Ora però, dopo esserci premuniti contro le obiezioni o, se non altro, dopo aver indicato dove si trovano le nostre armi di difesa, non possiamo ulteriormente differire le indagini psicologiche a cui ci siamo da tempo attrezzati. Ricapitoliamo i risultati principali dell’indagine da noi svolta sinora. Il sogno è un atto psichico di grande rilievo; la sua forza motrice è ogni volta un desiderio da appagare; il fatto che esso non sia riconosciuto come desiderio, le sue molte stranezze e assurdità, derivano dall’influenza della censura psichica, subita nel corso della sua formazione; oltre alla sollecitazione a sottrarsi a questa censura, contribuiscono a formarlo: una costrizione a condensare il materiale psichico, la considerazione della raffigurabilità in immagini sensoriali e, anche se non regolarmente, il riguardo per un aspetto razionale e intelligibile della forma onirica. Ciascuno di questi princìpi porta a postulati e congetture psicologiche; occorre esaminare la relazione reciproca tra lo spunto di desiderio e le quattro condizioni, nonché le interrelazioni tra queste ultime: il sogno dev’essere inserito nel contesto della vita psichica.
All’inizio di questo capitolo [vedi il cap. 7, in OSF, vol. 3] abbiamo posto un sogno, per rammentarci gli enigmi che non sono stati ancora risolti. L’interpretazione del sogno del bambino che sta bruciando non ci ha procurato difficoltà, sebbene, dal nostro punto di vista, non fosse comunicata integralmente. Ci siamo chiesti perché mai in questo caso si sia verificato un sogno anziché il risveglio, e abbiamo riconosciuto quale uno dei motivi del sognatore il desiderio di rappresentare il bambino ancora in vita. Continuando la trattazione potremo scoprire che anche un altro desiderio partecipa al sogno [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3]. In primo luogo dunque, è per favorire l’appagamento di desiderio che il processo ideativo del sonno è stato trasformato in sogno.
Annullando quest’appagamento, soltanto un carattere sta ancora a separare tra loro le due specie di accadimenti psichici. Il pensiero del sogno sarebbe stato questo: “Vedo una luce che proviene dalla camera in cui giace la salma. Forse è caduta una candela e il bambino brucia!” Il sogno riproduce immutato il risultato di questa riflessione, ma lo raffigura in una situazione attuale, che va colta dai sensi come un’esperienza della veglia. Ma proprio questo è il carattere psicologico più generale e vistoso del sognare: un pensiero, di regola quello desiderato, viene oggettivato nel sogno, raffigurato come una scena oppure, così ci sembra, vissuto.
Come si può spiegare ora questa peculiarità tipica del lavoro onirico o, in termini più modesti, come si può inserirla nel contesto dei processi psichici?
A un’osservazione più attenta, si nota che nella forma manifesta di questo sogno sono impressi due caratteri quasi indipendenti tra loro. Uno è la rappresentazione come situazione attuale, con omissione del “forse”; l’altro è la traduzione del pensiero in immagini visive e in discorso.
La trasformazione subita dai pensieri del sogno, per cui l’attesa che in essi si esprime viene trasposta nel presente, forse proprio in questo sogno non risulta molto evidente. Ciò è in relazione con la parte singolare, e propriamente secondaria, che l’appagamento di desiderio ha in questo sogno. Prendiamone un altro, nel quale il desiderio del sogno è soltanto la continuazione nel sonno dei pensieri della veglia, per esempio il sogno dell’iniezione a Irma [vedi il cap. 2, Premessa, Sogno del 23-24 luglio 1895, Analisi, in OSF, vol. 3]. Qui il pensiero del sogno che giunge a rappresentazione è un ottativo: “Se almeno fosse Otto il responsabile della malattia di Irma!” Il sogno rimuove l’ottativo e lo sostituisce con un semplice presente: “Sì, Otto è responsabile della malattia di Irma.” Questa dunque è la prima delle trasformazioni che il sogno, anche quello libero da deformazione, opera nei propri pensieri. Non ci soffermeremo a lungo su questa prima peculiarità. Ce ne sbrigheremo con l’accenno al fantasticare cosciente, al sogno a occhi aperti, che procede nello stesso modo col proprio contenuto rappresentativo. Quando Monsieur Joyeuse di Daudet920 vaga disoccupato per le strade di Parigi, mentre le sue figliuole debbono credere ch’egli ha un impiego e siede al suo posto in ufficio, sogna – anch’egli al presente – gli eventi che dovrebbero assicurargli protezione e lavoro. Il sogno dunque usa del presente nello stesso modo e con lo stesso diritto del sogno a occhi aperti. Il presente è il tempo in cui il desiderio viene rappresentato come appagato.
