Il Mosè di Michelangelo è raffigurato seduto, il tronco teso in avanti, il capo con la barba possente e lo sguardo diretto verso sinistra, il piede destro posato al suolo, mentre il sinistro è posto in modo che tocca il suolo soltanto con le dita, il braccio destro in contatto con le tavole e una parte della barba; il braccio sinistro posa sul grembo.409 Se volessi dare una descrizione più precisa, sarei costretto ad anticipare ciò che intendo esporre dopo. Le descrizioni degli studiosi sono talvolta notevolmente poco centrate. Ciò che non è stato capito è stato anche percepito o riferito con imprecisione. Grimm dice che la mano destra, “sotto il cui braccio stanno le tavole della Legge, afferra la barba”.410 Così anche Lübke:411 “Scosso nell’intimo, afferra con la destra la barba che fluisce maestosa...”; e Springer:412 “Mosè preme una mano (la sinistra) sul corpo, con l’altra afferra quasi inconsapevolmente la barba che ondeggia possente.” Justi trova che le dita della mano (destra) giocano con la barba “come l’uomo civilizzato gioca, quando è agitato, con la catena dell’orologio”.413 Anche Müntz rileva questo giocare con la barba.414 Thode parla dell’“atteggiamento di pacata fermezza della mano destra sopra le tavole che le si ergono contro”;415 proprio nella mano destra egli non riconosce alcun segno di eccitazione, al contrario di quanto sostengono, con argomenti analoghi, Justi e Camillo Boito.416 “La mano resta, nell’atto di afferrare la barba, nella stessa posizione in cui si trovava prima che il Titano volgesse a lato la testa.”417 Jakob Burckhardt afferma che “il famoso braccio sinistro, in fondo, non ha altro da fare che schiacciare questa barba contro il corpo.”418
Tav. 1. Michelangelo: Mosè (Roma, San Pietro in Vincoli)
Se le descrizioni non coincidono, non ci meraviglieremo delle differenze con cui sono stati valutati alcuni particolari della statua. Io credo infatti che non si possa caratterizzare meglio l’espressione del volto di Mosè di quanto faccia Thode, il quale vi legge “un miscuglio di ira, dolore e disprezzo... l’ira nelle sopracciglia minacciosamente contratte, il dolore nello sguardo degli occhi, il disprezzo nel labbro inferiore proteso e negli angoli della bocca piegati all’ingiù”.419 Ma altri ammiratori devono aver visto quest’opera con occhi diversi. Così giudicava Dupaty:420 “Quella augusta fronte sembra esser solo un velo trasparente, che copre appena uno spirito immenso.” Al contrario Lübke:421 “Nel capo si cercherebbe invano l’espressione di un’intelligenza superiore; nella fronte contratta non si esprime nient’altro che la capacità di un’ira mostruosa, di un’energia che infrange ogni cosa.” Guillaume si allontana ancora di più da Thode nella sua interpretazione dell’espressione del volto di Mosè, nel quale non ravvisa eccitazione alcuna, ma “soltanto un’orgogliosa semplicità, una dignità colma d’ispirazione, un’energia che deriva dalla fede. Lo sguardo di Mosè è diretto al futuro, egli prevede la sopravvivenza della sua razza nel tempo, l’immutabilità della sua Legge”.422 Analogamente per Müntz “lo sguardo di Mosè erra ben oltre il genere umano ed è diretto ai misteri che egli è l’unico ad aver penetrato”.423 Per Steinmann questo Mosè rappresenta addirittura “non più il rigido legislatore, non più il terribile nemico del peccato ispirato dall’ira di Iehova, ma il sacerdote maestoso che l’età non può scalfire, nell’atto in cui, benedicente e profetico, prende l’estremo congedo dal suo popolo con sulla fronte il riflesso dell’eternità”.424
Ci sono stati altri critici ai quali il Mosè di Michelangelo non ha detto assolutamente niente, e che sono stati tanto onesti da dichiararlo. Così per esempio un critico inglese:425 “C’è, nella concezione generale, un’assenza di significato che esclude che ci si trovi di fronte a un tutto autosufficiente...” E apprendiamo con stupore che altri ancora non hanno trovato niente da ammirare nel Mosè, anzi gli si sono scagliati contro deplorando la brutalità della figura e l’espressione animalesca del capo.
