4. IL SOGNO E LA SCENA PRIMARIA703
Ho già pubblicato altrove questo sogno per la ricchezza del materiale fiabesco in esso contenuto.704 Comincerò dunque col riferirlo negli stessi termini:
“Sognai che era notte e mi trovavo nel mio letto (il letto era orientato con i piedi verso la finestra e davanti ad essa c’era un filare di vecchi noci; sapevo ch’era inverno mentre sognavo, e ch’era notte). Improvvisamente la finestra si aprì da sola, e io, con grande spavento vidi che sul grosso noce proprio di fronte alla finestra stavano seduti alcuni lupi bianchi. Erano sei o sette. I lupi erano tutti bianchi e sembravano piuttosto volpi o cani da pastore, perché avevano una lunga coda come le volpi, e le orecchie ritte come quelle dei cani quando stanno attenti a qualcosa. In preda al terrore – evidentemente di esser divorato dai lupi – mi misi a urlare e mi svegliai. La bambinaia accorse al mio letto per vedere cosa mi fosse successo. Passò un bel po’ di tempo prima che mi convincessi che era stato soltanto un sogno, tanto naturale e nitida mi era parsa l’immagine della finestra che si apre e dei lupi che stanno seduti sull’albero. Finalmente mi tranquillizzai, mi sentii come liberato da un pericolo, e mi riaddormentai.”
“L’unica azione contenuta nel sogno fu l’aprirsi della finestra, poiché i lupi stavano seduti tranquilli e immobili sui rami dell’albero, a destra e a sinistra del tronco, e mi guardavano. Era come se avessero rivolto su di me tutta la loro attenzione. Credo che questo sia stato il mio primo sogno d’angoscia. Avevo tre o quattro anni, cinque al massimo. Da allora, fino agli undici o dodici anni, ho sempre avuto paura di vedere in sogno qualcosa di terribile.”
Il giovane aggiunge quindi un disegno dell’albero coi lupi che conferma la sua descrizione (fig. 1). L’analisi del sogno porta alla luce il materiale seguente.
Figura 1
Egli ha sempre messo in relazione questo sogno con il ricordo della straordinaria paura provata in quegli anni dell’infanzia per la figura di un lupo che si trovava in un libro di fiabe. La sorella più grande, decisamente superiore a lui, aveva l’abitudine di stuzzicarlo mostrandogli continuamente con una scusa o con l’altra proprio quella figura, al che egli, atterrito, si metteva a urlare. Nella figura il lupo era rappresentato eretto, con un piede proteso, gli artigli sporgenti, le orecchie ritte. Secondo il giovane si trattava di un’illustrazione della fiaba di Cappuccetto Rosso.
Perché i lupi sono bianchi? Questo particolare gli rammenta le pecore, che in grandi greggi si aggiravano nei dintorni della tenuta. Di tanto in tanto il padre lo conduceva con sé a visitare queste greggi ed egli ne era ogni volta tutto fiero e felice. Più tardi (a quanto risulta dalle informazioni raccolte, probabilmente poco prima del sogno) fra queste pecore scoppiò un’epidemia. Il padre fece venire un allievo di Pasteur che vaccinò le bestie; ma dopo la vaccinazione ne morirono più di prima.
Come hanno fatto i lupi a salire sull’albero? A questo proposito gli viene in mente una storia che aveva sentito raccontare dal nonno, non ricorda più se prima o dopo il sogno. Tuttavia il contenuto di essa depone decisamente a favore della prima ipotesi. Ecco la storia. Un sarto stava seduto al lavoro nella sua stanza, ed ecco che la finestra si apre e balza dentro un lupo. Il sarto gli scaglia addosso la misura – anzi no... si corregge il giovane – lo acchiappa per la coda e gliela strappa, sicché il lupo fugge via terrorizzato. Qualche tempo dopo il sarto va nel bosco, a un tratto vede avvicinarsi un branco di lupi e per evitarli cerca rifugio su un albero. I lupi dapprima non sanno che fare, ma quello mutilato, che si trova fra loro e vuole vendicarsi del sarto, propone ai compagni di montare uno sull’altro in modo che l’ultimo possa raggiungere il sarto. Lui stesso – un vecchio lupo robusto – farà da base alla piramide. I lupi seguono il suo consiglio ma il sarto ha riconosciuto il visitatore punito e a un tratto grida come quel giorno: “Acchiappate il grigio per la coda!” A questo ricordo il lupo senza coda scappa via atterrito e tutti gli altri ruzzolano a terra.
