Terzo saggio
Mosè, il suo popolo e la religione monoteistica
Avvertenza
prima
([Vienna,] prima del marzo 1938)
Con l’audacia di chi ha poco o punto da perdere, mi accingo a rompere per la seconda volta un proponimento ben fondato e a far seguire ai due saggi su Mosè in “Imago”377 la trattenuta parte finale. Avevo terminato affermando di sapere che le mie forze non sarebbero bastate; pensavo naturalmente all’indebolimento delle capacità creative che sopravviene con l’età avanzata,378 ma pensavo anche a un altro ostacolo.
Viviamo in un tempo particolarmente singolare. Troviamo con sorpresa che il progresso ha stretto alleanza con la barbarie. Nella Russia sovietica s’è intrapreso a sollevare a migliori forme di vita circa cento milioni di uomini tenuti nella repressione. Si è stati abbastanza audaci da sottrarre loro l’“oppio” della religione, e tanto saggi da dar loro una ragionevole misura di libertà sessuale, ma nel tempo stesso li si è sottomessi alla più brutale coercizione e privati di ogni possibilità di pensare liberamente. Con pari violenza il popolo italiano viene educato al senso dell’ordine e del dovere. Ci sentiamo come sollevati da un pensiero opprimente al vedere come, nel caso del popolo tedesco, la ricaduta in una barbarie quasi preistorica può anche prodursi senza prendere appoggio su idee progressiste. Comunque sia, le cose hanno preso una piega tale che oggi le democrazie conservatrici sono divenute le guardiane del progresso civile e che, stranamente, proprio l’istituzione della Chiesa cattolica oppone una potente difesa alla diffusione di un simile pericolo per la civiltà. Proprio lei, fino ad oggi l’implacabile nemica della libertà di pensiero e del progresso verso la conoscenza della verità!
Qui viviamo in un paese cattolico sotto la protezione di questa Chiesa, incerti su quanto simile protezione durerà ancora. Ma finché persisterà, avremo naturalmente scrupolo di fare qualcosa che possa destare l’inimicizia della Chiesa. Non è viltà ma prudenza; il nuovo nemico, al cui servizio vogliamo evitare di metterci, è più pericoloso del vecchio, col quale abbiamo già imparato a regolarci. La ricerca psicoanalitica, che noi coltiviamo, è a ogni modo oggetto di un’attenzione diffidente da parte del cattolicesimo. Non affermeremo che ciò avvenga senza ragione. Considerato che il nostro lavoro ci porta a un risultato che riduce la religione a una nevrosi dell’umanità e spiega il suo formidabile potere allo stesso modo della coazione nevrotica di nostri singoli pazienti, possiamo esser certi di attirare su di noi tutto il risentimento dei poteri dominanti del nostro paese. Non che abbiamo qualcosa di nuovo da dire, qualcosa che già non abbiamo detto in modo sufficientemente chiaro da un quarto di secolo,379 ma nel frattempo lo si è dimenticato, e non può restar senza effetto il ripeterlo oggi e commentarlo con un esempio valido per tutte le fondazioni religiose. Ne conseguirebbe verosimilmente il divieto di occuparci della psicoanalisi. Tali metodi violenti di repressione non sono certo estranei alla Chiesa che, piuttosto, sente come un attentato ai suoi privilegi il fatto che anche altri vi facciano ricorso. Ma la psicoanalisi, che nel corso della mia lunga vita è arrivata dappertutto, continua a non aver casa più preziosa della città appunto in cui è nata e cresciuta.
Non solo credo, ma so, che a causa di questo altro ostacolo, il pericolo esterno, mi lascerò trattenere dal pubblicare l’ultima parte del mio studio su Mosè. Ho fatto ancora un tentativo per sgomberarmi il terreno dalle difficoltà, dicendomi che il mio timore era fondato su una sopravvalutazione della mia personale importanza. E che probabilmente in sedi autorevoli sarebbe stato del tutto indifferente quel che volevo scrivere su Mosè e sulle origini delle religioni monoteistiche. Ma su questo punto non mi sento sicuro nel giudizio. Mi sembra molto più probabile che malevolenza e gusto del sensazionale compenseranno ciò che mi manca in fatto di considerazione nel giudizio dei miei contemporanei. Non renderò dunque noto questo lavoro, ma non per questo mi tratterrò dallo scriverlo. Specialmente perché ne ho già fatto una stesura ormai due anni fa,380 cosicché debbo soltanto rimaneggiarlo e aggiungerlo ai due saggi precedenti. Esso dovrà poi restar consegnato all’oscurità fino al giorno in cui potrà avventurarsi alla luce senza pericolo, o fino a che, a qualcuno che sarà arrivato a professare le stesse conclusioni e opinioni, possa esser detto: “in tempi più bui c’è già stato chi pensava le stesse cose”.