Ma peculiare del sogno, rispetto al sogno a occhi aperti, è soltanto il secondo carattere, per cui il contenuto rappresentativo non viene pensato, bensì trasformato in immagini sensoriali, alle quali prestiamo fede e che riteniamo di vivere. Aggiungiamo subito che non tutti i sogni presentano la trasformazione della rappresentazione in immagine sensoriale; vi sono sogni che consistono unicamente in pensieri e ai quali non per questo si potrà negare natura di sogni. Il mio sogno “Autodidasker” (fantasia diurna con il professor N.) è di questo tipo [vedi il cap. 6, par. A, sottopar. 3. Il sogno degli insetti, punti 4, 5, in OSF, vol. 3], e quasi non vi si sono introdotti più elementi sensoriali di quanti vi figurerebbero se avessi pensato il suo contenuto di giorno. In ogni sogno piuttosto lungo esistono inoltre elementi che non hanno subito la trasformazione sensoriale, ma che vengono semplicemente pensati o saputi, come di solito avviene durante la veglia. Vogliamo inoltre far notare, a questo punto, che codesta trasformazione della rappresentazione in immagine sensoriale non spetta soltanto al sogno, ma, in pari grado, all’allucinazione, alle visioni che compaiono, pressoché a sé stanti, nello stato di salute o come sintomo delle psiconevrosi. In breve, il rapporto che qui stiamo esaminando non è in alcun modo esclusivo; rimane però stabilito che questo carattere del sogno, quando si verifichi, appare il più degno di nota, tanto da non poter immaginare la vita onirica senza di esso. La sua comprensione richiede però una trattazione molto estesa.
Fra tutte le osservazioni che si possono ritrovare nelle opere dedicate alla teoria del sognare, vorrei rilevarne una che può servire da punto di partenza. Nella sua Psicofisica, il grande Fechner, nel corso di alcune considerazioni dedicate al sogno, esprime la supposizione che la scena dei sogni sia diversa da quella della vita rappresentativa e vigile.921 [Vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3.] Secondo lui, nessun’altra ipotesi consente di comprendere le speciali caratteristiche della vita onirica.
L’idea che viene così posta a nostra disposizione è quella di una località psichica. Intendiamo tralasciare completamente il fatto che l’apparato psichico in questione ci è noto anche come preparato anatomico e vogliamo evitare con cura la tentazione di determinare in senso anatomico la località psichica. Restiamo sul terreno psicologico e ci limitiamo ad aderire all’invito di rappresentarci lo strumento che serve alle attività psichiche pressappoco come un microscopio composto, un apparecchio fotografico e simili. La località psichica corrisponde allora a un punto, situato all’interno di quest’apparecchio, nel quale si forma uno degli stadi preliminari dell’immagine. Nel microscopio e nel telescopio si tratta com’è noto di località e regioni almeno in parte ideali, nelle quali non esiste alcuna componente tangibile dell’apparecchio. Ritengo superfluo scusarmi per le imperfezioni di queste come di tutte le altre immagini analoghe: questi paragoni hanno soltanto il compito di sostenerci nel tentativo di comprendere la complessità dell’attività psichica, scomponendola e assegnando le singole prestazioni alle singole componenti dell’apparato. Il tentativo di scoprire la composizione dello strumento psichico partendo da siffatto smembramento non è stato ancora fatto, a quel che so. Mi sembra un tentativo innocuo. Ritengo infatti lecito dar libero corso alle nostre congetture, a condizione di serbare la serenità del nostro giudizio e di non scambiare l’impalcatura per la costruzione. Dato che, per un’approssimazione a un fenomeno sconosciuto, non abbiamo bisogno d’altro che di rappresentazioni ausiliarie, daremo la nostra preferenza dapprima alle ipotesi più rozze e più evidenti.
