Signore e signori, non cominciamo con postulati ma con un’indagine. Come oggetto di essa scegliamo alcuni fenomeni che sono molto frequenti, molto noti e tenuti in assai poco conto, fenomeni che non hanno nulla a che vedere con le malattie, in quanto possono venir osservati in ogni persona sana. Si tratta dei cosiddetti “atti mancati” cui tutti vanno soggetti.250 Ciò accade per esempio quando si vuol dire una cosa e al suo posto se ne dice un’altra (lapsus verbale), o quando succede lo stesso nello scrivere, sia che ci se ne renda conto o no; oppure quando si legge in un foglio stampato o in un manoscritto qualcosa di diverso da quello che vi è scritto (lapsus di lettura); o, analogamente, quando si ode in modo errato qualcosa che viene detto (lapsus di ascolto), ovviamente senza l’intervento di una perturbazione organica delle facoltà uditive. Un’altra serie di fenomeni di tal genere ha per base una dimenticanza, non permanente però, ma soltanto temporanea; per esempio, quando non si sa trovare un nome, che pure si conosce e si riconosce regolarmente, o quando si dimentica di attuare un proposito, di cui più tardi ci si ricorda e che quindi si era dimenticato solo per un determinato momento. In una terza serie vien meno questa condizione di temporaneità, per esempio nello smarrire, quando qualcuno colloca un oggetto in un luogo qualunque e non riesce più a ritrovarlo, o nel caso del tutto analogo del perdere. Ci troviamo qui in presenza di un tipo di dimenticanza che viene trattato diversamente da altre dimenticanze: di esso ci si meraviglia o ci si adira, invece di trovarlo comprensibile. A ciò si riconnettono determinati errori, nei quali compare nuovamente la temporaneità, come quando per un certo periodo si crede qualcosa che pure, prima e dopo, si sa essere differente, e una quantità di fenomeni simili dai nomi diversi.
Tutti questi sono accadimenti la cui natura profondamente affine è testimoniata [in tedesco] dal prefisso comune “ver”;251 quasi tutti sono irrilevanti, i più assai fuggevoli e privi di significato per la vita degli uomini. Solo di rado uno di essi, come ad esempio la perdita di un oggetto, assume una certa importanza pratica. Per questo gli atti mancati suscitano scarsa attenzione, provocano deboli affetti e così via.
Su questi fenomeni intendo dunque richiamare ora la vostra attenzione. Ma voi mi obietterete infastiditi: “Vi sono tanti grandiosi enigmi nel vasto252 universo, come in quello più ristretto della vita psichica; tanti fenomeni prodigiosi nel campo dei disturbi psichici, che esigono e meritano un chiarimento, che sembra veramente arbitrario sciupare lavoro e attenzione per simili inezie. Se lei potesse farci comprendere come mai un uomo sano d’occhi e d’orecchi possa vedere e udire in pieno giorno cose che non esistono, perché un altro improvvisamente si creda perseguitato da persone che fino a quel momento gli erano carissime, o sostenga con le motivazioni più sottili opinioni deliranti che perfino un bambino troverebbe assurde, allora sì avremmo una certa considerazione per la psicoanalisi; ma se questa non sa far altro che indurci a ricercare perché alla fine di un banchetto un oratore dica una parola per un’altra o perché una massaia abbia smarrito la chiave di casa sua, e simili futilità, allora troveremo il modo di impiegare meglio il nostro tempo e il nostro interesse.”
