Il metodo psicoanalitico freudiano
Il particolare metodo di psicoterapia praticato da Freud e denominato psicoanalisi è derivato dal cosiddetto procedimento catartico, sul quale egli ha riferito a suo tempo negli Studi sull’isteria (1892-95) in collaborazione con Josef Breuer. La terapia catartica fu una scoperta di Breuer, che, avvalendosi di essa, aveva guarito per la prima volta all’incirca un decennio prima una paziente isterica ed era giunto a comprendere la patogenesi dei suoi sintomi. In seguito a un personale suggerimento di Breuer, Freud riprese il metodo e lo sperimentò su un numero considerevole di malati.
Il procedimento catartico presupponeva che il paziente fosse ipnotizzabile e si basava sull’ampliamento della coscienza che ha luogo nell’ipnosi. Il suo fine, l’eliminazione dei sintomi patologici, veniva conseguito facendo ritornare il paziente nello stato psichico in cui il sintomo era comparso per la prima volta. Nel malato ipnotizzato affioravano allora ricordi, pensieri e impulsi fino a quel momento assenti dalla sua coscienza; appena dopo aver comunicato al medico con intense manifestazioni affettive questi suoi processi psichici, il sintomo era superato e la sua ricomparsa scongiurata. Nel loro comune lavoro i due autori spiegavano questa esperienza, che può essere ripetuta regolarmente, dicendo che il sintomo sta al posto di processi psichici repressi e non pervenuti alla coscienza e che quindi rappresenta una loro trasformazione (“conversione”). Essi si spiegavano l’efficacia terapeutica del loro procedimento con la scarica dell’affetto, sino allora per così dire “incapsulato”, connesso con gli atti psichici repressi (“abreagire”). Quasi sempre però il semplice schema dell’intervento terapeutico si complicava, in quanto nella maggior parte dei casi risultava evidente che alla formazione del sintomo non aveva contribuito un’unica impressione (“traumatica”), bensì tutta una serie difficilmente calcolabile di tali impressioni.
La caratteristica principale del metodo catartico, che lo pone in antitesi con tutti gli altri procedimenti della psicoterapia, consiste nel fatto che la sua efficacia terapeutica non è affidata a una proibizione per suggestione da parte del medico. Piuttosto, esso aspetta che i sintomi spariscano da sé, quando l’intervento, che si fonda su certi presupposti circa il meccanismo psichico, è riuscito ad avviare i processi psichici verso un decorso diverso dal precedente, che era sfociato nella formazione dei sintomi.
Le modifiche che Freud apportò al procedimento catartico di Breuer riguardarono dapprima la tecnica; queste modifiche tuttavia dettero risultati nuovi e successivamente resero necessaria una concezione del lavoro terapeutico diversa, seppure non in contraddizione con la precedente.
Se il metodo catartico aveva già rinunciato alla suggestione, Freud compì il passo successivo, rinunciando anche all’ipnosi. Attualmente egli cura i suoi pazienti senza alcun altro influsso, facendo loro assumere una comoda posizione dorsale su un divano, mentre egli siede su una sedia alle loro spalle, nascosto alla loro vista. Non esige nemmeno che chiudano gli occhi592 ed evita qualsiasi contatto e ogni altro procedimento che possa far pensare all’ipnosi. Una tale seduta procede quindi come un colloquio tra due persone ugualmente deste, una delle quali si risparmia qualsiasi sforzo muscolare e ogni impressione sensoria che possa distrarla e distogliere la sua attenzione dal concentrarsi sulla propria attività psichica.
Poiché l’essere ipnotizzati, a parte l’abilità del medico, dipende notoriamente dall’arbitrio del paziente e un grande numero di persone nevrotiche non può essere posto in ipnosi con alcun procedimento, rinunciando all’ipnosi si garantiva l’applicabilità del procedimento a un numero illimitato di malati. D’altra parte, però, veniva ora a mancare quell’ampliamento della coscienza che aveva fornito al medico proprio quel materiale psichico di ricordi e rappresentazioni con il cui aiuto potevano essere attuate la conversione dei sintomi e la liberazione degli affetti. Se non si fosse potuto trovare alcun sostituto a questo elemento mancante, ogni effetto terapeutico sarebbe stato fuori questione.