In questo racconto compare l’albero sul quale nel sogno i lupi stanno seduti. Non solo; esso contiene altresì un’allusione non ambigua al complesso di evirazione. Il vecchio lupo è stato dal sarto amputato della coda. Le code volpine dei lupi del sogno sono probabilmente compensazioni per questa coda mancante.
Perché i lupi sono sei o sette? Sembra che questa domanda non debba avere risposta finché io non avanzo il dubbio che forse la figura che gli incuteva tanta paura non si riferiva alla fiaba di Cappuccetto Rosso. Quest’ultima offre lo spunto soltanto a due illustrazioni – la scena di Cappuccetto Rosso che incontra il lupo nel bosco e quella in cui il lupo giace nel letto con la cuffia della nonna. Quindi dietro al ricordo di quella figura si cela presumibilmente un’altra fiaba.
Egli scopre ben presto che non può trattarsi che della storia del Lupo e i sette capretti. Qui si trova il numero sette, ma anche il sei, poiché il lupo divora soltanto sei capretti mentre il settimo si nasconde nella cassa del pendolo. Anche il colore bianco compare nella storia, perché il lupo si fa infarinare la zampa dal fornaio dopo che i capretti, alla sua prima visita, l’avevano riconosciuto dalla zampa grigia. Le due fiabe hanno del resto molti elementi in comune: in entrambe c’è il divorare, la pancia che viene aperta con un taglio, l’estrazione di coloro che sono stati divorati, la loro sostituzione con grossi sassi; infine, in entrambe le fiabe il lupo cattivo perisce. Inoltre nella fiaba dei capretti compare anche l’albero: infatti dopo il pasto il lupo si sdraia sotto un albero e russa.
Per un motivo particolare dovrò occuparmi ancora di questo sogno in altra sede; e allora ne interpreterò e valuterò più a fondo il significato. Esso è infatti il primo sogno d’angoscia che il soggetto ricordi della sua infanzia e il contenuto di esso, messo in relazione con altri sogni che seguirono poco dopo e con alcuni episodi dell’infanzia del sognatore, presenta un particolarissimo interesse. Qui ci limiteremo al rapporto fra il sogno e due fiabe che hanno molti elementi in comune, quella di Cappuccetto Rosso e quella del Lupo e i sette capretti. L’impressione prodotta da queste fiabe si manifestò, nel piccolo sognatore, in una zoofobia vera e propria che si distingueva da altri casi analoghi per un unico fatto: l’animale che suscitava angoscia non era un oggetto facilmente accessibile alla percezione (come il cavallo, per esempio, o il cane), ma era noto al bambino soltanto dai racconti e dai libri illustrati.
Mi riservo di occuparmi in altra occasione della spiegazione di queste zoofobie e del significato che ad esse va attribuito. Qui anticiperò soltanto che questa spiegazione è in perfetta armonia con le principali caratteristiche che la successiva nevrosi del sognatore portò alla luce. La paura del padre era stata la ragione che più fortemente lo aveva indotto ad ammalarsi e un atteggiamento ambivalente nei confronti di ogni figura sostitutiva del padre dominò d’allora in poi la sua esistenza non meno che il suo comportamento durante la cura.
Se nel caso del mio paziente il lupo altro non era che il primo sostituto paterno, c’è da domandarsi se la fiaba del lupo che divora i capretti e quella di Cappuccetto Rosso celassero in sé qualcosa di diverso dalla paura del padre.705 Inoltre il padre del mio paziente aveva la peculiarità di indulgere nella “sgridata affettuosa”, a cui del resto sono avvezze molte persone nei rapporti coi propri figli. E la minaccia scherzosa: “Adesso ti mangio!” sarà risuonata probabilmente più di una volta nei primi anni, allorché quel padre – divenuto in seguito assai severo – usava giocare col figlioletto e vezzeggiarlo. Una mia paziente mi ha raccontato che i suoi due bambini non erano mai riusciti a voler bene al nonno poiché, giocando affettuosamente, costui soleva spaventarli dicendo che avrebbe tagliato loro il pancino.706
Lasciando da parte per il momento ogni possibile anticipazione sulle implicazioni del sogno che abbiamo citato, torniamo alla sua immediata interpretazione. Si tenga presente che il compito di interpretare questo sogno si protrasse per parecchi anni. Il paziente lo aveva riferito in una delle prime fasi dell’analisi e aveva accettato quasi subito la mia convinzione che dietro ad esso si celassero le cause della sua nevrosi infantile. Nel corso del trattamento tornammo spesso sul sogno, ma solo negli ultimi mesi di cura fu possibile comprenderlo per intero, e ciò grazie al lavoro spontaneo del paziente. Egli aveva sempre sottolineato che due particolari del sogno gli avevano fatto maggiore impressione: l’assoluta tranquillità e immobilità dei lupi, e la concentrata attenzione con cui essi lo fissavano. Trovava anche notevole il persistente senso di realtà che il sogno gli aveva lasciato.