Io vi risponderei: Un momento, signore e signori! A parer mio la vostra critica non è sulla via giusta. La psicoanalisi, è vero, non può vantarsi di non essersi mai occupata di inezie. Al contrario, la sua materia di osservazione è costituita abitualmente da quei fatti poco appariscenti che le altre scienze mettono da parte come troppo insignificanti: dai rimasugli, per così dire, del mondo dei fenomeni. Ma nella vostra critica non confondete forse la vastità dei problemi con la vistosità degli indizi? Non vi sono cose importantissime, che in determinate condizioni e in determinati momenti possono tradirsi solo tramite indizi estremamente lievi? Potrei citarvi con facilità parecchie di queste situazioni. Da quali minuscoli indizi deducete – mi rivolgo a voi giovanotti – di aver conquistato la simpatia di una signorina? Aspettate per questo un’esplicita dichiarazione d’amore, un abbraccio appassionato, oppure non vi basta forse uno sguardo, che altri difficilmente noterebbero, un movimento fugace, il prolungarsi per un secondo di una stretta di mano? E se, in qualità di agenti investigatori, partecipate alle indagini su un assassinio, vi aspettate davvero di trovare che l’assassino abbia lasciato sul luogo del delitto la sua fotografia con tanto di indirizzo accluso, oppure non vi accontentate necessariamente di tracce relativamente lievi e non molto perspicue della persona ricercata? Non sottovalutiamo quindi i piccoli indizi; forse, a partire da essi, sarà possibile trovarsi sulle tracce di qualcosa di più grande. Del resto, io penso come voi che i grandi problemi del mondo e della scienza hanno diritto per primi al nostro interesse. Ma il più delle volte serve ben poco formulare il preciso proposito di dedicarsi senz’altro all’investigazione di questo o quel grande problema. Spesso, poi, non si sa in che direzione procedere. Nel lavoro scientifico è più promettente affrontare il materiale che ci sta di fronte, per la cui indagine si apre uno spiraglio. Se lo si fa con scrupolo, senza ipotesi o aspettative preconcette, e se si ha fortuna, anche da un lavoro così privo di pretese può scaturire l’appiglio allo studio dei grandi problemi, grazie al nesso che lega tutto con tutto, anche il piccolo col grande.
Così parlerei dunque per tenere avvinto il vostro interesse al problema degli atti mancati, apparentemente così futili, delle persone sane.
Avviciniamo ora una persona qualsiasi, cui la psicoanalisi sia estranea, e chiediamole che spiegazioni si dà di tali fenomeni. A tutta prima essa risponderà certamente: “Oh, non son cose che val la pena di spiegare, si tratta di piccoli eventi casuali. “ Che cosa intende con ciò? Vuole forse affermare che accadono cose così insignificanti da rimanere al di fuori dell’universale concatenazione degli eventi e che, come ci sono, potrebbero altrettanto bene non esserci? Chi spezza così il determinismo naturale in un singolo punto, manda all’aria l’intera concezione scientifica del mondo. Gli si può far osservare che perfino la concezione religiosa del mondo è più conseguente giacché dichiara espressamente che nemmeno un passero cade dal tetto senza uno specifico volere di Dio. Penso che il nostro amico non vorrà trarre la conclusione che discende dalla sua prima risposta; cambierà rotta e dirà che, se studiasse queste cose, troverebbe certamente qualche spiegazione; che si tratta di piccole deviazioni funzionali, imprecisioni della prestazione psichica, e che si potrebbe indicare che cos’è che le determina. Una persona che di solito sa parlare correttamente può incorrere in lapsus verbali: 1) quando è leggermente indisposta e affaticata; 2) quando è eccitata; 3) quando è assorbita eccessivamente da altre cose. È facile trovare conferma a queste affermazioni. I lapsus verbali, in realtà, si presentano con particolare frequenza quando si è affaticati, si ha mal di testa o se incombe un’emicrania. In queste stesse condizioni si verificano facilmente le dimenticanze di nomi propri. Alcune persone sono abituate a riconoscere l’avvicinarsi dell’emicrania da questo loro dimenticare i nomi propri.253 Anche quando si è eccitati si scambiano spesso le parole – nonché le cose: “si prende una cosa per l’altra”. – La dimenticanza di propositi e tante altre azioni non intenzionali si presentano quando si è distratti, ossia, propriamente parlando, quando si è concentrati su qualcos’altro. Un noto esempio di questa distrazione è il professore del [settimanale umoristico] “Fliegende Blätter” [“Fogli volanti”], che dimentica l’ombrello e scambia il suo cappello con quello di un altro perché pensa ai problemi che tratterà nel prossimo libro. Esempi di come si possano dimenticare propositi e promesse, perché nel frattempo qualche avvenimento ci ha intensamente assorbiti, ognuno di noi può ricavarli dalla propria esperienza.
