E. IL PROCESSO PRIMARIO E IL PROCESSO SECONDARIO.
LA RIMOZIONE

Avventurandomi nel tentativo di penetrare più a fondo nella psicologia dei processi onirici, ho intrapreso un duro compito per il quale anche la mia capacità espositiva è appena sufficiente. Riprodurre nella descrizione, attraverso una successione, la simultaneità di un rapporto così complesso, e apparire in ogni enunciato libero da prevenzioni, sta diventando troppo pesante per le mie forze. Sconto ora le conseguenze del non poter seguire, nell’esposizione della psicologia del sogno, lo sviluppo storico delle mie opinioni. I punti di vista per la concezione del sogno mi venivano da lavori precedenti sulla psicologia delle nevrosi, alla quale non dovrei riferirmi in questa sede e alla quale d’altronde devo riferirmi continuamente, mentre vorrei procedere in direzione inversa, ritrovando a partire dal sogno la connessione con la psicologia delle nevrosi. Conosco tutte le difficoltà che ne nascono per il lettore, ma non conosco alcun mezzo per evitarle.977

Scontento di questa situazione, indugio volentieri su un altro punto di vista, dal quale la mia fatica sembra acquistare maggior valore. Mi son trovato di fronte a un argomento dominato dai più violenti contrasti di opinione fra gli studiosi, come ho mostrato nella premessa al capitolo 1. Nella nostra elaborazione dei problemi del sogno, si è fatto posto alla maggior parte di questi contrasti. Siamo stati costretti a contestare – e in modo addirittura deciso – soltanto due delle opinioni espresse, l’opinione che il sogno sia un processo privo di senso [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3] e quella che sia un processo somatico [vedi il cap. 1, par. G, in OSF, vol. 3]; ma per il resto abbiamo dato ragione, in un punto o nell’altro dell’intricato contesto della nostra trattazione, a tutte le opinioni in contrasto fra loro e abbiamo potuto dimostrare che i vari autori avevano pur ritrovato qualche cosa di esatto. Che il sogno continui le aspirazioni e gli interessi della veglia [vedi il cap. 1, par. A, in OSF, vol. 3], è stato confermato in modo assolutamente generale dalla scoperta dei pensieri onirici latenti. Questi si occupano unicamente di ciò che ci sembra importante e ci interessa molto. Il sogno non si occupa mai di inezie. Ma abbiamo accettato anche il contrario, vale a dire che il sogno raccoglie i rifiuti indifferenti della giornata e non riesce a impadronirsi di un grande interesse diurno, se questo non si è prima sottratto, in qualche modo, al lavoro della veglia [vedi il cap. 1, par. B, in OSF, vol. 3]. Questa conclusione ci è parsa valida per il contenuto del sogno, che conferisce ai pensieri onirici un’espressione alterata dalla deformazione. Il processo onirico, abbiamo detto, si impossessa più facilmente, per ragioni di meccanica associativa, del materiale rappresentativo recente, o di quello indifferente, che l’attività di pensiero vigile non ha ancora confiscato; e per ragioni di censura opera una traslazione di intensità psichica da ciò che è importante, ma anche riprovevole, a ciò che è indifferente.

L’ipermnesia del sogno [vedi il cap. 1, par. B, in OSF, vol. 3] e la disponibilità del materiale infantile [ibid.] sono divenuti i pilastri di base della nostra teoria; in essa, la parte di motore indispensabile alla formazione del sogno è stata attribuita al desiderio che sorge dal materiale infantile. Naturalmente, non abbiamo mai pensato di dubitare dell’importanza, sperimentalmente confermata, degli stimoli sensoriali esterni durante il sonno [vedi il cap. 1, par. C, sottopar. 1, in OSF, vol. 3], ma abbiamo posto questo materiale – rispetto al desiderio del sogno – nello stesso rapporto dei residui ideativi, sopravanzati al lavoro diurno. Non abbiamo bisogno di negare che il sogno interpreta lo stimolo sensoriale oggettivo alla stregua di un’illusione [ibid.], ma abbiamo aggiunto il motivo di quest’interpretazione, che tutti gli studiosi avevano lasciato indeterminato. L’interpretazione avviene in modo che l’oggetto percepito non disturba il sonno e diviene utilizzabile per l’appagamento di un desiderio. Non ammettiamo, è vero, come fonte particolare del sogno, lo stato d’eccitamento soggettivo degli organi di senso, che sembra dimostrato da Trumbull Ladd,978 ma siamo in grado di spiegarlo attraverso la rianimazione regressiva dei ricordi che agiscono dietro il sogno. Anche alle sensazioni organiche interne, delle quali si fa volentieri il fulcro della spiegazione del sogno [vedi il cap. 1, par. C, sottopar. 3, in OSF, vol. 3] è rimasta una parte, seppure più modesta, nella nostra concezione. Queste sensazioni – quella di cadere, di essere librati, di essere impediti – rappresentano per noi un materiale sempre pronto, di cui il lavoro onirico si serve per esprimere i pensieri del sogno, ogniqualvolta ve ne sia necessità.

