A quanto pare il destino non ci concede di lavorare tranquillamente all’ampliamento della nostra scienza. Abbiamo a malapena respinto vittoriosamente due attacchi – uno era inteso ancora una volta a sconfessare il contenuto che abbiamo portato alla luce e in sua vece non ha saputo offrirci altro che l’argomento del diniego, l’altro voleva persuaderci a forza di chiacchiere che noi saremmo in errore sulla natura di questo contenuto e che meglio faremmo a cambiarlo con un altro376 – a malapena, dicevo, riteniamo di essere scampati agli attacchi di questi nemici, ed ecco che ci si para dinanzi un nuovo pericolo: questa volta è un pericolo enorme, elementare, che minaccia non solo noi ma forse ancor più i nostri avversari.
Non è più possibile, a quanto sembra, rifiutare lo studio dei cosiddetti fenomeni occulti, di quei fatti, cioè, che parrebbero avallare la reale esistenza di forze psichiche diverse dalla mente umana e animale che conosciamo, o che parrebbero svelare capacità di questa mente che finora non sono state riconosciute. La spinta a una tale ricerca sembra irresistibile; durante queste brevi vacanze per ben tre volte ho avuto occasione di rifiutare la collaborazione a riviste di recente fondazione dedicate a questi studi. Crediamo anche di comprendere da dove tragga la sua forza questa tendenza. Essa è non solo l’espressione della perdita di valori che dalla catastrofe mondiale della Grande Guerra in poi ha investito tutto ciò che esiste, parte dunque di un procedere a tentoni verso un grande sovvertimento che ci sta dinanzi e di cui non riusciamo ancora a intuire la portata; ma anche, certo, un tentativo di compensazione volto a trasporre in una sfera diversa, ultraterrena, le gioie della vita che su questa terra hanno perduto il loro fascino. Perfino taluni orientamenti della scienza esatta possono aver favorito questo sviluppo. La scoperta del radio ha sconvolto e ampliato in pari misura le possibilità di spiegazione del mondo fisico, e la conoscenza recentemente acquisita della cosiddetta teoria della relatività ha avuto presso molte persone che la magnificano, senza peraltro comprenderla, l’effetto di diminuire la loro fiducia nell’attendibilità obiettiva della scienza. Come ricorderete, Einstein stesso ha colto l’occasione non molto tempo fa per protestare contro tale fraintendimento.
Non è affatto detto che il rafforzarsi dell’interesse per l’occultismo debba significare un pericolo per la psicoanalisi. Al contrario, dovremmo essere preparati a che sorga, fra queste due discipline, una reciproca simpatia. A entrambe è stato riservato lo stesso trattamento, sprezzante e altezzoso, da parte della scienza ufficiale. La psicoanalisi viene sospettata ancor oggi di misticismo e il suo inconscio viene annoverato fra quelle cose che stanno tra cielo e terra e di cui la nostra filosofia non intende occuparsi nei suoi sogni. Le numerose richieste di collaborazione che ci vengono rivolte da parte degli occultisti dimostrano che costoro ci considerano per metà colleghi e che contano sul nostro appoggio per contrastare l’autorità della scienza esatta. D’altro canto la psicoanalisi non ha interesse alcuno a difendere, autoimmolandosi, questa autorità, opponendosi anch’essa in effetti a tutto ciò che è convenzionalmente delimitato, stabilito una volta per tutte, universalmente accettato; non sarebbe la prima volta che la psicoanalisi offre il proprio ausilio alle oscure ma indistruttibili intuizioni del popolo contro l’oscurantismo scientifico degli eruditi. L’alleanza e la cooperazione tra analisti e occultisti sembrerebbe tanto naturale quanto ricca di prospettive.
Eppure a un esame più attento emergono le difficoltà. La stragrande maggioranza degli occultisti non è spinta da brama di sapere, né da un senso di scandalo per il fatto che la scienza ha trascurato per tanto tempo di prendere in considerazione problemi innegabili, e neppure dall’esigenza di conquistarle nuovi ambiti fenomenici. Gli occultisti sono piuttosto persone già convinte, che vanno in cerca di convalide, che desiderano essere legittimate a professare apertamente la loro fede. Ma la fede che essi all’inizio testimoniano personalmente, e che poi cercano di imporre agli altri, è l’antica fede religiosa che nel corso dello sviluppo dell’umanità è stata sgominata dalla scienza, o magari è un’altra fede, ancora più vicina alle superate convinzioni dei popoli primitivi. Gli analisti, invece, non possono disconoscere la propria provenienza dall’ambito delle scienze esatte, né la propria appartenenza ai rappresentanti di queste. Diffidenti al massimo verso la potenza degli umani moti di desiderio, verso le tentazioni del principio di piacere, pur di acquisire un frammento di sicurezza oggettiva essi sono disposti a sacrificare tutto: l’abbagliante splendore di una teoria priva di lacune, l’esaltante coscienza di possedere una compiuta visione del mondo, la tranquillità psichica che deriva da ampie motivazioni per agire opportunamente ed eticamente. Al posto di tutto ciò essi si accontentano di qualche sparso frammento di conoscenza e di ipotesi fondamentali non troppo precise e passibili di qualunque rettifica. Anziché spiare l’occasione che consenta loro di sottrarsi alla costrizione delle leggi fisiche e chimiche conosciute, essi nutrono la speranza che si palesino leggi naturali più comprensive e più profonde alle quali sono pronti a sottomettersi. Gli analisti sono in fondo degli inguaribili meccanicisti e materialisti, anche se non intendono certo derubare lo psichico e lo spirituale delle loro peculiarità che ancora non si conoscono. Nell’investigazione della tematica occulta essi si addentrano solo perché in questo modo si aspettano di escludere definitivamente dalla realtà materiale le configurazioni del desiderio proprie dell’umanità.
