Nel seguito del racconto si trova un altro sogno che, forse ancor più del primo, può indurci a tentare una sua traduzione e una sua inserzione nel contesto degli accadimenti psichici del nostro eroe.295 Non ci conviene tuttavia interrompere ora l’esposizione del poeta per interessarci subito direttamente di questo secondo sogno. Chi vuole interpretare il sogno di un’altra persona deve infatti occuparsi nel modo più esauriente possibile di tutto ciò che riguarda la sua vita esterna e interna. Perciò convien meglio restare al filo del racconto e intercalare via via i nostri commenti.
La formazione del nuovo delirio riguardante la morte della Gradiva durante la distruzione di Pompei nell’anno 79 non è l’unico effetto del primo sogno da noi analizzato. Subito dopo Hanold decide di fare un viaggio in Italia, e questo alla fine lo conduce a Pompei. Prima però gli capita qualche cosa d’altro; stando alla finestra, gli sembra di vedere per la via una figura che ha lo stesso portamento e lo stesso passo della sua Gradiva, le si precipita dietro nonostante il proprio abbigliamento sommario, e tuttavia non riesce a raggiungerla e viene anzi indotto a tornare sui suoi passi dai motteggi della gente per la strada. Dopo che è tornato in camera sua, il canto di un canarino, la cui gabbia è appesa a una finestra della casa di fronte, suscita in lui uno stato d’animo come se anch’egli volesse fuggire dalla prigionia alla libertà; e il viaggio primaverile, appena deciso, viene anche intrapreso.
Il poeta ha descritto in modo particolarmente vivido questo viaggio di Hanold, al quale ha concesso una parziale chiarezza sui propri processi interni. Hanold si è naturalmente creato un pretesto scientifico per il viaggio, ma tale pretesto non regge. Egli sa bene che “l’impulso a compiere questo viaggio era sorto in lui in base a un’impressione imprecisa”. Una particolare inquietudine lo rende malcontento di tutto ciò che incontra, e lo spinge da Roma a Napoli, e da Napoli a Pompei, senza ch’egli si senta a suo agio neppure in quest’ultimo luogo. Si irrita per la stupidità di coloro che sono in viaggio di nozze, si infuria per la temerarietà delle mosche che albergano nelle locande di Pompei. Ma alla fine non nasconde a sé medesimo “che la sua insoddisfazione non doveva essere determinata soltanto da circostanze esterne, ma doveva trarre la propria origine anche da qualche cosa che era in lui stesso”. Si sentiva sovraeccitato e avvertiva “che era di malumore perché gli mancava qualche cosa, pur senza riuscire a capire di che si trattasse. E questo malcontento lo portava con sé dovunque”. In questo stato d’animo egli si rivolta anche contro la sua padrona, la scienza; quando per la prima volta se ne va in giro per Pompei, sotto i cocenti raggi del sole meridiano, “non soltanto la sua scienza lo aveva abbandonato; ma egli neppure aveva il minimo desiderio di ritrovarla. Si ricordava di lei come molto da lontano, e nel suo modo di sentire essa era come una vecchia arida zia noiosa: la più tediosa e la più inutile fra le cose di questo mondo” (Gradiva, p. 55).
Mentre si trova in questo stato d’animo depresso e confuso, uno degli enigmi connessi a questo viaggio gli si scioglie improvvisamente non appena vede la Gradiva camminare per Pompei. Per la prima volta gli viene in mente “che egli pur senza essere consapevole dentro di sé dell’impulso che lo aveva mosso, era venuto in Italia e senza sostare a Roma e a Napoli era arrivato fino a Pompei, proprio allo scopo di tentar di ritrovare qui tracce di lei. E questo in senso letterale, dato che essa, per il suo particolare modo di camminare, doveva aver lasciato nella cenere le impronte delle sue dita, inconfondibili rispetto a quelle di qualsiasi altro” (p. 57 [e sopra cap. 1]).
Dal momento che lo scrittore pone tanta cura nella descrizione di questo viaggio, vale la pena che anche noi cerchiamo di stabilire quale rapporto esso abbia col delirio di Hanold e quale sia il suo posto rispetto al complesso degli avvenimenti. Il viaggio è stato intrapreso per motivi che il soggetto all’inizio non riconosce e soltanto più tardi confessa: motivi che il poeta definisce apertamente come “inconsci”. Ciò è certamente ritratto dalla realtà della vita; non occorre essere in preda a un delirio per agire così, e rientra nella vita di ogni giorno, anche delle persone sane, che ci si inganni circa i motivi delle proprie azioni e che se ne divenga consapevoli soltanto in un secondo tempo, sempre che un conflitto fra più correnti emotive fornisca la condizione necessaria per una tale confusione. Il viaggio di Hanold era pertanto destinato fin dall’inizio a servire il delirio, e doveva condurlo a Pompei per proseguire là la sua ricerca della Gradiva. Ricordiamo che, tanto prima quanto immediatamente dopo il sogno, Norbert era impegnato in questa ricerca, e che il sogno stesso era stato semplicemente una risposta, soffocata dalla sua coscienza, al problema del luogo dove la Gradiva si trovasse. Una forza, che non conosciamo, impedisce però all’inizio che divenga anche cosciente il proposito delirante, per cui per la motivazione cosciente del viaggio rimangono disponibili soltanto pretesti inadeguati che debbono venire via via rinnovati. Un altro enigma ci presenta il poeta quando fa seguire l’uno all’altro, come per caso e senza relazione interna, il sogno, la scoperta della supposta Gradiva per la strada, e la decisione d’intraprendere il viaggio sotto l’influenza del canto del canarino.