Dal punto di vista della percezione cosciente del contenuto onirico già formato, ci sembra esatto dire che il processo onirico è rapido, istantaneo [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3]; dal punto di vista delle fasi precedenti di questo processo, ci è sembrato probabile un decorso lento, ondeggiante. A proposito dell’enigma costituito da un contenuto onirico ricchissimo, concentrato nell’attimo più breve, abbiamo potuto offrire il chiarimento che si tratta della cattura di prodotti ormai pronti della vita psichica. Che il sogno nel ricordo venga deformato e mutilato (vedi il cap. 1, par. D, in OSF, vol. 3), ci è sembrato esatto, ma non imbarazzante, perché si tratta in questo caso soltanto dell’ultima fase, manifesta, di un lavoro di deformazione in corso sin dall’inizio della formazione del sogno. Nel dibattito accanito e apparentemente inconciliabile, tra chi sostiene che la vita psichica durante la notte dorme [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3] e chi sostiene che invece dispone di tutte le sue facoltà come di giorno [ibid.], abbiamo dato ragione a entrambe le parti, senza però poter dare completamente ragione a nessuna delle due. Nei pensieri del sogno abbiamo trovato le prove di un’attività intellettuale estremamente complessa che si serve di quasi tutti i mezzi dell’apparato psichico; non si può però negare che questi pensieri del sogno sono sorti di giorno ed è indispensabile ammettere che esiste uno stato di sonno della vita psichica. In questo modo ha acquistato valore perfino la teoria del sonno parziale [vedi il cap. 1, par. G, in OSF, vol. 3]; ma non abbiamo posto la caratteristica dello stato di sonno nella dissoluzione delle connessioni psichiche, bensì nell’impostazione del sistema psichico, che domina di giorno, sul desiderio di dormire. Il distacco dal mondo esterno [vedi il cap. 1, par. A, in OSF, vol. 3] ha conservato il suo significato anche nella nostra concezione; esso contribuisce, seppure non in veste di momento determinante unico, a rendere possibile la regressione della rappresentazione onirica. La rinuncia a dirigere ad arbitrio il decorso delle rappresentazioni è incontestabile [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3]; ma non per questo la vita psichica diventa priva di scopo, perché, abbiamo visto che, venute meno le rappresentazioni finalizzate volute, giungono al potere quelle non volute. Non solo abbiamo riconosciuto l’allentamento nel sogno della concatenazione associativa [ibid.], ma abbiamo attribuito ad esso un ambito molto maggiore di quel che si potesse supporre; abbiamo però trovato che si tratta soltanto della sostituzione forzata di un’altra concatenazione corretta e significativa. Certo, anche noi abbiamo chiamato il sogno assurdo; ma alcuni esempi hanno potuto insegnarci quanto assennato esso sia nel momento in cui si finge assurdo. Nessun contrasto ci divide, quanto alle funzioni che sono state riconosciute al sogno. Che il sogno scarichi la psiche come una valvola [vedi il cap. 1, par. G, in OSF, vol. 3] e che, secondo l’espressione di Robert,979 ogni sorta di fatti nocivi diventi innocua attraverso la rappresentazione onirica, è un fatto che non solo coincide esattamente con la nostra teoria del duplice appagamento di desiderio attraverso il sogno, ma ci diventa addirittura, grazie alla sua formulazione, più comprensibile che nella teoria di Robert. Il libero, sicuro procedere di tutte le facoltà psichiche [ibid.] si ritrova, nella nostra teoria, nella piena libertà concessa al sogno dall’attività preconscia. Il “ritorno della vita psichica, nel sogno, al modo di vedere embrionale” e l’osservazione di Havelock Ellis:980 “un mondo arcaico di profonde emozioni e di pensieri imperfetti” [vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3] ci sembrano felici anticipazioni delle nostre tesi, che fanno partecipare alla formazione del sogno procedimenti operativi primitivi, repressi durante il giorno; l’affermazione di Sully981 che “i nostri sogni sono un mezzo per conservare queste [primitive] successive personalità. Nel sonno ritorniamo ai nostri antichi modi di guardare alle cose e ai nostri antichi sentimenti verso di esse, ritorniamo a impulsi e attività che ci hanno a lungo dominato” [ibid.] è stata fatta integralmente nostra; come per Delage982 [vedi il cap. 1, par. G, in OSF, vol. 3], anche per noi il “represso” diventa la molla del sognare.

Abbiamo riconosciuto in pieno la parte che Scherner attribuisce alla fantasia onirica [ibid.], nonché le interpretazioni dello stesso autore, ma abbiamo dovuto assegnar loro, per così dire, un’altra localizzazione del problema.983 Non è il sogno a creare la fantasia, ma è l’attività fantastica inconscia a svolgere la parte maggiore nella formazione dei pensieri del sogno. Siamo grati a Scherner per l’indicazione della fonte dei pensieri onirici; ma quasi tutto quello che egli attribuisce al lavoro onirico, va attribuito all’attività dell’inconscio, che opera di giorno; quest’attività fornisce lo spunto del sogno nonché dei sintomi nevrotici. Siamo stati costretti a separare il lavoro onirico da quest’attività, come qualche cosa di totalmente diverso e molto più coerente. Infine, non abbiamo affatto rinunciato alla relazione tra sogno e disturbi psichici [vedi il cap. 1, par. H, in OSF, vol. 3], anzi l’abbiamo consolidata su una nuova base.

Congiunti come in una superiore unità da ciò che di nuovo vi è nella nostra teoria del sogno, troviamo dunque inseriti nel nostro edificio concettuale i risultati più disparati e contraddittori degli studiosi; taluni li abbiamo utilizzati diversamente, soltanto pochi respinti del tutto. Ma anche la nostra costruzione è tuttora incompleta. A prescindere dalle molte incertezze che abbiamo incontrato penetrando nelle tenebre della psicologia, una nuova contraddizione sembra angustiarci. Da un lato abbiamo fatto sorgere i pensieri del sogno da un lavoro mentale del tutto normale; ma dall’altro lato abbiamo ritrovato in mezzo a essi, e sulla strada che da essi conduce al contenuto onirico, una serie di processi ideativi completamente abnormi, che ripercorriamo poi nel corso dell’interpretazione. Tutto ciò che abbiamo chiamato “lavoro onirico” sembra discostarsi a tal punto dai processi a noi noti come corretti, da indurci a considerare senz’altro come appropriati i più duri giudizi degli studiosi sulla ridotta attività psichica del sogno.

