1. COSCIENZA E INCONSCIO

In questo paragrafo introduttivo non ho niente di nuovo da dire e non posso fare a meno di richiamarmi ad argomenti che sono già stati spesso trattati in passato.

La distinzione dello psichico in cosciente e inconscio è il presupposto fondamentale della psicoanalisi; essa soltanto le dà la possibilità di comprendere e inserire in una sistemazione scientifica i così frequenti e importanti processi patologici della vita psichica. In altre parole: la psicoanalisi non può far consistere l’essenza dello psichico nella coscienza, ed è invece indotta a considerare la coscienza come una fra le possibili qualità dello psichico, che può trovarsi congiunta ad altre qualità, come può invece rimanere assente.

Supponendo che tutti coloro che si interessano di psicologia leggano questo scritto, dovrei attendermi già a questo punto che una parte dei lettori si arresti e si rifiuti di procedere oltre; qui sta infatti il primo scibbolet445 della psicoanalisi. Per la maggior parte di coloro che hanno una formazione filosofica, l’idea di alcunché di psichico che non sia anche cosciente è talmente inconcepibile da apparire assurda e suscettibile di esser confutata in base ad argomentazioni meramente logiche. Penso che ciò dipenda dal fatto che costoro non hanno mai studiato i fenomeni che riguardano l’ipnosi e il sogno, fenomeni che – anche a prescindere dalla patologia – conducono necessariamente a questa nostra concezione. La psicologia della coscienza che costoro sostengono è peraltro impotente a risolvere i problemi del sogno e dell’ipnosi.

“Esser cosciente” è innanzitutto un termine puramente descrittivo,446 che si richiama alla percezione più immediata e più certa. L’esperienza ci mostra poi che un elemento psichico, ad esempio una rappresentazione, non è in genere cosciente in modo durevole. È tipico invece che questo esser cosciente si dilegui rapidamente; la rappresentazione che ora è cosciente, fra un momento non lo è più, anche se in condizioni facilmente ripristinabili, può diventare nuovamente cosciente. Nel frattempo tale rappresentazione è stata non sappiamo bene che cosa. Possiamo dire che è stata latente, intendendo con ciò che è rimasta in ogni momento capace di farsi cosciente. Anche se diciamo che è stata inconscia la descrizione è corretta. Questo inconscio coincide allora con latentecapace di farsi cosciente.

I filosofi potrebbero obiettare: “No, il termine inconscio non può essere qui adoperato; fintantoché la rappresentazione era allo stato di latenza, non era assolutamente alcunché di psichico.” E se ci mettessimo fin d’ora a contraddirli, ci imbarcheremmo in una disputa puramente verbale, dalla quale non si ricaverebbe alcun risultato.

Tuttavia noi siamo pervenuti al termine, o al concetto di inconscio, per una via diversa, grazie all’elaborazione di determinate esperienze nelle quali entra in giuoco la “dinamica” psichica. Abbiamo imparato, siamo cioè stati costretti ad ammettere, che esistono processi psichici o rappresentazioni molto forti – ecco che viene introdotta la considerazione di un momento quantitativo, e dunque economico –, le quali sono capaci di produrre nella vita psichica tutti gli effetti delle rappresentazioni comuni (compresi quegli effetti che a loro volta possono diventare coscienti in qualità di rappresentazioni), pur non diventando esse stesse coscienti. Non occorre ripetere qui nei particolari quanto è già stato descritto assai spesso.447 Basti dire che la teoria psicoanalitica, a questo proposito, afferma e sostiene che queste rappresentazioni non possono diventare coscienti poiché una certa forza si oppone a ciò, che altrimenti diverrebbero coscienti, e che in tal caso si costaterebbe quanto poco esse differiscano da altri elementi psichici riconosciuti come tali. Questa teoria diventa incontestabile per il fatto che nella tecnica psicoanalitica sono stati trovati mezzi grazie ai quali la forza contrastante può essere soppressa e possono essere rese coscienti le rappresentazioni in questione. Chiamiamo rimozione lo stato in cui tali rappresentazioni si trovano prima di diventare coscienti; quanto alla forza che ha prodotto e mantenuto attiva la rimozione, diciamo di avvertirla, durante il lavoro analitico, come una resistenza.

Ricaviamo dunque il nostro concetto di inconscio partendo dalla dottrina della rimozione. Il rimosso è per noi il modello dell’inconscio. Costatiamo però che abbiamo due specie di inconscio: il latente e tuttavia capace di divenire cosciente, e il rimosso che in quanto tale e di per sé non è capace di giungere alla coscienza. Questa nostra penetrazione della dinamica psichica non può non influenzare la nomenclatura e il modo di descrivere i fatti. Diciamo preconscio ciò che è latente, e cioè inconscio, solo dal punto di vista descrittivo e non in senso dinamico; riserviamo invece a ciò che è rimosso e dinamicamente inconscio, la denominazione di inconscio. Abbiamo in tal modo tre termini: cosciente (c), preconscio (prec) e inconscio in senso non più meramente descrittivo (inc). Riteniamo che il Prec448 sia molto più vicino al C di quanto lo sia l’Inc; e poiché abbiamo detto psichico l’Inc, a maggior ragione e senza esitare diremo altrettanto a proposito del Prec latente.