Immaginiamo dunque l’apparato psichico come uno strumento composito, alle cui componenti daremo il nome di istanze o, per amor d’evidenza, di sistemi. Ci aspetteremo che questi sistemi abbiano tra loro un orientamento spaziale costante, all’incirca come i vari sistemi di lenti del telescopio, che si trovano uno di seguito all’altro. A rigore, non abbiamo bisogno di supporre una disposizione spaziale vera e propria dei sistemi psichici. Ci basta, una volta stabilita una successione fissa, che in certi processi psichici i sistemi vengano percorsi dall’eccitamento secondo una determinata successione temporale. Può darsi che in altri processi la successione subisca una variazione: lasciamoci aperta tale possibilità. Per brevità, d’ora in poi indicheremo le componenti dell’apparato come “sistemi ψ”.
Ora, la prima cosa che ci colpisce è che quest’apparato, composto di sistemi ψ, ha una direzione. Tutta la nostra attività psichica parte da stimoli (interni o esterni) e sbocca in innervazioni.922 Con ciò attribuiamo all’apparato un’estremità sensitiva e un’estremità motoria; all’estremità sensitiva si trova un sistema [P] che accoglie le percezioni, all’estremità motoria un altro sistema [M] che apre le chiuse della motilità. Il processo psichico decorre in genere dall’estremità percettiva all’estremità motoria. Lo schema più generale dell’apparato psichico avrebbe dunque la seguente configurazione:
Figura 1
Ma esso appaga semplicemente un’esigenza che da tempo ci è familiare, e cioè che l’apparato psichico sia costruito come un apparato riflesso. Il processo riflesso rimane anche il modello di ogni attività psichica.
Abbiamo ora motivo di introdurre una prima differenziazione all’estremità sensitiva. Nel nostro apparato psichico permane una traccia delle percezioni che si accostano a noi, traccia che possiamo chiamare “traccia mnestica”. Infatti chiamiamo “memoria” la funzione che si riferisce a questa traccia [Tmn]. Se si accetta in pieno il disegno di collegare i processi psichici con sistemi, la traccia mnestica può consistere solo in mutamenti permanenti negli elementi dei sistemi. Ora però, come è già stato rilevato da altri,923 è evidentemente difficile che lo stesso sistema serbi con fedeltà le modificazioni dei suoi elementi e insieme affronti in modo sempre vivo e ricettivo le nuove cause di mutamento. Stando al principio che guida il nostro tentativo, ripartiremo dunque queste due attività su sistemi diversi. Supponiamo dunque che un sistema più avanzato dell’apparato accolga gli stimoli percettivi senza conservarne nulla, non abbia dunque memoria, e che dietro questo si trovi un secondo sistema che traduce l’eccitamento momentaneo del primo in tracce durature. Il quadro del nostro apparato psichico sarebbe allora il seguente:
Figura 2
Delle percezioni che agiscono sul sistema P è noto che conserviamo durevolmente qualche altra cosa, oltre al loro contenuto. Le nostre percezioni risultano collegate tra loro anche nella memoria, e cioè prima di tutto secondo la loro coincidenza temporale. È quel che chiamiamo associazione. Ora è chiaro che, se il sistema P non possiede affatto memoria, non può serbare nemmeno le tracce per l’associazione; i singoli elementi P sarebbero ostacolati in modo insopportabile nella loro funzione, se di fronte a una nuova percezione dovesse farsi valere il residuo di un collegamento precedente. Dobbiamo dunque presumere che il fondamento dell’associazione risieda piuttosto nei sistemi mnestici. L’associazione consisterebbe allora nel fatto che, in seguito a riduzioni di resistenza e aperture di nuove vie da un elemento Tmn, l’eccitamento si trasmetterebbe piuttosto a un secondo anziché a un terzo elemento Tmn.