Forse soltanto inoltrandoci ancor più nel problema, riusciremo a trovare una spiegazione e un rimedio. Voglio scegliere una delle costellazioni che conducono alla formazione del sogno.

Abbiamo visto che il sogno sostituisce numerosi pensieri che provengono dalla nostra vita diurna e sono connessi in modo completamente logico. Non possiamo perciò porre in dubbio che questi pensieri derivino dalla nostra vita mentale normale. Nei pensieri del sogno ritroviamo tutte le qualità che apprezziamo altamente nei nostri corsi ideativi e attraverso le quali essi si caratterizzano come operazioni complesse di alto livello. Ma nulla ci costringe a supporre che questo lavoro intellettuale sia stato compiuto durante il sonno. Ciò disturberebbe gravemente la rappresentazione dello stato di sonno psichico, alla quale ci siamo finora attenuti. Questi pensieri, piuttosto, possono benissimo derivare dalla vita diurna, essersi prolungati oltre il loro punto d’avvio, inosservati dalla coscienza, ed essersi poi trovati pronti quando ci addormentiamo. Dovendo trarre qualche deduzione da questo stato di cose, ciò potrebbe essere tutt’al più la prova che le attività intellettuali più complesse sono possibili senza la partecipazione della coscienza, il che del resto avremmo dovuto sapere da qualsiasi psicoanalisi di isterico o di persona soggetta a nevrosi ossessiva. Questi pensieri onirici di per sé non sono certo incapaci di giungere alla coscienza; se durante la giornata non ne abbiamo preso coscienza, ciò può dipendere da vari motivi. La presa di coscienza è connessa con l’applicazione di una certa funzione psichica, l’attenzione [vedi il cap. 7, par. B, in OSF, vol. 3], che, impiegata, a quanto pare, soltanto in quantità definita, potrebbe essere distolta dalla rispettiva successione di pensieri in direzione di altre mete.984 Vi è un’altra modalità secondo cui tali successioni ideative possono venire defraudate della coscienza: sappiamo dalla nostra riflessione cosciente che, quando applichiamo l’attenzione, seguiamo una via definita; se su questa via giungiamo a una rappresentazione che non regge alla critica, interrompiamo, lasciamo cadere l’attenzione che vi abbiamo investito. Ora sembra che la serie di pensieri iniziata e abbandonata possa poi continuare la propria trama senza che l’attenzione le si rivolga di nuovo, a meno che non raggiunga in un punto un’intensità singolarmente alta, che strappa l’attenzione. Un rifiuto iniziale, forse avvenuto coscientemente, attraverso il giudizio che si tratta di un processo ideativo inesatto o inutilizzabile per lo scopo attuale dell’atto mentale, può dunque essere la causa del fatto che questo processo si protrae, inosservato dalla coscienza, sino al momento di addormentarsi.

Riassumendo, chiamiamo preconscia tale successione di pensieri, riteniamo che sia del tutto corretta e che possa essere sia semplicemente trascurata, sia interrotta e repressa. Diciamo anche francamente in che modo ci raffiguriamo il decorso della rappresentazione. Noi crediamo che, partendo da una rappresentazione finalizzata, lungo le vie associative che questa ha scelto venga spostata una certa quantità di eccitamento, che chiamiamo “energia di investimento”. Una successione di pensieri “trascurata” non ha avuto tale investimento; e questo è stato ritirato da una successione “repressa” o “rifiutata”; ambedue sono lasciate ai loro propri eccitamenti. La successione di pensieri finalizzata diventa capace in certe condizioni di attirare su di sé l’attenzione della coscienza e con la mediazione di quest’ultima ottiene poi un “sovrainvestimento”. Un po’ più avanti dovremo chiarire le nostre congetture sulla natura e sull’attività della coscienza. [Vedi il cap. 7, par. F, in OSF, vol. 3.]

Una successione di pensieri, suscitata in questo modo nel preconscio, può estinguersi spontaneamente o conservarsi. Nel primo caso, noi immaginiamo che la sua energia si diffonda in tutte le direzioni associative che si dipartono dalla successione stessa, ponendo tutta la catena di pensieri in uno stato di eccitamento che dura per un certo tempo, ma poi va diminuendo perché l’eccitamento, bisognoso di scarica, si tramuta in investimento inattivo. Se si verifica questo primo caso, il processo non ha più alcuna importanza per la formazione del sogno. Ma nel nostro preconscio sono in agguato altre rappresentazioni finalizzate che derivano dai nostri sempre vivi desideri inconsci. Esse possono impadronirsi dell’eccitamento esistente nella cerchia di pensieri lasciati a sé stessi, stabilendo il collegamento tra questa cerchia e il desiderio inconscio, e operando una traslazione su di essa dell’energia propria del desiderio inconscio: da questo momento in avanti la successione di pensieri trascurata o repressa è in grado di conservarsi, quantunque da questo rafforzamento non le venga alcun diritto di accedere alla coscienza. Possiamo dire che la successione di pensieri finora preconscia è stata attirata nell’inconscio.

Altre costellazioni che portano alla formazione del sogno potrebbero essere: la successione di pensieri preconscia era sin da prima collegata col desiderio inconscio, e per questo ha incontrato il rifiuto dell’investimento finalizzato dominante; oppure, per altre ragioni (per esempio somatiche), si è destato un desiderio inconscio il quale, senza che nulla gli venga incontro, cerca una traslazione sui residui psichici non investiti dal preconscio. Alla fine, tutti e tre i casi coincidono nel risultato: nel preconscio si realizza un tratto di pensieri che, disertato dall’investimento preconscio, ha ricevuto un investimento energetico dal desiderio inconscio.

