2. L’IO E L’ES

La ricerca in campo patologico ha fatto sì che il nostro interesse si rivolgesse in modo troppo esclusivo al rimosso. Ora che sappiamo che anche l’Io può essere inconscio nel vero senso della parola, vorremmo conoscerlo meglio. Nel corso delle nostre indagini l’unico punto di riferimento è stato fino ad ora il tratto caratteristico dell’essere cosciente o inconscio; ma abbiamo veduto come tale indicazione possa assumere più di un significato.

Va detto che tutto il nostro sapere è invariabilmente legato alla coscienza. Anche l’Inc possiamo imparare a conoscerlo solo rendendolo cosciente. Un momento: ma come è possibile questo? Che cosa significa “rendere cosciente qualche cosa”? Com’è che ciò può avvenire?

Sappiamo già da dove dobbiamo partire. Abbiamo detto che la coscienza costituisce la superficie dell’apparato psichico; l’abbiamo cioè attribuita, in quanto funzione, a un sistema spazialmente collocato al primo posto, se si procede dal mondo esterno. Spazialmente non solo in senso funzionale, del resto, ma questa volta anche nel senso della dissezione anatomica.453 Anche la presente indagine deve partire da questa superficie percipiente.

Innanzitutto sono c tutte le percezioni: quelle che ci giungono dall’esterno (le percezioni sensoriali) e quelle che provengono dall’interno, e che chiamiamo sensazioni e sentimenti. Come stanno però le cose con quei processi interni che – in modo rozzo e impreciso – possiamo indicare globalmente come processi di pensiero? Essi si producono in qualche luogo all’interno dell’apparato come spostamenti di energia psichica sulla via dell’azione. Orbene sono questi processi che si affacciano alla superficie dove si origina la coscienza? Oppure è la coscienza che giunge fino ad essi? È qui visibile una delle difficoltà che si incontrano quando si voglia prendere sul serio la rappresentazione spaziale, topica, dell’accadere psichico. Entrambe le possibilità sono ugualmente inconcepibili, e dev’esserci una terza soluzione.454

Altrove455 ho già formulato l’ipotesi che la vera differenza fra una rappresentazione (o pensiero) inc e una rappresentazione prec consista nel fatto che la prima si produce in relazione a qualche materiale che rimane ignoto, mentre nella seconda (la prec) interviene in aggiunta un collegamento con rappresentazioni verbali. Questo è il primo tentativo di stabilire in modo diverso da quello del riferimento alla coscienza, contrassegni distintivi per i due sistemi Prec e Inc. Allora la domanda: Com’è che qualche cosa diventa cosciente? andrebbe formulata più adeguatamente nel modo seguente: Com’è che qualche cosa diventa preconscio? E la risposta dovrebbe essere: attraverso il collegamento con le rispettive rappresentazioni verbali.

Queste rappresentazioni verbali sono residui mnestici; esse sono state in passato percezioni, e come tutti i residui mnestici possono ridiventare coscienti. Prima di procedere oltre nella trattazione della loro natura, riusciamo a intravedere un nuovo punto di vista; soltanto quanto è già stato una volta percezione c può diventare cosciente; e, se si escludono i sentimenti, ciò che dall’interno vuol diventare cosciente, deve cercare di trasformarsi in percezioni provenienti dall’esterno. Questo è possibile mediante le tracce mnestiche.

Riteniamo che i residui mnestici ci siano conservati in sistemi che premono direttamente sul sistema P-C,456 talché i loro investimenti possono facilmente estendersi dall’interno agli elementi di quest’ultimo sistema.457 A questo proposito vien subito in mente l’allucinazione, e il fatto che il ricordo più vivace si distingue pur sempre dalle allucinazioni, come dalla percezione esterna;458 nello stesso tempo si può osservare però che nella riattivazione di un ricordo l’investimento rimane trattenuto nel sistema mnestico, mentre per il prodursi dell’allucinazione (che in quanto tale non si distingue dalla percezione) bisogna che l’investimento non solo si estenda dalla traccia mnestica all’elemento P, ma trapassi completamente in esso.

I residui verbali provengono essenzialmente da percezioni acustiche,459 cosicché si ha in un certo modo un’origine sensoriale specifica per il sistema Prec. Per il momento si possono trascurare come secondarie le componenti visive, generate dalla lettura della rappresentazione verbale; lo stesso vale per le immagini motorie della parola, le quali – salvo che per i sordomuti – svolgono la funzione di segni ausiliari. La parola è essenzialmente il residuo mnestico di una parola udita.