Questo pare del tutto plausibile e sembra anche essere immune da contraddizioni. Forse non è molto interessante o non è quello che ci eravamo aspettati. Guardiamo più da vicino queste spiegazioni degli atti mancati. Le condizioni del manifestarsi di questi fenomeni, che ci vengono indicate, non sono tutte della stessa natura. Indisposizione e disturbo circolatorio danno una giustificazione fisiologica della menomazione della funzione normale; eccitamento, affaticamento, distrazione sono fattori di altro genere, che si potrebbero chiamare psicofisiologici. Questi ultimi si lasciano facilmente tradurre in teoria. Sia l’affaticamento che la distrazione, e forse anche l’eccitazione generale, provocano il ripartirsi dell’attenzione, il che può avere come conseguenza che all’atto in questione si rivolga troppo poca attenzione. È allora particolarmente facile che quest’atto venga disturbato, eseguito in modo impreciso. Un lieve malessere o modificazioni nell’afflusso di sangue all’organo nervoso centrale possono provocare lo stesso effetto poiché influenzano in maniera analoga il fattore determinante, che è il ripartirsi dell’attenzione. Si tratterebbe quindi, in tutti i casi, degli effetti di un disturbo dell’attenzione provocato o da cause organiche o da cause psichiche.
Non sembra che ne venga fuori granché di promettente ai fini del nostro interesse per la psicoanalisi. Potremmo sentirci tentati ancora una volta di abbandonare l’argomento. Ciò nondimeno, se esaminiamo più da vicino i fatti, non tutto torna in questa teoria degli atti mancati basata sull’attenzione o, perlomeno, non tutto ciò che osserviamo ne consegue con naturalezza. Scopriamo che queste azioni mancate e queste dimenticanze si presentano anche in persone che non sono affaticate, distratte o eccitate, ma si trovano nel loro stato normale da ogni punto di vista, a meno che, proprio in conseguenza dell’atto mancato, non si voglia attribuire a posteriori alle persone in questione un’eccitazione che esse però non sono disposte ad ammettere. Le cose possono anche non essere così semplici, tali cioè che l’esecuzione di un atto sia garantita dall’aumentare dell’attenzione rivoltagli e sia compromessa dal diminuire della stessa. Vi è un gran numero di azioni che vengono compiute del tutto automaticamente, con scarsissima attenzione, e tuttavia con assoluta sicurezza. Chi va a passeggio quasi senza sapere dove sta andando, tiene tuttavia la direzione giusta e arriva alla meta senza perdersi. Perlomeno, di regola, le cose vanno così. Il pianista esperto tocca i tasti giusti senza pensarci. Naturalmente, una volta tanto può anche sbagliare, ma se l’automaticità di chi suona aumentasse il rischio di sbagliare, proprio il virtuoso, per il quale suonare è diventato perfettamente automatico a causa del grande esercizio, sarebbe esposto in massimo grado a questo rischio. Al contrario, noi vediamo che molti compiti vengono eseguiti con particolare sicurezza allorché non sono oggetto di un’attenzione particolarmente intensa,254 e che la disavventura dell’atto mancato tende a verificarsi proprio quando si tiene in modo particolare a una corretta esecuzione; quando dunque la necessaria attenzione non è certamente stata sviata. Si può dire allora che esso è effetto dell’“eccitazione”, ma non comprendiamo perché l’eccitazione non aumenti piuttosto l’attenzione rivolta a ciò che si intende fare con tanto interesse. Il fatto che qualcuno in un discorso importante o in una comunicazione orale dica con un lapsus verbale il contrario di ciò che intende dire è difficilmente spiegabile in base alla teoria psicofisiologica o dell’attenzione.