Ora, Freud trovò un tale sostituto, del tutto sufficiente, nelle idee improvvise dei malati, vale a dire in quei pensieri involontari, percepiti perlopiù come molesti e quindi eliminati in circostanze normali, i quali sogliono incrociare il corso di una narrazione conseguente. Per impadronirsi di queste idee improvvise, egli esorta i pazienti a lasciarsi andare ai propri racconti, “come si fa, ad esempio, in una conversazione in cui si salta di palo in frasca”. Prima di invitarli a narrare dettagliatamente la storia della propria malattia, egli raccomanda loro vivamente di dire tutto quello che passa loro per il capo, anche se ritengono che sia irrilevante, o che non c’entri, o che sia assurdo. Ma con particolare insistenza esige che non omettano alcun pensiero o idea improvvisa perché la comunicazione riesce loro imbarazzante o penosa. Mentre cercava di raccogliere questo materiale di idee altrimenti trascurate, Freud fece le osservazioni che sono divenute determinanti per la sua intera concezione. Già durante il racconto del corso della malattia appaiono nei malati lacune di memoria, possono essere stati dimenticati fatti reali, può essersi data confusione di rapporti cronologici o interruzione di connessioni causali, così che ne risultano effetti inintelligibili. Non vi è storia di malattia nevrotica senza amnesia di un qualche tipo. Se si insiste affinché il narratore colmi con uno sforzo dell’attenzione queste lacune della propria memoria, si nota che le idee improvvise che si presentano al riguardo vengono da lui respinte con tutti i mezzi della critica, finché, quando il ricordo torna realmente, egli finisce per provare un vero disagio. Da questa esperienza Freud deduce che le amnesie sono il risultato di un processo che egli chiama rimozione e di cui individua il motivo in sentimenti spiacevoli. Le forze psi-chiche che hanno provocato questa rimozione possono essere percepite, a suo avviso, nella resistenza che si solleva contro il riproporsi del ricordo.
Il fattore della resistenza è diventato uno dei fondamenti della sua teoria. Le idee improvvise che solitamente vengono scartate con ogni sorta di pretesti (come quelli sopra enumerati) sono viste da lui come dei derivati delle formazioni psichiche rimosse (pensieri e impulsi), come deformazioni di esse dovute alla resistenza nei riguardi di una loro riproduzione.
Quanto più grande è la loro resistenza, tanto più ingente è questa deformazione. Ora, in questa relazione tra le idee inintenzionali e il materiale psichico rimosso sta il loro valore per la tecnica terapeutica. Se si possiede un procedimento che permetta di giungere dalle idee a ciò che è stato rimosso, dalle deformazioni a ciò che è stato deformato, allora si può rendere accessibile alla coscienza, anche senza l’ipnosi, quanto era prima inconscio nella vita psichica.
Su questa base Freud ha sviluppato un’arte di interpretazione cui compete la funzione di separare, per così dire, dal materiale grezzo delle idee inintenzionali il metallo puro dei pensieri rimossi. Oggetto di questo lavoro interpretativo non sono solo le idee del malato, ma anche i suoi sogni, che schiudono la più diretta via d’accesso alla conoscenza dell’inconscio, le sue azioni involontarie e senza scopo (azioni sintomatiche) e gli errori nelle sue prestazioni della vita quotidiana (lapsus verbali, sbadataggini e simili). I dettagli di questa tecnica di interpretazione o traduzione non sono stati ancora pubblicati da Freud. Si tratta, secondo accenni da lui fatti, di una serie di regole empiricamente acquisite circa il modo in cui ricostruire dalle idee improvvise il materiale inconscio, di istruzioni sul significato da attribuire al fatto che le idee del paziente vengono meno e di esperienze sulle più importanti resistenze tipiche che si presentano nel corso di un simile trattamento. Un ampio volume sull’Interpretazione dei sogni, pubblicato da Freud nel 1900, è da considerarsi il precursore di una tale introduzione alla tecnica.
Da questi accenni alla tecnica del metodo psicoanalitico si potrebbe concludere che il suo inventore si è sobbarcato una fatica inutile e ha avuto torto ad abbandonare il poco complicato procedimento ipnotico. Ma, da un lato, la tecnica della psicoanalisi, una volta appresa, è molto più facile a praticarsi di quanto non sembri da una descrizione; e, dall’altro, non vi è alcun’altra via che porti alla meta, e pertanto la via ardua resta ancora la più breve. All’ipnosi c’è da rimproverare il fatto di nascondere la resistenza, impedendo così al medico di osservare il gioco delle forze psichiche. Essa non elimina la resistenza, ma la elude e dà pertanto solo informazioni incomplete e solo risultati transitori.