Avvertenza seconda
([Londra,] giugno 1938)
Le particolarissime difficoltà che hanno pesato su di me nel corso della redazione di questo studio riguardante la persona di Mosè – dubbi interni così come ostacoli esterni – fanno sì che questo terzo, conclusivo saggio sia preceduto da due diverse avvertenze, che si contraddicono a vicenda, anzi che si escludono a vicenda. Perché nel breve intervallo intercorso fra le due sono mutate fondamentalmente le circostanze esterne dell’autore. Prima vivevo sotto la protezione della Chiesa cattolica e avevo paura di perdere, pubblicandolo, questa protezione e di provocare la proibizione di lavorare agli aderenti ed agli allievi della psicoanalisi in Austria. Poi improvvisamente è arrivata l’invasione tedesca e il cattolicesimo si è mostrato, per dirla con parole bibliche, una “canna al vento”. Nella certezza che ora sarei stato perseguitato non solo per il mio modo di pensare ma anche per la mia “razza”, ho abbandonato insieme a molti amici la città che fin dall’infanzia, per settantotto anni, era stata la mia patria.
Ho trovato la più amichevole accoglienza nella bella, libera, magnanima Inghilterra. Qui vivo ora come ospite benvenuto, traggo un sospiro di sollievo perché mi è stata tolta quell’oppressione e perché posso nuovamente parlare e scrivere – quasi dicevo: pensare – come voglio o devo. Ora oso portare davanti al pubblico l’ultima parte del mio lavoro.
Non più ostacoli esterni, o almeno non tali da dovermene spaventare. Nelle poche settimane dacché soggiorno qui ho ricevuto un’infinità di manifestazioni di benvenuto da parte di amici che si rallegrano della mia presenza, da sconosciuti e anche da estranei che vogliono solamente esprimere la loro soddisfazione per il fatto che ho trovato qui libertà e sicurezza. E sono persino arrivate, con una frequenza sorprendente per uno straniero, missive di un’altra sorta, che si premuravano per la salvezza della mia anima, che volevano indicarmi la via di Cristo e illuminarmi circa il futuro di Israele.
La brava gente che mi ha scritto queste cose non poteva sapere molto di me; ma mi attendo, quando questo lavoro su Mosè, tradotto, sarà conosciuto tra i miei nuovi conterranei, di perdere presso un buon numero anche di altre persone non poche delle simpatie che adesso mi dimostrano.
Quanto alle difficoltà interne, rivolgimento politico e cambio di residenza non potevano cambiare nulla. Al pari di prima, mi sento insicuro di fronte al mio stesso lavoro, non trovo più la coscienza dell’unità e conformità che devono esistere tra l’autore e la sua opera. Ciò non vuol dire che io sia poco convinto del risultato cui sono pervenuto. La convinzione che esso è corretto, l’ho acquisita già un quarto di secolo fa, quando scrissi il libro su Totem e tabù, nel 1912, e da allora si è soltanto rafforzata. Non ho più dubitato fin da allora, che è possibile intendere i fenomeni religiosi solamente usando il modello dei sintomi nevrotici individuali a noi familiari, come ritorni di significativi eventi da lungo dimenticati della storia primordiale della famiglia umana; non ho più avuto dubbi che essi debbono il loro carattere coattivo a questa origine, e che dunque agiscono sugli uomini in forza del loro contenuto di verità storica.381 La mia insicurezza nasce unicamente quando mi domando se mi è riuscito di dimostrare queste tesi nel caso dell’esempio qui scelto del monoteismo ebraico. Questo lavoro che prende le mosse dall’uomo Mosè sembra al mio spirito critico una ballerina in equilibrio sulla punta di un piede. Se non avessi trovato un sostegno nell’interpretazione analitica del mito dell’esposizione e non mi fossi potuto ricollegare, da qui, alla congettura di Sellin sulla fine di Mosè, tutta questa meditazione sarebbe dovuta rimanere non scritta. Comunque sia, il dado è tratto.