L’artista ha davvero tracciato nella pietra un messaggio così oscuro o ambiguo da rendere possibili letture tanto disparate?
Sorge però un’altra domanda, alla quale sono facilmente riconducibili le incertezze che abbiamo citato. Michelangelo ha voluto creare con questo Mosè una “immagine atemporale di un carattere e di uno stato d’animo”, oppure ha rappresentato l’eroe in un momento preciso, e se così è, altamente significativo, della sua esistenza? La maggior parte dei critici si è espressa a favore della seconda ipotesi, ed è anche in grado di indicare la scena della vita di Mosè che l’artista ha fissato per l’eternità. Si tratta del momento in cui Mosè, scendendo dal Sinai, dove ha avuto in consegna da Dio le tavole della Legge, si accorge che gli Ebrei hanno fabbricato nel frattempo un vitello d’oro intorno al quale danzano festanti. Il suo sguardo è rivolto a questa scena, e questa vista provoca le sensazioni che sono espresse nei tratti del volto e che stanno per mettere in azione – un’azione di estrema violenza – la possente figura. Michelangelo ha scelto di raffigurare il momento dell’ultimo indugio, della quiete che precede la tempesta; fra un attimo Mosè balzerà in piedi – il piede sinistro è già sollevato da terra, – scaraventerà al suolo le tavole e farà esplodere il suo furore sui rinnegati.
Anche tra coloro che sostengono questa interpretazione esistono delle divergenze che si riferiscono ad alcuni particolari.
Burckhardt:426 “Mosè è rappresentato nel momento in cui scorge gli Ebrei che adorano il vitello d’oro e sta per sobbalzare. Vive, in questa immagine, il momento preliminare di una mossa piena di energia, che non si può aspettare senza un intimo timore, da una tale potenza fisica.”
Lübke:427 “Un moto interno attraversa violento l’intera figura, come se gli occhi fiammeggianti vedessero appunto il sacrilegio dell’adorazione del vitello d’oro. Scosso nell’intimo, afferra con la destra la barba che fluisce maestosa, quasi volesse dominare un istante ancora il suo moto per poi esplodere tanto più sfrenatamente.”
Springer condivide questo punto di vista, ma esprime una perplessità sulla quale torneremo in seguito:428 “Infiammato di forza e di fervore, l’eroe frena a stento l’eccitazione interna... Da ciò siamo indotti involontariamente a ritenere che si tratti di una scena drammatica e che Mosè sia raffigurato nel momento in cui scorge che si sta adorando il vitello d’oro e sta per levarsi in preda all’ira. È difficile tuttavia che questa supposizione colga la vera intenzione dell’artista, perché Mosè, al pari delle altre cinque figure sedute, collocate nella parte superiore della costruzione,429 doveva avere una funzione eminentemente decorativa; essa può valere però come splendida testimonianza della vitalità e dell’intima personalità della figura di Mosè.”
Alcuni critici, che pure non pensano trattarsi propriamente della scena del vitello d’oro, concordano tuttavia con questa interpretazione nel punto essenziale: questo Mosè è sul punto di balzare in piedi e di passare all’azione.
Grimm:430 Questa figura “è pervasa da una tale grandezza, da una tale coscienza di sé, da un tale sentimento, quasi che quest’uomo abbia la facoltà di comandare ai tuoni e ai fulmini del cielo, eppure si freni prima di scatenarsi aspettando di vedere se i nemici che vuole annientare oseranno assalirlo. Egli siede come fosse sul punto di balzare, il capo eretto superbamente sulle spalle, la mano – sotto il cui braccio stanno le tavole della Legge – in atto di afferrare la barba che scende sul petto in onde pesanti, le narici dilatate nel respiro e la bocca sulle cui labbra le parole sembrano tremare”.