Da questo momento il tratto di pensieri subisce una serie di commutazioni, che non riconosciamo più come processi psichici normali, e dalle quali si ottiene un risultato che per noi è sorprendente: una formazione psicopatologica. Vogliamo rilevarle e raggrupparle:

1) Le intensità delle singole rappresentazioni diventano capaci di defluire nella loro totalità e passano da una rappresentazione all’altra, di modo che si formano singole rappresentazioni dotate di grande intensità. [Vedi il cap. 6, par. C, in OSF, vol. 3.] Ripetendosi più volte il processo, l’intensità di tutta una serie di pensieri può infine trovarsi raccolta in un unico elemento rappresentativo. È questa la compressione o condensazione, che abbiamo imparato a conoscere durante il lavoro onirico. È la principale responsabile della sorprendente impressione destata dal sogno, poiché nella vita psichica normale, accessibile alla coscienza, non conosciamo nulla di analogo. Anche nella vita psichica normale abbiamo rappresentazioni che rivestono grande importanza psichica, in qualità di punti nodali oppure di risultati finali di intere catene di pensieri, ma questo valore non si manifesta in alcun carattere che la percezione interna possa percepire; ciò che è rappresentato in essa non diventa per questo in alcun modo più intenso. Nel processo di condensazione, tutto il contesto psichico si converte in intensità del contenuto rappresentativo. È come quando in un libro faccio stampare in caratteri spazieggiati o in grassetto una parola, cui annetto un valore capitale per la comprensione del testo. Parlando, direi questa parola ad alta voce e lentamente, accentuandola energicamente. Il primo paragone porta immediatamente a un esempio preso a prestito dal lavoro onirico (“trimetilamina” nel sogno dell’iniezione fatta a Irma [vedi il cap. 2, Analisi, in OSF, vol. 3]). Gli storici d’arte ci fanno notare che le più antiche sculture che la storia ci ha consegnato seguono un principio analogo, esprimendo l’eminenza del grado delle persone raffigurate con la grandezza della figura. Il re è scolpito tre, quattro volte più grande delle persone del suo seguito o del nemico sconfitto. Una scultura dell’epoca romana si servirà allo stesso scopo di mezzi più raffinati: porrà la figura dell’imperatore al centro, lo mostrerà eretto in tutta la persona, curerà in modo particolare la perfezione della sua figura, porrà i nemici ai suoi piedi, ma non lo farà più apparire gigante fra nani. Con tutto ciò, l’inchino del dipendente dinanzi al superiore è ancor oggi fra noi un residuo di quell’antico principio di rappresentazione.

La direzione in cui procedono le condensazioni del sogno è prescritta, da un lato, dalle corrette relazioni preconsce dei pensieri onirici, dall’altro lato, dall’attrazione dei ricordi visivi presenti nell’inconscio. Il lavoro di condensazione fornisce come risultato le intensità richieste per l’irruzione nei sistemi percettivi.

2) A causa della libertà di traslazione propria delle intensità e al servizio della condensazione, si formano rappresentazioni intermedie, in certo modo simili a compromessi (confronta i numerosi casi che ho riportato [per esempio, vedi il cap. 6, par. A, sottopar. 3, in OSF, vol. 3]). Anche questo è qualche cosa di inaudito per il decorso normale delle rappresentazioni, in cui si tratta soprattutto di scegliere e di mantenere il “giusto” elemento della rappresentazione. Al contrario, quando cerchiamo l’espressione linguistica per i pensieri preconsci, si verificano molto spesso formazioni miste e di compromesso, che vengono indicate come varietà di lapsus verbali.

3) Le rappresentazioni che trasferiscono l’una all’altra le proprie intensità sono quelle che hanno tra loro i rapporti più deboli e sono congiunte da tipi di associazioni che il nostro pensiero disdegna e concede unicamente all’uso delle battute di spirito. Vengono considerate intercambiabili soprattutto le rappresentazioni associabili per assonanza e contesto.

4) I pensieri che sono in contraddizione fra loro non tendono a eliminarsi a vicenda, ma coesistono l’uno a fianco dell’altro, e spesso si congiungono tra loro per produrre condensazioni come se non esistesse alcuna contraddizione, o formano compromessi, che non perdoneremmo mai al nostro pensiero, ma che spesso accettiamo nel nostro agire.

Questi sarebbero alcuni dei più vistosi processi anormali, ai quali vengono sottoposti, nel corso del lavoro onirico, i pensieri del sogno che in precedenza sono stati formati razionalmente. L’unica cosa che conta – e in ciò viene riconosciuto il carattere essenziale di questi processi – è rendere mobile e idonea alla scarica l’energia di investimento impiegata; il contenuto e il significato proprio degli elementi psichici, ai quali sono annessi questi investimenti energetici, diventano secondari. Si potrebbe anche ritenere che la condensazione e la formazione di compromessi si verifichino unicamente al servizio della regressione, cioè quando si tratta di convertire i pensieri in immagini. Ma dall’analisi e, in modo ancor più chiaro, dalla sintesi di sogni che mancano della regressione a immagini, per esempio del sogno “Autodidasker” [vedi il cap. 6, par. A, sottopar. 5, in OSF, vol. 3], risultano gli stessi processi di spostamento e di condensazione che si ritrovano negli altri sogni.

Dobbiamo dunque ammettere che alla formazione del sogno partecipano due tipi di processi psichici, di natura diversa; uno crea pensieri onirici perfettamente corretti, equivalenti al pensiero normale; l’altro procede con essi in modo assai strano, scorretto. Già nel capitolo 6 abbiamo isolato quest’ultimo processo, definendolo lavoro onirico vero e proprio. Ma che cosa abbiamo ora da dire a proposito della sua derivazione?