Prendiamo spunto da quest’ultima osservazione. L’esperienza dell’interpretazione onirica ci ha insegnato che questo senso di realtà ha un significato preciso. Esso indica che nel materiale latente del sogno v’è un qualcosa che, nel ricordo del sognatore, avanza pretese di realtà; ossia che il sogno si riferisce a un avvenimento realmente accaduto e non meramente fantasticato.707 Naturalmente si può trattare solo della realtà di qualcosa di ignoto al sognatore; giacché ad esempio la convinzione che il nonno aveva veramente raccontato la storia del sarto e del lupo, o che veramente qualcuno gli aveva letto la fiaba di Cappuccetto Rosso e quella dei sette capretti non avrebbe mai potuto sostituirsi al persistente senso di realtà lasciato dal sogno. Il sogno sembrava alludere a un avvenimento la cui realtà veniva ad accentuarsi proprio per il suo netto contrasto con l’irrealtà delle fiabe.
Se dietro al contenuto del sogno era da supporre l’esistenza di una simile scena sconosciuta, ossia già dimenticata all’epoca del sogno stesso, tale scena doveva necessariamente risalire a un’epoca assai remota. Il sognatore aveva detto infatti: “Avevo, quando feci questo sogno, tre o quattro anni, cinque al massimo.” Noi possiamo aggiungere: e il sogno gli rammentò qualche cosa che apparteneva a un’epoca ancora precedente.
I due elementi che colpiscono il paziente nel contenuto manifesto del sogno (lo sguardo che si fissa con attenzione su di lui e l’assenza di ogni movimento) dovrebbero condurci al contenuto di questa scena. Dobbiamo attenderci naturalmente che questi elementi riproducano il materiale ignoto della scena con una qualche deformazione, forse addirittura trasformandola nel suo opposto.
D’altra parte, anche dal materiale grezzo fornito dalla prima analisi del sogno condotta insieme al paziente si potevano trarre diverse conclusioni che ora andavano inserite nel contesto che cercavamo. Dietro il riferimento all’allevamento di pecore andavano rintracciate le testimonianze della sua esplorazione sessuale, che poteva aver trovato soddisfazione in occasione delle visite alle greggi compiute insieme al padre; ma avremmo dovuto trovarvi anche un’allusione alla paura della morte, dato che buona parte degli animali era già perita in seguito all’epidemia. La parte più vistosa del sogno – i lupi sull’albero – ci aveva condotti direttamente al racconto del nonno, il cui elemento più avvincente e capace di istigare il sogno era costituito quasi certamente dal riferimento al tema dell’evirazione.
Dalla prima e incompleta analisi del sogno avevamo inoltre concluso che il lupo rappresentava un sostituto del padre; sicché questo primo sogno d’angoscia metterebbe in luce quella paura del padre destinata, da quel momento in poi, a dominare la vita del paziente. Va detto che questa conclusione non era ancora vincolante. Ma proviamo a mettere insieme, come esito di un’analisi provvisoria, quel che può essere ricavato dal materiale fornito dallo stesso sognatore; ai fini della ricostruzione, ci troveremo grosso modo in possesso dei seguenti frammenti:
Un avvenimento reale - che risale a un’epoca assai remota - guardare - immobilità - problemi sessuali - evirazione - il padre - qualcosa di terribile.
Un giorno il paziente procede nell’interpretazione del sogno con la seguente osservazione: – Il punto in cui la finestra si apre improvvisamente da sé non si spiega completamente riferendolo alla finestra presso cui siede il sarto e da cui balza dentro il lupo. Esso dovrebbe significare: gli occhi si aprono improvvisamente. Ossia: io dormo, a un tratto mi sveglio e vedo qualcosa: l’albero coi lupi –. Tutto ciò era ineccepibile ma poteva essere approfondito di più. Egli si era svegliato e aveva visto qualcosa. Il guardare attentamente che nel sogno è attribuito ai lupi va piuttosto spostato su di lui. In un punto essenziale ha avuto dunque luogo una trasposizione, che peraltro è denunziata da un’altra trasposizione nel contenuto manifesto del sogno;708 anche il fatto che i lupi stiano seduti sull’albero mentre nel racconto del nonno si trovavano sotto di esso e non riuscivano a salirvi su è frutto di una trasposizione.
