In genere non siamo in grado di interpretare il sogno di un’altra persona, se questa non intende fornirci i pensieri inconsci che stanno dietro il contenuto del sogno, e ciò pregiudica gravemente l’utilizzazione pratica del nostro metodo d’interpretazione.500 Esiste però, in pieno contrasto con l’abituale libertà del singolo di forgiarsi il proprio mondo onirico secondo la particolarità individuale, rendendolo quindi inaccessibile alla comprensione altrui, un certo numero di sogni che in quasi tutti compaiono nello stesso modo e che quindi siamo abituati a supporre abbiano per tutti lo stesso significato. Questi sogni tipici rivestono un particolare interesse, anche perché presumibilmente derivano in tutti gli uomini dalle stesse fonti, e sembrano quindi particolarmente idonei a illuminarci sulle fonti dei sogni.
Ci accingeremo dunque, con aspettative del tutto particolari, a saggiare la nostra tecnica d’interpretazione su questi sogni tipici e soltanto con rammarico confesseremo che proprio su questo materiale la nostra arte non fa buona prova. Nell’interpretazione dei sogni tipici, le idee del sognatore, che in altri casi ci hanno guidato alla comprensione del sogno, di solito vengono meno, oppure diventano confuse e insufficienti, impedendoci di risolvere col loro aiuto il nostro problema. Quale ne sia la causa, e quale il modo per ovviare a questa deficienza della nostra tecnica, risulterà in un punto successivo del nostro lavoro. Diventerà allora comprensibile al lettore anche la ragione per cui io posso trattare qui solo alcuni dei sogni appartenenti al gruppo dei sogni tipici, rimandando l’esame degli altri a un contesto successivo. [Vedi cap. 6, par. E.]501
α) Il sogno d’imbarazzo per la propria nudità
Il sogno di essere nudi o poco vestiti in presenza di estranei si verifica a volte con la caratteristica aggiuntiva di non provarne affatto vergogna o simili. Ma al sogno di nudità compete il nostro interesse soltanto quando in esso si prova vergogna e imbarazzo, quando si vuol fuggire o nascondersi e quindi si soggiace alla caratteristica inibizione di non potersi muovere, sentendosi incapaci di mutare la penosa situazione. Soltanto in questa connessione il sogno è tipico; altrimenti, il nucleo del suo contenuto può essere incluso in diversi altri rapporti oppure trasformato per aggiunte individuali. Si tratta in sostanza della penosa sensazione, con carattere di vergogna, per cui si vorrebbe celare, in genere spostandosi in un altro luogo, la propria nudità, e non ci si riesce. Penso che la maggior parte dei miei lettori si sarà già trovata in sogno in questa situazione.
Di solito le circostanze per cui ci si trova a essere spogliati sono poco chiare. Si sente dire per esempio: “Ero in camicia”, ma raramente si tratta di un’immagine distinta; perlopiù l’essere spogliati è così vago, che vien reso nel racconto mediante un’alternativa: “Ero in camicia o in sottoveste.” Di regola, l’imperfezione dell’abbigliamento non è tanto grave da giustificare la corrispondente vergogna. Per chi abbia vestito la divisa militare, la nudità è sostituita spesso da una tenuta non regolamentare: “Mi trovo in istrada senza sciabola e vedo avvicinarsi degli ufficiali”, oppure “senza cravatta”, oppure “indosso pantaloni borghesi a quadretti” e così via.
Le persone dinanzi alle quali ci si vergogna sono quasi sempre estranei con fisionomie lasciate indeterminate. Nel sogno tipico non accade mai che si venga rimproverati, o anche semplicemente notati, per l’abbigliamento che in noi stessi provoca un simile imbarazzo. La gente al contrario ha un’aria indifferente oppure – come ho potuto percepire in un sogno particolarmente chiaro – solenne e rigida. La cosa dà da pensare.