Heath Wilson431 dice che l’attenzione di Mosè è attratta da qualcosa, che egli è sul punto di balzare in piedi, ma esita ancora. Lo sguardo, nel quale si mescolano indignazione e disprezzo, può ancora mutarsi a esprimere compassione.
Wölfflin parla di “movimento impedito”.432 La causa di questo impedimento sta in questo caso nella volontà stessa della persona, è il momento estremo in cui Mosè si trattiene prima di esplodere, ossia di balzare in piedi.
Justi433 è colui che sostiene più a fondo l’interpretazione secondo cui in questa scultura viene colto il momento in cui Mosè si accorge del vitello d’oro, e con questa concezione mette in rapporto dettagli della statua che altri non hanno osservato. Egli indirizza il nostro sguardo sulla posizione – effettivamente sorprendente – delle due tavole della Legge, le quali stanno per scivolare sul sedile di pietra: Mosè “potrebbe quindi star guardando in direzione del frastuono con l’espressione di cattivi presentimenti, oppure sarebbe la vista dello stesso atto abominevole a colpirlo come una mazzata che stordisce. Percosso dall’orrore e dal dolore, si è lasciato cadere sul sedile.434 È stato sul monte per quaranta giorni e quaranta notti, quindi è stanco. La mostruosità, un colpo del destino, un delitto, perfino una felicità può essere percepita in un attimo, ma non misurata nella sua essenza, nella sua profondità, nelle sue conseguenze. Per un momento la sua opera gli sembra distrutta, egli perde ogni speranza in questo popolo. In momenti del genere il tumulto interiore si tradisce attraverso piccoli movimenti involontari. Egli lascia scivolare sul sedile di pietra le due tavole che tiene nella destra, ed esse vengono a poggiare sul loro spigolo, premute dall’avambraccio contro la parte laterale del torace. La mano però procede verso il petto e la barba, e poiché il collo è voltato verso la destra di chi guarda, deve tirare la barba verso sinistra e rompere la simmetria di questo vasto ornamento virile; sembra che le dita giochino con la barba, come l’uomo civilizzato gioca, quando è agitato, con la catena dell’orologio. La mano sinistra s’infossa nella veste sul ventre (nel Vecchio Testamento le viscere sono la sede degli affetti). Ma la gamba sinistra è già tirata indietro mentre la destra è protesa; fra un attimo Mosè scatterà, l’energia psichica compirà il salto dalla sensazione alla volontà, il braccio destro si muoverà, le tavole cadranno al suolo e fiumi di sangue espieranno l’affronto dell’apostasia...” “Non è ancora questo il momento di tensione in cui l’azione si scatena. Il dolore interiore domina ancora, con un effetto quasi paralizzante.”
Knapp si esprime in maniera assai simile, tranne che non introduce all’inizio della descrizione gli elementi discutibili su cui abbiamo richiamato l’attenzione435 e svolge con più coerenza il tema succitato del movimento delle tavole:436 “Rumori terreni distraggono Mosè, che fino a poco tempo prima era ancora solo col suo Dio. Egli ode un frastuono, le grida dei canti che accompagnano le danze lo destano dal sogno. L’occhio, il capo si volgono verso quel rumore. Spavento, ira, tutta la furia di passioni selvagge attraversano in quel momento la gigantesca figura. Le tavole della Legge incominciano a scivolare giù; quando la figura scatterà in piedi per scagliare le tonanti parole d’ira contro la turba del popolo infedele, cadranno a terra e si spezzeranno... È stato scelto questo momento di estrema tensione...” Knapp sottolinea dunque ciò che prepara l’azione e contesta che sia rappresentata l’inibizione che interviene inizialmente in chi è stato sopraffatto da un eccitamento.