Uno studio più attento rivela la necessità di ammettere non uno, ma più elementi Tmn, nei quali lo stesso eccitamento, propagato attraverso gli elementi P, va incontro a una fissazione diversificata. Il primo di questi sistemi Tmn fisserà in ogni caso l’associazione per simultaneità mentre nei sistemi più lontani lo stesso materiale di eccitamento verrà ordinato secondo altri tipi di coincidenza, in modo che, attraverso questi successivi sistemi, siano rappresentate per esempio relazioni di affinità e altre. Naturalmente, sarebbe vano tentare di rendere a parole il significato psichico di tale sistema. La sua caratteristica consisterebbe nell’intimità dei suoi rapporti con elementi della materia prima del ricordo, vale a dire – volendo accennare a una teoria che penetra più a fondo nell’argomento – nelle differenze graduali della resistenza di conduzione verso questi elementi.
Andrebbe qui inserita un’osservazione di indole generale, che forse richiama l’attenzione su un fatto importante. Il sistema P non ha facoltà di conservare mutamenti, non ha dunque memoria: da ciò deriva tutta la varietà delle qualità sensoriali della nostra coscienza. Viceversa i nostri ricordi, non esclusi quelli più profondamente impressi in noi, sono di per sé inconsci. Possono essere resi coscienti, ma non v’è dubbio che essi sviluppano tutti i loro effetti nello stato inconscio. Ciò che noi chiamiamo il nostro carattere si basa certamente sulle tracce mnestiche delle nostre impressioni e in verità sono proprio le impressioni che hanno agito più intensamente su di noi, quelle della nostra prima giovinezza, che non diventano quasi mai coscienti. Se però i ricordi ridiventano coscienti, non mostrano alcuna qualità sensoriale, oppure assai esigua, rispetto alle percezioni. Se ora fosse possibile confermare che nei sistemi ψ memoria e qualità si escludono a vicenda per la coscienza, si dischiuderebbero nuovi orizzonti all’indagine sulle condizioni dell’eccitamento neuronico.924
Nelle ipotesi sinora fatte sulla composizione dell’apparato psichico all’estremità sensitiva, non s’è tenuto conto del sogno e delle spiegazioni psicologiche che se ne possono trarre. Il sogno però diventa fonte di conferma per la conoscenza di un’altra parte dell’apparato. Abbiamo visto [vedi il cap. 4, in OSF, vol. 3] che ci sarebbe diventato impossibile spiegare la formazione del sogno senza rischiare l’ipotesi di due istanze psichiche, una delle quali sottopone l’attività dell’altra a una critica, dalla quale deriva l’esclusione dalla presa di coscienza.
L’istanza critica, abbiamo concluso, intrattiene rapporti più stretti con la coscienza dell’istanza criticata. Sta fra questa e la coscienza come uno schermo. Abbiamo inoltre scoperto qualche punto d’appoggio [vedi il cap. 6, par. I, in OSF, vol. 3] per identificare l’istanza critica con ciò che guida la nostra vita vigile e decide delle nostre azioni coscienti, volontarie. Se ora, secondo le nostre ipotesi, sostituiamo queste istanze con sistemi, il sistema critico viene spostato, per la ragione esposta immediatamente sopra, verso l’estremità motoria. A questo punto, registriamo nel nostro schema i due sistemi e diamo ad essi un nome che esprime il loro rapporto con la coscienza:
Figura 3
Chiamiamo preconscio l’ultimo dei sistemi disposti all’estremità motoria, per indicare che i processi di eccitamento che vi si svolgono possono giungere alla coscienza senza ulteriore impedimento, purché siano osservate certe condizioni, come per esempio il raggiungimento di una determinata intensità, una determinata distribuzione della funzione definibile come attenzione [vedi il cap. 7, par. E, in OSF, vol. 3] e così via. Nello stesso tempo, in esso sono racchiuse le chiavi della motilità volontaria. Chiamiamo inconscio il sistema posto dietro questo, perché non ha accesso alla coscienza se non attraverso il preconscio; nel passaggio il suo processo di eccitamento deve accettare determinate modificazioni.925
Ora, in quale di questi sistemi dobbiamo situare l’avvio alla formazione del sogno? Semplificando, diciamo: nel sistema Inc. Vedremo, è vero, nel corso delle discussioni successive, che ciò non è del tutto esatto, che la formazione del sogno è costretta ad allacciarsi a pensieri onirici che fan parte del sistema preconscio [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3]. Ma apprenderemo anche, trattando del desiderio onirico, che la forza motrice del sogno è fornita dall’Inc [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3] ed è a causa di quest’ultimo fattore determinante, che ipotizziamo nel sistema inconscio il punto di partenza della formazione del sogno. Ma quest’impulso al sogno, al pari di tutte le altre creazioni di pensiero, tenderà a prolungarsi nel Prec e di lì a ottenere accesso alla coscienza.