Non dobbiamo tuttavia, per amor di semplificazione, dimenticare o misconoscere l’importanza dei residui mnestici ottici, quando essi si riferiscono a cose, né trascurare o negare la possibilità che il diventare cosciente dei processi di pensiero si realizzi attraverso il ritorno di residui visivi; ché anzi per molte persone proprio questa sembra la via preferita. Circa i caratteri di questo pensiero visivo possiamo farcene un’idea attraverso lo studio dei sogni e delle fantasie preconsce, come dimostrano le osservazioni di J. Varendonck.460 Si costata allora che perlopiù soltanto il materiale concreto del pensiero diventa cosciente, e invece non può essere data espressione visiva a quelle relazioni che costituiscono le caratteristiche peculiari dell’attività di pensiero. Il pensare per immagini è dunque un modo assai incompleto di divenire cosciente. Un tale pensare è inoltre in certo modo più vicino ai processi inconsci di quanto lo sia il pensiero in parole, e risale indubbiamente, sia sotto l’aspetto ontogenetico che filogenetico, a un’epoca più antica rispetto a quest’ultimo.

Tornando al nostro argomento, se la via da percorrere consiste nel determinare come qualche cosa di per sé inconscio diventi preconscio, alla domanda su come noi rendiamo (pre)conscio ciò che è rimosso bisogna rispondere nel modo seguente: mediante la inserzione, attraverso il lavoro analitico, di questi elementi prec intermedi. La coscienza rimane dunque al suo posto, né, d’altra parte, l’Inc è risalito fino alla coscienza.

Mentre il rapporto della percezione esterna con l’Io è del tutto chiaro, quello della percezione interna con lo stesso Io richiede una indagine particolare. Esso fa sorgere nuovamente un dubbio sulla legittimità di ricondurre tutta la coscienza all’unico sistema superficiale P-C.

La percezione interna fornisce sensazioni relative a processi appartenenti ai più svariati, e certamente anche ai più profondi strati dell’apparato psichico. Di tali sensazioni si sa poco; la cosa migliore è ancora rifarsi al modello costituito dalla serie piacere-dispiacere. Queste sensazioni sono più primordiali, più elementari delle sensazioni provenienti dall’esterno, e possono prodursi anche in stati di coscienza crepuscolare. Mi sono occupato altrove461 della loro grandissima importanza economica e del loro fondamento metapsicologico. Sono sensazioni plurilocalizzate al modo stesso delle percezioni esterne, e possono provenire contemporaneamente da località diverse, per cui le loro qualità possono essere diverse e anche fra loro opposte.

Le sensazioni con carattere di piacere non presentano in se stesse nulla di propulsivo, mentre le sensazioni di dispiacere presentano questo elemento propulsivo in grado elevatissimo. Spingono al cambiamento, alla scarica; perciò interpretiamo il dispiacere come un’accentuazione, il piacere come una riduzione dell’investimento energetico.462 Se ciò che diventa cosciente come piacere o dispiacere viene indicato come un quid quantitativo-qualitativo nel corso dell’accadere psichico, si presenta il problema se questo quid possa divenire cosciente là dove si trova, o se debba invece venir trasmesso fino al sistema P.

L’esperienza clinica decide per la seconda soluzione. Mostra che questo quid si comporta come un impulso rimosso. Può sviluppare una forza prorompente senza che l’Io ne avverta la coazione. Solo la resistenza contro tale coazione, solo l’arrestarsi della reazione di scarica, rende immediatamente cosciente questo quid come dispiacere. Al modo stesso delle tensioni che nascono dal bisogno, può rimanere inconscio anche il dolore [fisico], questo alcunché di intermedio fra percezione esterna e interna, che si comporta come una percezione interna anche quando prende origine dal mondo esterno. Rimane pertanto esatto asserire che anche le sensazioni e i sentimenti diventano coscienti solo pervenendo al sistema P. Se la via d’accesso è sbarrata, non arrivano ad essere sensazioni, anche se il quid che ad esse corrisponde è il medesimo. In modo abbreviato, pur se non del tutto corretto, parliamo in tal caso di “sensazioni inconsce”, mantenendo l’analogia (non completamente giustificata) con le rappresentazioni inconsce. La differenza sta nel fatto che la rappresentazione inc, per essere portata alla C, richiede che vengano prodotti gli elementi di collegamento [verbale], mentre ciò non vale per le sensazioni, le quali si trasmettono direttamente. In altre parole: la distinzione fra C e Prec per le sensazioni è priva di senso; il Prec qui manca, le sensazioni o sono coscienti o sono inconsce. Anche quando sono collegate a rappresentazioni verbali, non diventano coscienti a mezzo di queste ultime, ma in modo diretto.463