Non contesteremo certo che tentativi d’interpretazione come gli ultimi citati da Justi e Knapp abbiano qualcosa di singolarmente accattivante. Questo perché non si fermano all’impressione generale esercitata dalla figura, ma ne mettono in rilievo singole caratteristiche che altrimenti, nel mentre siamo sopraffatti e quasi paralizzati dall’effetto complessivo, passerebbero inosservate. Il volgere deciso a lato del capo e degli occhi della figura, che per il resto è rivolta in avanti, concorda bene con l’ipotesi che là, di lato, l’occhio si posa su qualcosa che ha attirato improvvisamente su di sé l’attenzione del pacato eroe. Il piede staccato da terra non lascia praticamente adito ad altra interpretazione che non sia quella di una preparazione a balzare in piedi,437 e la posizione singolarissima delle tavole, che sono pure qualcosa di santissimo e non possono esser state collocate a caso nella composizione come un arnese qualsiasi, trova un’ottima spiegazione nell’ipotesi che, data l’eccitazione di colui che le porta, sono scivolate in basso e stanno per cadere a terra. In questo modo apprenderemmo dunque che questa statua rappresenta un momento significativo e ben precisato della vita di Mosè, né ci sarebbe alcun pericolo di fraintendere di quale momento si tratti.
Ma ecco che due rilievi di Thode tornano a strapparci ciò che credevamo di aver già acquisito.438 Questo osservatore dice che egli vede le tavole non scivolare, ma “restare ben salde”. Egli nota “l’atteggiamento di pacata fermezza della mano destra sopra le tavole che le si ergono contro” [vedi sopra]. A ben vedere, dobbiamo dar ragione senza riserve a Thode. Le tavole sono tenute salde e non corrono pericolo di scivolare. La mano destra le regge o si regge su di esse. Ciò non chiarisce certo la posizione in cui sono tenute ma questa è comunque inutilizzabile ai fini dell’interpretazione di Justi e di altri.
Anche più decisivo è un secondo rilievo. Thode ricorda che “questa statua è stata pensata come parte di un gruppo di sei ed è rappresentata seduta. Sia l’una che l’altra circostanza contrasta con l’ipotesi che Michelangelo abbia voluto fissare un momento storico determinato. Perché, quanto alla prima, l’incarico conferito all’artista di raffigurare, sedute l’una accanto all’altra, altrettante figure tipiche della natura umana (vita activa, vita contemplativa) escludeva la raffigurazione di singoli eventi storici. E quanto al secondo punto, la raffigurazione dell’atto del sedere, dovuta alla concezione artistica del monumento nel suo insieme, contraddice al carattere dell’evento in questione, ossia la discesa dal monte Sinai al campo”.
Facciamo nostra questa riflessione di Thode; io credo che potremo ancora accrescerne la forza. Il Mosè avrebbe dovuto, insieme ad altre cinque (in un progetto successivo tre) statue, ornare il piedistallo della tomba. La statua immediatamente successiva avrebbe dovuto essere un san Paolo. Due delle altre, la vita activa e la contemplativa, rappresentate da Lea e da Rachele, sono state eseguite e figurano – in piedi, però – nel monumento così com’è oggi deplorevolmente immiserito. Questa appartenenza del Mosè a un insieme rende impossibile la supposizione che la figura debba suscitare nell’osservatore l’attesa di star per balzare dal suo seggio, allontanarsi precipitosamente e mettersi a urlare menando le mani. Se le altre figure non erano rappresentate a loro volta in atto di prepararsi a un’azione così veemente – cosa assai improbabile – farebbe una pessima impressione che proprio quell’unica statua potesse darci l’illusione di star per abbandonare il suo posto e i suoi compagni, sottraendosi così alla funzione che le è assegnata nella struttura complessiva del monumento. Sarebbe un’incoerenza grossolana, che non reputo si possa attribuire al grande artista se non in caso di estrema necessità. Una figura in atto di allontanarsi precipitosamente in tal modo sarebbe assolutamente incompatibile con lo stato d’animo che il monumento funebre nel suo insieme vuole suscitare.