L’esperienza ci insegna che di giorno questa via, che attraverso il preconscio porta alla coscienza, è sbarrata ai pensieri del sogno dalla censura di resistenza. Di notte, essi si procurano l’accesso alla coscienza, ma ecco allora il problema: per quale via e in virtù di quale mutamento? Se ciò avvenisse perché di notte la resistenza che veglia al limite tra inconscio e preconscio diminuisce, dovremmo ottenere dei sogni costituiti dal materiale delle nostre rappresentazioni, sogni che non manifesterebbero il carattere allucinatorio, attualmente al centro del nostro interesse.
Il diminuire della censura tra i due sistemi Inc e Prec può dunque spiegarci creazioni oniriche come quelle dell’“Autodidasker”, ma non sogni come quello del bambino che brucia, che ci siamo posto come problema all’inizio di queste ricerche.
Ciò che si verifica nel sogno allucinatorio, non può descriversi che dicendo: l’eccitamento prende una via retrograda. Anziché trasmettersi verso l’estremità motoria dell’apparato, si trasmette verso l’estremità sensitiva e giunge infine al sistema percettivo. Se chiamiamo progressiva la direzione nella quale il processo psichico procede dall’inconscio, durante la veglia, possiamo dire del sogno che esso ha un carattere regressivo.926
Questa regressione è quindi sicuramente una delle più rilevanti peculiarità psicologiche del processo onirico, ma non dobbiamo dimenticare che essa non appartiene unicamente al sogno. Anche il ricordo intenzionale e altri processi parziali del nostro pensiero normale corrispondono nell’apparato psichico al regredire di qualche complesso atto rappresentativo verso la materia grezza delle tracce mnestiche su cui esso si basa. Durante la veglia però questo riandare al passato non va mai oltre le immagini mnestiche; esso non è in grado di produrre il ravvivamento allucinatorio delle immagini percettive. Perché nel sogno le cose vanno diversamente? Parlando del lavoro di condensazione nei sogni non abbiamo potuto evitare l’ipotesi che, per mezzo del lavoro onirico, le intensità annesse alle rappresentazioni venissero trasferite integralmente dall’una all’altra [vedi il cap. 6, par. C, in OSF, vol. 3]. Probabilmente è questa variazione del processo psichico abituale che consente di investire il sistema P sino alla piena vivacità sensoriale, seguendo una direzione inversa, a partire cioè dai pensieri.
Siamo molto lontani, spero, dal farci illusioni sull’importanza di queste discussioni. Non abbiamo fatto altro che dare un nome a un fenomeno inspiegabile. Chiamiamo regressione il fatto che nel sogno la rappresentazione si ritrasforma nell’immagine sensoriale da cui è sorta in un momento qualsiasi. Ma anche questo passo richiede giustificazione. A che serve la denominazione se non c’insegna nulla di nuovo? Ora io penso che il nome “regressione” ci serva, in quanto collega il fatto da noi conosciuto allo schema di apparato psichico provvisto di una direzione. Ma è qui che si dimostra utile, per la prima volta, l’enunciazione di tale schema, perché col solo aiuto dello schema un’altra peculiarità della formazione del sogno ci diventerà comprensibile senza bisogno di nuove considerazioni. Se guardiamo al processo onirico come a una regressione all’interno dell’apparato psichico da noi adottato, possiamo senz’altro spiegare il fatto, stabilito per via empirica [ibid.], che nel lavoro onirico tutte le relazioni logiche dei pensieri onirici vanno perdute o trovano soltanto espressione travagliata. Secondo lo schema, queste relazioni logiche non sono contenute nei primi sistemi Tmn, ma in altri situati più avanti, e nella regressione sino alle immagini percettive sono costrette a rinunciare alla loro espressione. Nella regressione, la struttura dei pensieri del sogno viene disgregata nella sua materia prima.
