loro contenuto, le forme di paranoia vengono descritte come: delirio di grandezza, delirio di persecuzione,702 delirio erotico (erotomania), delirio di gelosia ecc. Non ci aspetteremo tentativi di spiegazione da parte della psichiatria. Come esempio di un simile tentativo, esempio per la verità antiquato e non del tutto valido, vi menziono quello di far derivare un sintomo da un altro per mezzo di una razionalizzazione intellettuale: l’ammalato che, per inclinazione primaria, si crede perseguitato, dedurrà da questa persecuzione di dover essere una personalità di particolare importanza e svilupperà quindi il delirio di grandezza. Secondo la nostra concezione analitica, il delirio di grandezza è la conseguenza immediata dell’espansione dell’Io causata dal ritiro degli investimenti libidici oggettuali, un narcisismo secondario che è un ritorno dell’originario narcisismo infantile. Nei casi di delirio di persecuzione abbiamo tuttavia osservato qualcosa che ci ha indotti a seguire una certa traccia. Ci colpì prima di tutto il fatto che nella grande maggioranza dei casi il persecutore era dello stesso sesso del perseguitato. Ciò si prestava anche a una spiegazione innocua, ma in alcuni casi, studiati a fondo, si evidenziò come la persona dello stesso sesso che in tempi normali il paziente aveva amato di più si era tramutata, dopo l’inizio della malattia, nel suo persecutore. Un ulteriore passo fu reso possibile dal fatto che la persona amata veniva sostituita da un’altra persona in base a ben note affinità (per esempio, il padre dall’insegnante, o dal superiore). Di tali esperienze, che vanno sempre più moltiplicandosi, traemmo la conclusione che la “paranoia persecutoria” è la forma morbosa con cui l’individuo si difende da un impulso omosessuale divenuto troppo intenso.703 Il mutarsi della tenerezza in odio, che può notoriamente diventare una seria minaccia per la vita dell’oggetto amato e odiato, corrisponde in questi casi alla conversione di impulsi libidici in angoscia, il che costituisce un esito immancabile del processo di rimozione. Sentite, per esempio, l’ultima delle mie osservazioni a questo riguardo.

Un giovane medico dovette essere cacciato dalla sua città natale perché aveva minacciato di morte il figlio di un professore universitario del luogo che fino allora era stato il suo migliore amico. A questo suo amico di un tempo egli attribuiva reali intenzioni diaboliche e un potere demoniaco: era lui il colpevole di ogni disgrazia che negli ultimi anni aveva colpito la famiglia dell’ammalato, di ogni suo insuccesso familiare e sociale. Ma non basta: l’amico malvagio insieme a suo padre, il professore, aveva anche provocato la guerra, aveva chiamato i russi nel paese. Si era meritato mille volte la morte, e il nostro malato era convinto che con la fine del malfattore si sarebbe posto termine a ogni sciagura. E tuttavia il suo antico amore per lui era ancora così forte da paralizzargli la mano quando gli si offrì l’occasione di ucciderlo sparandogli da brevissima distanza. Nelle brevi conversazioni che ebbi con l’ammalato, venne alla luce che la relazione amichevole tra i due risaliva ai lontani anni del ginnasio. Una volta almeno essa aveva oltrepassato i limiti dell’amicizia: una notte trascorsa insieme era diventata per essi l’occasione di un completo commercio sessuale. Il nostro paziente non aveva mai raggiunto con le donne quel rapporto emotivo che sarebbe stato adeguato alla sua età e alla sua attraente personalità. Una volta era stato fidanzato con una bella e nobile fanciulla, ma questa aveva rotto il fidanzamento perché non trovava il suo futuro sposo abbastanza affettuoso. Alcuni anni più tardi, la sua malattia scoppiò proprio nel momento in cui riuscì per la prima volta a soddisfare pienamente una donna. Allorché costei lo abbracciò riconoscente e piena di dedizione, gli venne improvvisamente un misterioso dolore, che gli girava intorno alla calotta cranica come un taglio netto. Più tardi egli si spiegò questa sensazione come se gli venisse eseguito il taglio con il quale in un’autopsia si mette a nudo il cervello e, poiché il suo amico era diventato anatomopatologo, scoprì lentamente che solo lui poteva avergli mandato quell’ultima donna per tentarlo. Da quel momento gli si aprirono anche gli occhi sulle altre persecuzioni, di cui secondo lui era vittima per le macchinazioni dell’amico di un tempo.