Con l’aiuto delle spiegazioni forniteci più tardi dai discorsi di Zoe Bertgang, questa parte oscura del racconto ci diviene intelligibile. Era proprio la figura originale della Gradiva, la stessa signorina Zoe, quella che Hanold aveva veduto camminare per strada dalla propria finestra (p. 31) e che egli per poco non aveva raggiunto. Il messaggio del sogno – “essa vive attualmente nella tua stessa città” – avrebbe così ottenuto, per un caso fortunato, una conferma inequivocabile, davanti alla quale la sua interna opposizione sarebbe crollata. Il canarino, poi, il cui canto doveva spingere Hanold lontano, apparteneva a Zoe, e la sua gabbia stava alla finestra di lei, di fronte alla casa di Hanold un po’ di traverso (p. 102 [e sopra cap. 1]). Hanold, che secondo il rimprovero della ragazza avrebbe posseduto il dono dell’“allucinazione negativa”, che cioè conosceva l’arte di non vedere e non riconoscere anche persone presenti, deve aver avuto fin da principio una conoscenza inconsapevole di quanto noi apprendiamo soltanto più tardi. I segni della vicinanza di Zoe, la sua apparizione per la strada e il canto del suo uccellino così vicino alla finestra di lui, rafforzano l’efficienza del sogno, e in questa situazione così pericolosa per la sua resistenza verso l’erotismo... egli prende la fuga. Il viaggio è il risultato di un’accentuazione della sua resistenza, consecutiva all’impeto assunto dal desiderio d’amore nel sogno; è un tentativo di fuga dall’amata vivente e presente. Ha praticamente il significato di una vittoria della rimozione, che ora prende il sopravvento nel delirio, al modo stesso come nella sua condotta precedente (quella delle “investigazioni pedestri” presso donne e ragazze) era stato invece vittorioso l’erotismo. Ovunque tuttavia in questa oscillazione della lotta è salvaguardato il carattere compromissorio delle decisioni: il viaggio a Pompei, che lo dovrebbe portar via dalla Zoe vivente, lo conduce almeno al sostituto di lei, alla Gradiva. Il viaggio, intrapreso a dispetto di quelli che sono i pensieri onirici latenti, segue però, portandolo a Pompei, l’indicazione del contenuto onirico manifesto. In tal modo il delirio trionfa nuovamente, ogni volta che erotismo e resistenza tornano a combattere tra loro.
Questa interpretazione del viaggio di Hanold, come fuga dal desiderio d’amore che si veniva in lui risvegliando per la prossimità dell’amata, è l’unica che concorda con la descrizione dei suoi stati d’animo durante la permanenza in Italia. Il rifiuto, in lui dominante, dell’erotismo si esprime nella sua antipatia per gli sposi in viaggio di nozze. Un piccolo sogno fatto nell’albergo a Roma, e provocato dalla vicinanza di una coppia tedesca di amanti, “August e Grete”, di cui egli è costretto a udire i discorsi notturni oltre la sottile parete, getta come una luce retrospettiva sulle tendenze erotiche del suo primo e più ampio sogno. Il nuovo sogno lo riporta ancora a Pompei, sempre durante l’eruzione del Vesuvio, e si collega perciò al sogno primitivo la cui azione perdura durante il viaggio. Ma fra le persone in pericolo egli vede questa volta, non più sé stesso e la Gradiva, ma l’Apollo del Belvedere e la Venere capitolina, ironica deificazione certamente della coppia della stanza accanto. Apollo solleva la Venere, la porta via e la posa nell’oscurità sopra un oggetto, che sembra essere una carrozza o un carretto, perché da esso proviene uno “strano cigolio”. A parte questo non occorre una speciale arte per l’interpretazione di questo sogno (p. 40).
Il nostro scrittore, di cui sappiamo ormai da tempo che non introduce alcun elemento nella sua descrizione inutilmente e senza un particolare scopo, ci ha dato un’altra testimonianza della corrente asessuale che domina Hanold nel suo viaggio. Durante il suo lungo girovagare per Pompei stranamente non gli passa affatto per il capo di avere recentemente sognato di aver assistito alla distruzione di Pompei durante l’eruzione del 79 (p. 50). Solo alla vista della Gradiva si ricorda improvvisamente di quel sogno, e diviene conscio nello stesso tempo del motivo delirante che aveva provocato il suo inesplicabile viaggio. Come si potrebbe spiegare questo oblio del sogno, questa barriera di rimozione fra il sogno e lo stato d’animo che domina il viaggio, se non col fatto che il viaggio stesso non si produce per un diretto incitamento del sogno, ma per una ribellione ad esso, e cioè per l’erompere di una forza psichica la quale non vuol saper nulla del significato nascosto del sogno?
D’altra parte però Hanold non trae alcuna soddisfazione da questa vittoria sopra il proprio erotismo. Il moto psichico represso rimane sufficientemente forte per vendicarsi di quello repressivo attraverso uno stato di malessere e di inibizione. Il desiderio si è trasformato in inquietudine e in malcontento, che gli fanno apparire il viaggio stesso qualche cosa di privo di senso; è inibita la comprensione della motivazione del viaggio al servizio del delirio; è turbato il suo rapporto con la scienza, la quale in un tal luogo avrebbe dovuto destare tutto il suo interesse. Così lo scrittore ci mostra il suo eroe, dopo la sua fuga dall’amore, in una sorta di crisi, in uno stato di completa confusione e sconnessione, in uno scombuglio quale suole prodursi all’apice di stati morbosi, quando nessuna delle due forze contendenti è più sufficientemente forte rispetto all’altra così che la differenza d’intensità possa determinare un regime psichico stabile. Qui interviene ad aiutarci e a spianarci la via il poeta; giacché a questo punto egli fa apparire la Gradiva, la quale intraprende la cura del delirio. Col suo potere di volgere al meglio il destino dei personaggi da lui stesso creati, ad onta di tutte le necessità alle quali egli li fa sottostare, egli colloca la fanciulla, dalla quale Norbert era fuggito venendo a Pompei, proprio qui a Pompei; e corregge in tal modo la follia che il delirio aveva fatto commettere ad Hanold, facendolo abbandonare il luogo di residenza dell’amata vivente per il luogo dove colei che nella fantasia la sostituisce avrebbe incontrato la morte.