Ma qual è il mutamento che consente la regressione, impossibile di giorno? Qui ci accontenteremo di congetture. Si tratta probabilmente di mutamenti negli investimenti di energia dei singoli sistemi, per mezzo dei quali essi diventano più o meno praticabili per il flusso dell’eccitamento; ma in ogni apparato di questo tipo, lo stesso effetto sul passaggio dell’eccitamento può essere ottenuto con diversi tipi di mutamento. Naturalmente, si pensa subito allo stato di sonno e ai mutamenti di investimento ch’esso provoca all’estremità sensitiva dell’apparato. Di giorno esiste una corrente continua che va dal sistema ψ della percezione alla motilità; di notte, questa corrente finisce e non potrebbe più ostacolare un riflusso dell’eccitamento. Sarebbe questo “distacco dal mondo esterno” che, secondo la teoria di alcuni studiosi, dovrebbe chiarire i caratteri psicologici del sogno (vedi il cap. 1, par. E, in OSF, vol. 3). Nella spiegazione della regressione onirica si dovranno tuttavia prendere in considerazione le altre regressioni che si verificano in stati di veglia patologici. In queste forme, naturalmente, il prospetto ora dato non è valido: si giunge alla regressione nonostante l’ininterrotta corrente sensoriale in direzione progressiva.
Per le allucinazioni dell’isteria, della paranoia e per le visioni di persone sane di mente, posso dare la spiegazione che esse di fatto corrispondono a regressioni, vale a dire sono pensieri tramutati in immagini, aggiungendo che subiscono questa trasformazione soltanto i pensieri intimamente connessi con ricordi repressi o rimasti inconsci. Uno dei miei pazienti isterici più giovani, un ragazzo di dodici anni, è turbato al momento di addormentarsi da “volti verdi con occhi rossi”, di fronte ai quali si spaventa. Fonte di quest’apparizione è il ricordo represso, ma un tempo cosciente, di un ragazzo che quattro anni prima vedeva spesso e che gli aveva offerto un’immagine repellente di molte cattive abitudini infantili, tra cui l’onanismo, che adesso, a posteriori, egli stesso si rimprovera. A quel tempo sua madre aveva osservato che quel ragazzaccio aveva una faccia di color verdognolo e occhi rossi (cioè cerchiati di rosso). Donde l’apparizione paurosa, che del resto è destinata unicamente a ricordargli un’altra premonizione della madre, quella cioè che ragazzi di quel genere diventano idioti, non riescono a imparare niente a scuola e muoiono presto. Il nostro piccolo paziente fa sì che una parte della profezia si avveri, al ginnasio non fa progressi, e come ci dimostra l’esame delle idee involontarie che gli vengono in mente, teme fortemente l’avverarsi della seconda parte. Il trattamento, a dire il vero, ottiene dopo breve tempo il risultato che il ragazzo dorme, perde la sua ansietà e conclude l’anno scolastico con una pagella eccellente.
Come secondo esempio, posso aggiungere la soluzione di una visione che un’isterica quarantenne mi ha raccontato di aver avuto quand’era sana. Una mattina apre gli occhi e vede nella stanza suo fratello che invece si trova, come lei sa, in manicomio. Il figlioletto dorme nel letto accanto a lei. Perché il bambino non si spaventi e non cada in convulsioni vedendo lo zio, lo copre con la coperta e poi l’apparizione sparisce. La visione è la rielaborazione di un ricordo infantile della signora, rimasto, è vero, cosciente, ma in strettissimo rapporto nel suo intimo con tutto il materiale inconscio. Dalla bambinaia le era stato raccontato che sua madre, morta molto giovane (all’epoca della morte lei stessa aveva appena un anno e mezzo), aveva sofferto di convulsioni epilettiche o isteriche, e precisamente dopo uno spavento causatole dal fratello (lo zio della mia paziente), il quale le era comparso davanti come un fantasma, con una coperta sopra la testa. La visione contiene gli stessi elementi del ricordo: l’apparizione del fratello, la coperta, lo spavento e l’effetto dello spavento. Ma questi elementi sono ordinati in un nuovo contesto e trasposti su altre persone. Il motivo palese della visione, il pensiero che essa sostituisce, è la preoccupazione che il bambino, fisicamente tanto simile allo zio, possa condividerne la sorte.