E se anche l’altro elemento sottolineato dal sognatore avesse subito una deformazione per trasposizione o inversione? In questo caso, invece che di immobilità (i lupi stanno seduti tranquillamente, lo guardano senza muoversi) si tratterebbe di un movimento estremamente violento. Egli si è dunque svegliato improvvisamente e si è trovato di fronte a una scena intensamente movimentata, che ha osservato con estrema attenzione. Nel primo caso la deformazione sarebbe consistita in una permuta tra soggetto e oggetto, tra attività e passività, tra l’essere guardato e il guardare; nel secondo caso in una trasformazione nel contrario: quiete in luogo di movimento.
Un’altra volta, un’associazione improvvisa del paziente consentì un ulteriore passo innanzi nella comprensione del sogno: “L’albero è l’albero di Natale.” Ora poteva dire con certezza che il sogno aveva avuto luogo poco prima di Natale, nell’attesa di quella festa. Poiché a Natale ricorreva anche il suo compleanno, la data del sogno e delle trasformazioni da esso originate poté a questo punto esser stabilita con precisione: subito prima del quarto compleanno. Egli si era dunque addormentato nell’ansiosa attesa del giorno che avrebbe dovuto portargli una doppia dose di regali. Sappiamo che in queste circostanze i bambini anticipano spesso nel sogno l’appagamento dei loro desideri. Dunque, in sogno era già Natale: il contenuto del sogno gli mostrava le sue strenne, dall’albero pendevano i regali a lui destinati. Ma i regali si erano trasformati in lupi e il sogno finiva così: gli era venuta paura di esser divorato dal lupo (suo padre, probabilmente) e aveva cercato rifugio presso la bambinaia. Ciò che sappiamo del suo sviluppo sessuale prima del sogno ci consente di colmare le lacune di quest’ultimo e di spiegare la trasformazione del soddisfacimento in angoscia. Tra i desideri istigatori del sogno, il più potente doveva esser quello del soddisfacimento sessuale che a quell’epoca egli ambiva ottenere dal padre. L’intensità di questo desiderio riuscì a far rivivere la traccia mnestica d’una scena, da tempo dimenticata, atta a mostrargli cos’era il soddisfacimento sessuale ottenuto dal padre; e il risultato fu lo spavento, l’orrore davanti all’appagamento di questo desiderio, la rimozione dell’impulso che con esso si era manifestato, e dunque lo scappar via dal padre verso la meno pericolosa bambinaia.
L’importanza di questa scadenza natalizia sopravvisse nel presunto ricordo del paziente secondo cui il suo primo accesso di collera sarebbe stato motivato dall’insoddisfazione per i regali ricevuti il giorno di Natale [vedi par. 2]. Il ricordo era vero e falso al tempo stesso. Non poteva essere senz’altro vero perché, stando alle ripetute dichiarazioni dei genitori, la “cattiveria” del bambino si era già manifestata al loro ritorno in autunno, e non a Natale. D’altra parte però questo ricordo serbava la connessione essenziale tra l’insoddisfazione amorosa, la collera e il Natale.
Ma quale immagine venne a evocare il notturno anelito sessuale del bambino, quale immagine fu capace di distoglierlo con tanta violenza dall’appagamento agognato del suo desiderio? Stando al materiale dell’analisi quest’immagine doveva rispondere a un certo requisito: corroborare il suo convincimento dell’esistenza dell’evirazione. La paura dell’evirazione sarebbe divenuta poi la forza motrice della trasmutazione degli affetti.
Eccomi giunto a un punto in cui debbo abbandonare l’appoggio fornitomi sinora dal corso dell’analisi. Temo che sia anche il punto in cui il lettore mi ritirerà il suo credito.