Data questa differenza di atteggiamento mentale, le prospettive di successo della cooperazione tra analisti e occultisti sembrano scarse. L’analista ha il suo ambito di lavoro che non deve abbandonare: l’inconscio della vita psichica. Se egli durante il suo lavoro si mettesse in agguato, nell’attesa che compaiano fenomeni occulti, correrebbe il rischio di trascurare proprio ciò che lo riguarda più da vicino. Ci rimetterebbe in spregiudicatezza, imparzialità, mancanza di aspettative precostituite, caratteristiche che rappresentano una parte essenziale del suo armamento ed equipaggiamento analitico. Ammesso che fenomeni occulti si impongano alla sua attenzione alla stessa stregua di altri fenomeni, certo egli non li eviterà, così come non evita gli altri fenomeni. Questo sembra essere l’unico proposito effettivamente compatibile con l’attività dell’analista.
Dal pericolo, che è soggettivo, di perdere il proprio interesse per i fenomeni occulti, l’analista può difendersi con l’autodisciplina. Quanto al pericolo oggettivo, le cose stanno diversamente. È praticamente certo che l’occuparsi di fenomeni occulti porterà ben presto alla conferma che un certo numero di essi si verifica effettivamente; c’è tuttavia da presumere che ci vorrà molto tempo prima che si giunga a una teoria accettabile riguardo a questi fatti nuovi. Cionondimeno coloro che stanno lì a spiare con avida attenzione non attenderanno tanto a lungo. Ottenuto un primo consenso, gli occultisti dichiareranno che la loro causa ha vinto, estenderanno il convincimento relativo a una singola affermazione a tutte le altre, lo faranno passare dai fenomeni alle spiegazioni dei fenomeni che sono da essi predilette e che sono loro più congeniali. I metodi della ricerca scientifica devono infatti servire agli occultisti esclusivamente da trampolino per portarsi al di sopra della scienza. Ma guai se salgono così in alto! E non sarà lo scetticismo degli astanti e degli ascoltatori a farli esitare, né una protesta collettiva a farli desistere. Verranno salutati come chi è venuto a liberarci dalla pesante costrizione intellettuale, e tutta la credulità che ancora sopravvive dai giorni infantili della storia umana e dagli anni infantili dei singoli individui si farà loro incontro con esultanza. Potrà allora essere imminente uno spaventoso collasso del pensiero critico, del postulato deterministico, della scienza meccanicistica; riuscirà il metodo scientifico a evitarlo non abbandonando per nessun motivo i concetti quantitativi della forza e della massa e le qualità della materia?
È vano sperare che proprio il lavoro analitico, solo perché si occupa dell’enigmatico inconscio, possa sottrarsi a questo crollo di valori. Se a dare le spiegazioni ultime sono gli spiriti di coloro che gli uomini conoscono alla perfezione, non può restare alcun interesse per le faticose approssimazioni dell’indagine analitica su forze psichiche sconosciute. Anche le vie della tecnica analitica saranno abbandonate se c’è la speranza di mettersi in contatto diretto con gli spiriti attivi mediante procedimenti occulti, esattamente come sarebbero abbandonate le abitudini di un paziente e minuzioso lavoro qualora si potesse sperare di diventare improvvisamente ricchi grazie a una speculazione fortunata. Nel corso dell’ultima guerra abbiamo sentito parlare di persone che si trovavano tra due nazioni nemiche, appartenendo per nascita all’una, e all’altra per elezione e luogo di residenza; il loro destino – di quelli che riuscirono a salvare la pelle – fu di essere trattati come nemici da una nazione prima, e dall’altra poi. Qualcosa di simile potrebbe ripetersi nel destino della psicoanalisi.