Entrambi gli esempi ora riportati non sono del tutto privi di rapporti con lo stato di sonno e perciò forse non sono atti alla dimostrazione per cui me ne servo. Rimando dunque alla mia analisi di una paranoica affetta da allucinazioni927 e ai risultati dei miei studi, ancora inediti, sulla psicologia delle psiconevrosi,928 perché si tragga conferma che, in questi casi di trasformazione regressiva del pensiero, non si può trascurare l’influenza di un ricordo perlopiù infantile, represso o rimasto inconscio. Questo ricordo trascina per così dire il pensiero che è in collegamento con esso, e a cui la censura impedisce di esprimersi, nella regressione, ossia in quella forma di rappresentazione in cui esso stesso esiste psichicamente. Posso a questo punto riferire, come risultato degli studi sull’isteria, che le scene infantili (siano esse ricordi o fantasie), vengono viste in modo allucinatorio, qualora possano essere rese coscienti, e perdono questo carattere soltanto comunicandole. Si sa inoltre che, anche in persone che di solito non hanno memoria visiva, i primissimi ricordi infantili conservano fino a tarda età il carattere della vivacità sensoriale.
Ricordando ora quale parte spetti, nei pensieri del sogno, alle esperienze infantili o alle fantasticherie basate su di esse, e con quale frequenza riemergano nel contenuto onirico frammenti di queste vicende e ne derivino i desideri stessi del sogno, non si rifiuterà neppure al sogno la probabilità che la trasformazione di pensieri in immagini visive possa essere la conseguenza dell’attrazione che il ricordo rappresentato in modo visivo, e tendente a un ravvivamento, esercita sul pensiero escluso dalla coscienza, che lotta per esprimersi. Secondo questa concezione si potrebbe anche descrivere il sogno come il surrogato, alterato attraverso una traslazione929 su materiale recente, della scena infantile. Quest’ultima non può imporre il proprio rinnovamento, deve accontentarsi della ricomparsa in veste di sogno.
L’accenno al significato, in certo modo esemplare, delle scene infantili (o delle loro ripetizioni fantastiche), per il contenuto del sogno, rende superflua una delle ipotesi di Scherner e dei suoi seguaci sulle fonti di stimolo interne. Scherner ammette uno stato di “stimolo visivo” [vedi il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3], di eccitamento interno nell’organo visivo, quando nei sogni è possibile riconoscere una particolare vivacità o ricchezza degli elementi visivi.930 Non è il caso di impuntarci di fronte a questa supposizione, possiamo semmai accontentarci di accettare tale stato di eccitamento unicamente per il sistema psichico di percezione dell’organo visivo, facendo però valere il fatto che questo stato di eccitamento è prodotto dal ricordo, è il ravvivamento dell’eccitamento visivo che a suo tempo fu attuale. La mia esperienza personale non mi offre alcun esempio valido di codesta influenza del ricordo infantile: i miei sogni in genere sono meno ricchi in elementi sensoriali di quelli degli altri, mi pare di doverlo ammettere, ma nel sogno più bello e più vivace di questi ultimi anni, mi risulta facile ricondurre a qualità sensoriali di impressioni recenti, verificatesi poco prima, la chiarezza allucinatoria del contenuto onirico. Ho riferito (vedi il cap. 6, par. H, sottopar. 3, in OSF, vol. 3) il sogno in cui il colore blu scuro dell’acqua, il color bruno del fumo che usciva dai fumaioli delle navi, e il cupo bruno e rosso degli edifici che vedevo, lasciarono in me un’impressione profonda. Se mai un sogno andava interpretato in base a uno stimolo visivo, era questo. E che cosa aveva portato il mio organo visivo a questo stato di eccitamento? Un’impressione recente, che si collegava a una serie di impressioni precedenti. I colori visti in sogno erano innanzitutto quelli della cassetta delle costruzioni, con cui il giorno prima i bambini avevano eretto un grandioso edificio per segnalarlo alla mia ammirazione. Lo stesso rosso cupo si trovava sulle pietre grandi, il blu e il bruno sulle piccole. Vi si erano aggiunte le impressioni di colore dell’ultimo viaggio in Italia, il bell’azzurro dell’Isonzo e della Laguna, il bruno del Carso. La bellezza dei colori del sogno non era che una ripetizione di quella vista nel ricordo.