In concomitanza con gli atti mancati, inoltre, si verificano tanti piccoli fenomeni collaterali che non si riescono a capire e che non ci sono resi più accessibili dalle spiegazioni finora prese in considerazione. Se, per esempio, abbiamo temporaneamente dimenticato un nome, ce ne adiriamo, vogliamo assolutamente ricordarlo, e non riusciamo a desistere da questo tentativo. Perché chi è adirato riesce così raramente a volgere la sua attenzione, come tuttavia vorrebbe, sulla parola che, come egli dice, gli sta “sulla punta della lingua” e che riconosce subito, quando viene pronunciata in sua presenza? Oppure, si verificano casi in cui gli atti mancati si moltiplicano, si concatenano, si sostituiscono tra loro. La prima volta si è dimenticato un appuntamento; la volta successiva, proprio nell’intenzione di non dimenticarlo, risulta che erroneamente si è preso nota di un’ora diversa. Cerchiamo di ricordare una parola dimenticata per vie traverse, e, ciò facendo, ci sfugge un secondo nome che avrebbe potuto esserci di aiuto nella ricerca del primo. Se si insegue ora questo secondo nome, ce ne sfugge un terzo e così via. Lo stesso può avvenire, com’è noto, nel caso di errori di stampa, che sono senz’altro da considerarsi atti mancati del compositore. Un ostinato errore di stampa di questo tipo si sarebbe insinuato una volta in un giornale socialdemocratico. Nel resoconto di una certa cerimonia si poteva leggere: “Tra i presenti si notava anche Sua Altezza il Kornprinz [principe del grano (Korn)].” Il giorno seguente si fece un tentativo di correzione. Il giornale si scusò e scrisse: “Naturalmente si intendeva dire: il Knorprinz [principe del bernoccolo (Knorr)].”255 In questi casi si parla volentieri del diavoletto degli errori di stampa, dello spirito maligno della cassetta tipografica e simili; espressioni che, in ogni caso, vanno ben al di là di una teoria psicofisiologica dell’errore di stampa.256
Non so, inoltre, se vi sia noto che il lapsus verbale può essere provocato, o per così dire prodotto, mediante suggestione. Un aneddoto narra in proposito: Una volta che a un novellino della scena era stata affidata nella Pulzella d’Orléans [di Schiller] l’importante parte di annunciare al re che “der Connétable schickt sein Schwert zurück” [il conestabile manda indietro la sua spada], uno degli attori principali si permise lo scherzo di suggerire ripetutamente durante le prove al timido principiante, invece delle parole del testo, “der Komfortabel schickt sein Pferd zurück” [il vetturino manda indietro il suo cavallo];257 ebbene, costui raggiunse il suo intento. Alla rappresentazione il poveretto debuttò veramente col secondo annuncio, benché ne fosse stato messo sufficientemente in guardia, o forse proprio per questo.
Tutte queste particolarità degli atti mancati non vengono certo chiarite dalla teoria del ritiro di attenzione. Ma non per questo tale teoria è necessariamente errata. Forse le manca qualcosa, un’integrazione, per diventare del tutto soddisfacente. Ma vi sono anche alcuni atti mancati che si prestano a essere considerati sotto un altro aspetto.
Scegliamo tra gli atti mancati il lapsus verbale, come il più adatto per i nostri intenti; potremmo scegliere allo stesso scopo il lapsus di scrittura o quello di lettura. A questo punto dobbiamo pur dirci, una buona volta, che finora ci siamo chiesti soltanto quando, in quali condizioni, si commettano lapsus verbali, ed è solo a questo che abbiamo ricevuto risposta. Ma possiamo volgere il nostro interesse anche in un’altra direzione e voler sapere perché si commetta il lapsus proprio in quel certo modo e non in un altro; e possiamo prendere in esame ciò che risulta da un lapsus verbale. Come vedete, finché non si risponde a questa domanda, finché non si chiarisce l’effetto del lapsus verbale, il fenomeno rimane accidentale per quanto riguarda la sua componente psicologica, anche se può aver trovato una spiegazione fisiologica. Quando mi succede di commettere un lapsus verbale, potrei evidentemente commetterlo in infiniti modi; al posto di una data parola giusta dirne una tra mille altre, far subire innumerevoli deformazioni alla parola giusta. Ora, c’è un qualche cosa che in determinate circostanze, tra tutti i modi possibili, mi induce a commettere il lapsus proprio in un certo modo, oppure ciò è affidato al caso, a una scelta arbitraria, per cui a questo interrogativo non è possibile dare alcuna spiegazione ragionevole?