Con l’apparizione di Zoe Bertgang quale Gradiva, che segna il punto di massima tensione nel racconto, anche il nostro interesse prende una direzione nuova. Se finora abbiamo assistito allo sviluppo di un delirio, ora ci dobbiamo accingere ad assistere alla sua guarigione; e dobbiamo chiederci se il poeta abbia soltanto inventato di fantasia l’andamento di questa guarigione o se l’abbia ricostruito secondo possibilità effettivamente esistenti. Se badiamo alle parole pronunciate da Zoe nel suo colloquio con l’amica, ci è certamente lecito attribuirle una tale intenzione terapeutica (p. 96). Ma come si accinge a far questo? Dopo aver superato l’indignazione con cui aveva reagito alla richiesta di posarsi per dormire ancora una volta “come allora”, essa ritorna all’indomani nella stessa ora del mezzogiorno, allo stesso posto, e strappa ora ad Hanold tutto il sapere segreto che il giorno prima le era mancato per capire il comportamento di lui. Viene così a sapere del sogno, del bassorilievo della Gradiva, e del particolare modo di camminare che essa stessa ha in comune con quell’immagine. Accetta la parte di spirito tornato in vita per la breve durata di un’ora, parte che, come essa nota, le viene attribuita dal delirio di lui, e a lui assegna timidamente con parole ambigue una nuova posizione, accettando il fiore che egli aveva recato con sé senz’alcun proposito cosciente ed esprimendo il rammarico che egli non le abbia dato delle rose (p. 75 [e sopra cap. 1]).
Il nostro interesse per il comportamento della tanto avveduta ragazza, la quale decide di prendersi per marito l’amico d’infanzia, dopo aver riconosciuto, dietro il delirio di lui, il suo amore come forza motrice, viene però probabilmente trattenuto a questo punto dalla sorpresa che possiamo provare per il delirio stesso. La nuova forma che esso assume, secondo la quale la Gradiva sepolta nel 79 potrebbe attualmente, come spettro del mezzodì, discorrere con lui per un’ora e scomparire poi o ritornare nella sua tomba, quest’idea fantastica, che resiste sia all’osservazione della moderna calzatura della Gradiva, sia alla di lei ignoranza delle lingue antiche e al suo sicuro possesso del tedesco inesistente nell’antichità, sembra ben giustificare il sottotitolo usato dall’autore, “fantasia pompeiana”, ma sembra escludere una qualsiasi comparazione con la realtà clinica. Pure mi sembra che a guardar meglio le cose l’inverosimiglianza di questo delirio debba in gran parte attenuarsi. Una certa responsabilità se l’è già assunta il poeta ponendo come un presupposto del racconto che Zoe assomigli in tutto e per tutto al bassorilievo marmoreo. Dobbiamo perciò evitare di trasferire l’inverosimiglianza da questo presupposto alla sua conseguenza, per cui Hanold scambia la ragazza per la risorta Gradiva. L’interpretazione delirante si riscatta in certo modo per il fatto che neanche il poeta ci sa dare una spiegazione razionale della cosa. Inoltre, nell’ardente sole della Campania e nella magica potenza sconvolgente del vino cresciuto alle falde del Vesuvio, lo scrittore ha trovato altre circostanze atte ad attenuare la stravaganza dell’eroe. Il fattore più importante tuttavia, fra quelli di spiegazione e giustificazione, resta la facilità con la quale le capacità intellettuali dell’uomo sono indotte ad accogliere un contenuto assurdo quando moti fortemente intrisi d’affetto trovano in esso il loro soddisfacimento. È sorprendente – e in genere si trascura troppo – la facilità con cui spesso anche persone molto intelligenti possono, in costellazioni psicologiche di questo genere, reagire proprio come individui deboli di mente; chiunque non sia troppo presuntuoso può osservare questo evento su di sé quante volte voglia. E questo specialmente se una parte dei processi psichici implicati è collegata a motivi inconsci o rimossi. Cito qui volentieri le parole di un filosofo che mi scrive: “Ho cominciato a prender nota di casi riguardanti anche me stesso, di errori madornali e di comportamenti insensati, ai quali solo a posteriori viene trovata (e in modo assai poco ragionevole) una motivazione. È spaventoso, ma tipico, quanta stupidità si possa in tal modo costatare.” Si aggiunga poi che la credenza negli spiriti, nei fantasmi e nel ritorno delle anime, che trova tanti appoggi nelle religioni alle quali tutti, perlomeno da bambini, ci siamo sentiti attaccati, non è affatto scomparsa in tutte le persone colte, e che molti individui, per il resto ragionevoli, ritengono di poter conciliare la pratica dello spiritismo con la ragione. E anche chi è divenuto incredulo e miscredente deve con vergogna riconoscere come gli sia facile tornare per un attimo alla credenza negli spiriti, quando si combinano in lui la commozione e l’incertezza. Io so di un medico che perdette una volta una delle sue pazienti affetta da morbo di Basedow e che non poteva liberarsi da un lieve sospetto di aver contribuito all’esito letale con un’incauta prescrizione medica. Molti anni dopo entrò nel suo ambulatorio una ragazza, in cui egli fu costretto, contro ogni sua riluttanza, a riconoscere la defunta. Non poté fare a meno di pensare che era dunque vero che i morti possono ritornare; il suo sgomento si trasformò in vergogna quando la visitatrice si presentò come sorella di colei che era morta per la stessa malattia. Il morbo di Basedow conferisce a coloro che ne sono colpiti, come è stato spesso osservato, una notevole somiglianza nei tratti del volto; e nel caso specifico questa somiglianza tipica era rafforzata da quella derivante dal fatto che si trattava di sorelle. Il medico a cui è accaduto questo caso sono io stesso; e proprio perciò non mi sento di contestare a Norbert Hanold la possibilità clinica del suo breve delirio della Gradiva ritornata in vita. E infine è ben noto a ogni psichiatra che in casi gravi di delirio cronico (paranoia) vengono raggiunte forme estreme di assurdità intelligentemente elaborate e ottimamente sostenute.