Ma che ne è dei casi nei quali il persecutore non è dello stesso sesso del perseguitato, casi che apparentemente contraddicono la nostra spiegazione che si tratta di una difesa contro la libido omosessuale? Qualche tempo fa ho avuto occasione di esaminare un caso del genere e, dall’apparente contraddizione, ho potuto trarre una conferma. La giovanetta, che si credeva perseguitata dall’uomo al quale aveva concesso due teneri incontri, in un primo tempo, in effetti, aveva avuto un delirio riferito a una donna, che possiamo considerare un sostituto di sua madre. Solo dopo il secondo convegno compì il passo successivo di distogliere il delirio dalla donna per trasferirlo sull’uomo. La condizione che il persecutore sia dello stesso sesso era stata dunque originariamente rispettata anche in questo caso. Nel rivolgersi a un avvocato e a un medico, la paziente non aveva menzionato questo stadio preliminare del suo delirio e aveva così suscitato l’impressione che la nostra dottrina della paranoia potesse essere contraddetta.704

La scelta oggettuale omosessuale ha col narcisismo connessioni più strette della scelta eterosessuale. Quando poi si tratta di respingere un impulso omosessuale di indesiderata intensità, la via del ritorno al narcisismo diventa particolarmente agevole. Finora ho avuto pochissime occasioni di parlarvi dei fondamenti della vita amorosa, così come li conosciamo; né posso porvi rimedio ora. Rileverò soltanto che la scelta oggettuale, il passo che nello sviluppo della libido succede allo stadio narcisistico, può attuarsi in corrispondenza a due tipi diversi: al tipo narcisistico di scelta oggettuale, allorché al posto del proprio Io subentra un oggetto il più possibile simile a esso, oppure al tipo per appoggio,705 allorché persone diventate preziose perché danno soddisfazione agli altri bisogni vitali vengono scelte come oggetti anche dalla libido. Una forte fissazione della libido al tipo narcisistico di scelta oggettuale fa anche parte, secondo noi, della disposizione all’omosessualità manifesta.

Vi ricorderete che nella prima lezione di questo anno accademico vi ho parlato di un caso di delirio di gelosia in una donna [vedi lez. 16, in OSF, vol. 8]. Ora che siamo prossimi alla fine, desidererete certamente sapere come ci spieghiamo psicoanaliticamente un’idea delirante. Ma a questo proposito ho da dirvi meno di quanto vi aspettiate. L’inafferrabilità dell’idea delirante mediante argomentazioni logiche ed esperienze reali si spiega, come per l’ossessione, con la sua relazione con l’inconscio, il quale è rappresentato e tenuto a freno dall’idea delirante o ossessiva. La differenza tra queste è basata sulla diversa topica [vedi lez. 22, in OSF, vol. 8] e dinamica delle due affezioni.

Come nella paranoia, anche nella melanconia (della quale, del resto, si descrivono forme cliniche molto diverse) abbiamo trovato un punto da cui diventa possibile gettare uno sguardo nella struttura interna dell’affezione. Abbiamo scoperto che gli autorimproveri con cui questi melanconici si tormentano nel modo più spietato, sono destinati in effetti a un’altra persona, all’oggetto sessuale che costoro hanno perduto o che è divenuto per essi privo di valore per sua colpa. Di qui abbiamo potuto concludere che, pur avendo il melanconico ritirato la sua libido dall’oggetto, quest’ultimo, attraverso un processo che dev’essere chiamato di identificazione narcisistica”, è stato eretto nell’Io stesso, è stato per così dire proiettato sull’Io. (In questa sede non posso far altro che abbozzarvi un quadro d’insieme, non posso fornirvi una descrizione ordinata sotto il profilo topico e dinamico.)706 Dopo di che il proprio Io viene trattato come l’oggetto abbandonato e subisce tutte le aggressioni e le manifestazioni della sete di vendetta che erano destinate all’oggetto. Anche l’inclinazione dei melanconici al suicidio diventa più comprensibile se si considera che l’esasperazione dell’ammalato colpisce nello stesso tempo il suo stesso Io e l’oggetto amato-odiato. Nella melanconia, come nelle altre affezioni narcisistiche, viene alla luce in modo molto marcato un tratto della vita emotiva che da Bleuler in poi siamo abituati a designare come “ambivalenza”. Intendiamo con ciò il fatto per cui sentimenti opposti, affettuosi e ostili, vengono rivolti verso la stessa persona. Nel corso di queste conversazioni non mi si è purtroppo presentata l’opportunità di parlarvi più a lungo dell’ambivalenza emotiva.707

Oltre all’identificazione narcisistica, ve n’è una isterica, che ci è nota da molto più tempo.708 Vorrei che mi fosse possibile illustrarvi le loro diversità, facendo ricorso ad alcune chiare precisazioni.

Riguardo alle forme periodiche e cicliche della melanconia, sono in grado di comunicarvi una cosa che certamente sarete lieti di apprendere. È possibile, cioè, in circostanze favorevoli – io stesso l’ho sperimentato due volte – prevenire, mediante trattamento analitico negli intervalli liberi, il ritorno allo stesso stato d’animo o a quello opposto. Si apprende così che anche nella melanconia e nella mania ci troviamo di fronte a una particolare maniera di liquidare un conflitto i cui presupposti concordano perfettamente con quelli delle altre nevrosi. Potete immaginarvi quanto vi sia ancora da apprendere per la psicoanalisi in questo campo.