Il penoso imbarazzo di chi sogna e l’indifferenza della gente costituiscono, messi insieme, una contraddizione che spesso capita nel sogno. Si accorderebbe meglio con la sensazione di chi sogna, infatti, se gli estranei lo guardassero sorpresi o lo deridessero oppure si scandalizzassero. Penso però che quest’elemento di scandalo sia stato eliminato grazie all’appagamento di desiderio mentre l’altro, in virtù di qualche forza che lo trattiene, è rimasto; in questo modo le due parti concordano male fra loro. Siamo in possesso di un’interessante testimonianza del fatto che il sogno, nella sua forma parzialmente deformata dall’appagamento di desiderio, non è stato sinora giustamente compreso. Esso è servito infatti di base a una fiaba nota a tutti noi nella versione di Andersen, I vestiti nuovi dell’imperatore, e recentemente nella poetica rielaborazione di Ludwig Fulda,502 Il talismano [1893]. Nella fiaba di Andersen si racconta di due imbroglioni che tessono per l’imperatore una preziosa veste che dovrà essere visibile soltanto ai buoni e ai fedeli. L’imperatore esce vestito con quest’abito invisibile, mentre la gente, spaventata dalla portentosa virtù del tessuto, si comporta come se non notasse la nudità dell’imperatore.
Quest’ultima è appunto la situazione del nostro sogno. Non occorre infatti molta temerarietà per ammettere che l’incomprensibile contenuto del sogno ha offerto lo spunto per l’invenzione di una nuova veste in cui la situazione qual è presente nel ricordo acquista un significato. È stata così privata del suo senso originario e posta al servizio di scopi estranei. Ma vedremo che tale erronea comprensione del contenuto onirico si verifica spesso, per la cosciente attività di pensiero di un secondo sistema psichico, e dev’essere vista come un fattore della configurazione definitiva del sogno;503 vedremo anche che analoghe distorsioni – sempre nell’ambito della stessa personalità psichica – svolgono una parte capitale nella formazione di rappresentazioni ossessive e di fobie. Anche per il nostro sogno è possibile indicare dove è stato preso il materiale per la reinterpretazione. L’imbroglione è il sogno, l’imperatore è il sognatore stesso e la tendenza moralizzatrice adombra una oscura nozione del fatto che nel contenuto latente si tratta di desideri proibiti, sacrificati alla rimozione. Il contesto nel quale tali sogni si presentano in soggetti nevrotici, nel corso delle mie analisi, non lascia infatti alcun dubbio sull’esistenza, alla base del sogno, di un ricordo della primissima infanzia. Soltanto nella nostra infanzia è esistito un periodo in cui eravamo visti seminudi dai parenti, come da estranei, bambinaie, domestiche, visitatori, e in cui non ci vergognavamo della nostra nudità.504 In molti bambini è possibile osservare – anche in anni successivi – come lo spogliarsi abbia su di loro un effetto esaltante, anziché indurli alla vergogna. Ridono, saltano, si picchiano il ventre; la madre o chi è presente li rimprovera dicendo: “Via! È una vergogna, non si deve fare.” I bambini mostrano spesso voglie esibizionistiche; dalle nostre parti è difficile passare per un paese senza incontrare un bambino di due o tre anni che non si tiri su la camiciola di fronte al viandante, forse in suo onore. Uno dei miei pazienti ha conservato ricordo cosciente di un episodio che risale all’ottavo anno di età, in cui, spogliato per andare a letto, vuole recarsi danzando in camicia dalla sorellina nella stanza accanto, e la persona di servizio glielo impedisce. Nella storia giovanile di soggetti nevrotici ha grande importanza il denudarsi di fronte a bambini dell’altro sesso; nella paranoia la fantasia di essere osservati mentre ci si veste e ci si spoglia è riconducibile a queste esperienze. Tra coloro che sono rimasti perversi vi è una classe di individui in cui l’impulso infantile è stato innalzato a sintomo: gli esibizionisti.505
