Nell’ottobre 1913 Bleuler e Jung si ritirarono rispettivamente dalla direzione e dalla redazione dello “Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen”. Il periodico mutò anche nome e uscì nel 1914 come “Jahrbuch der Psychoanalyse” sotto la direzione unica di Freud, conservando la numerazione precedente. Nel volume di quell’anno, il sesto (unico perché la pubblicazione fu poi interrotta a causa della guerra), Freud pubblicò due lavori, uno dei quali, con la data febbraio, è questo. (Per l’altro, l’Introduzione al narcisismo, composto circa nello stesso periodo, vedi oltre).
Era già avvenuta tre anni prima la rottura con Adler e il suo gruppo, e da un anno si erano interrotti i rapporti personali fra Freud e Jung, benché Jung continuasse a tenere la Presidenza dell’Associazione psicoanalitica internazionale, che gli era stata confermata, sia pur fra molti contrasti, al Congresso di Monaco (settembre 1913).
Adler e Jung avevano continuato, malgrado i dissensi teorici con Freud, a chiamare “psicoanalisi” le loro dottrine. Freud nel presente scritto rivendica a sé, come fondatore della psicoanalisi, il diritto di precisare che cosa per psicoanalisi si debba intendere, e di respingere come estranee alla psicoanalisi le dottrine che ne modificano i princìpi informatori. Dopo questa netta presa di posizione, Jung diede le dimissioni dalla presidenza dell’Associazione psicoanalitica internazionale (20 aprile), dalla quale uscì in luglio con tutto il proprio gruppo. Da allora Jung chiamò la propria dottrina “Psicologia analitica”. Adler, che all’inizio aveva fondato in contrapposizione alla Società psicoanalitica una “Società per una libera psicoanalisi”, aveva già adottato per la propria dottrina l’espressione “Psicologia individuale”.
Per svolgere la propria tesi Freud fa una storia della psicoanalisi.
Il saggio si divide in tre parti. Nella prima viene narrata l’origine della psicoanalisi: i rapporti con Breuer (che Freud tratta con molta deferenza), e il successivo isolamento fino al 1902. A proposito della tesi del fondamento sessuale delle nevrosi, che aveva determinato, oltre al distacco da Breuer, il lungo ostracismo da parte del mondo scientifico, Freud narra qui per la prima volta come questa tesi, prima di essere da lui formulata e sviluppata, gli fosse stata suggerita separatamente, sia pure in forma concisa, da tre personalità scientifiche di grande prestigio; tali comunicazioni erano state del tutto dimenticate (rimosse) per riapparire soltanto molto più tardi nel suo ricordo. Queste amnesie sono simili a quelle per cui un adulto spesso non è in grado di dire da chi abbia avuto, nell’infanzia o nella preadolescenza, le prime rivelazioni sulla realtà della vita sessuale. Anche Freud afferma di essere rimasto scandalizzato dalle comunicazioni ricevute da queste figure paterne (Charcot, lo stesso Breuer e il ginecologo Rudolph Chrobak), e attribuisce a una tale reazione emotiva la sopravvenuta amnesia. Va del resto rilevato come assai spesso Freud, nel corso della sua attività scientifica, abbia avuto, anche in altre occasioni, il dubbio di aver già udito o letto come opera altrui i concetti che gli si erano presentati come originali.
Nella seconda parte Freud narra lo sviluppo del movimento psicoanalitico dal 1902 al 1910, e cioè la costituzione del piccolo gruppo viennese che finì col dar luogo alla “Società psicologica del mercoledì”, e, dopo il 1907, l’apporto decisivo del gruppo zurighese di Bleuler e Jung attraverso il quale la dottrina e la pratica della psicoanalisi si diffusero oltre i confini dell’Austria. In una nota aggiunta nell’edizione del 1923, viene data notizia anche della ulteriore diffusione del movimento psicoanalitico. Le due prime parti di questa esposizione sono state ampiamente riprese nella Autobiografia (1924, in OSF, vol. 10) di Freud.
La terza parte si rifà agli ultimi avvenimenti, e cioè al distacco dal movimento di Adler e di Jung. Chiedendosi come sia stato possibile che valenti scienziati i quali avevano dato importanti contributi allo sviluppo della psicoanalisi, accettandone i princìpi informatori e trovandone costante conferma nell’esercizio dell’attività analitica, avessero potuto a un tratto rinnegare quei princìpi, Freud fa un paragone con ciò che talora accade con i pazienti nel corso del trattamento psicoanalitico. Succede infatti che qualche paziente, dopo aver appreso alcune parti del sapere analitico fino a riuscire a maneggiarle come cosa propria, mandi improvvisamente all’aria tutto ciò che ha assimilato e sviluppi le stesse resistenze che si presentavano all’inizio del trattamento. “Con gli psicoanalisti le cose possono svolgersi esattamente come con i pazienti in analisi.”
La polemica scientifica fra ex collaboratori, che in ogni campo può difficilmente essere mantenuta su un piano di assoluta obiettività, in sede psicoanalitica è più che mai esposta a quei fattori irrazionali che generano le resistenze, perché ognuno è personalmente e intimamente coinvolto in ogni tesi che venga presentata. Anche Freud nel presente scritto usa un tono per lui insolito, spesso passionale e aspro.
La polemica con Adler e Jung viene condotta da Freud, in questo periodo, anche attraverso altri due lavori, scritti peraltro in forma più pacata e scientifica, come osserva Ernest Jones in Vita e opere di Freud, vol. 2, p. 337. Sono i due importanti saggi Introduzione al narcisismo e Dalla storia di una nevrosi infantile riportati in questo stesso volume. Nel primo le argomentazioni sono di tipo più teorico, nel secondo a carattere prevalentemente clinico. Spunti polemici nei confronti di Adler e di Jung si ritrovano in molti altri scritti successivi di Freud, come ad esempio nel saggio “Un bambino viene picchiato” (1919, in OSF, vol. 9).
Il presente scritto fu pubblicato con il titolo Zur Geschichte der psychoanalytischen Bewegung nello “Jahrbuch der Psychoanalyse”, vol. 6, 207-60 (1914). Esso è stato riprodotto in Sammlung kleiner Schriften zur Neurosenlehre, vol. 4 (1918), pp. 1-77; come monografia a sé apparve presso l’Internationaler Psychoanalytischer Verlag (Vienna e Zurigo 1924), e ancora in Gesammelte Schriften, vol. 4 (1918), pp. 411-80, e in Gesammelte Werke, vol. 10 (1946), pp. 44-113. È qui presentato nella traduzione di Angela Staude e Renata Colorni.