Il nostro Mosè non può quindi voler balzare in piedi, deve poter restare com’è in atteggiamento di calma sublime, come le altre figure e come la statua progettata del papa stesso (che poi Michelangelo non eseguì). Ma allora il Mosè che noi stiamo osservando non può essere la rappresentazione dell’uomo in preda all’ira, dell’uomo che, mentre scende dal Sinai, scopre che il suo popolo ha abiurato e scaglia via le Tavole sacre che perciò si infrangono fragorosamente. E in realtà posso ricordare ancor oggi la mia delusione quando, nelle mie prime visite a San Pietro in Vincoli, mi ponevo di fronte alla statua in attesa di vederla balzare a un tratto sul piede proteso, scaraventare al suolo le tavole e scatenare la sua ira. Niente di tutto questo accadeva; al contrario, la pietra diventava sempre più immobile, una calma sacra, quasi opprimente emanava da essa, e io ero costretto a sentire che la statua rappresentava qualcosa capace di restare immutato, che questo Mosè sarebbe rimasto là, seduto e corrucciato, in eterno.
Ma se siamo costretti a rinunciare all’interpretazione secondo cui questa statua rappresenta il momento che precede lo scoppio di collera alla vista dell’immagine idolatrata del vitello d’oro, non ci resta praticamente che accettare una delle concezioni che vedono in questo Mosè la figurazione di un carattere. L’interpretazione meno arbitraria e meglio fondata sull’analisi dei motivi dinamici della figura sembra allora quella di Thode:439 “Qui, come sempre, Michelangelo è intento alla raffigurazione di un tipo di carattere. Egli crea l’immagine di un appassionato condottiero dell’umanità il quale, conscio del suo compito divino di legislatore, urta contro la resistenza irragionevole degli uomini. Per caratterizzare quest’uomo d’azione non c’era altro mezzo che mettere in luce l’energia della volontà, e questo era possibile ponendo in rilievo un movimento che permea di sé una calma apparente, e che si esprime nel volgere del capo, nella tensione dei muscoli, nella posizione della gamba sinistra. Sono gli stessi elementi che appaiono nel vir activus della Cappella medicea, Giuliano. Questa caratterizzazione generale viene approfondita dando rilievo al conflitto in cui un genio siffatto, un plasmatore dell’umanità, viene a trovarsi con la generalità degli uomini: le passioni raffigurate – ira, disprezzo, dolore – pervengono a un’espressione tipizzata. Senza questa espressione non sarebbe stato possibile mettere in risalto la natura di un tale superuomo. Michelangelo non ha creato l’immagine di un personaggio storico, ma un tipo di carattere che, grazie a un’energia irresistibile, domina le avversità del mondo; e in esso ha dato forma ai tratti riferiti dalla Bibbia, alle proprie esperienze interiori, alle impressioni suscitategli dalla personalità di papa Giulio e, io credo, anche a quelle che gli derivarono dalla tenacia combattiva di Savonarola.”
Possiamo forse accostare a queste interpretazioni l’osservazione di Knackfuss:440 il segreto principale dell’effetto provocato dal Mosè risiede nel contrasto artistico tra il fuoco interiore e la calma esteriore del suo atteggiamento.
Niente in me si oppone alla spiegazione offerta da Thode, ma la sento in qualche modo incompleta. Forse ciò è dovuto all’esigenza di scoprire un rapporto più intimo tra la condizione psicologica dell’eroe e il contrasto che si esprime nel suo atteggiamento tra pacatezza “esteriore” e commozione “interiore”.