Dopo il primo incontro con la Gradiva, Norbert Hanold aveva bevuto, prima nell’uno e poi nell’altro dei due alberghi da lui conosciuti di Pompei, il suo vino, mentre gli altri ospiti consumavano il loro pasto serale. “Naturalmente non gli era mai passata per il capo l’assurda ipotesi che egli si comportava così per venire a sapere in quale albergo la Gradiva abitasse e prendesse i suoi pasti”; ma è difficile dire quale altro significato potessero avere le sue azioni. Il giorno dopo il secondo incontro nella Casa di Meleagro, gli accadono una quantità di cose strane e fra loro apparentemente indipendenti: trova uno stretto passaggio nel muro del Portico, là dove la Gradiva era scomparsa; incontra uno strano cacciatore di lucertole che lo interpella come un conoscente; scopre una terza locanda posta fuori mano, l’Albergo del Sole, il cui proprietario riesce a spacciargli una spilla di metallo ricoperta di una patina verde, facendogli credere che si tratti di un oggetto trovato accanto ai resti di una ragazza pompeiana; e infine rivolge la sua attenzione, nel proprio albergo, a una giovane coppia nuova arrivata, che egli giudica fratello e sorella e a cui dedica la propria simpatia. Tutte queste impressioni s’intrecciano poi in un sogno “del tutto insensato”, che è così descritto:
“In qualche posto al sole sedeva la Gradiva, faceva con un filo d’erba un laccio per prendere con esso una lucertola, e diceva: ‘Prego sta fermo... la collega ha ragione, il mezzo è veramente buono, ed è stato usato con successo’” [vedi sopra, cap. 1].
Contro questo sogno egli si difende, ancora nel sonno, con una riflessione critica, pensando che effettivamente si tratta di una follia, e cerca in tutti i modi di sottrarvisi. Ciò gli riesce anche con l’aiuto di un uccellino invisibile che lancia un breve trillo, simile a una risatina, e che si porta via la lucertola nel becco.
Vogliamo fare il tentativo d’interpretare anche questo sogno, sostituendogli cioè i pensieri latenti dalla cui deformazione deve essere derivato? Esso è tanto insensato come solo ci si può attendere da un sogno; e quest’assurdità dei sogni costituisce il principale argomento di quella opinione che nega al sogno il carattere di un atto psichico pienamente valido e lo considera invece dovuto a un disordinato eccitamento di elementi psichici.
Possiamo applicare a questo sogno la tecnica che può essere indicata come il procedimento normale dell’interpretazione onirica. Essa consiste nel trascurare la connessione apparente del sogno manifesto, nel considerare invece ogni elemento del contenuto di per sé e nel cercarne la derivazione nelle impressioni, nei ricordi e nelle associazioni libere del sognatore.296 Poiché però non abbiamo modo di esaminare lo stesso Hanold, dobbiamo accontentarci di riferirci alle sue impressioni, sostituendo molto timidamente le nostre proprie associazioni a quelle di lui.
“In qualche posto al sole siede la Gradiva, prende lucertole, e ne parla.” A quale impressione del giorno corrisponde questa parte del sogno? Indubbiamente all’incontro col vecchio signore, cacciatore di lucertole, che dunque nel sogno viene sostituito dalla Gradiva. Egli sedeva, o giaceva, su un pendio “soleggiato” e aveva rivolto la parola ad Hanold. Anche il discorso della Gradiva nel sogno riproduce il discorso di questo signore. Si confronti: “Il mezzo usato dal collega Eimer per prenderle è veramente buono; l’ho già usato varie volte con ottimi risultati. Prego, stia fermo...” [vedi sopra, cap. 1]. In modo del tutto analogo parla la Gradiva nel sogno, solo che il collega Eimer è sostituito da una collega ignota; anche l’espressione “varie volte” del discorso dello zoologo è cancellata nel sogno e l’ordine delle frasi è alquanto mutato. Sembra dunque che questo avvenimento del giorno sia stato trasformato nel sogno mediante alcuni cambiamenti e deformazioni. Perché proprio questo avvenimento? E che cosa significano le deformazioni, la sostituzione del vecchio signore con la Gradiva e l’introduzione della misteriosa “collega”?
Una regola dell’interpretazione dei sogni dice: Un discorso udito in sogno proviene sempre da un discorso udito durante la veglia o tenuto da noi stessi.297 Sembra che tale regola sia stata osservata in questo caso; il discorso della Gradiva è solo una modificazione di quello del vecchio zoologo udito durante il giorno. Un’altra regola dice che la sostituzione di una persona con un’altra, o il miscuglio di due persone, per cui l’una viene mostrata in una situazione che è caratteristica per l’altra, significa un’equiparazione delle due persone, una loro coincidenza.298 Se cerchiamo di applicare anche questa regola al nostro sogno, ne risulta questa traduzione: la Gradiva prende lucertole come il vecchio, s’intende dell’acchiappar lucertole come lui. Questo risultato non è ancora intelligibile. Ma abbiamo ancora un altro enigma di fronte a noi. A quale impressione del giorno possiamo riferire la “collega” che nel sogno sostituisce il famoso zoologo Eimer? Per nostra fortuna non abbiamo gran scelta; può essere designata come collega soltanto un’altra ragazza, e dunque la giovane signora simpatica che Hanold aveva giudicato una sorella in viaggio in compagnia del fratello. “Essa portava sull’abito una rosa sorrentina rossa, e a Norbert che la stava guardando dal suo angolo ciò ricordò qualche cosa che però non seppe precisare” [vedi sopra, cap. 1]. Questo accenno del poeta ci dà il diritto di considerare proprio lei la “collega” del sogno. Ciò che Hanold non riusciva a ricordare certo altro non era che il discorso della presunta Gradiva che alle ragazze più fortunate si portano rose di primavera, mentre essa si era fatta dare un bianco fiore dei sepolcri [ibid.]. Ma in quel discorso era implicita una richiesta. Quale può allora essere la caccia alle lucertole, che era così ben riuscita a questa collega più fortunata?