Vi dissi anche [vedi lez. 26, in OSF, vol. 8] che attraverso l’analisi delle affezioni narcisistiche speriamo di giungere alla conoscenza di come il nostro Io è composto e di come è strutturato in istanze. In un punto abbiamo cominciato a farlo.709 Dall’analisi del delirio di essere osservati710 abbiamo tratto la conclusione che nell’Io vi è realmente un’istanza che osserva, critica e confronta ininterrottamente, contrapponendosi in tal guisa all’altra parte dell’Io. Riteniamo quindi che l’ammalato ci rivela una verità, non ancora da noi sufficientemente apprezzata, quando si lamenta che ognuno dei suoi passi viene spiato e osservato, ognuno dei suoi pensieri riportato e criticato. Sbaglia solo nel trasportare all’esterno questo incomodo potere, quasi gli fosse estraneo. Egli avverte nel suo Io il dominio di un’istanza che commisura il suo Io attuale e ognuna delle sue attività a un Io ideale che egli è venuto creandosi nel corso del suo sviluppo. Riteniamo inoltre che tale creazione sia stata effettuata nell’intento di ripristinare quella autosoddisfazione che era collegata al narcisismo infantile primario, ma che da allora è stata così sovente turbata e mortificata. L’istanza autosservatrice ci è nota come il censore dell’Io,711 la coscienza morale; è la stessa che nottetempo esercita la censura onirica, dalla quale hanno origine le rimozioni contro impulsi di desideri inammissibili. Quando nel delirio di essere osservati questa istanza si scinde, ci svela la propria origine negli influssi dei genitori, degli educatori e dell’ambiente sociale, nella identificazione cioè con l’una o l’altra di queste persone assunte a modello.

Questi sono alcuni esempi dei risultati che l’applicazione della psicoanalisi alle affezioni narcisistiche ci ha sinora fornito. Certamente sono ancora troppo pochi, e spesso mancano ancora di quella precisione che può essere ottenuta solo se si raggiunge una familiarità sicura in un nuovo campo di ricerche. Li dobbiamo tutti all’utilizzazione del concetto di libido dell’Io o libido narcisistica, con il cui aiuto estendiamo alle nevrosi narcisistiche le concezioni che si sono dimostrate valide per le nevrosi di traslazione. Ora però vi verrà spontanea una domanda: è possibile riuscire a far rientrare nella teoria della libido tutti i disturbi delle affezioni narcisistiche e delle psicosi? È possibile riconoscere ovunque quale causa della malattia il fattore libidico della vita psichica e non doverla mai imputare a un cambiamento funzionale delle pulsioni di autoconservazione? Orbene, signore e signori, questa decisione non mi sembra urgente né, soprattutto, matura. Possiamo tranquillamente affidarla al progresso del lavoro scientifico. Non mi meraviglierei se la facoltà di produrre l’effetto patogeno risultasse davvero prerogativa delle pulsioni libidiche, di modo che la teoria della libido celebrasse un giorno il suo trionfo su tutto il fronte, dalle “nevrosi attuali” più semplici fino alla più grave alienazione psicotica della personalità. Sappiamo già che tratto caratteristico della libido è la sua riluttanza a subordinarsi alla realtà del mondo, alla Ἀνάγϰη [vedi lez. 22, in OSF, vol. 8]. Ma ritengo estremamente probabile che le pulsioni dell’Io vengano trascinate in via secondaria dalle sollecitazioni patogene della libido, e costrette a subire disturbi funzionali. D’altronde non potrei scorgere un fallimento dell’indirizzo delle nostre ricerche se per caso dovessi scoprire che nelle psicosi gravi le pulsioni dell’Io sono sviate in maniera primaria; il futuro darà la risposta, a voi, almeno.

Permettetemi, tuttavia, di ritornare ancora per un istante all’angoscia per far luce su un’ultima oscurità che vi abbiamo lasciato [vedi lez. 25, in OSF, vol. 8]. Dicemmo che, secondo noi, non concordava con la relazione fra angoscia e libido (altrimenti così ben riconosciuta) il fatto che l’angoscia reale, la paura di fronte a un pericolo debba essere l’espressione delle pulsioni di autoconservazione, il che, peraltro, è difficilmente confutabile. Che cosa accadrebbe, tuttavia, se l’affetto d’angoscia non fosse provocato dalle pulsioni egoistiche dell’Io, ma dalla libido dell’Io? Dopo tutto lo stato d’angoscia è in ogni caso inappropriato, e la sua inopportunità diventa palese quando esso raggiunge un grado piuttosto elevato. In questo caso disturba l’azione, sia di fuga sia di difesa, che sola è opportuna e si pone al servizio dell’autoconservazione. Se noi, perciò, attribuiamo la componente affettiva dell’angoscia reale alla libido dell’Io, e la relativa azione alla pulsione di conservazione dell’Io, abbiamo eliminato ogni difficoltà teorica. Del resto, non crederete seriamente che si fugga perché si è in preda all’angoscia! No, un comune motivo, risvegliato dalla percezione del pericolo, può gettarci in preda all’angoscia e può farci fuggire. Uomini che hanno superato grandi pericoli mortali raccontano di non essere stati affatto angosciati, ma di aver semplicemente agito, per esempio puntando l’arma contro l’animale feroce, e questa era sicuramente la cosa migliore da fare.

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