L’immagine riattivata quella notte nel caos delle tracce mnestiche inconsce è la scena di un coito tra i genitori, avvenuto in condizioni piuttosto insolite e particolarmente favorevoli all’osservazione. Tutti i quesiti connessi a questa scena poterono gradualmente ottenere risposta poiché quel primo sogno tornò, nel corso della cura, in innumerevoli varianti e riedizioni di cui l’analisi fornì il chiarimento richiesto. Fu possibile così accertare innanzitutto l’età del bambino all’epoca dell’avvenimento: egli aveva circa un anno e mezzo.709 A quell’età soffriva di una forma malarica i cui accessi si ripetevano quotidianamente a una certa ora.710 A partire dai dieci anni il paziente andò periodicamente soggetto a stati d’animo depressivi che iniziavano nel primo pomeriggio e raggiungevano l’acme verso le cinque; tale sintomo sussisteva ancora all’epoca del trattamento analitico. La depressione ricorrente sostituiva gli accessi di febbre o di spossatezza di quella precedente età; e le cinque del pomeriggio rappresentavano o l’ora dell’acme febbrile di allora, o quella dell’osservazione del coito, a meno che le due ore non avessero coinciso.711 Probabilmente proprio a causa della sua malattia il bimbo si trovava nella camera dei genitori. Questa malattia, la cui esistenza è confermata dalla diretta tradizione familiare, ci permette di situare l’evento nell’estate, e quindi di attribuire al bambino (nato il giorno di Natale) l’età di n + 11/2 anni.712
Dunque il bambino aveva dormito, nel suo lettino, nella camera dei genitori e si era svegliato durante il pomeriggio, probabilmente a causa della febbre che aumentava; e forse proprio alle cinque, l’ora che contraddistinguerà in seguito la sua depressione. Concorda con la nostra ipotesi che si trattasse di un caldo giorno d’estate se supponiamo che i genitori, semisvestiti,713 si fossero ritirati in camera per un sonnellino pomeridiano. Al suo risveglio il bambino assistette a un coitus a tergo ripetuto tre volte,714 riuscì a vedere sia l’organo genitale di sua madre sia il membro del padre e comprese il processo nonché il suo significato.715 Alla fine disturbò il rapporto sessuale dei genitori in un modo di cui diremo più avanti [par. 7].
In fondo non v’è nulla di straordinario, nulla che appaia frutto di un’immaginazione smodata se in una calda giornata estiva una coppia giovane, sposata da pochi anni, conclude con atti amorosi un sonnellino pomeridiano senza preoccuparsi della presenza di un figlioletto di un anno e mezzo, addormentato nel suo lettino. Penso anzi che si tratti di un fatto assolutamente banale e comune, né la posizione in cui – stando alle nostre deduzioni – si era svolto il coito cambia questa valutazione; tanto più, poi, che dal nostro materiale documentario non risulta affatto che il coito fosse stato effettuato tutte e tre le volte a tergo. Una volta sola sarebbe stata sufficiente per dar modo al bambino di compiere quelle osservazioni che un altro atteggiamento dei due amanti avrebbe reso più difficili o impossibili. Il contenuto della scena stessa non può essere quindi un argomento contro la sua attendibilità. Il sospetto di inverosimiglianza si accentrerà piuttosto su tre altri punti. In primo luogo se un bimbo della tenera età di un anno e mezzo sia in grado di accogliere le percezioni relative a un processo così complicato e di serbarle tanto fedelmente nel suo inconscio. In secondo luogo se un’elaborazione differita delle impressioni così ricevute possa prodursi e spingersi sino alla comprensione all’età di quattro anni. Infine se esista un procedimento capace di render coscienti, in modo coerente e persuasivo, i particolari di una scena del genere, vissuta e compresa in quelle circostanze.716
Più avanti vaglierò accuratamente queste e altre perplessità. Per ora assicuro il lettore che il mio atteggiamento di fronte all’opportunità di ammettere l’osservazione suddetta da parte del bambino non è meno critico del suo, e lo prego quindi di unirsi a me nel prestar fede provvisoriamente alla realtà di questa scena. Procederemo in primo luogo con l’esame dei rapporti tra questa “scena primaria”,717 e il sogno del nostro paziente, i suoi sintomi e le vicende ulteriori della sua vita; in particolare cercheremo di individuare quali effetti siano derivati dal contenuto essenziale di questa scena e da una delle impressioni visive ricevute dal bambino.
