Ernest Jones (Vita e opere di Freud, Il Saggiatore, Milano 1962, vol. 2, pp. 214 sgg.) racconta che la reazione immediata di Freud alla notizia dello scoppio della prima guerra mondiale fu improntata a grande entusiasmo patriottico (vedi l’Introduzione, in OSF, vol. 8). Ma fu una fiammata brevissima: già le lettere che Freud scrisse, il 25 novembre 1914 a Lou Andreas-Salomé, e il giorno di Natale allo stesso Jones, testimoniano uno scoramento accorato e quasi apocalittico di fronte alla catastrofe della guerra. E il 28 dicembre Freud scrisse una lettera all’amico psichiatra olandese Frederik van Eeden (pubblicata in tedesco il 17 gennaio 1915 sulla rivista olandese “De Amsterdammer”) che val la pena di riportare per intero perché preannuncia i temi del primo scritto qui presentato (entrambi gli scritti furono composti nella primavera del 1915): “Egregio collega, sotto l’influsso di questa guerra mi permetto di rammentarLe due asserzioni che la psicoanalisi ha avanzato e che certamente hanno contribuito a renderla impopolare presso il pubblico. Dallo studio dei sogni e delle azioni mancate delle persone sane, oltreché dei sintomi nevrotici, la psicoanalisi ha tratto la conclusione che gli impulsi primitivi, selvaggi e malvagi dell’umanità non sono affatto scomparsi, ma continuano a vivere, seppure rimossi, nell’inconscio di ogni singolo individuo (così ci esprimiamo nel nostro gergo), aspettando l’occasione di potersi riattivare. La psicoanalisi ci ha inoltre insegnato che il nostro intelletto è qualcosa di fragile e dipendente, gingillo e strumento delle nostre pulsioni e dei nostri affetti, e che siamo costretti ad agire ora con intelligenza ora con stoltezza a seconda del volere dei nostri intimi atteggiamenti e delle nostre intime resistenze. Ebbene, guardi cosa sta accadendo in questa guerra, guardi le crudeltà e le ingiustizie di cui si rendono responsabili le nazioni più civili, la malafede con cui si atteggiano di fronte alle proprie menzogne e iniquità a petto di quelle dei nemici; e guardi infine come tutti hanno perso la capacità di giudicare con rettitudine: dovrà ammettere che entrambe le asserzioni della psicoanalisi erano esatte. È probabile che esse non fossero del tutto originali: molti pensatori e conoscitori del genere umano hanno detto cose analoghe. Tuttavia la nostra scienza ha portato entrambe queste tesi fino alle loro estreme conseguenze e le ha utilizzate per chiarire numerosi enigmi di natura psicologica. Augurandomi di riincontrarLa in tempi migliori, La saluto con molta cordialità. Suo Sigmund Freud.”
Jones (Vita e opere di Freud cit., vol. 2, pp. 444 sg.) riferisce che Abraham, dopo aver letto le Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, fece osservare a Freud che il comportamento della società moderna in guerra è analogo a quello dei popoli primitivi: l’azione vietata ai singoli diviene lecita quando si fa opera collettiva.
Si rilevano in questi scritti tracce della contemporanea composizione dei lavori di metapsicologia: così a proposito delle trasformazioni subite da determinate pulsioni si avverte l’eco di Pulsioni e loro destini, mentre, a proposito del ritiro della libido durante il sonno siamo rinviati al Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno dove tale fenomeno è analizzato più distesamente.
I due saggi (strettamente interconnessi) furono scritti per “Imago” (Heller, l’editore, aveva segnalato a Freud che il materiale per la rivista cominciava a scarseggiare), dove apparvero col titolo Zeitgemässes über Krieg und Tod, “Imago”, vol. 4 (1), pp. 1-21 (1915). L’argomento del secondo scritto, che si collega con le considerazioni svolte nel secondo saggio di Totem e tabù (1912-13), era stato oggetto, nello stesso aprile 1915, di una conversazione al Circolo ebraico B’nai B’rith di Vienna, che Freud era solito frequentare.
I due scritti sono stati riprodotti in Sammlung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, vol. 4 (Vienna 1918), pp. 486-520, in Gesammelte Schriften, vol. 10 (1924), pp. 315-46, in una pubblicazione separata di 36 pagine dell’Internationaler Psychoanalytischer Verlag nello stesso 1924 e in Gesammelte Werke, vol. 10 (1946), pp. 324-55.
Del problema generale della guerra, e dei suoi effetti sull’agire e sul sentire umano Freud si occupò ancora, di lì a poco, nello scritto Caducità (vedi più avanti, in OSF, vol. 8). Ma vi tornò ancora dopo molti anni nella cono-sciutissima lettera a Einstein del 1932, dal titolo Perché la guerra?
La prima traduzione italiana delle Considerazioni attuali sulla guerra e la morte comparve nell’antologia tradotta e curata da Cesare L. Musatti, Freud (L’Arco, Firenze 1949). Tale versione è qui riprodotta con alcune modifiche formali.