Eppure il destino va sopportato, quale che sia. Anche la psicoanalisi troverà il modo di venire a capo del proprio. Torniamo al presente, al compito più immediato che ci sta di fronte. Nel corso degli ultimi anni ho fatto alcune osservazioni che non voglio tenere celate, almeno nella cerchia di coloro che mi sono più vicini. La riluttanza a immettermi in una corrente oggi dominante, la preoccupazione di sottrarre interesse alla psicoanalisi, l’assoluta mancanza di paludamenti ispirati alla discrezione, sono i motivi che congiuntamente mi inducono a non dare più vasta pubblicità a ciò che sto per dire. Rivendico per il mio materiale due caratteristiche che si riscontrano raramente. In primo luogo esso è esente dalle perplessità e dai dubbi a cui sono soggette per la maggior parte le osservazioni degli occultisti, e in secondo luogo esso sviluppa la sua forza dimostrativa solo dopo che lo si è sottoposto all’elaborazione analitica. Comunque esso si limita a due casi di natura analoga; un terzo caso, che aggiungo qui solo a mo’ di appendice, è di tipo diverso e suscettibile di una diversa valutazione. Entrambi i casi che illustrerò ora ampiamente riguardano avvenimenti dello stesso tipo, profezie di indovini di professione che non si sono avverate. Tuttavia tali profezie hanno esercitato un’influenza straordinaria sulle persone alle quali erano state comunicate, dal che si deduce che il rapporto con il futuro non può esser stato in esse l’elemento essenziale. Ogni contributo alla loro spiegazione, come pure ogni dubbio circa la loro forza dimostrativa, mi giungerà estremamente gradito. Il mio atteggiamento personale rispetto a questa materia continua a essere riluttante e ambivalente.
Qualche anno prima della guerra venne da me in analisi, dalla Germania, un giovanotto che lamentava di essere diventato incapace di lavorare, di aver dimenticato tutto della sua vita e di aver perso ogni interesse.377 Doveva laurearsi in filosofia, studiava a Monaco, e gli esami finali erano imminenti; era, fra l’altro, un giovane molto colto e astuto, con un che di infantilmente canagliesco, figlio di un finanziere, il quale, come emerse in seguito, aveva felicemente sviluppato un colossale erotismo anale. Quando gli domandai se proprio niente della sua vita o della sua cerchia d’interessi fosse rimasto presente nella sua memoria, il giovane ammise di aver abbozzato un romanzo che aveva in animo di scrivere; la vicenda si svolgeva all’epoca di Amenofi IV in Egitto e in essa assumeva grande importanza un certo anello. Prendemmo le mosse da questo romanzo, l’anello si rivelò simbolo del matrimonio e da quel punto in poi riuscimmo a ravvivare tutti i suoi ricordi e interessi. Risultò che il suo crollo era la conseguenza di un grande sforzo di autocontrollo psichico. Aveva un’unica sorella, di qualche anno più giovane di lui, a cui era legato da un grande amore che non dissimulava affatto: “Perché noi due non potremmo sposarci?”, si erano detti spesso. Ma le loro affettuosità non erano mai andate oltre i limiti consentiti tra fratello e sorella.
Di questa sorella si era innamorato un giovane ingegnere. Contraccambiato da lei, costui non incontrò però il favore dei severi genitori della ragazza. In questa situazione critica la coppia si rivolse al fratello per averne aiuto. Questi si prese a cuore la causa dei due innamorati, fece da intermediario nella loro corrispondenza, facilitò i loro incontri quando era a casa in vacanza, e con la sua influenza riuscì alla fine a indurre i genitori ad acconsentire al fidanzamento e al matrimonio. Durante il periodo di fidanzamento accadde un giorno qualcosa di assai sospetto. Il fratello intraprese un’escursione sulla Zugspitze378 con il futuro cognato facendo lui da guida, ma i due si smarrirono sulla montagna, corsero il rischio di precipitare e solo a fatica riuscirono a salvarsi. Il paziente non ebbe molto da obiettare allorché interpretai questa avventura come un tentativo di omicidio e di suicidio. Pochi mesi dopo il matrimonio della sorella il giovane entrò in analisi.
Riacquistò pienamente la capacità di lavorare dopo sei-nove mesi e interruppe l’analisi per finire i suoi esami e scrivere la dissertazione di dottorato; ritornò da me un anno dopo, dottore in filosofia, per continuare l’analisi, giacché, come egli disse, in quanto filosofo la psicoanalisi aveva per lui un interesse che andava al di là del successo terapeutico. Ricordo che venne in ottobre, e alcune settimane più tardi, non so più in quale contesto, mi raccontò il seguente episodio.
A Monaco vive un’indovina che gode di grande fama. I principi bavaresi sono soliti rivolgersi a lei prima di prendere qualsiasi iniziativa. Essa non richiede altro che l’indicazione di una data. (Trascurai di domandare se dovesse essere indicato anche l’anno.) Il presupposto è che la data si riferisca al giorno di nascita di una determinata persona, ma ella non chiede di chi si tratti. Ottenuta questa data, l’indovina compulsa i suoi libri astrologici, fa lunghi calcoli e infine trae pronostici su questa persona. Nel marzo scorso il mio paziente si lasciò indurre ad andare a trovare l’indovina e le fornì la data di nascita del cognato, naturalmente senza farne il nome né rivelare che pensava a lui. L’oracolo disse: “Quest’uomo morirà nel prossimo luglio o agosto, per un avvelenamento da gamberi o da ostriche.” Dopo aver raccontato tutto questo, il paziente aggiunse: “Una cosa davvero straordinaria!”