Mi riferisco con ciò alle posizioni viste assumere dai genitori, l’uomo eretto e la donna prona come un animale. Abbiamo già sentito che all’epoca dell’angoscia del bambino, sua sorella soleva spaventarlo con l’illustrazione di un libro di fiabe che mostrava un lupo in posizione eretta, con un piede proteso, gli artigli sporgenti, le orecchie ritte. Durante la cura il paziente frugò instancabilmente i negozi di libri usati finché non ebbe ritrovato il libro di fiabe illustrate della sua infanzia; riconobbe così il suo spauracchio in una figura che illustrava la fiaba del Lupo e i sette capretti. Egli riteneva che la posizione del lupo avesse potuto rammentargli la posizione assunta dal padre durante la scena primaria che era stata costruita. Comunque sia, la figura era servita da punto di partenza per altre manifestazioni d’angoscia. Un giorno, all’epoca del suo settimo o ottavo anno, avendo saputo che l’indomani sarebbe arrivato un nuovo precettore, egli lo aveva sognato la notte stessa sotto forma di un leone che, nella stessa posizione del lupo della figura, si avvicinava al suo letto ruggendo selvaggiamente; e si era anche allora svegliato in preda all’angoscia. A quell’epoca la fobia dei lupi era già superata; egli era quindi libero di scegliersi un altro animale come fonte d’angoscia; riconobbe comunque nel precettore di questo sogno più tardo una figura sostitutiva del padre. Negli ultimi anni dell’infanzia tutti i suoi insegnanti assunsero parimenti una funzione paterna e furono rivestiti, nel bene e nel male, di un influsso paterno.
La sorte gli fornì una singolare occasione di ravvivare durante gli anni del ginnasio la sua fobia dei lupi, e di rendere la relazione su cui si fondava la fobia stessa foriera di gravi inibizioni. Il professore di latino della sua classe si chiamava Wolf.718 Fin dall’inizio si era sentito intimidito di fronte a costui che un giorno lo redarguì severamente per uno stupido errore commesso in una versione latina; da quel momento in poi non poté più liberarsi da una paura paralizzante che lo prendeva al cospetto di questo professore, e che presto si estese ad altri insegnanti. Ma anche l’elemento che aveva occasionato lo strafalcione nella traduzione non era insignificante. Egli doveva tradurre la parola latina filius, e per farlo si era servito del francese fils invece che del corrispondente vocabolo della sua madrelingua. Il lupo continuava dunque ad essere suo padre.719
Il primo “sintomo passeggero”,720 manifestato dal paziente durante il trattamento si ricollegò nuovamente alla fobia dei lupi e alla fiaba dei sette capretti. Nella camera in cui si svolsero le prime sedute v’era un grande orologio a muro dirimpetto al paziente, che stava sdraiato sul divano volgendomi le spalle. Notai che di tanto in tanto egli girava il volto verso di me, mi guardava molto amichevolmente come per rabbonirmi, poi andava con lo sguardo da me all’orologio. Pensai allora che il paziente testimoniasse così la sua ansia che l’ora finisse. Molto tempo dopo egli mi rammentò questo suo modo di gestire e me ne fornì la spiegazione ricordando che il più piccolo dei sette capretti si era nascosto nella cassa dell’orologio a muro mentre i sei fratelli venivano divorati dal lupo. Dunque, era come se il paziente avesse voluto dire: – Sii buono con me; debbo avere paura di te? mi vuoi divorare? debbo nascondermi nella cassa dell’orologio, come il più piccolo dei capretti?
Il lupo temuto dal paziente era indubbiamente il padre, ma la sua paura del lupo era subordinata alla condizione che l’animale fosse rappresentato in posizione eretta. Egli ricordava con assoluta certezza di non esser stato intimorito dalla figura del lupo che cammina a quattro zampe o che giace nel letto come nella fiaba di Cappuccetto Rosso. Altrettanto significativa era la posizione che, secondo la nostra costruzione della scena primaria, egli aveva visto assumere dalla donna; questo significato però restava limitato alla sfera sessuale. Le manifestazioni più appariscenti della sua vita amorosa dopo la maturità consistevano in accessi di innamoramento sensuale ossessivo per questa o quella donna; essi si producevano e scomparivano in enigmatica successione, sviluppavano in lui un’enorme energia anche in periodi di inibizione marcata e si sottraevano completamente al suo controllo. In virtù di una connessione particolarmente preziosa sono costretto a dilazionare la valutazione approfondita di questi stati amorosi di tipo ossessivo [vedi oltre, par. 8]; posso tuttavia già dichiarare che essi erano soggetti a una determinata condizione, celata alla coscienza del paziente e che fu possibile identificare solo nel corso della cura. La donna doveva aver assunto la posizione che abbiamo attribuito alla madre nella scena primaria. Dall’epoca della sua pubertà il paziente vedeva nelle natiche grosse e prominenti la principale attrattiva della donna; il coito che non fosse a tergo non gli procurava quasi alcun godimento. Si obietterà giustamente che la predilezione sessuale per le parti posteriori del corpo costituisce una caratteristica generale delle persone inclini alla nevrosi ossessiva, e ch’essa non basta a renderne legittima la derivazione da una particolare impressione dell’infanzia. Tale predilezione sarebbe parte di quel tutto che configura la disposizione erotico-anale e ne costituirebbe anzi uno dei tratti arcaici caratterizzanti. In effetti, l’accoppiamento da dietro, more ferarum, può considerarsi la più antica forma di copulazione dal punto di vista filogenetico. Anche su questo punto ritorneremo in seguito, quando avremo messo in luce il materiale su cui si basa la condizione inconscia alla quale è soggetto lo stato di innamoramento del paziente. [Vedi parr. 5 e 8].