Due autori, Meringer e Mayer (un filologo e uno psichiatra) hanno appunto fatto, nel 1895, il tentativo di affrontare questo aspetto del problema del lapsus verbale.258 Essi hanno raccolto esempi e li hanno illustrati, dapprima, da punti di vista puramente descrittivi. È ovvio che ciò non fornisce ancora una spiegazione, ma può indicare la via che consente di trovarla. Essi suddividono le deformazioni subite dal discorso a causa dei lapsus in scambi, presonanze, risonanze, commistioni (contaminazioni) e rimpiazzamenti (sostituzioni). Vi citerò alcuni esempi tratti da questi gruppi principali. Un caso di scambio si ha quando si dice: “la Milo di Venere” invece che “la Venere di Milo” (inversione nell’ordine delle parole); una presonanza: “mi sentivo il pesso... petto oppresso”;259 una risonanza sarebbe il noto infelice brindisi: “ich fordere Sie auf, auf das Wohl unseres Chefs aufzustossen”[“vi invito a ‘ruttare’ alla salute del nostro capo”, invece di “brindare” (anzustossen)].260 Queste tre forme di lapsus verbale non sono veramente frequenti. Troverete invece un numero di gran lunga superiore di esempi nei quali il lapsus deriva da una contrazione o da una commistione. Per esempio, nel caso di un signore che abbordi una signorina per strada con le parole: “Se permette, signorina, vorrei invultarla.”261 Nella parola composta, oltre all’invitare si è evidentemente inserito anche l’insultare. (Tra parentesi, il giovanotto non avrà avuto molto successo con la signorina.) Come sostituzione, Meringer e Mayer citano il caso in cui uno dica: “ripongo i preparati nella ‘cassetta delle lettere (Briefkasten)’” anziché nella “cassetta d’incubazione (Brütkasten)”.262
Il tentativo di spiegazione che i due autori fondano sulla loro raccolta di esempi è del tutto insufficiente. Essi pensano che i suoni e le sillabe di una parola abbiano una diversa valenza e che l’innervazione263 dell’elemento ad alta valenza possa avere un’influenza perturbatrice su quella dell’elemento a valenza inferiore. In questo essi si basano evidentemente sulle presonanze e risonanze, di per sé stesse non tanto frequenti; per altri effetti dei lapsus verbali, queste elettività fonetiche, ammesso pure che esistano, non sono nemmeno da considerare. Comunque, i casi più frequenti di lapsus verbale sono quelli in cui al posto di una parola se ne pronuncia un’altra molto simile, e per molti questa somiglianza è spiegazione sufficiente del lapsus. Per esempio, un professore nella sua prolusione: “È per me una noia – (gioia) – descrivere i meriti del mio stimato predecessore.”264 Oppure un altro professore: “Nel caso del genitale femminile, nonostante molte tentazioni... pardon, tentativi...”265
La forma più comune, e anche la più vistosa, di lapsus verbale è tuttavia quella in cui si dice l’esatto contrario di ciò che si intendeva dire. In questo caso ci si allontana molto dalle relazioni tra i suoni e dagli effetti della somiglianza e, in compenso, ci si può appellare al fatto che gli opposti hanno tra loro una forte affinità concettuale e sono particolarmente vicini l’uno all’altro nell’associazione psicologica.266 Vi sono esempi storici di questo genere: Un presidente del nostro parlamento aprì una volta la seduta con le parole: “Signori, registro la presenza del numero legale e dichiaro quindi chiusa la seduta.”267
La stessa azione insidiosa che si nasconde nel rapporto di contrarietà è esercitata da qualsiasi altra comune associazione, e può far capolino in momenti assolutamente inopportuni. Così si racconta, per esempio, che durante i festeggiamenti in occasione del matrimonio di un figlio di Hermann Helmholtz con una figlia del noto inventore e grande industriale Werner Siemens era stato dato l’incarico di tenere il discorso ufficiale al famoso fisiologo Du Bois-Reymond. Egli concluse il suo brindisi, che certamente fu brillantissimo, con le parole: “Evviva quindi la nuova ditta Siemens e... Halske!” Questo era naturalmente il nome della vecchia ditta e l’accostamento dei due nomi doveva essere altrettanto familiare ai berlinesi quanto “Riedel und Beutel” ai viennesi.268
Alle relazioni tra i suoni e alla somiglianza tra le parole dobbiamo quindi aggiungere anche l’influenza delle associazioni verbali. Ma non basta. In una serie di casi la spiegazione del lapsus non sembra essere possibile se prima non abbiamo preso in considerazione ciò che era stato detto, o anche solo pensato, in una frase precedente. Dunque, nuovamente, un caso di risonanza, come quello messo in rilievo da Meringer, ma di origine più lontana. Devo confessare che, nel complesso, ho l’impressione che ora ci siamo allontanati più che mai dalla comprensione di quell’atto mancato che è il lapsus verbale.
Spero comunque di non sbagliarmi se affermo che durante l’indagine testé condotta noi tutti abbiamo ricavato una nuova impressione dagli esempi di lapsus verbale, sulla quale potrebbe valere la pena di soffermarsi. Abbiamo esaminato le condizioni più generali nelle quali un lapsus verbale ha luogo, quindi le influenze che determinano il tipo di deformazione provocata dal lapsus, ma finora non abbiamo preso in considerazione l’effetto del lapsus considerato in sé stesso, indipendentemente dalla sua origine. Se ci decidiamo a far questo, dobbiamo finalmente trovare il coraggio di dire che in alcuni degli esempi anche il risultato del lapsus ha un senso. Che cosa vuol dire “ha un senso”? Ebbene, vuol dire che l’effetto del lapsus in quanto tale ha forse il diritto di essere considerato un atto psichico pienamente valido, perseguente un proprio fine, espressione di un contenuto e di un significato. Finora abbiamo sempre parlato di atti mancati, ma adesso ci sembra che talvolta l’atto mancato sia di per sé stesso un’azione del tutto normale che si è messa al posto di un’altra azione attesa o progettata.