La funzione delle rappresentazioni verbali diventa ora perfettamente chiara. Per mezzo loro i processi interni di pensiero si trasformano in percezioni. È come se dovesse essere dimostrata la tesi che ogni sapere proviene dalla percezione esterna. Quando si verifica un sovrainvestimento dell’attività di pensiero, i pensieri vengono effettivamente percepiti come provenienti dall’esterno, e perciò considerati veri.

Ora che abbiamo in tal modo chiarito i rapporti fra percezione, esterna e interna, e il sistema superficiale P-C, possiamo procedere nella costruzione della nostra immagine dell’Io. Noi lo vediamo estendersi dal suo primo nucleo che è il sistema P, così da comprendere innanzitutto il Prec che si appoggia ai residui mnestici. L’Io però, come abbiamo veduto, è anche inconscio.

Mi sembra che si possa trarre un gran vantaggio seguendo il suggerimento di un autore il quale, per motivi personali, si ostina invano a dichiarare di non avere nulla da spartire con la scienza, intesa nel suo più rigoroso ed elevato significato. Mi riferisco a Georg Groddeck, il quale non si stanca di sottolineare che ciò che chiamiamo il nostro Io si comporta nella vita in modo essenzialmente passivo, e che – per usare la sua espressione – noi veniamo “vissuti” da forze ignote e incontrollabili.464

Abbiamo tutti provato tali impressioni, anche se esse non ci hanno sopraffatto al punto di farci escludere tutto il resto. Non disperiamo di trovare nel contesto della scienza il posto che compete alla concezione di Groddeck. Propongo di tenerne conto, e di chiamare “l’Io” quell’entità che scaturisce dal sistema P e comincia col diventare prec; e di seguire Groddeck, chiamando “l’Es” quell’altra parte della psiche nella quale l’Io si continua e che si comporta in maniera inc.465

Vedremo ben presto se si possa trarre qualche vantaggio da una tale concezione ai fini della descrizione e comprensione dei fatti. Un individuo è dunque per noi un Es psichico, ignoto e inconscio, sul quale poggia nello strato superiore l’Io, sviluppatosi dal sistema P come da un nucleo. Sforzandoci di fornirne una rappresentazione grafica, aggiungeremo che l’Io non avviluppa interamente l’Es, ma solo quel tanto che basta a far sì che il sistema P formi la sua superficie [dell’Io], e cioè più o meno come il disco germinale poggia sull’uovo. L’Io non è nettamente separato dall’Es, ma sconfina verso il basso fino a confluire con esso.

Ma anche il rimosso confluisce con l’Es, di cui non è altro che una parte. Il rimosso è separato nettamente soltanto dall’Io, mediante le resistenze della rimozione; può tuttavia comunicare con l’Io attraverso l’Es. Possiamo subito renderci conto che quasi tutte le differenziazioni descritte in base alla patologia riguardano soltanto gli strati superficiali dell’apparato psichico, i soli, peraltro, che ci sono noti. Si può abbozzare per le relazioni di cui stiamo discutendo una rappresentazione grafica che non ha la pretesa di fornire una particolare interpretazione, essendo intesa esclusivamente a facilitare l’esposizione.466 Comunque accenniamo al fatto che l’Io porta un “berretto auditivo”, il quale, secondo quanto ci attesta l’anatomia del cervello, si trova da una parte soltanto.467 È, per così dire, posato di sghimbescio.

Io e Es

È facile rendersi conto che l’Io è quella parte dell’Es che ha subito una modificazione per la diretta azione del mondo esterno grazie all’intervento del [sistema] P-C: in certo qual modo è una propaggine della differenziazione superficiale. L’Io si sforza altresì di far valere l’influenza del mondo esterno sull’Es e sulle sue intenzioni tentando di sostituire il principio di realtà al principio di piacere, che nell’Es esercita un dominio incontrastato. La percezione ha per l’Io la funzione che nell’Es spetta alla pulsione. L’Io rappresenta ciò che può dirsi ragione e ponderatezza, in opposizione all’Es che è il ricettacolo delle passioni. Tutto ciò corrisponde alle ben note distinzioni popolari; ma va tuttavia inteso soltanto come situazione media o in senso ideale.