Il giorno seguente Hanold sorprende la creduta coppia di fratelli in un tenero abbraccio e può quindi correggere l’errore del giorno precedente. Si tratta in realtà di una coppia amorosa, e precisamente di due sposi in viaggio di nozze, come veniamo a sapere più tardi quando i due disturbano inaspettatamente il terzo colloquio di Hanold con Zoe. Se ora vogliamo supporre che Hanold, il quale coscientemente li considera fratello e sorella, avesse subito riconosciuto nel suo inconscio quale fosse la loro vera relazione, dimostratasi inequivocabilmente il giorno dopo, il discorso della Gradiva in sogno acquista un ben preciso significato. La rosa rossa diventa allora simbolo del rapporto amoroso; Hanold capisce che i due sono ciò che egli e la Gradiva debbono ancora divenire, la caccia alle lucertole acquista il significato di caccia al marito, e il discorso della Gradiva vuol dire pressappoco: “Lasciami fare, io so procurarmi un marito come le altre ragazze.”
Per qual motivo però questo accenno alle intenzioni di Zoe doveva apparire nel sogno sotto la forma del discorso del vecchio zoologo? Perché l’abilità della Zoe nella caccia al marito doveva essere raffigurata mediante quella del vecchio signore nella caccia alle lucertole? Non ci è ora difficile rispondere a questa domanda. Abbiamo già da tempo indovinato che il cacciatore di lucertole non è altri che il professore di zoologia Bertgang, il padre di Zoe, che deve anch’egli conoscere Hanold, sicché è comprensibile che gli rivolga la parola come a un conoscente. Se supponiamo nuovamente che Hanold nell’inconscio abbia subito riconosciuto il professore (“confusamente gli parve di aver già veduto il cacciatore di lucertole, probabilmente in uno dei due alberghi”), lo strano travestimento del proposito attribuito a Zoe diventa chiaro: essa è la figlia del cacciatore di lucertole, ed essa ha tratto da lui la sua abilità.
La sostituzione, nel contenuto onirico, del cacciatore di lucertole con la Gradiva, è dunque la raffigurazione del rapporto tra le due persone, riconosciuto dall’inconscio; l’introduzione della “collega” al posto del collega Eimer consente al sogno di esprimere il riconoscimento dell’aspirazione di Zoe a un marito. Il sogno ha finora saldato o “condensato”, come diciamo noi, due avvenimenti del giorno in una situazione unica, per dare a due idee, che non debbono divenire coscienti, un’espressione invero molto oscura. Possiamo però procedere oltre, ridurre ancor più la stranezza del sogno e dimostrare l’influsso anche di altri avvenimenti diurni sulla forma assunta dal sogno manifesto.
Potremmo del resto dichiararci insoddisfatti della spiegazione data finora sul perché proprio la scena della caccia della lucertola sia divenuta il nucleo centrale del sogno, e supporre che vi siano nei pensieri onirici anche altri elementi i quali col loro influsso abbiano determinato l’elemento “lucertola” nel sogno manifesto. La cosa è probabile. Ricordiamo [cap. 1] che Hanold aveva scoperto un passaggio nel muro nel posto in cui la Gradiva gli era sembrata scomparire, “un passaggio, stretto, ma tuttavia sufficiente per una persona molto esile”. Questa osservazione lo aveva portato durante il giorno a una modificazione del suo delirio: la Gradiva non sprofondava sotto terra quando scompariva al suo sguardo, ma ritornava per quella via alla sua tomba. Nel suo pensiero inconscio egli poteva essersi detto che ora aveva trovato una spiegazione naturale per l’improvvisa scomparsa della ragazza. Ma questo sgusciare attraverso stretti passaggi e questo scomparire in essi, non possono ricordare il comportamento delle lucertole? Non si comporta la stessa Gradiva come un’agile lucertolina? Pensiamo quindi che questa scoperta del passaggio nel muro abbia contribuito alla scelta dell’elemento “lucertola” per il contenuto onirico manifesto: il fatto figurativo della lucertola sostituisce nel sogno contemporaneamente quest’impressione del giorno e l’incontro con lo zoologo padre di Zoe.
E se ora noi, fatti audaci, tentassimo di trovare nel contenuto del sogno un’allusione anche di quell’esperienza del giorno che non abbiamo ancora utilizzata, e cioè la scoperta del terzo albergo, quello “del Sole”? Il poeta ha trattato questo episodio in modo così esauriente, inserendovi tanti particolari, che ci dovremmo meravigliare se esso solo fosse rimasto estraneo alla formazione del sogno. Hanold entra in questa locanda, che gli era rimasta ignota per la sua posizione appartata e per la lontananza dalla stazione ferroviaria, allo scopo di ricercarvi una gazzosa contro l’arsura. L’oste approfitta dell’occasione per fare le lodi dei suoi oggetti antichi e gli mostra una spilla che secondo lui sarebbe appartenuta alla fanciulla pompeiana trovata nelle vicinanze del Foro strettamente abbracciata al suo amato. Hanold, che finora non aveva mai creduto a questo racconto più volte udito, viene ora costretto da un’interna forza ignota a prestar fede a questa storia commovente e all’autenticità dell’oggetto; acquista la fibula e lascia l’albergo. Uscendo scorge a una finestra un ondeggiante rametto d’asfodelo carico di bianchi fiori, in un bicchier d’acqua, e questo gli sembra una conferma dell’autenticità del suo nuovo acquisto. Ora lo pervade la convinzione delirante che il verde fermaglio abbia appartenuto alla Gradiva, e che essa sia proprio la fanciulla morta fra le braccia dell’amato. La tormentosa gelosia suscitata in lui da questo pensiero si attenua quando egli decide di mostrare il giorno dopo la spilla alla Gradiva stessa, allo scopo di risolvere il suo dubbio. Questo è uno strano elemento che forma un nuovo delirio; possibile che non lasci alcuna traccia nel sogno della notte seguente?