Io non capivo, e replicai con una certa veemenza: “Ma che cosa ci trova di straordinario? Sono ormai settimane che Lei viene da me; se suo cognato fosse davvero morto me l’avrebbe raccontato da un pezzo; dunque è ancora vivo. La profezia è stata in marzo, avrebbe dovuto avverarsi in piena estate, e ora siamo in novembre. Dunque non si è avverata; che cosa ci trova di così stupefacente?”
E lui: “È vero, la profezia non si è avverata, ma ecco il punto: mio cognato va matto per gamberi, ostriche e simili, e l’altro agosto ha veramente avuto un avvelenamento da gamberi,379 di cui per poco non è morto.” La discussione non procedette oltre.
Vogliate ora esaminare con me questo caso.
Io credo nella veridicità del narratore. È una persona che va presa assolutamente sul serio; attualmente insegna filosofia a K. Non saprei quale motivo avrebbe potuto indurlo a turlupinarmi. Il racconto fu estemporaneo e niente affatto tendenzioso, null’altro vi si ricollegò in seguito e da esso non fu tratta conclusione alcuna. Il giovane non si proponeva di convincermi dell’esistenza dei fenomeni psichici occulti, e anzi ebbi l’impressione che a lui stesso non fosse affatto chiaro il significato della propria esperienza. Per parte mia essa mi aveva talmente colpito, e anzi a dir la verità talmente infastidito, che rinunciai a utilizzare sul piano analitico quanto mi era stato comunicato.
Altrettanto ineccepibile mi sembra l’osservazione se la guardiamo da un altro punto di vista. È certo che l’indovina non conosceva l’interrogante. E comunque provate a chiedervi voi stessi che grado di intimità è necessario perché si possa ravvisare in una data il giorno in cui è nato il cognato di un proprio conoscente. D’altro lato, sono sicuro che voi tutti persistete con me nel dubbio che con qualche formula e con l’aiuto di chissà quali tavole si possa dedurre da una data di nascita un destino così preciso come l’ammalarsi per un avvelenamento da gamberi. Non dimentichiamoci di quante persone sono nate nello stesso giorno; credete davvero possibile che la comunanza di destini, fondata sulla stessa data di nascita, giunga fino a simili dettagli? Per parte mia sarei dunque propenso a escludere del tutto dalla discussione i calcoli astrologici; credo che l’indovina avrebbe potuto dire qualsiasi altra cosa senza influenzare minimamente il risultato dell’interrogazione. Non mi sembra dunque che si possa considerare in alcun modo fonte d’inganno neppure l’indovina, o diciamo pure la medium.
Se ammettete l’effettività e veridicità di questa osservazione, la sua spiegazione ci sta dinanzi. E immediatamente ci si rivela ciò che vale per la maggior parte di questi fenomeni, e cioè che la spiegazione in base a ipotesi occulte risulterebbe adeguata come poche altre ed esaurirebbe completamente quel che c’è da spiegare se solo non fosse in sé tanto insoddisfacente. L’indovina non poteva sapere dell’avvelenamento da gamberi che effettivamente aveva colpito la persona nata nel giorno indicato, né tale conoscenza poteva averla ricavata dalle sue tavole e dai suoi calcoli. L’interrogante, invece, questa cosa la sapeva. L’evento si spiega perfettamente se siamo disposti a supporre che questo sapere si è traslato da lui a lei, presunta profetessa, per vie sconosciute, e con esclusione delle modalità comunicative a noi note. La nostra conclusione dovrebbe dunque essere che esiste la trasmissione del pensiero. Il lavoro astrologico dell’indovina consisterebbe in questo caso in un’attività intesa a deviare le sue stesse forze psichiche e a tenerle occupate in qualcosa di innocuo, talché essa possa diventare ricettiva e permeabile agli effetti dei pensieri altrui, ossia possa trasformarsi in una vera e propria “medium”. Abbiamo imparato a conoscere procedimenti analoghi a questo, per esempio nel motto di spirito, quando si tratta di assicurare a un determinato processo psichico uno svolgimento più automatico.380
Ma il ricorso all’analisi ci consente di dire qualcosa di più su questo caso accrescendone la significatività. Apprendiamo infatti che non è una qualunque informazione irrilevante quella che è stata comunicata per via induttiva a una seconda persona; si tratta invece di un desiderio straordinariamente intenso, il quale è in un rapporto particolare con la persona che lo nutre ed è riuscito a procurarsi un’espressione cosciente, seppure lievemente contraffatta, con l’aiuto di una seconda persona, in modo del tutto analogo a come si rende percettibile sulla lastra sensibile alla luce la parte terminale invisibile dello spettro, quasi fosse un’appendice colorata. Riteniamo di poter ricostruire così i pensieri del giovane dopo la malattia e il ristabilimento del cognato da lui odiato come rivale: “Per questa volta è riuscito a cavarsela, ma quando uno va matto per qualcosa ci ricasca, anche se è pericoloso, e una prossima volta, si spera, finirà col rimetterci la vita.” È questo “si spera” che si converte nella profezia. Potrei citarvi, a mo’ di riscontro di questo episodio, il sogno di un’altra persona il cui materiale è costituito da una profezia; l’analisi del sogno stesso dimostra che il contenuto della profezia coincide con l’appagamento di un desiderio.381
Non posso semplificare la mia affermazione definendo il desiderio di morte del mio paziente riguardante il cognato come un desiderio inconscio rimosso. Durante la cura dell’anno precedente egli ne era infatti divenuto cosciente, e le conseguenze dovute alla rimozione erano recedute. Tuttavia questo desiderio, pur non essendo più patogeno, continuava a persistere, fra l’altro in forma piuttosto intensa. Lo si potrebbe definire un desiderio “represso”.