Non saremmo in grado a questo punto di dare una risposta se non fossimo penetrati per un certo tratto nella psicologia delle nevrosi, specialmente dell’isteria. Questa ci insegna che i medesimi processi psichici scorretti – e altri non ancora elencati – dominano la produzione dei sintomi isterici. Anche nell’isteria troviamo, in un primo tempo, una serie di pensieri perfettamente corretti, assolutamente equivalenti ai nostri pensieri coscienti, della cui esistenza però nulla possiamo sapere finché sono in questa forma, e che noi ricostruiamo soltanto in un secondo tempo. Se in qualche punto si infiltrano nella nostra percezione, dall’analisi del sintomo in atto desumiamo che questi pensieri normali hanno subito un trattamento anormale e sono stati tradotti nel sintomo mediante condensazione, formazione di compromessi, per associazioni superficiali, per occultamento delle contraddizioni, eventualmente procedendo nel senso della regressione. Considerando la piena identità esistente tra le peculiarità del lavoro onirico e quelle dell’attività psichica che sbocca nei sintomi psiconevrotici, ci riterremo autorizzati a trasferire al sogno le conclusioni che siamo stati costretti a trarre per l’isteria.

Dalla teoria dell’isteria deduciamo il principio seguente: una tale elaborazione psichica anormale di una successione di pensieri normale si verifica solo quando quest’ultima si è fatta traslazione di un desiderio inconscio, che deriva dal materiale infantile e si trova in stato di rimozione. In accordo a questo principio, abbiamo fondato la teoria del sogno sull’ipotesi che il desiderio motore del sogno abbia origine in ogni caso dall’inconscio, il che, come abbiamo ammesso noi stessi, non sempre si può dimostrare, ma nemmeno respingere. Per poter dire però che cosa sia la “rimozione”, parola, questa, con cui abbiamo tanto spesso giocato, dobbiamo andare avanti nella costruzione della nostra impalcatura psicologica.

Ci eravamo immersi nella finzione di un apparato psichico primitivo [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3], il cui lavoro è regolato dallo sforzo di evitare un’accumulazione di eccitamento e di mantenersi il più possibile privo di stimoli. Per questa ragione, esso era costruito secondo lo schema di un apparato riflesso; la motilità, vale a dire ciò che immediatamente dà luogo al mutamento interno del corpo, era la via di cui disponeva per la scarica. Abbiamo discusso poi le conseguenze psichiche di un’esperienza di soddisfacimento e già avremmo potuto inserire la seconda ipotesi, secondo la quale un’accumulazione di eccitamento – seguendo determinate modalità che non è necessario determinare – viene sentita come dispiacere e mette in moto l’apparato, allo scopo di ottenere nuovamente lo stato di soddisfacimento, in cui la riduzione dell’eccitamento viene provata come piacere. Chiamiamo desiderio codesta corrente all’interno dell’apparato, che parte dal dispiacere e mira al piacere; abbiamo detto che nulla, fuorché un desiderio, è in grado di mettere in moto l’apparato e che in esso il decorso dell’eccitamento è regolato automaticamente dalle percezioni di piacere e dispiacere. È probabile che il primo atto di desiderio sia stato un investimento allucinatorio del ricordo di soddisfacimento. Ma quest’allucinazione – a meno di non serbarla sino all’esaurimento – si rivelò incapace di provocare la cessazione del bisogno, vale a dire il piacere legato al soddisfacimento.

Si rese così necessaria una seconda attività – nei nostri termini, l’attività di un secondo sistema – che non permettesse all’investimento del ricordo di avanzare fino alla percezione e di legare, a partire di lì, le forze psichiche, ma guidasse l’eccitamento proveniente dallo stimolo di bisogno per una via indiretta, la quale infine, attraverso la motilità volontaria, trasformasse il mondo esterno e lo trasformasse in modo tale da consentire la percezione reale dell’oggetto di soddisfacimento. Abbiamo già seguito fino a questo punto lo schema dell’apparato psichico; i due sistemi sono il germe di ciò che, nell’apparato sviluppato appieno, indichiamo come Inc e Prec.

Per poter utilmente trasformare il mondo esterno attraverso la motilità, è necessario accumulare una grande quantità di esperienze nei sistemi mnestici e fissare in modo multiforme le relazioni, che vengono evocate in questo materiale mnestico da diverse rappresentazioni finalizzate. [Vedi il cap. 7, par. B, in OSF, vol. 3.] Proseguiamo ora con le nostre ipotesi. L’attività del secondo sistema, attività che procede spesso a tentoni, che diffonde investimenti e di nuovo li ritira, ha bisogno da un lato di disporre liberamente di tutto il materiale mnestico; dall’altro lato, si consumerebbe in modo superfluo, se inviasse nelle singole vie di pensiero grandi quantità di investimento energetico, che poi si disperderebbero inutilmente e ridurrebbero la quantità necessaria alla trasformazione del mondo esterno. Per amore di funzionalità, postulo dunque che il secondo sistema riesca a mantenere inattiva la maggior parte degli investimenti energetici e a usarne per lo spostamento soltanto una piccola parte. Il meccanismo di questi processi mi è del tutto ignoto; chi volesse approfondire quest’ordine di idee, dovrebbe ricorrere alle analogie della fisica e trovare una via per illustrare il processo motorio con l’eccitamento neuronico. Per parte mia, persisto soltanto nel ritenere che l’attività del primo sistema ψ sia volta a un libero deflusso delle quantità d’eccitamento e che il secondo sistema provochi, attraverso gli investimenti che da esso promanano un ostacolo a questo deflusso, una trasformazione in investimento energetico inattivo, probabilmente con un aumento di livello. Suppongo dunque che il decorso dell’eccitamento sia legato, sotto il dominio del secondo sistema, a condizioni meccaniche interamente diverse da quelle vigenti sotto il dominio del primo. Una volta concluso il suo lavoro mentale di verifica, anche il secondo sistema fa in modo che venga meno l’ostacolo e l’ingorgo degli eccitamenti, permettendo loro di defluire verso la motilità.