Vale certamente la pena di chiarire come si produca questa estensione del delirio, di rintracciare la nuova scoperta inconscia che qui vien fatta e che si traduce nel nuovo elemento di delirio. Quest’ultimo si costituisce sotto l’influsso dell’oste dell’Albergo del Sole, rispetto al quale Hanold si comporta in maniera tanto credula, come soggiacendo a suggestione. L’oste gli mostra una spilla metallica che dice autentica e che avrebbe dovuto appartenere alla ragazza che sarebbe stata trovata sepolta fra le braccia del suo amante; e Hanold, il quale avrebbe pur dovuto possedere un sufficiente spirito critico per dubitare della verità della storia e dell’autenticità della spilla, diviene improvvisamente credulo e acquista il più che dubbio oggetto antico. Non si capisce affatto perché debba comportarsi così e non troviamo nulla nella personalità stessa dell’oste che ci serva a risolvere questo enigma. Vi è però un altro enigma in questa situazione; e qualche volta due enigmi si risolvono agevolmente l’uno con l’altro. Lasciando l’albergo egli vede un ramo d’asfodelo in un bicchiere a una finestra, e trova in ciò una conferma dell’autenticità della spilla. Come può essere? Quest’ultimo elemento è fortunatamente facile da risolvere. Il fiore bianco è naturalmente quello stesso che egli aveva dato a mezzogiorno alla Gradiva, ed è del tutto giusto che il vederlo a una finestra di questo albergo sia una conferma di qualche cosa. Certo non dell’autenticità della spilla, ma di qualche cosa d’altro, che fin dalla scoperta di questo albergo prima ignoto gli era divenuto chiaro. Il giorno precedente si era comportato come se fosse andato alla ricerca, nei due alberghi di Pom-pei, del luogo di abitazione della persona che gli era apparsa come Gradiva. Ora, nel momento in cui s’imbatte così inaspettatamente nel terzo albergo, deve dire a sé stesso nel suo inconscio: “Dunque essa abita qui”; e poi al momento di andarsene: “Giusto, quello è il ramo di asfodelo che io le ho dato, quella dunque è la sua finestra.” Questa è dunque la nuova scoperta che viene sostituita dal delirio, e che non può divenire cosciente perché non può divenire cosciente il suo presupposto: il fatto cioè che la Gradiva è un essere vivente e una persona da lui un tempo conosciuta.
Ma in qual modo avviene la sostituzione della nuova scoperta, cui sottentra il delirio? Penso che il sentimento di certezza, inerente alla scoperta, possa essersi affermato e conservato, mentre la scoperta stessa, inammissibile alla coscienza, veniva sostituita da un altro contenuto rappresentativo che aveva con essa un collegamento mentale. In tal modo il sentimento di certezza si è trovato ad aderire a un contenuto propriamente estraneo, e quest’ultimo, sotto forma di delirio, ha raggiunto un riconoscimento che non gli sarebbe spettato. Hanold trasferisce la sua persuasione, che la Gradiva abiti in quella casa, su altre impressioni che ha ricevuto in quella casa, e in questo modo finisce col credere alle parole dell’oste, all’autenticità della spilla e alla verità dell’episodio della coppia di amanti trovati abbracciati, ma questo solo in quanto ciò che egli ha udito in questa casa è messo in relazione con la Gradiva. La gelosia latente in lui s’impadronisce di questo materiale e ne risulta – sia pure in contrasto col suo primo sogno – il delirio che la Gradiva sia la fanciulla morta fra le braccia dell’amante e che la spilla da lui acquistata le sia appartenuta.
Possiamo osservare che il colloquio con la Gradiva e la timida profferta di lei, che “accetta un fiore”, hanno già prodotto importanti mutamenti in Hanold. Aspetti di bramosia maschile – componenti della libido – si sono in lui risvegliati, anche se tuttora non possono fare a meno di occultarsi dietro pretesti coscienti. Ma il problema della “natura corporea” della Gradiva, che lo perseguita durante tutta la giornata [cap. 1], rivela inevitabilmente la propria origine, che è quella dell’ardente curiosità erotica di un giovane per il corpo femminile, anche se il problema stesso, mediante l’insistenza cosciente sulla particolare oscillazione della Gradiva tra la vita e la morte, è trasferito sul terreno scientifico. La gelosia è un segno ulteriore della nascente attività amorosa di Hanold; egli esprime questa gelosia all’inizio del colloquio del giorno successivo e riesce poi, con l’aiuto di un nuovo pretesto, a toccare il corpo della ragazza e a picchiarla, come già era accaduto in tempi passati.
È venuto però ora il momento di domandarci se la via seguita dalla formazione del delirio, via che abbiamo ricavata dalla descrizione del poeta, ci sia nota da altre fonti o sia in genere possibile. Le nostre conoscenze mediche consentono una sola risposta, quella che si tratta certamente della via giusta, l’unica, forse, mediante cui qualsiasi delirio giunge a quel convincimento irremovibile che è un suo tipico carattere clinico. Quando l’ammalato crede così tenacemente al proprio delirio, ciò non avviene per un sovvertimento nelle sue capacità di giudizio e non deriva da ciò che di errato vi è nel delirio stesso. In ogni delirio vi è invece un nucleo di verità, vi è sempre in esso qualcosa che merita veramente fede,299 ed è questo qualcosa la fonte della persuasione del malato, la quale pertanto fin qui è giustificata. Ma questa verità è stata per lungo tempo rimossa: e quando finalmente le riesce di penetrare nella coscienza, in forma deformata, il sentimento di convinzione che ad essa si accompagna risulta sovraintenso come per compensazione; esso aderisce ora al sostitutivo deformato della verità rimossa e lo protegge da ogni attacco critico. È come se la convinzione si spostasse dalla verità inconscia all’errore cosciente che vi è collegato, e vi rimanesse fissata proprio in forza di quello spostamento. Il caso della formazione delirante derivata dal primo sogno di Hanold non è che un esempio, se non identico, simile, di un tale spostamento. Del resto il modo qui descritto in cui è sorta la convinzione nel delirio non è fondamentalmente diverso da quello della formazione della certezza in casi normali dove non entra in giuoco la rimozione. Non tutti colleghiamo la nostra certezza a contenuti mentali ove il vero è commisto al falso, e lasciamo che essa si estenda dal primo al secondo. Si può dire che essa si diffonde dalla verità agli elementi falsi che vi sono associati e li difende da una giusta critica, anche se non in modo altrettanto ostinato come avviene nel delirio. Anche nella psicologia normale l’avere buone relazioni, quasi godere di una protezione, può sostituire il valore vero.