Nella città di F. cresce una bambina, che è la maggiore di cinque sorelle.382 La più piccola ha dieci anni meno di lei; un giorno, quando questa era neonata, alla più grande è capitato di lasciarsela cadere dalle braccia, poi ha preso l’abitudine di chiamarla “la mia bambina”. La sorella che vien dopo di lei è nata con un minimo distacco di età, sono entrambe dello stesso anno. La madre, più anziana del padre, non è una donna molto gradevole; il padre non solo è più giovane di età, ma dedica anche molto tempo alle sue figliolette e suscita la loro ammirazione per il suo notevole talento artistico. Sfortunatamente non è altrettanto brillante sotto altri aspetti: poco affidabile come uomo d’affari, non riesce a mantenere la famiglia senza farsi aiutare dai parenti. La figlia maggiore diventa ben presto la confidente di tutte le preoccupazioni che gli derivano dalla sua precarietà professionale.
Trascorsa l’infanzia nella quale aveva rivelato un carattere passionale e caparbio, la ragazza diventa con gli anni un vero specchio di virtù. Al suo elevato pathos morale si accompagna un’intelligenza limitata. È diventata maestra di scuola e gode di grande considerazione. Le timide attenzioni di un giovane parente che le dà lezioni di musica la lasciano indifferente. Nessun altro uomo ha ancora destato il suo interesse.
Un giorno compare un parente della madre, parecchio più anziano di lei, ma giacché la ragazza ha soltanto diciannove anni, si tratta ancora di un uomo piuttosto giovane. È straniero, vive in Russia e dirige una grande impresa commerciale che lo ha reso molto ricco. Ci vorrà niente di meno che una guerra mondiale e il crollo del più grande dei poteri dispotici per ridurre anche lui in povertà. Egli si innamora della giovane e austera cugina e vuole prenderla in moglie. I genitori non fanno niente per convincerla, ma lei sa quel che essi desiderano. Al di là di tutti i suoi ideali morali le balena l’idea di poter appagare il desiderio, coltivato nella fantasia, di aiutare il padre, di salvarlo dalla sua situazione difficile. Calcola che il futuro sposo aiuterà il padre finanziariamente finché questi continuerà a svolgere la sua attività, gli darà poi una pensione quando infine dovrà abbandonarla, e procurerà anche dote e corredo alle sorelle perché possano sposarsi. E così se ne innamora, poco dopo lo sposa e lo segue in Russia.
Fino a quando non si verificano alcuni piccoli incidenti, a tutta prima non perfettamente intelligibili, i quali assumeranno un significato solo a uno sguardo retrospettivo, tutto procede splendidamente in questo matrimonio. La ragazza diventa una moglie tenera e innamorata, sensualmente soddisfatta, ed è inoltre una vera provvidenza per la sua famiglia. Solo una cosa manca, rimane senza figli. Ormai ha ventisette anni, è sposata da otto, vive in Germania, e dopo aver superato tutta una serie di esitazioni si rivolge a un ginecologo della città. Costui le assicura, con la consueta meccanicità degli specialisti, che riuscirà ad avere figli se prima si sottoporrà a una piccola operazione. Ella è d’accordo e la sera prima ne parla col marito. È l’ora del crepuscolo e lei sta per accendere la luce; ma il marito la prega di non farlo, poiché ha qualcosa da dirle per cui preferisce restare al buio: disdica l’operazione, il fatto che non hanno figli dipende da lui. Durante un congresso di medicina, due anni prima, ha appreso che talune malattie possono togliere all’uomo la capacità di procreare, e da una visita è successivamente risultato che anch’egli si trova in questa situazione. Dopo questa rivelazione l’operazione non ha luogo: in lei si verifica un crollo repentino che invano si sforza di nascondere. Ha potuto amare il marito solo come sostituto del padre, e ora ha appreso che egli non potrà mai diventare padre. Tre vie le si aprono dinanzi, tutte ugualmente impraticabili: l’infedeltà, la rinuncia al figlio, la separazione dal marito. L’ultima non può imboccarla per ottimi motivi pratici, la seconda per fortissime motivazioni inconsce che voi potete bene immaginare. Tutta la sua infanzia è stata dominata dal desiderio, tre volte deluso, di avere un bambino dal padre. Le resta quindi un’unica via d’uscita, quella che la renderà ai nostri occhi così interessante. Si ammala di una grave forma di nevrosi. Per un certo periodo un’isteria d’angoscia l’aiuta a difendersi da diverse tentazioni, ma poi i suoi sintomi cambiano, tramutandosi in gravi azioni ossessive. Viene ricoverata in vari istituti di cura e infine, dopo dieci anni di malattia, arriva da me. Il sintomo più impressionante era che, nel letto, appuntava383 la camicia da notte alle coperte con spilli di sicurezza. In tal modo tradiva il segreto del contagio del marito che le aveva impedito di avere figli.