Proseguiamo ora l’esame dei rapporti tra sogno e scena primaria. Ci saremmo potuti attendere che il sogno presentasse al bambino – felice all’idea che il Natale appagherà i suoi desideri – quell’immagine di soddisfacimento sessuale ad opera del padre che egli aveva osservato nella scena primaria; tale scena era infatti il prototipo del soddisfacimento che il bambino bramava ottenere dal padre. Al posto di questa immagine, appare invece il materiale della storia che il nonno aveva raccontato poco prima: l’albero, i lupi, la mancanza di coda (nella forma sovracompensata delle folte code dei presunti lupi). Notiamo la mancanza di un nesso, di un ponte associativo che conduca dal contenuto della scena primaria a quello della storia dei lupi. Anche questa volta il collegamento ci è dato dalla posizione, e solo da questa. Nel racconto del nonno il lupo senza coda invita gli altri a montargli sopra. Attraverso questo dettaglio si destò il ricordo visivo della scena primaria; per questa via il materiale di tale scena poté venir rappresentato dalla storia dei lupi. Al tempo stesso, i due genitori furono sostituiti, come il bambino desiderava, da più lupi. Il contenuto del sogno subì un’ulteriore trasformazione: il materiale della storia dei lupi si adattò al contenuto della fiaba dei sette capretti desumendone il numero sette.721
Il modo in cui si trasforma il materiale (scena primaria – storia dei lupi – fiaba dei sette capretti) rispecchia l’evoluzione dei pensieri del sognatore durante la formazione del sogno: anelito al soddisfacimento sessuale ad opera del padre – comprensione che l’evirazione ne costituisce una condizione – paura del padre. Soltanto ora, a mio avviso, la spiegazione del sogno d’angoscia del bambino quattrenne può considerarsi esaurientemente compiuta.722
Dopo quanto è stato detto finora, possiamo soffermarci brevemente sull’azione patogena della scena primaria e sulle alterazioni che la sua reviviscenza ha provocato nello sviluppo sessuale del paziente. Di questi effetti, esamineremo soltanto quelli che trovano espressione nel sogno. Più avanti dovremo costatare che dalla scena primaria non scaturì una sola ma tutta una serie di correnti sessuali: un vero sminuzzamento della libido. Inoltre rileveremo che la riattivazione di questa scena (evito di proposito la parola “ricordo”) ebbe lo stesso effetto che avrebbe avuto un avvenimento recente. La scena, a effetto ritardato, non perdette nulla della sua freschezza nell’intervallo di età tra l’anno e mezzo e i quattro anni. Forse in ciò che segue troveremo perfino motivo di supporre che essa esercitò determinati effetti già all’epoca in cui fu percepita, cioè a partire dall’età di un anno e mezzo.