Questa infanzia che non conosce vergogna appare più tardi al nostro sguardo retrospettivo come un paradiso, e il paradiso stesso non è altro che la fantasia collettiva dell’infanzia del singolo. Ecco perché anche in paradiso gli uomini sono nudi e non si vergognano l’uno di fronte all’altro, finché giunge un momento in cui la vergogna e l’angoscia si destano, avviene la cacciata, cominciano la vita sessuale e il lavoro della civiltà. Il sogno può però ricondurci ogni notte in questo paradiso; abbiamo del resto già espresso [vedi il cap. 5, par. B, sottopar. 2, in OSF, vol. 3] la supposizione che le impressioni della prima infanzia (dal periodo preistorico fin verso la fine del terzo anno) tendano di per sé, forse senza riferimento ulteriore al loro contenuto, a una riproduzione; e che la loro ripetizione sia un appagamento di desiderio. I sogni di nudità sono dunque sogni di esibizione.506
Il nucleo del sogno di esibizione è costituito dalla figura di chi sogna, vista non come un bambino ma come appare nel presente, e dall’abbigliamento insufficiente che riesce poco chiaro per il sovrapporsi di tanti successivi ricordi di negligé, o per amore della censura; a ciò si aggiungono ora le persone dinanzi alle quali ci si vergogna. Non conosco un solo esempio in cui riappaiano nel sogno gli spettatori reali di quelle esibizioni infantili. Il sogno per l’appunto non è quasi mai un semplice ricordo. Caso strano, le persone verso le quali era rivolto il nostro interesse sessuale nell’infanzia sono tralasciate in tutte le riproduzioni del sogno, dell’isteria e della nevrosi ossessiva; soltanto la paranoia reinserisce gli spettatori e sostiene con fanatica convinzione la loro presenza, benché essi rimangano invisibili. Ciò che il sogno immette al loro posto, “molte persone estranee” che non si curano dello spettacolo offerto, è né più né meno l’inverso del desiderio di quella singola ben nota persona, cui il denudamento era stato offerto. Del resto, “molte persone estranee” si trovano spesso nei sogni, anche in tutt’altro contesto, dove, in quanto antitesi del desiderio, significano sempre “segreto.”507 È da notare che anche la restituzione dell’antico stato di cose, che ha luogo nella paranoia, tiene conto di questa inversione. Non si è più soli, si è sicuramente osservati, ma gli osservatori sono “molte persone estranee, stranamente indeterminate.”
Oltre a ciò, nel sogno di esibizione interviene la rimozione. La sensazione penosa del sogno è infatti la reazione del secondo sistema psichico al fatto che il contenuto della scena di esibizionismo, da esso rifiutato, è cionondimeno giunto alla rappresentazione. Per evitare tale sensazione, occorreva che la scena non fosse richiamata in vita.
In seguito tratteremo ancora qui [nel cap. 6, par. C] della sensazione dell’essere inibiti. Nel sogno essa serve ottimamente a raffigurare il conflitto di volontà, il no. Secondo l’intenzione inconscia, l’esibizione dovrebbe continuare, secondo la richiesta della censura dovrebbe essere interrotta.
I rapporti fra i nostri sogni tipici e le fiabe e altri materiali poetici, non sono certo né sporadici né casuali. Talvolta, l’occhio acuto del poeta ha riconosciuto analiticamente il processo di trasformazione – il cui strumento del resto è il poeta – e l’ha seguito in direzione inversa, riconducendo dunque la poesia al sogno. Un amico mi fa notare il passo seguente tratto da Enrico il Verde [1854] di Gottfried Keller [pt. 3, cap. 2]: “Non le auguro, caro Lee, di provare mai per esperienza la peculiare e piccante verità della situazione di Ulisse, quando compare nudo e coperto di fango davanti a Nausicaa e alle sue compagne di giuoco! Vuol sapere come succede? Teniamoci per un momento all’esempio. Se Lei, diviso dalla patria e da tutto ciò che Le è caro, sta vagando in terra straniera, e ha molto visto e molto provato, ha dolori e preoccupazioni, è misero e abbandonato, allora nella notte Le verrà fatto senza dubbio di sognare che si sta avvicinando alla patria; la vede splendere e rilucere nei più bei colori, mentre gentili delicate e care figure Le vengono incontro; allora Lei d’improvviso scopre di andar attorno stracciato, nudo, coperto di polvere. Vergogna senza nome e angoscia L’assalgono. Lei tenta di coprirsi, di nascondersi, e si sveglia in un bagno di sudore. Questo è, da quando esiste l’umanità, il sogno dell’uomo tormentato, e sbattuto qua e là; Omero ha tratto codesta situazione dalla più profonda ed eterna essenza dell’umanità.”