L’importanza funzionale dell’Io è testimoniata dal fatto che normalmente gli è attribuito il controllo delle vie di accesso alla motilità. L’Io può quindi essere paragonato, nel suo rapporto con l’Es, al cavaliere che deve domare la prepotente forza del cavallo, con la differenza che il cavaliere cerca di farlo con mezzi propri, mentre l’Io lo fa con mezzi presi a prestito. Si può proseguire nell’analogia. Come il cavaliere, se non vuole essere disarcionato dal suo cavallo, è costretto spesso a ubbidirgli e a portarlo dove vuole, così anche l’Io ha l’abitudine di trasformare in azione la volontà dell’Es come se si trattasse della volontà propria.468

Sulla genesi dell’Io e sulla sua differenziazione dall’Es sembra aver agito anche un fattore diverso, oltre all’influenza del sistema P. Il corpo, e soprattutto la sua superficie, è un luogo dove possono generarsi contemporaneamente percezioni esterne e interne. Esso è visto come qualsiasi altro oggetto, ma al tatto dà luogo a due specie di sensazioni, una delle quali può essere equiparata a una percezione interna. È stato studiato a fondo in psicofisiologia il modo come dal mondo delle percezioni emerga la percezione del proprio corpo. Anche il dolore [fisico] sembra svolgervi una certa funzione, e il modo in cui in determinate malattie dolorose si ricava una nuova conoscenza relativa ai propri organi è forse paradigmatico per il modo in cui si perviene in generale alla rappresentazione del proprio corpo.

L’Io è anzitutto un essere corporeo, non è soltanto un’entità superficiale, ma è esso stesso la proiezione di una superficie.469 Volendo cercare una analogia anatomica la cosa migliore è identificarlo con l’homunculus del cervello di cui parla l’anatomia, il quale si trova nella corteccia cerebrale capovolto, con i piedi protesi verso l’alto, mentre guarda all’indietro e reca, come è noto, a sinistra la zona del linguaggio.

Il rapporto dell’Io con la coscienza è stato ripetutamente messo in rilievo; qui però vanno descritti nuovamente alcuni importanti dati di fatto. Abituati a far nostro per ogni dove il punto di vista di una valutazione sociale ed etica, non ci meraviglia sentire che la spinta delle passioni deteriori debba svolgersi nell’inconscio; in compenso ci aspettiamo che le funzioni psichiche trovino tanto più facilmente accesso sicuro alla coscienza quanto più elevato è il posto che occupano nella scala di quei valori. Ma l’esperienza psicoanalitica ci disinganna su questo punto. Abbiamo da un lato prove che persino un lavoro intellettuale sottile e difficile, che normalmente richiede una rigorosa meditazione, può essere effettuato in modo preconscio senza pervenire alla coscienza. Non possono esservi dubbi su casi di questo genere: essi si verificano ad esempio nel sonno. Un individuo, subito dopo il risveglio, può trovarsi in possesso della soluzione di un difficile problema matematico o di altra natura, al quale durante il giorno si era applicato invano.470

Di gran lunga più peregrina è però un’altra esperienza. Apprendiamo dalle nostre analisi che vi sono persone nelle quali l’autocritica e la coscienza morale – e cioè prestazioni della psiche alle quali viene attribuito un grandissimo valore – sono inconsce, e producono proprio in quanto tali i loro effetti più rilevanti. Il fatto che nell’analisi la resistenza rimanga inconscia non è dunque per nulla l’unica situazione di questa specie. Tuttavia la nuova esperienza che ci costringe – a dispetto della nostra migliore consapevolezza critica – a parlare di un “senso di colpa inconscio”,471 costituisce qualcosa di ancor più imbarazzante e ci propone un nuovo enigma, specialmente se finiamo col renderci conto che un tale senso di colpa inconscio svolge in un gran numero di nevrosi una funzione decisiva da un punto di vista economico, e oppone i più forti ostacoli sul cammino della guarigione.472 Volendo ritornare alla nostra scala di valori, dobbiamo dunque dichiarare che non soltanto le cose più profonde, ma anche quelle che per l’Io sono le più elevate, possono essere inconsce. E in questo modo è come se ci venisse data la dimostrazione di quanto abbiamo prima asserito a proposito dell’Io cosciente: che esso è prima di ogni altra cosa un Io-corpo.

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