Prendendo ora in considerazione i rapporti tra quest’ostacolo al deflusso, messo in atto dal secondo sistema, e la regolazione effettuata dal principio di dispiacere,985 si ottengono interessanti deduzioni. Cerchiamo il corrispettivo opposto dell’esperienza primaria di soddisfacimento, l’esperienza di spavento esteriore. Supponiamo che uno stimolo percettivo, fonte di un eccitamento doloroso, agisca sull’apparato primitivo. Ne risulteranno espressioni motorie disordinate, sinché una di esse sottrarrà l’apparato alla percezione e contemporaneamente al dolore; tale espressione si ripeterà immediatamente, per esempio come movimento di fuga, alla ricomparsa della percezione, sinché quest’ultima scomparirà di nuovo. In questo caso non rimarrà alcuna tendenza a reinvestire, sia in modo allucinatorio sia in altro modo, la percezione corrispondente alla fonte di dolore. Nell’apparato primario esisterà piuttosto la tendenza ad abbandonare tosto quest’immagine mnestica penosa, non appena venga in qualche modo destata, poiché il traboccare del suo eccitamento nella percezione provocherebbe (o meglio: incomincerebbe a provocare) dispiacere. L’allontanamento dal ricordo, che è una semplice ripetizione della fuga originaria dalla percezione, viene anche facilitato dal fatto che il ricordo non possiede, a differenza della percezione, qualità sufficiente per stimolare la coscienza e quindi attirare su di sé un nuovo investimento. Quest’allontanamento agevole e regolare del processo psichico dal ricordo di ciò che un tempo era penoso fornisce il modello e il primo esempio della rimozione psichica. Ognuno sa quanta parte di quest’allontanamento da ciò che è penoso, di questa tattica dello struzzo, si possa tuttora ritrovare nella vita psichica normale dell’uomo adulto.

In virtù del principio di dispiacere, il primo sistema ψ è dunque del tutto incapace di trascinare alcunché di spiacevole nella concatenazione ideativa. Esso non può far altro che desiderare. Se le cose restassero in questo modo, il lavoro ideativo del secondo sistema, che ha bisogno di disporre di tutti i ricordi depositati nell’esperienza, sarebbe ostacolato. A questo punto si dischiudono due vie: o il lavoro del secondo sistema si affranca completamente dal principio di dispiacere o prosegue la sua via senza preoccuparsi del dispiacere legato al ricordo, oppure sa investire il ricordo spiacevole in modo tale da evitare la liberazione di dispiacere. Possiamo respingere la prima eventualità, perché il principio di dispiacere dimostra di essere anche il regolatore del decorso di eccitamento del secondo sistema; siamo quindi indirizzati verso l’altra ipotesi, per cui il secondo sistema investe un ricordo in modo da impedirvi il deflusso dell’eccitamento, e quindi anche il deflusso – paragonabile a un’innervazione motoria – in direzione dello sviluppo di dispiacere. Sono dunque due i punti di partenza – il riguardo per il principio di dispiacere e il principio del minimo dispendio d’innervazione – che ci portano all’ipotesi secondo cui l’investimento da parte del secondo sistema rappresenta nello stesso tempo un ostacolo al deflusso dell’eccitamento. Teniamo però ben fermo, perché è la chiave della teoria della rimozione, che il secondo sistema può investire una rappresentazione soltanto se è in grado di inibire lo sviluppo di dispiacere che ne deriva. Nel caso in cui qualche cosa si sottraesse a quest’inibizione, rimarrebbe inaccessibile anche al secondo sistema, verrebbe tosto abbandonato in virtù del principio di dispiacere. Non occorre tuttavia che l’inibizione del dispiacere sia completa; è necessario ammettere un inizio di dispiacere, che indichi al secondo sistema la natura del ricordo ed eventualmente la sua ridotta idoneità allo scopo perseguito dal pensiero.

Chiamerò ora processo primario il processo psichico che è ammesso unicamente dal primo sistema; processo secondario, quello che risulta dalla inibizione del secondo.986 Posso dare ancora un’altra indicazione sullo scopo che costringe il secondo sistema a correggere il processo primario. Quest’ultimo tende alla scarica dell’eccitamento per stabilire, grazie alla quantità di eccitamento così raccolta, un’identità di percezione [con l’esperienza di soddisfacimento (vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3)]; il processo secondario abbandona quest’intento, per accoglierne al suo posto un altro, il raggiungimento di un’identità di pensiero. L’intero atto del pensare è soltanto una via indiretta, che va dal ricordo di soddisfacimento, preso come rappresentazione finalizzata, all’investimento identico del medesimo ricordo, il quale deve essere raggiunto di nuovo passando per le esperienze motorie. Il pensiero deve interessarsi delle vie di comunicazione tra le rappresentazioni, senza lasciarsi sconcertare dalle intensità di queste. È però chiaro che le condensazioni di rappresentazioni, le formazioni intermedie e di compromesso ostacolano il raggiungimento di questa meta di identità: sostituendo una rappresentazione all’altra, allontanano dalla via che dalla prima rappresentazione avrebbe portato oltre. Questi processi vengono dunque accuratamente evitati nel pensiero secondario. Inoltre, non è difficile rendersi conto che il principio di dispiacere rende arduo il perseguimento dell’identità di pensiero da parte del processo ideativo, al quale peraltro offre i punti di appoggio più cospicui. La tendenza del pensiero dev’essere dunque volta ad affrancarsi sempre più dalla regolazione esclusiva operata dal principio di dispiacere e a limitare lo sviluppo di stati affettivi da parte del lavoro ideativo a un minimo, ancora utilizzabile come segnale.987 Sembra che questo affinamento dell’attività venga raggiunto attraverso un ulteriore sovrainvestimento, mediato dalla coscienza. [Vedi il cap. 7, par. F, in OSF, vol. 3.] Ma sappiamo che esso riesce raramente in modo completo, persino nella vita psichica normale, e che il nostro pensiero rimane sempre accessibile alla falsificazione dovuta all’ingerenza del principio di dispiacere.