Tornando ora al sogno, voglio far notare un piccolo particolare non privo d’interesse, che stabilisce un collegamento tra due dei fatterelli che ad esso dettero occasione. La Gradiva aveva in certo modo contrapposto il bianco fiore di asfodelo alle rose rosse. Il ritrovare l’asfodelo alla finestra dell’Albergo del Sole diventa un valido elemento di prova per quell’inconscia scoperta di Hanold che si esprime nel nuovo delirio; parallelamente, la rosa rossa sull’abito della giovane simpatica conduce Hanold a cogliere esattamente, nel suo inconscio, il rapporto esistente tra lei e il suo accompagnatore, così che essa può apparire nel sogno come la “collega”.
Ed ora, dove si trova, nel contenuto manifesto del sogno, la traccia e rappresentanza di quella scoperta di Hanold che noi troviamo sostituita dal nuovo delirio, della scoperta cioè che la Gradiva abita col padre nel terzo albergo nascosto di Pompei, nell’Albergo del Sole? Ebbene, essa si trova nel sogno, e non è neppure tanto deformata; ho un certo ritegno ad accennarvi solo perché so che anche nei lettori che mi hanno seguito fin qui con molta pazienza si desterà una forte ribellione contro il mio tentativo d’interpretazione. La scoperta di Hanold, come ripeto, è pienamente comunicata nel contenuto onirico; ma vi è così abilmente nascosta da passare necessariamente inosservata. Essa sta nascosta dietro un giuoco di parole, dietro un doppio senso: “In qualche posto al sole sedeva la Gradiva.” Abbiamo giustamente messo ciò in connessione col luogo dove Hanold aveva incontrato lo zoologo, suo padre. Ma non può ciò anche significare che al “Sole”, cioè all’Albergo del Sole, abita la Gradiva? E l’espressione “in qualche posto” (che non ha alcun riferimento con l’incontro col padre) non è forse così ipocritamente imprecisa, proprio perché serve a introdurre un’informazione precisa sulla dimora della Gradiva? La mia esperienza nell’interpretazione di sogni reali mi rende perfettamente sicuro del significato di questo doppio senso; tuttavia non mi azzarderei proprio a presentare ai miei lettori questo piccolo frammento del lavoro d’interpretazione, se il poeta stesso non mi prestasse qui il suo valido aiuto. Il giorno dopo egli pone in bocca alla fanciulla, quando essa scorge la spilla metallica, lo stesso giuoco di parole che abbiamo impiegato per la interpretazione di questo brano del sogno. “L’hai forse trovata al Sole?... Combina qualche volta scherzi del genere” [cap. 1]. E poiché Hanold non afferra questo discorso, essa gli spiega che intendeva parlare dell’Albergo del Sole, ove anch’essa ha già visto il presunto pezzo di scavo.
Vorremmo ora tentare di sostituire al sogno “stranamente insensato” di Hanold i pensieri inconsci che dietro ad esso si nascondono, e che forse sono del tutto diversi da quello. Ad esempio così: “Essa abita al ‘Sole’ col padre; perché fa questa parte con me? Vuol dunque prendermi in giro? O forse invece è innamorata di me e mi vuole per marito?” A quest’ultima possibilità segue ancora nel sonno la risposta, una repulsa apparentemente rivolta all’intero contenuto manifesto del sogno: e che cioè è tutta una pura pazzia.
I lettori muniti di spirito critico hanno diritto di chiedere come si spieghi l’inserzione, che abbiamo fatta senza fin qui giustificarla, di un elemento: quello dell’esser burlato dalla Gradiva. La risposta si trova nella Interpretazione dei sogni: se nei pensieri onirici entra un fattore di burla, d’ironia, di amara contraddizione, esso viene espresso attraverso la struttura insensata del sogno manifesto, attraverso l’assurdità del sogno.300 Quest’ultima non è indizio di un indebolimento dell’attività psichica, ma costituisce uno strumento di figurazione impiegato dal lavoro onirico. Come sempre accade nei momenti difficili, anche qui ci soccorre l’aiuto del poeta. Il sogno privo di senso ha una breve appendice, in cui un uccellino lancia un trillo simile a una risatina e si porta via la lucertola nel becco. Hanold aveva però udito un analogo trillo dopo la scomparsa della Gradiva. Esso in realtà proveniva da Zoe, la quale con questo suo sorriso si scrollava di dosso la tetra serietà della sua parte di spirito del mondo sotterraneo. La Gradiva aveva effettivamente riso di lui. L’immagine onirica in cui l’uccellino porta via la lucertola può tuttavia anche ricordare quella di un sogno precedente, in cui l’Apollo del Belvedere portava via la Venere capitolina.
Forse perdura in qualche lettore l’impressione che la traduzione della situazione della caccia della lucertola con la profferta d’amore non sia ancora sufficientemente provata. Per una conferma, possiamo fare riferimento al fatto che Zoe, nel colloquio con la collega, confessa di sé proprio ciò che il pensiero di Hanold sospetta di lei, quando le dice che era sicura di riuscire a “scavar fuori” a Pompei qualche cosa d’interessante. Essa entra con ciò nell’ordine d’idee dell’archeologia, così come egli, col suo paragone con la caccia delle lucertole, entra in quello della zoologia, quasi che essi reciprocamente aspirassero l’uno all’altro, e cercassero ciascuno di assumere le caratteristiche dell’altro.