Questa paziente (che aveva all’epoca circa quarant’anni384) mi raccontò un giorno un episodio che risaliva alla sua incipiente depressione e anteriore allo scoppio della nevrosi ossessiva. Per distrarla, il marito l’aveva condotta con sé in un viaggio d’affari a Parigi. La coppia era seduta con un collega d’affari del marito nell’atrio dell’albergo, allorché cominciò a notarsi nella sala una certa agitazione e un certo movimento. Ella domandò a uno dei camerieri dell’albergo che cosa fosse accaduto e apprese che Monsieur le professeur era arrivato e riceveva nella saletta a lui riservata vicino all’entrata. Monsieur le professeur era un grande indovino, non poneva domande a chi lo consultava, gli faceva invece premere la mano in un bacile pieno di sabbia e prediceva il futuro studiandone l’impronta. Ella dichiarò di voler andare anche lei a farsi predire il futuro; il marito la sconsigliò, dicendo che erano tutte sciocchezze. Tuttavia, quando se ne fu andato con il collega d’affari, ella si tolse l’anello nuziale e s’insinuò nella saletta dell’indovino. Questi studiò a lungo l’impronta della mano e poi le disse: “Lei dovrà affrontare nei prossimi tempi dure lotte, ma tutto finirà per il meglio, si sposerà, e a trentadue anni avrà due figli.” La paziente mi raccontò questa storia con chiari segni di meraviglia e senza comprenderla. La mia osservazione che purtroppo i termini indicati dalla profezia erano ormai trascorsi da otto anni la lasciò indifferente. Potevo pensare che fosse rimasta stupefatta della fiduciosa audacia di questa predizione, come il discepolo per la “sbirciata” del Gran Rabbino.385
Purtroppo, benché la memoria di solito non mi tradisca, non ricordo esattamente se la prima parte della profezia fosse: “tutto finirà per il meglio, Lei si sposerà”, o invece: “Lei sarà felice.” La mia attenzione si è concentrata troppo sulla frase conclusiva, che spiccava per i suoi sorprendenti dettagli. In effetti le prime frasi sui conflitti che certamente si sarebbero conclusi felicemente corrispondono alle frasi generiche che compaiono in tutte le profezie, perfino in quelle che si vendono bell’e fatte. Tanto più vistosamente si stagliano quindi le due determinazioni numeriche contenute nella frase conclusiva. Eppure, certamente, non sarebbe stato privo d’interesse sapere se il “professore” avesse realmente parlato di matrimonio. La paziente infatti si era tolto l’anello nuziale e aveva un aspetto molto giovane per i suoi ventisette anni, per cui facilmente la si poteva prendere per una ragazza; d’altra parte, va detto che non occorre una mente particolarmente raffinata per scoprire la traccia di un anello su un dito.
Limitiamoci al problema dell’ultima frase, che promette due figli all’età di trentadue anni. Sono dettagli, questi, che appaiono del tutto arbitrari e inspiegabili. Neanche il più credulo degli individui cercherebbe di derivarli dall’interpretazione delle linee della mano. Un’indubbia giustificazione l’avrebbero avuta qualora il destino li avesse confermati, ma ciò non accadde: la donna aveva ormai quarant’anni e non aveva figli. Quali erano dunque l’origine e il significato di questi numeri? La paziente stessa non ne aveva la minima idea. La cosa che sembrava più ovvia era smettere di occuparsi di questo problema, non dare valore a quest’episodio liquidandolo come molte altre comunicazioni prive di senso che pretendono di essere occulte.
Sarebbe davvero bello e sarebbe la soluzione più semplice e la più auspicabile delle facilitazioni se proprio l’analisi – devo ammettere che è una sfortuna – non fosse in grado di dare una spiegazione a questi due numeri, e in verità una spiegazione pienamente soddisfacente e addirittura ovvia, data la situazione. I due numeri, infatti, si inscrivono perfettamente nella storia della madre della nostra paziente. Questa si era sposata solo dopo i trent’anni e durante il suo trentaduesimo anno, discostandosi dal normale destino delle altre donne e come per recuperare il tempo perduto, era riuscita a mettere al mondo due figlie. È dunque facile tradurre la profezia: “Non affliggerti se finora non hai avuto figli, non significa niente, è pur sempre possibile che ti tocchi il destino di tua madre, che alla tua età non era neppure sposata e che tuttavia ha avuto ben due figlie a trentadue anni.” La profezia le prospetta l’appagamento di quell’identificazione con la madre che fu il segreto della sua infanzia, e ciò per bocca di un indovino, ignaro di tutte queste circostanze personali e interessato soltanto a un’impronta sulla sabbia. Siamo naturalmente liberi di inserire la proposizione seguente come premessa di questo appagamento di desiderio, certamente inconscio sotto ogni profilo: “Ti libererai di questo tuo marito inutile perché egli morirà, oppure troverai la forza di separarti da lui.” La prima ipotesi corrisponderebbe meglio alla natura della nevrosi ossessiva, alla seconda fanno allusione le lotte felicemente superate di cui parla la profezia.