Riassumiamo ciò che si è appreso sulla particolarità del sogno di convertire il suo contenuto rappresentativo in immagini sensoriali. Non abbiamo in fondo spiegato questo carattere del lavoro onirico, non lo abbiamo ricondotto a leggi note della psicologia, lo abbiamo scelto in qualità di indizio di condizioni ignote, contrassegnandolo con il nome di carattere “regressivo.” Abbiamo pensato che questa regressione, ovunque si verifichi, sia un effetto della resistenza, che si oppone al procedere per vie normali del pensiero verso la coscienza, nonché dell’attrazione esercitata contemporaneamente sul pensiero da ricordi che esistono in forma intensamente sensoriale.931 Nel sogno si aggiungerebbe forse, a facilitare la regressione, il cessare della corrente diurna progressiva che deriva dagli organi di senso; questo momento ausiliario dovrebbe essere bilanciato, nelle restanti forme di regressione, da un rafforzamento degli altri motivi di regressione. Ricordiamo anche che in questi casi di regressione patologica, come anche nel sogno, il processo della traslazione di energia potrebbe essere diverso da quello delle regressioni della vita psichica normale, dato che esso consente un investimento allucinatorio totale dei sistemi percettivi. Ciò che nell’analisi del lavoro onirico abbiamo descritto come “considerazione della raffigurabilità”, potrebbe essere riferito all’attrazione selettiva esercitata dalle scene ricordate visivamente, che vengono toccate dai pensieri del sogno.
A proposito della regressione,932 osserveremo ancora che essa svolge nella teoria della formazione dei sintomi nevrotici una parte non meno importante di quella svolta nella teoria del sogno. Distinguiamo quindi tre varietà di regressione: a) topica, nel senso dello schema dei sistemi ψ, che abbiamo esposto; b) temporale, quando si tratta del regredire a formazioni psichiche più antiche; c) formale, quando primitivi modi di espressione e di raffigurazione sostituiscono quelli abituali. Tutti e tre i tipi di regressione ne costituiscono tuttavia in fondo uno solo e nella maggioranza dei casi coincidono, poiché ciò che è cronologicamente più antico è nello stesso tempo formalmente primitivo e, nella topica psichica, più vicino all’estremità percettiva.
Non possiamo933 inoltre abbandonare l’argomento della regressione nel sogno senza far parola di un’impressione che si è già imposta più volte e che tornerà di nuovo, rafforzata, dopo aver approfondito lo studio delle psiconevrosi e cioè che il sognare sia, nel suo insieme, un tipo di regressione verso le più antiche situazioni del sognatore, una rianimazione della sua infanzia, delle spinte pulsionali in lui allora dominanti, e dei modi espressivi allora disponibili. Dietro quest’infanzia individuale, poi, ci è promesso uno sguardo sull’infanzia filogenetica, lo sviluppo del genere umano, di cui quello del singolo è in verità una ripetizione abbreviata, influenzata dalle circostanze fortuite della vita. Si intuisce l’esattezza delle parole di Nietzsche: nel sogno “sopravvive un antichissimo brano di umanità, che non si può quasi più raggiungere per via diretta” e si è indotti a sperare di arrivare, con l’analisi dei sogni, a conoscere l’eredità arcaica dell’uomo, a riconoscere ciò che è in lui psichicamente innato. Sembra che sogno e nevrosi ci abbiano conservato, delle antichità psichiche, più di quanto fosse lecito supporre, così che la psicoanalisi può pretendere ad alta dignità fra le scienze che si sforzano di ricostruire le fasi più antiche e più oscure dei primordi dell’umanità.
È possibile che questa prima parte della nostra utilizzazione psicologica del sogno non ci soddisfi particolarmente. Ci consoleremo, pensando che siamo costretti a costruire nel buio. Se non andiamo completamente errati, dovremmo giungere, partendo da un altro punto d’attacco, pressappoco nella stessa regione, in cui forse potremo poi meglio orientarci.