Ma perché non preferire la via indicata dai filosofi, e non separare quindi il Prec e l’Inc dallo psichico cosciente? I filosofi sarebbero disposti a considerare il Prec e l’Inc come due specie o gradi dello psicoide, e l’accordo sarebbe bell’e stabilito. Da tale separazione deriverebbero però un numero infinito di difficoltà espositive. E, in omaggio a un pregiudizio risalente a un tempo in cui questi psicoidi, o quanto in essi è più significativo, non erano ancora noti agli uomini rimarrebbe in ombra l’unico dato importante, e cioè che queste due specie di psicoidi coincidono in quasi tutti gli altri aspetti con quanto viene riconosciuto come psichico.

Ora ci è possibile manovrare agevolmente i nostri tre termini c, prec, inc, purché non si dimentichi che dal punto di vista descrittivo esistono due tipi di inconscio, mentre dal punto di vista dinamico ce n’è uno soltanto.449 Ai fini dell’esposizione, in alcuni casi si può anche prescindere da questa distinzione; in altri casi, invece, essa è ovviamente indispensabile. Per parte nostra non abbiamo avuto grandi difficoltà ad abituarci a questa ambiguità dell’inconscio, e ce la siamo cavata bene. Eliminarla non è, secondo me, possibile. La distinzione tra cosciente e inconscio è in definitiva un problema di percezione, a cui va risposto semplicemente con un sì o con un no; e l’atto della percezione in quanto tale non ci dice nulla sulla ragione in base alla quale qualche cosa viene percepito o non viene percepito. In fin dei conti non possiamo lamentarci se l’elemento dinamico non trova, sul piano fenomenico, che un’espressione ambigua.450

Proseguendo nel lavoro analitico si costata però che anche queste distinzioni sono inadeguate e insufficienti dal punto di vista pratico. Fra le situazioni che testimoniano questo fatto, si può scegliere la seguente che mi sembra decisiva. Ci siamo fatti l’idea che esista nella persona un nucleo organizzato e coerente di processi psichici che chiamiamo l’Io di quella persona. A tale Io è legata la coscienza; esso domina le vie d’accesso alla motilità, ossia alla scarica degli eccitamenti nel mondo esterno; l’Io è quell’istanza psichica che esercita un controllo su tutti i processi parziali da lui stesso messi in moto; esso è l’istanza psichica che di notte va a dormire e pur tuttavia esercita la censura onirica. Provengono da un tale Io anche le rimozioni in virtù delle quali alcune tendenze psichiche non soltanto rimangono escluse dalla coscienza, ma anche dagli altri modi di agire e di farsi valere. Ciò che viene rimosso si contrappone durante l’analisi all’Io, e compito dell’analisi è eliminare le resistenze che l’Io manifesta a occuparsi del rimosso. Ora, durante l’analisi si può osservare che l’ammalato al quale vengono posti determinati compiti incontra delle difficoltà: le associazioni vengono meno quando dovrebbero avvicinarsi al rimosso. Gli diciamo allora che è dominato da una resistenza; egli però non ne sa nulla, e anche quando i sentimenti spiacevoli che avverte dovrebbero fargli comprendere che una resistenza sta ora agendo in lui, non sa come chiamarla e descriverla. Dato però che questa resistenza proviene certamente dal suo Io e ad esso pertiene, ci troviamo di fronte a una situazione che non avevamo previsto. Abbiamo trovato nell’Io stesso qualche cosa, anch’esso inconscio, che si comporta precisamente alla maniera del rimosso, e cioè qualche cosa che esercita potenti effetti senza divenire in quanto tale cosciente, e che necessita, per esser reso cosciente, di un particolare lavoro. Per la pratica analitica da questa costatazione deriva il seguente effetto: se continuassimo a tener fermo il nostro modo abituale di esprimerci, e se ad esempio volessimo far risalire la nevrosi a un conflitto fra il cosciente e l’inconscio, ci imbatteremmo in innumerevoli difficoltà e oscurità. In base all’esame dei rapporti strutturali esistenti nella vita psichica, dobbiamo, in luogo di tale contrapposizione, porne una diversa: quella fra l’Io coerente e il rimosso che se ne è distaccato.451

Tuttavia le conseguenze [di questa scoperta] per la nostra concezione dell’inconscio sono ancora più importanti. La considerazione dinamica ci ha indotto a una prima rettifica, l’esame strutturale ce ne reca una seconda. Costatiamo che l’Inc non coincide col rimosso; rimane esatto asserire che ogni rimosso è inc, ma non che ogni Inc è rimosso. Anche una porzione dell’Io, una porzione Dio sa quanto importante dell’Io, può essere, e anzi è certamente inc.452 E questo Inc dell’Io non è latente nel senso del Prec, giacché se così fosse non dovrebbe poter diventare attivo senza farsi c, né il suo farsi tale dovrebbe dar luogo a difficoltà così grandi. Costretti quindi a istituire una terza specie di Inc non rimosso, dobbiamo riconoscere che il carattere dell’essere inconscio viene a perdere per noi in significato. Si riduce a una qualità plurivoca che non consente di trarre quelle ampie e rigorose conclusioni per le quali avremmo voluto utilizzarlo. D’altronde dobbiamo anche guardarci dal trascurare questo carattere, posto che alla fin fine la proprietà dell’essere o no cosciente rappresenta l’unico faro nella tenebra della psicologia del profondo.

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