Ammetterete che la funzione dell’interpretazione analitica è qui ancora più significativa che nel caso precedente; si può dire che essa ha effettivamente creato il fatto occulto. Per conseguenza si dovrebbe attribuire anche a questo esempio una forza dimostrativa particolarmente cogente in merito alla possibilità che un intenso desiderio inconscio venga trasmesso a un’altra persona unitamente ai pensieri e alle nozioni che da esso derivano. Io vedo una sola via per sfuggire alla stringente conclusione cui siamo indotti da questo caso, e non intendo certo nascondervela. È possibile che la paziente, nei dodici o tredici anni386 intercorsi tra la profezia e il racconto che portò nella cura psicoanalitica, si sia costruita una paramnesia, che il professore le avesse detto soltanto qualche frase incolore e genericamente consolatoria, del che non ci sarebbe da meravigliarsi, e che essa a poco a poco abbia inserito i numeri significativi traendoli dal proprio inconscio. In tal caso verrebbe meno la circostanza che ci induce a trarre conclusioni così dense di significato. Saremmo contenti di poterci identificare con gli scettici, i quali sono disposti a dar credito a comunicazioni del genere solo se esse seguono immediatamente ai fatti. E forse anche in tal caso non senza qualche riserva. Ricordo che dopo la mia nomina a professore ebbi un’udienza presso il ministro cui volevo porgere i miei ringraziamenti. All’uscita da tale udienza, mi sorpresi a voler falsificare le parole che il ministro ed io ci eravamo scambiati: mai più mi riuscì in seguito di rammentare con esattezza la conversazione che c’era stata realmente tra noi. Sta a voi comunque considerare più o meno attendibile questa spiegazione. Per parte mia non posso dimostrarvi né che essa è vera né che essa è falsa. Così neppure questa seconda osservazione, benché sia in sé più vistosa, sarebbe sottratta al dubbio, così come non lo è la prima.
I due casi che vi ho esposto si riferiscono entrambi a profezie che non si sono avverate. Ritengo che tali osservazioni possano fornire il materiale migliore per il problema della trasmissione del pensiero e vorrei sollecitarvi a raccogliere del materiale analogo. Avevo preparato per voi anche un esempio di altra natura, il caso di un paziente di tipo particolare, che durante una seduta aveva parlato di cose che si connettevano in modo singolarissimo con un’esperienza che io avevo avuto immediatamente prima.387 Eppure vi darò la prova tangibile che io mi occupo di questi problemi dell’occultismo solo con enorme resistenza. Quando a Gastein cercai di trovare gli appunti che avevo preso e portato con me per stendere questa relazione, non riuscii a ritrovare il foglio su cui avevo trascritto quest’ultima osservazione, e al suo posto ne trovai un altro, che avevo preso con me per sbaglio, e che conteneva annotazioni indifferenti di tutt’altra natura. Contro una resistenza così chiara non c’è nulla da fare, e infatti vi resto debitore di questo caso che a memoria non riesco a rammentare. In compenso aggiungerò alcune osservazioni su una personalità notissima a Vienna, un grafologo di nome Rafael Schermann, il quale ha fama di compiere prestazioni prodigiose. Si dice che costui sia in grado non solo di leggere il carattere di una persona in base a una prova della sua scrittura, ma anche di descrivere questa persona e di trarre auspici sul suo futuro che in seguito la sorte convalida. Molti di questi straordinari pezzi di bravura sono testimoniati, per la verità, da racconti fatti da lui medesimo. Un amico ha provato un giorno, a mia insaputa, a lasciarlo fantasticare su una mia prova di scrittura. Ciò che egli ne ha ricavato è solo che si trattava della calligrafia di un vecchio signore (è facile indovinarlo), con il quale la convivenza è difficile perché in casa è un insopportabile tiranno. Ebbene, questa è una cosa che i miei congiunti non sarebbero certo disposti a confermare. Ma, notoriamente, nella sfera occulta vale il comodo principio che i casi negativi non dimostrano nulla.