L’essenza più profonda ed eterna dell’umanità, che il poeta di solito si propone di ridestare in chi lo ascolta, è costituita da quegli impulsi della vita psichica che hanno le loro radici nell’età infantile, divenuta poi preistorica. Dietro i desideri capaci di giungere alla coscienza, irreprensibili, dell’uomo senza patria, prorompono nel sogno i desideri infantili repressi e divenuti illeciti ed è per questo che il sogno, oggettivato nella leggenda di Nausicaa, si tramuta regolarmente in un sogno d’angoscia.
Il mio sogno personale, riportato qui nel cap. 5, par. C, della corsa per le scale, che poco dopo si tramuta in un essere-attaccato-ai-gradini, è anch’esso un sogno di esibizione, poiché ne presenta le componenti essenziali. Dovrebbe quindi essere riconducibile a vicende infantili e la conoscenza di queste dovrebbe chiarire sino a che punto il comportamento della domestica verso di me, il suo rimprovero per aver sporcato il tappeto, serva a procurarle la posizione che occupa nel sogno. Ora posso effettivamente fornire i chiarimenti desiderati. In una psicoanalisi, si impara a interpretare la contiguità temporale come connessione oggettiva [vedi il cap. 6, par. C, in OSF, vol. 3]; due pensieri che si susseguono immediatamente, in apparenza senza nesso, appartengono a un’unità che occorre indovinare, nello stesso modo in cui una a e una b, se le scrivo una accanto all’altra, vanno pronunciate come una sillaba: ab. Questo vale anche per il rapporto dei sogni fra loro. Il sogno della scala che ho riferito prima, è tolto da una serie di sogni, gli altri membri della quale mi sono noti dall’interpretazione. Il sogno che in essi è incluso deve far parte dello stesso contesto. Ora, alla base degli altri sogni sta il ricordo di una bambinaia che mi ha allevato da un certo momento della mia primissima infanzia fino all’età di due anni e mezzo; di essa mi è anche rimasto un oscuro ricordo cosciente. Stando alle informazioni chieste recentemente a mia madre, era vecchia e brutta, ma molto brava e intelligente; stando alle conclusioni che mi è lecito trarre dai miei sogni, non mi ha sempre trattato nel più amorevole dei modi, rivolgendomi dure parole quando dimostravo di non capire abbastanza l’educazione alla pulizia. E quindi la domestica, in quanto si sforza di continuare quell’opera educativa, acquista la pretesa di essere da me trattata nel sogno come un’incarnazione della preistorica vecchia bambinaia. Si può ben supporre che il bambino, nonostante il cattivo trattamento subito, abbia concesso il suo amore a codesta istitutrice.508
β) I sogni della morte di persone care
Un’altra serie di sogni, che possono essere chiamati tipici, è data da quelli che hanno per contenuto la morte di un caro congiunto, genitore, fratello o sorella, figlio e così via. Questi sogni vanno subito suddivisi in due classi: gli uni, nei quali non si è colpiti da tristezza, tanto che al risveglio ci si meraviglia della propria insensibilità; gli altri, nei quali si prova profondo dolore per il decesso, anzi lo si manifesta durante il sonno con calde lacrime.
Possiamo tralasciare i sogni del primo gruppo; essi non hanno alcun diritto di passare per tipici. Analizzandoli, si trova che significano altra cosa da quel che contengono e che sono destinati a coprire qualche altro desiderio. Di questo tipo era il sogno della zia, che vede dinanzi a sé composto nella bara l’unico figlio di sua sorella (vedi il cap. 4, in OSF, vol. 3). Questo non significa che ella desideri la morte del nipotino ma cela, come abbiamo visto, soltanto il desiderio di rivedere, dopo lunga rinuncia, una certa persona amata, la stessa che aveva rivisto in precedenza, dopo un intervallo simile, presso la salma di un altro nipote. Questo desiderio, che costituisce il vero contenuto del sogno, non offre ragione alcuna di tristezza e quindi anche nel sogno non si prova tristezza alcuna. Si nota qui che la sensazione contenuta nel sogno non appartiene al contenuto manifesto, ma a quello latente e che il contenuto onirico affettivo è rimasto illeso dalla deformazione che è toccata al contenuto rappresentativo.509
Diverso è il caso dei sogni nei quali è rappresentata la morte di un caro congiunto e inoltre si prova una commozione dolorosa. Questi sogni significano ciò che enuncia il loro contenuto, il desiderio cioè che la persona indicata muoia, e poiché a questo punto prevedo che i sentimenti di tutti i lettori e di tutte le persone che hanno fatto sogni simili si ribelleranno alla mia interpretazione, debbo dare alla dimostrazione la più larga base possibile.