Questo senso proprio dell’atto mancato appare in alcuni casi tangibile e inequivocabile. Se il presidente con le prime parole che pronuncia chiude la seduta del parlamento, invece di aprirla, noi, in base alla nostra conoscenza delle circostanze nelle quali avvenne il lapsus, siamo inclini a ritenere che questo atto mancato abbia un senso. Il presidente non si aspetta niente di buono dalla seduta e sarebbe lieto di poterla interrompere subito. Indicare questo senso, interpretare questo lapsus, non presenta per noi alcuna difficoltà. Oppure, se una signora chiede a un’altra in tono che sembra di apprezzamento: “Questo nuovo cappellino così grazioso, suppongo l’abbia pasticciato [aufgepatzt, deformazione di aufgeputzt (guarnito)] lei stessa”, non c’è considerazione scientifica che possa impedirci di scorgere in questo lapsus l’espressione di un giudizio: “Questo cappellino è un pasticcio.” Oppure, se una signora, nota per la sua energia, racconta: “Mio marito ha chiesto al dottore che dieta deve seguire, ma il dottore gli ha detto che non ha bisogno di una dieta, che può mangiare e bere quel che voglio”, ancora una volta questo lapsus è l’espressione inconfondibile di un programma ben preciso che la signora ha in mente.269
Signore e signori, se dovesse risultare che non solo pochi casi di lapsus verbale e di atti mancati in genere hanno un senso, ma che ciò accade per un buon numero di essi, questo senso, di cui finora non si è ancora parlato, diventerà inevitabilmente per noi la cosa di maggior interesse e legittimamente relegherà sullo sfondo ogni altra considerazione. Possiamo pertanto lasciar da parte tutti i fattori fisiologici e psicofisiologici e dedicarci a indagini puramente psicologiche sul senso, cioè sul significato, sull’intenzione, dell’atto mancato. Non trascureremo dunque l’opportunità di esaminare da questo punto di vista il materiale piuttosto abbondante fornitoci dall’osservazione.
Ma, prima di mettere in atto questo proponimento, vorrei invitarvi a seguire con me un’altra traccia. È avvenuto ripetutamente che un poeta si sia servito del lapsus verbale o di un altro atto mancato come mezzo di rappresentazione poetica. Questo fatto è sufficiente da solo a dimostrarci che egli considera l’atto mancato, ad esempio il lapsus verbale, qualcosa che ha un senso, tant’è che lo produce intenzionalmente. Non accade certo che il poeta commetta per caso un lapsus di scrittura e lo lasci poi sussistere nel suo personaggio sotto forma di lapsus verbale. Con il lapsus, egli vuol farci comprendere qualcosa e noi possiamo verificare di che cosa si tratti, forse un’allusione al fatto che il personaggio in questione è distratto o affaticato o sta per avere un’emicrania. Naturalmente, non intendiamo esagerare l’importanza dell’uso significativo del lapsus da parte del poeta. È vero che i lapsus potrebbero essere privi di senso, essere cioè eventi psichici casuali, oppure avere un senso solo in casi molto rari; e il poeta manterrebbe il diritto di spiritualizzarli, dotandoli di senso per servirsene secondo i suoi scopi. Ma non ci sarebbe neanche da meravigliarsi se in fatto di lapsus avessimo da apprendere più dal poeta che dal filologo o dallo psichiatra.
Un esempio di lapsus di questo genere si trova nel Wallenstein270 (I Piccolomini, atto 1, scena 5). Nella scena precedente Max Piccolomini ha perorato appassionatamente la causa del duca [Wallenstein], esaltando i benefici della pace quali gli si erano rivelati mentre aveva accompagnato al campo la figlia di Wallenstein. Egli lascia la scena mentre suo padre [Ottavio] e il messaggero della corte, Questenberg, sono costernati. La scena quinta continua:
QUESTENBERG Ahinoi! Stanno così le cose?