Il compito che il metodo psicoanalitico mira ad assolvere può essere espresso con formule diverse, ma equivalenti nella loro sostanza. Si può dire che il compito della cura è quello di far cessare le amnesie; una volta colmate tutte le lacune della memoria, chiariti tutti gli effetti enigmatici della vita psichica, è reso impossibile il persistere o addirittura il rigenerarsi del male. Oppure si può esprimere diversamente tale condizione dicendo che devono essere annullate tutte le rimozioni; in tal caso lo stato psichico è identico a quello in cui siano colmate tutte le lacune. Di maggior rilievo è un’altra formulazione: si tratta di rendere accessibile l’inconscio alla coscienza, e ciò avviene mediante il superamento delle resistenze. Non si deve però dimenticare che un tale stato ideale non esiste nemmeno nell’uomo normale e che solo raramente si ha la possibilità di portare tanto avanti il trattamento da avvicinarsi a questo punto. Poiché la salute e la malattia non sono distinte nella loro essenza, ma solo separate da un confine quantitativo determinabile nella pratica, non ci si prefiggerà come fine del trattamento altro che la guarigione pratica del malato, il ricupero delle sue capacità di prestazioni e di godimento. In caso di cura incompleta o di successo parziale, si ottiene soprattutto un considerevole miglioramento dello stato psichico generale, mentre i sintomi possono persistere, ma con minor importanza per il paziente, senza segnarlo come un malato.
A prescindere da modificazioni di poco conto, il procedimento terapeutico rimane lo stesso per tutti i multiformi quadri sintomatici dell’isteria come per tutte le forme di nevrosi ossessiva. È tuttavia da escludersi una sua illimitata possibilità d’applicazione. La natura del metodo psicoanalitico comporta indicazioni e controindicazioni, sia per quanto concerne le persone da sottoporre al trattamento, sia per quanto riguarda il quadro clinico. Si prestano soprattutto alla psicoanalisi i casi cronici di psiconevrosi con sintomi poco violenti o pericolosi; quindi, in primo luogo, tutte le specie di nevrosi ossessiva, di pensieri e azioni ossessivi, e quei casi di isteria in cui la parte principale è costituita da fobie e da abulie; inoltre, tutte le manifestazioni somatiche dell’isteria, purché, come nel caso dell’anoressia, il compito principale del medico non diventi quello di eliminare repentinamente i sintomi. Nei casi acuti di isteria si dovrà attendere l’inizio di uno stadio più calmo; in tutti i casi in cui predomina l’esaurimento nervoso, si eviterà un procedimento che richiede a sua volta fatica, produce soltanto lenti progressi e non può tener conto per qualche tempo del persistere dei sintomi.
La persona che dev’essere sottoposta con beneficio alla psicoanalisi deve rispondere a molteplici requisiti. Dev’essere, innanzitutto, capace di uno stato psichico normale: in periodi di confusione o di depressione melanconica non è possibile concludere nulla, nemmeno in casi di isteria. Si deve inoltre richiedere un certo grado di naturale intelligenza e di sviluppo etico: con persone di nessun valore il medico sente ben presto svanire in lui l’interesse che lo rende capace di penetrare più a fondo nella vita psichica del malato. Spiccate malformazioni del carattere, tratti di costituzione realmente degenerata, si rivelano nel corso della cura come fonti di resistenze che a stento possono essere superate. Sotto questo profilo, è la costituzione stessa a porre un limite alla possibilità di cura mediante psicoterapia. Anche l’età, quando il malato è vicino ai cinquant’anni, crea condizioni sfavorevoli per la psicoanalisi. La massa del materiale psichico allora non può più essere dominata, il tempo necessario alla guarigione diventa troppo lungo e la capacità di annullare processi psichici comincia a ridursi.
Nonostante tutte queste limitazioni, il novero delle persone idonee alla psicoanalisi è straordinariamente grande e l’ampliamento del nostro potere terapeutico grazie a questo metodo è, secondo le affermazioni di Freud, assai considerevole. Freud richiede lunghi periodi di tempo, da sei mesi a tre anni, per un trattamento efficace; egli precisa tuttavia che finora, a causa di diverse circostanze facilmente intuibili, si è trovato perlopiù nella possibilità di sperimentare il suo trattamento soltanto su casi molto gravi, persone la cui malattia durava da molti anni e assolutamente incapaci di vivere, le quali, deluse da tutte le cure, hanno per così dire cercato un ultimo scampo nel suo nuovo e molto discusso trattamento. In casi di malattie più lievi la durata del trattamento dovrebbe essere di molto abbreviata e si dovrebbe poter ottenere uno straordinario vantaggio per quanto concerne la prevenzione per il futuro.