Ma non è questa la lacuna nella capacità funzionale del nostro apparato psichico che permette ai pensieri risultanti dal lavoro ideativo secondario di cader preda del processo psichico primario, formula, questa, con cui possiamo ora descrivere il lavoro che porta sia al sogno sia ai sintomi isterici. L’inadeguatezza risulta dall’incontro di due momenti determinanti della nostra storia evolutiva, uno dei quali spetta interamente all’apparato psichico e ha esercitato un’influenza decisiva sul rapporto dei due sistemi, mentre l’altro interviene in misura variabile e introduce nella vita psichica forze motrici di origine organica. Entrambi provengono dalla vita infantile e costituiscono un precipitato della trasformazione che il nostro organismo psichico e somatico ha subito dai tempi dell’infanzia.

Se ho definito primario un processo psichico dell’apparato, non l’ho fatto soltanto tenendo conto dell’ordine di importanza e di capacità delle sue prestazioni, ma facendo intervenire nel discorso anche le condizioni temporali. Un apparato psichico che possieda soltanto il processo primario non esiste, è vero, per quel che ne sappiamo, ed è quindi una finzione teorica; ma sta di fatto che i processi primari sono dati in esso fin dall’inizio, mentre quelli secondari si sviluppano soltanto gradualmente, nel corso della vita; essi inibiscono e ricoprono quelli primari, e ne raggiungono il pieno dominio, forse soltanto con l’avvento della maturità. In seguito a questa comparsa tardiva dei processi secondari, il nucleo della nostra essenza, consistente in impulsi di desiderio inconsci, rimane inafferrabile e non soggetto a inibizione da parte del preconscio; la parte di questo è ridotta una volta per tutte ad assegnare agli impulsi di desiderio provenienti dall’inconscio le vie più convenienti. Per tutte le aspirazioni psichiche successive, questi desideri inconsci rappresentano una costrizione, cui debbono arrendersi e che possono eventualmente sforzarsi di deviare e di guidare verso mete più elevate. In seguito a questo ritardo, un notevole settore del materiale mnestico rimane inaccessibile anche all’investimento preconscio.

Tra questi moti di desiderio provenienti dal materiale infantile, che non possono essere né distrutti né inibiti, se ne trovano anche taluni il cui appagamento è in rapporto di contraddizione con le rappresentazioni finalizzate del pensiero secondario. L’appagamento di questi desideri non provocherebbe più uno stato affettivo di piacere, bensì di dispiacere, ed è appunto questa trasformazione dello stato affettivo che costituisce l’essenza di ciò che definiamo “rimozione.988 In che modo, attraverso quali forze motrici, si effettua questa trasformazione? Ecco il problema della rimozione, che in questa sede occorre soltanto sfiorare.989 Ci basta tener presente che tale trasformazione dello stato affettivo si verifica nel corso dello sviluppo (si pensi soltanto alla comparsa della ripugnanza, che da principio manca nella vita infantile) ed è legata all’attività del sistema secondario. I ricordi, a partire dai quali il desiderio inconscio provoca lo sprigionarsi dell’affetto, non sono mai stati accessibili al Prec e perciò è impossibile inibire tale sprigionamento. È appunto a causa di codesto sviluppo d’affetto che tali rappresentazioni non sono ora accessibili, nemmeno a partire dai pensieri preconsci sui quali hanno traslato la forza del loro desiderio. Entra invece in vigore il principio di dispiacere e fa sì che il Prec si allontani da questi pensieri di traslazione. Essi vengono lasciati a sé stessi, “rimossi”, e in questo modo la presenza di un patrimonio mnestico infantile, sottratto sin dall’inizio al preconscio, diventa la condizione prima della rimozione.

Nel caso più favorevole, lo sviluppo di dispiacere termina non appena venga sottratto l’investimento energetico ai pensieri di traslazione nel Prec, e questo risultato significa che l’intervento del principio di dispiacere è opportuno. Le cose sono invece diverse se il desiderio inconscio rimosso subisce un rafforzamento organico, che esso può cedere ai suoi pensieri di traslazione, mettendoli così in condizione di tentare, in forza del loro eccitamento, la penetrazione nella coscienza, anche se sono stati abbandonati dall’investimento del Prec. Si giunge allora a una lotta difensiva, perché il Prec rafforza l’opposizione ai pensieri rimossi (controinvestimento), e, in seguito, alla penetrazione dei pensieri di traslazione portatori del desiderio inconscio, con un tipo qualsiasi di compromesso per formazione sintomatica. Dal momento però in cui i pensieri rimossi sono investiti intensamente dall’eccitamento inconscio del desiderio e sono invece abbandonati dall’investimento preconscio, essi sottostanno al processo psichico primario e mirano unicamente a una scarica motoria oppure, trovando via libera, a un ravvivamento allucinatorio della desiderata identità percettiva. In precedenza, abbiamo scoperto empiricamente che i processi scorretti da noi descritti si svolgono soltanto su pensieri che sono rimossi. [Vedi il cap. 7, par. E, in OSF, vol. 3.] Siamo ora in grado di procedere oltre. Questi processi scorretti sono nell’apparato psichico quelli primari; si verificano ogni volta che alcune rappresentazioni, abbandonate dall’investimento preconscio e lasciate a sé stesse, sono in grado di appagarsi con l’energia non inibita, e tendente a scaricarsi, che proviene dall’inconscio. Qualche altra osservazione giunge qui a sostegno della concezione secondo la quale questi processi chiamati scorretti non sono in realtà falsificazioni dei processi normali, errori di pensiero, bensì procedimenti operativi, liberati da un’inibizione, dell’apparato psichico. Così vediamo che il trasferimento dell’eccitamento preconscio sulla motilità avviene secondo gli stessi processi, e che la connessione fra rappresentazioni inconsce e parole mostra facilmente gli stessi spostamenti e le stesse mescolanze, attribuite alla disattenzione. Infine, una prova dell’aumento di lavoro che si rende necessario allo scopo di inibire questi procedimenti primari potrebbe risultare dal fatto che otteniamo un effetto comico, un’eccedenza che va scaricata attraverso il riso, se consentiamo loro di penetrare nella coscienza.990