Amico, e noi lasciamo che con questa illusione
egli se ne vada, e non lo richiamiamo subito
per aprirgli gli occhi
all’istante?
OTTAVIO (tornando in sé da
profonda meditazione):
A me ora li ha aperti,
ed ora vedo più di quanto mi piaccia.271
QUESTENBERG Che avete, amico?
OTTAVIO Maledetto questo viaggio!
QUESTENBERG Come mai? Di che si tratta?
OTTAVIO Venite! Io devo
tosto seguire la traccia infausta,
vedere coi miei occhi... Venite...
(vuole condurlo via con sé).
QUESTENBERG Che dunque? Per dove?
OTTAVIO (impaziente) Da lei!
QUESTENBERG Da...
OTTAVIO (si corregge) Dal duca! Andiamo!
Ottavio voleva dire “da lui”, dal duca, ma commette un lapsus e dicendo “da lei” rivela, almeno a noi, di aver riconosciuto molto bene ciò che ha indotto il giovane guerriero a desiderare ardentemente la pace.272
Un esempio ancora più suggestivo è stato scoperto da Otto Rank in Shakespeare.273 Si trova nel Mercante di Venezia, nella famosa scena della scelta fra i tre scrigni da parte del fortunato pretendente, e forse non posso fare nulla di meglio che leggervi qui la breve esposizione di Rank.
“Un lapsus verbale avente una sottile motivazione poetica e utilizzato con una tecnica brillante, che al pari di quello segnalato da Freud nel Wallenstein mostra che i poeti ben conoscono il meccanismo e il senso di questi atti mancati e presuppongono che anche gli spettatori li comprendano, si trova nel Mercante di Venezia (atto 3, scena 2) di Shakespeare. Porzia, vincolata dalla volontà del padre a scegliere lo sposo che la sorte le assegnerà, è finora sfuggita a tutti i pretendenti a lei sgraditi, grazie al favore del caso. Avendo finalmente trovato in Bassanio il pretendente che veramente ella ama, deve temere che anche lui sbagli la sorte. Preferirebbe dirgli che anche in tal caso egli potrà essere certo del suo amore, ma ne è impedita dal giuramento compiuto. Di fronte a questo conflitto interiore, il poeta le fa dire al pretendente gradito:
Attendete, vi prego; un giorno
o due ancora
Prima di osare: ché, se la scelta errate,
Io vi perdo; perciò indugiate.
Un che mi dice (ma non è
l’amore),
Che perdervi non
voglio...
...Potrei guidarvi
A sceglier giusto, ma verrei meno al voto;
Ciò non voglio; potreste dunque perdermi.
E ciò facendo, pentire mi fareste
Di non aver mancato al voto. Oh, gli occhi vostri
Che nel guardarmi così mi divisero!
Metà son vostra, l’altra metà è vostra...
Mia, volevo dire; ma se mia, anche vostra,
E così tutta vostra.
“Proprio quel che essa vorrebbe soltanto lievemente accennargli, perché anzi dovrebbe tacerglielo del tutto, che essa cioè già prima del responso della sorte è tutta sua e lo ama, il poeta lo fa erompere apertamente nel lapsus verbale con ammirevole finezza psicologica, e riesce in tal modo a calmare con questo artifizio l’insopportabile incertezza dell’amante così come la partecipe tensione dello spettatore circa l’esito della scelta.”
Osservate ancora con quanta finezza Porzia alla fine riconcilia le due affermazioni contenute nel lapsus verbale, come risolve la contraddizione tra esse, e come alla fin fine dà ragione al lapsus:
...ma se mia, anche vostra |
|
E così tutta vostra. |
Occasionalmente, anche un pensatore estraneo alla medicina ha scoperto con una sua notazione il senso di un atto mancato e ha prevenuto i nostri sforzi per spiegare questo fenomeno. Voi tutti conoscete l’arguto scrittore satirico Lichtenberg (1742-99), di cui Goethe disse: “Dove fa uno scherzo, è nascosto un problema.” Ora, di tanto in tanto, attraverso lo scherzo viene alla luce anche la soluzione del problema. Nelle sue Idee spiritose e satiriche Lichtenberg annota la frase: “Leggeva sempre Agamemnon invece di angenommen [accettato], tanta era la sua dimestichezza con Omero.” Questa è davvero la teoria del lapsus di lettura.274
La prossima volta esamineremo se possiamo trovarci d’accordo con i poeti sulla concezione degli atti mancati.