Non ho fatto alcuna osservazione diretta su Schermann, ma sono tuttavia venuto in un certo contatto con lui per il tramite di un paziente di cui egli non sa nulla. Di costui voglio parlarvi ancora.388 Qualche anno fa si rivolse a me un giovanotto che mi riuscì particolarmente simpatico, tanto che gli diedi la precedenza su molti altri pazienti. Risultò che era coinvolto in una relazione con una delle più note mondane della città, e che di questa relazione voleva liberarsi perché gli toglieva ogni capacità di autodeterminazione; ma non ci riusciva. Ottenni il risultato di renderlo libero e insieme di fargli capire la sua coazione. Pochi mesi fa ha contratto un matrimonio normale e pienamente soddisfacente dal punto di vista borghese. Presto emerse, nel corso dell’analisi, che la coazione alla quale cercava di opporsi non lo legava affatto alla donna di vita in questione, bensì a una signora appartenente al suo stesso ambiente con la quale aveva intrecciato una relazione fin dalla prima giovinezza. La donna di vita era stata semplicemente da lui assunta come capro espiatorio per soddisfare su di lei tutta la sete di vendetta e la gelosia che in realtà si riferivano alla donna amata. In base ai modelli che ci sono ben noti egli si era sottratto mediante spostamento su un nuovo oggetto all’inibizione che traeva origine dall’ambivalenza.
Questa mondana, che si era innamorata di lui senza trarne praticamente alcun vantaggio, egli era solito tormentarla in modo raffinatissimo. Eppure, quando essa non riusciva più a nascondere la propria sofferenza, allora il giovane la investiva anche con tutta la tenerezza che nutriva per il suo amore di gioventù, la copriva di regali e si riconciliava con lei, e quindi il ciclo riprendeva il suo corso. Quando infine sotto l’influsso della terapia ruppe con lei, divenne chiaro a che cosa mirava il suo modo di fare con questo sostituto della donna amata: avere soddisfazione per un tentativo di suicidio compiuto in gioventù giacché costei non gli aveva dato retta. In seguito al tentato suicidio era riuscito infine a conquistare la donna che allora amava. In questo periodo del trattamento il paziente era solito consultare il suo conoscente Schermann, il quale dalle prove grafologiche della galante signora trasse ripetutamente l’interpretazione che essa era allo stremo delle forze, che il suicidio le stava dinanzi e che certamente si sarebbe uccisa. Costei però non lo fece; al contrario si scrollò di dosso la sua umana debolezza e rammentò i princìpi su cui erano fondati il suo lavoro nonché i suoi doveri verso l’amico cui ufficialmente era legata. Era per me evidente che l’uomo prodigioso non aveva fatto altro che evidenziare al mio paziente il suo intimo desiderio.
Passata l’epoca dello spostamento su questa persona, il mio paziente si accinse seriamente a liberarsi dalla sua autentica catena. Dai sogni indovinai un piano che si stava costituendo in lui sul modo di liberarsi dalla relazione con la donna amata fin dalla giovinezza senza offenderla gravemente né danneggiarla materialmente. La donna aveva una figlia che era molto tenera verso il giovane amico di famiglia e che, presumibilmente, nulla sapeva del ruolo segreto di lui. Questa ragazza egli voleva prenderla in moglie. Poco tempo dopo il giovane prese coscienza di questo proposito e intraprese i primi passi per realizzarlo. Per parte mia appoggiai questo suo progetto, che corrispondeva a una via d’uscita irregolare, ma pur sempre possibile, da una situazione complicata. Ma poco dopo ebbe un sogno che esprimeva ostilità verso la ragazza, ed egli allora consultò nuovamente Schermann, il quale decretò che la ragazza era infantile, nevrotica e niente affatto da sposare. Il grande conoscitore di uomini questa volta aveva colto nel segno: il comportamento della ragazza, che ormai veniva considerata la fidanzata del mio paziente, divenne sempre più contraddittorio e fu deciso di indirizzarla a un trattamento analitico. Il risultato dell’analisi fu l’accantonamento di questo progetto matrimoniale. La ragazza conosceva perfettamente, a livello inconscio, la relazione tra la madre e il suo fidanzato, al quale era legata solo a causa del proprio complesso edipico.
Intorno a quest’epoca si interruppe la nostra analisi. Il paziente era libero e capace di andare avanti con le proprie gambe. Prese in moglie una ragazza rispettabile, al di fuori della cerchia familiare, sulla quale Schermann aveva pronunciato un giudizio favorevole. Mi auguro che anche questa volta egli abbia colto nel segno.
Avrete compreso il significato che sono propenso ad attribuire a queste mie esperienze con Schermann. Come si vede, tutto il mio materiale ha a che fare con un unico punto: l’induzione del pensiero; su tutte le altre cose prodigiose di cui parla l’occultismo non ho proprio niente da dire. La mia vita, come ho già affermato pubblicamente, ha dei trascorsi particolarmente miseri in fatto di occultismo.389 Forse il problema della trasmissione del pensiero vi appare decisamente insignificante se confrontato con il grande e magico mondo dell’occulto. Eppure pensate che passo enorme sarebbe rispetto alle concezioni di cui finora ci siamo fatti sostenitori se accogliessimo anche soltanto quest’unica ipotesi. È proprio vero ciò che soleva aggiungere il custode [della basilica] di Saint-Denis al racconto del martirio del santo. Si narra che Saint-Denis, dopo che gli fu mozzata la testa, l’abbia raccolta e abbia camminato ancora per un buon tratto con la propria testa sul braccio. Ma a questo proposito il custode osservava: “Dans des cas pareils, ce n’est que le premier pas qui coûte.”390 Il resto viene da sé.