La teoria delle psiconevrosi afferma con assoluta certezza che possono essere soltanto impulsi di desiderio sessuali, derivanti dal materiale infantile, quelli che nei periodi di sviluppo della puerizia hanno subito la rimozione (trasformazione affettiva) e poi, in periodi di sviluppo successivi, sono capaci di un rinnovamento – sia in virtù della costituzione sessuale, la quale infatti si sviluppa dall’originaria bisessualità, sia in seguito a influssi sfavorevoli della vita sessuale – e così provvedono le forze motrici per ogni formazione di sintomi psiconevrotici.991 Soltanto introducendo queste forze sessuali, è possibile colmare le lacune ancora riscontrabili nella teoria della rimozione. Intendo lasciare indeciso se sia lecito avanzare il requisito dell’elemento sessuale e infantile anche per la teoria del sogno; in questo punto non intendo completarla, perché già con l’ipotesi che il desiderio del sogno proviene ogni volta dall’inconscio, sono uscito di un passo dal dimostrabile.992 Né voglio indagare oltre in che consista la differenza nel giuoco delle forze psichiche tra la formazione del sogno e quella dei sintomi isterici; ci manca infatti la conoscenza particolareggiata di uno dei termini di paragone. Ma dò importanza a un altro punto e devo confessare che soltanto per esso ho raccolto qui tutte le discussioni sui due sistemi psichici, i loro procedimenti operativi e la rimozione. Non ha nessuna importanza in realtà, qui, ch’io abbia compreso i rapporti psicologici in questione in modo approssimativamente esatto o, com’è possibile in cose tanto difficili, in modo erroneo o lacunoso. Comunque possa variare l’interpretazione della censura psichica, dell’elaborazione corretta e anormale del contenuto onirico, resta valido che tali processi sono attivi nella formazione del sogno e che, in sostanza, presentano la più grande analogia con i processi riconosciuti nella formazione dei sintomi isterici. Ora il sogno non è un fenomeno patologico; non ha per presupposto alcuna perturbazione dell’equilibrio psichico, non lascia dietro di sé nessun indebolimento della capacità operativa. L’obiezione che dai miei sogni, come da quelli dei miei pazienti nevrotici, non si possono trarre deduzioni sui sogni di persone sane, non dovrebbe neppure essere presa in considerazione. Se dunque dai fenomeni deduciamo le loro forze motrici, dobbiamo riconoscere che il meccanismo psichico di cui si serve la nevrosi non viene creato da un’alterazione patologica che colpisce la vita psichica, ma si trova già pronto nella struttura normale dell’apparato psichico. I due sistemi psichici, la censura di passaggio fra essi, l’inibizione e la sovrapposizione di un’attività sull’altra, le relazioni di entrambe con la coscienza – oppure ciò che in loro vece può darmi un’interpretazione più esatta delle condizioni reali – tutto ciò fa parte dell’assetto normale del nostro strumento psichico e il sogno ci indica una delle vie che portano alla conoscenza di questo assetto. Volendoci accontentare di un minimo accrescimento di conoscenza assolutamente sicura, diremo: il sogno ci dimostra che il materiale represso continua a sussistere anche nell’uomo normale e rimane capace di prestazioni psichiche. Il sogno stesso è una delle manifestazioni di questo materiale represso; secondo la teoria lo è in tutti i casi, secondo l’esperienza concreta almeno in un gran numero di casi, nei quali saltano agli occhi nel modo più chiaro i sorprendenti caratteri del sogno. Ciò che è represso psichicamente, ciò che nella vita vigile è stato ostacolato nella propria espressione dalla reciproca eliminazione delle contraddizioni, ed escluso dalla percezione interna, trova nella vita notturna, e sotto il dominio delle formazioni di compromesso, mezzi e vie per imporsi alla coscienza.

Flectere si nequeo Superos, Acheronta movebo.

[Se non potrò piegare gli Dèi, mi indirizzerò verso l’Acheronte.]993

Ma l’interpretazione del sogno è la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica.

Seguendo l’analisi del sogno, raggiungiamo una conoscenza parziale della composizione di questo strumento quant’altri mai misterioso e stupendo; certo, una conoscenza parziale, ma con essa ha inizio un’analisi approfondita, condotta a partire da altre formazioni, che si devono definire patologiche. Poiché la malattia – perlomeno quella chiamata a buon diritto funzionale – non ha per presupposto la distruzione dell’apparato, né la produzione di nuove scissure nel suo interno, essa va spiegata dinamicamente, attraverso l’invigorimento o l’indebolimento delle parti che intervengono nel giuoco di forze, di cui numerosi effetti rimangono celati durante la funzione normale. Altrove potremmo ancora indicare in che modo la composizione dell’apparato, basata sulle due istanze, permetta anche all’attività normale un affinamento che sarebbe impossibile a una sola istanza.994

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