Quando il paziente si addentrò profondamente nella situazione della scena primaria, ne emersero i seguenti elementi che derivavano dalla sua percezione di sé: sostenne di avere creduto a tutta prima che l’atto di cui era stato testimone fosse un atto di violenza;723 poi però, siccome l’espressione di gioia che aveva visto dipingersi sul volto della madre non si accordava con questa supposizione, aveva dovuto riconoscere che da questo atto si ricava una soddisfazione.724 La novità essenziale arrecatagli dalla visione dell’accoppiamento dei suoi genitori fu il convincimento della realtà dell’evirazione della cui possibilità egli si era già occupato in precedenza (di fronte alla visione delle due bambine in atto di mingere, alla minaccia della nanja, all’interpretazione che la governante aveva dato dei bastoncini di zucchero, al ricordo del serpente fatto a pezzi dal padre). Ora, egli vedeva coi propri occhi la “ferita” di cui gli aveva parlato la nanja e capiva che la presenza di essa costituiva una condizione necessaria per avere rapporti col padre. Non poteva più confondere questa ferita con il “popò”, come quando [vedi par. 3] aveva osservato le due bimbette.725
Il sogno si concluse con una sensazione di angoscia che sparì soltanto quando il bambino ebbe vicino a sé la sua nanja. Egli era dunque corso da lei per sfuggire al padre. L’angoscia costituiva un ripudio del desiderio di ottenere dal padre il soddisfacimento sessuale, del desiderio cioè che aveva ispirato il sogno. L’espressione di questa angoscia, “la paura di esser divorato dal lupo”, era soltanto una trasposizione (regressiva, come vedremo) del desiderio di esser posseduto carnalmente dal padre, ossia di esser soddisfatto da lui come la madre. La sua meta sessuale ultima, l’atteggiamento passivo verso il padre, era incorsa nella rimozione e al suo posto era comparsa la paura del padre sotto forma di fobia dei lupi.
E la forza motrice di questa rimozione? L’insieme delle circostanze ci porta a ravvisarla con certezza nella libido genitale narcisistica; quest’ultima, poiché provvede alla salvaguardia del membro virile, si ribellava contro una forma di soddisfacimento che sembrava necessariamente comportare la rinuncia al membro stesso. Dal suo narcisismo minacciato il bambino trasse dunque la virilità con cui si difese dall’atteggiamento passivo verso il padre.
Ci rendiamo conto che a questo punto dell’esposizione occorre cambiare terminologia. Con il sogno il bambino attinse un nuovo stadio di organizzazione sessuale. Fino ad allora, i contrari sessuali erano stati per lui l’attivo e il passivo. Dall’epoca della seduzione la sua meta sessuale era stata passiva e consisteva nel farsi toccare i genitali; in virtù della regressione allo stadio precedente sadico-anale, essa si trasformò poi nella meta masochistica di essere battuto e punito. Raggiungere questa meta con un maschio o con una femmina gli era indifferente. Senza curarsi della differenza di sesso era passato dalla nanja al padre; aveva preteso dalla prima che gli toccasse il membro, provocò il secondo per riceverne le percosse. In questa fase i genitali non entravano più in questione, sebbene il nesso con questi, dissimulato dalla regressione, comparisse ancora nella fantasia di esser picchiato sul pene. Ed ecco che la riattivazione onirica della scena primaria ricondusse il paziente all’organizzazione genitale. Scoprì la vagina e il significato biologico della mascolinità e della femminilità. Comprese che attivo equivale a maschio, passivo a femmina. Dunque, la sua meta sessuale passiva avrebbe dovuto trasformarsi a questo punto in senso femminile ed esprimersi nell’idea di esser posseduto carnalmente dal padre, anziché in quella di essere picchiato da lui sul pene o sul sedere. Ma questa meta femminile soggiacque alla rimozione e fu costretta a farsi sostituire dalla paura del lupo.
A questo punto dobbiamo sospendere l’esame dello sviluppo sessuale del paziente in attesa di trarre dalle successive fasi della sua storia nuovi elementi che gettino luce su questo stadio più antico. Per la comprensione della fobia dei lupi aggiungerò soltanto che sia il padre sia la madre si trasformarono in lupi. La madre assunse il ruolo del lupo evirato che invita gli altri a montargli sopra, il padre del lupo che monta. Ma il paziente ci assicurò di aver avuto paura solo del lupo eretto, ossia del padre. Ci colpisce inoltre il fatto che il terrore con cui si era concluso il sogno trovava un modello nel racconto del nonno. Il lupo evirato, che ha invitato gli altri a montargli sopra, è colto dal terrore non appena gli viene ricordata la sua mancanza di coda. Sembra dunque che nel corso del sogno il bambino si sia identificato con la madre evirata e abbia lottato contro quest’identificazione. Quasi si fosse detto: “Se vuoi esser soddisfatto dal papà, devi accettare l’evirazione come la mamma. Ma a questo io mi oppongo.” Siamo insomma di fronte a una chiara protesta da parte della sua virilità! Occorre peraltro tener presente che l’evoluzione sessuale di questo caso ha, dal punto di vista della nostra indagine, il grande svantaggio di aver subito dei perturbamenti. Tale evoluzione, dapprima influenzata in modo decisivo dalla seduzione, fu poi fuorviata dalla scena dell’osservazione del coito, la quale, in virtù del suo effetto ritardato, agì come una seconda seduzione.726