In tal modo avremmo completato l’interpretazione anche di questo secondo sogno. Entrambi ci sono divenuti accessibili partendo dal presupposto che il sognatore sappia, nel suo pensiero inconscio, tutto ciò che nella coscienza ha dimenticato, e che egli là giudica correttamente ciò che qui nel delirio misconosce. Abbiamo dovuto perciò fare alcune affermazioni che, essendo inabituali, possono esser sembrate anche strane al lettore, e che probabilmente inoltre hanno risvegliato in lui il sospetto che noi vogliamo gabellare per significati voluti dal poeta quelli che sono soltanto significati nostri personali. Faremo del nostro meglio per dissipare questo sospetto, e a tale scopo vogliamo considerare ancora, con più attenzione, uno dei punti più deboli: mi riferisco a quello dell’uso di parole e discorsi a doppio senso, come nell’esempio: “In qualche posto al sole sedeva la Gradiva.”
Ogni lettore della Gradiva deve esser rimasto colpito dalla frequenza con cui il poeta pone in bocca ai suoi due personaggi principali discorsi che presentano un doppio senso. Hanold intende questi discorsi in un unico senso, e solo la sua compagna, la Gradiva, è scossa dal loro secondo senso. Così, quando egli alla prima risposta di lei esclama: “Sapevo che la tua voce sarebbe stata così” [cap. 1], e Zoe ancora ignara deve chiedere come ciò sia possibile dato che egli non l’aveva ancora mai udita parlare. Nel secondo colloquio la ragazza per un istante cade in un equivoco di fronte al suo delirio, quando egli l’assicura di averla subito riconosciuta [ibid.]. Essa non può non intendere queste parole nel senso che è esatto per l’inconscio di lui, e cioè di un riconoscimento della loro amicizia risalente all’infanzia, mentre naturalmente egli non sa nulla di questo significato che può avere il suo discorso, e lo spiega soltanto in relazione al delirio che lo domina. All’incontro i discorsi della ragazza, la cui personalità presenta la massima chiarezza di spirito in contrapposizione al delirio di lui, sono intenzionalmente a doppio senso. L’un senso è adattato al delirio di Hanold, per poter penetrare nella sua coscienza ed essere capito da lui; l’altro si solleva invece oltre il delirio, e ci dà di regola la traduzione del delirio stesso nell’inconscia verità che esso sta a rappresentare. È un vero trionfo del motto di spirito il poter raffigurare contemporaneamente, nella stessa forma espressiva, il delirio e la verità.
Tutto intessuto di doppi sensi è il discorso con cui Zoe chiarisce la situazione all’amica e insieme si libera dalla sua compagnia che la disturba [ibid.]. Quel discorso è del resto congegnato dall’autore in modo che si rivolga più ai lettori che alla fortunata collega di Zoe. Nelle conversazioni con Hanold, il doppio senso perlopiù risulta dal fatto che Zoe adopera il simbolismo che già abbiamo visto nel primo sogno di Hanold, ossia l’equivalenza del seppellimento con la rimozione, e di Pompei con l’infanzia. In tal modo essa nei suoi discorsi può da un lato rimaner fedele alla parte che il delirio di Hanold le assegna e dall’altro riferirsi ai rapporti reali, risvegliando nell’inconscio di Hanold la facoltà d’intenderli.
“Mi sono abituata da gran tempo ad essere morta” (p. 75 [e sopra cap. 1]). “Per me è giusto ricevere dalle tue mani il fiore dell’oblio” (ivi). In queste frasi si annunzia cautamente quel rimprovero che esploderà poi in modo abbastanza chiaro nella sua ultima predica quando lo paragona all’Archaeopteryx [ibid.]. “Che uno debba prima morire per divenire vivo? Ma per gli archeologi questo è ben necessario” (p. 106 [e sopra ibid.]), dice essa a posteriori, dopo la risoluzione del delirio, quasi per darci la chiave dei suoi discorsi a doppio senso. La più bella utilizzazione del suo simbolismo è però da lei ottenuta nella domanda (p. 92 [e sopra ibid.]): “Ho l’impressione come se avessimo già altra volta, duemila anni fa, mangiato insieme il nostro pane. Riesci a ricordarlo?”, dove la sostituzione dell’infanzia col passato storico, e lo sforzo per risvegliare il ricordo della prima, sono particolarmente riconoscibili.
Perché quest’evidente preferenza per i discorsi ambigui nella Gradiva? Non ci sembra qualcosa di casuale, ma una conseguenza necessaria dei presupposti del racconto. Essa fa soltanto riscontro alla duplice determinazione dei sintomi, dal momento che i discorsi stessi sono sintomi e provengono come quelli da compromessi tra il conscio e l’inconscio. Solo che nei discorsi questa doppia origine si osserva più facilmente che nelle azioni, e quando si riesce (ciò che spesso la duttilità del materiale verbale rende possibile) a ottenere nello stesso contesto di parole una buona espressione per entrambe le intenzioni del discorso, si ha appunto ciò che diciamo un “doppio senso”.
Durante il trattamento psicoterapeutico di un delirio o di un disturbo analogo si sviluppano spesso nel malato simili discorsi a doppio senso, come nuovi sintomi del tutto transitori; e ci si può anche trovare in situazioni che consentono di utilizzarli, stimolando talora col significato che è rivolto alla coscienza del malato la comprensione di quel significato che è invece valido nell’inconscio. So per esperienza che la parte qui sostenuta dall’ambiguità suscita di solito nei profani una grandissima diffidenza e ch’essa rischia di provocare grossi malintesi; ma il poeta ha avuto certamente ragione rappresentando nella sua opera anche questo caratteristico aspetto dei processi di formazione del sogno e del delirio.