Abbiamo già analizzato un sogno, dal quale abbiamo potuto apprendere che i desideri che si presentano nei sogni come appagati, non sono sempre desideri attuali. Può trattarsi anche di desideri passati, abbandonati, sovrastratificati e rimossi, ai quali però dobbiamo riconoscere – soltanto per la loro ricomparsa nel sogno – una specie di esistenza prolungata. Essi non sono morti, nel senso in cui sono morti, nella nostra concezione, i defunti, ma come le ombre dell’Odissea le quali, appena bevono sangue, si ridestano a una certa vita. Nel sogno della figlia morta nella scatola (vedi il cap. 4, in OSF, vol. 3), si trattava di un desiderio che era stato attuale quindici anni prima e che sin d’allora veniva francamente ammesso. Non è forse indifferente per la teoria del sogno aggiungere che, persino in questo caso, alla base del desiderio c’era un ricordo della primissima infanzia. Da piccola – quando, non è possibile precisare – la sognatrice aveva sentito dire che sua madre, durante la gravidanza di cui ella era stata il frutto, era caduta in una grave depressione e aveva desiderato ardentemente la morte del bambino nel suo grembo. Adulta, e incinta lei stessa, si limitava a seguire l’esempio della madre.
Se qualcuno sogna, con manifestazioni di dolore, che il padre o la madre, il fratello o la sorella, sono morti, non userò mai questo sogno per dimostrare che ora egli ne desidera la morte. La teoria del sogno non esige tanto: si accontenta di concludere che egli – una volta, nell’infanzia – ha loro augurato la morte. Ma temo che questa limitazione contribuisca ben poco a tranquillizzare le persone che protestano; esse potrebbero contestare la possibilità di aver mai pensato in questo modo, con la stessa energia con cui si sentono sicure di non nutrire desideri simili nel momento presente. Devo perciò riportare alla luce un brano della sommersa vita psichica infantile, in base alle testimonianze che il presente tuttora ci offre.510
Osserviamo in primo luogo il rapporto dei bambini con i loro fratelli. Non so per quale motivo si presupponga che questo rapporto debba essere per forza amorevole; tanto più che nell’esperienza di ciascuno si affollano gli esempi di inimicizia tra fratelli adulti e che molto spesso possiamo costatare come questa discordia risalga già all’infanzia o sia sempre esistita. Ma anche moltissimi adulti, che oggi sono teneramente legati ai loro fratelli e li aiutano, nell’infanzia sono vissuti in ostilità quasi ininterrotta con loro. Il bambino maggiore ha maltrattato il minore, lo ha calunniato, gli ha rubato i giocattoli; il minore si è consumato in un’ira impotente contro il maggiore, lo ha invidiato e temuto; oppure i suoi primi impulsi d’amore per la libertà e di senso della giustizia si sono rivolti contro il fratello oppressore. I genitori dicono che i bambini non vanno d’accordo e non sanno trovarne il perché. Non è difficile vedere che anche il carattere del bambino buono è diverso da quello che desideriamo trovare in un adulto. Il bambino è assolutamente egoista, sente intensamente i suoi bisogni e, senza curarsi di altro, tende a soddisfarli, specialmente contro i suoi rivali, gli altri bambini, e in prima linea contro i suoi fratelli. Ma non per questo chiamiamo il bambino “malvagio”: lo chiamiamo “cattivo”; delle sue male azioni è irresponsabile sia di fronte al nostro giudizio sia di fronte alla legge penale. E questo è giusto; perché possiamo prevedere che già entro il periodo di vita ancora assegnato all’infanzia, si desteranno nel piccolo egoista gli impulsi altruistici e la morale e che, per usare le parole di Meynert,511 un io secondario si sovrapporrà a quello primario e lo inibirà. È ben vero che la moralità non sorge tutta insieme nello stesso tempo, e che la durata del periodo amorale infantile varia nei singoli individui. Dove manca lo sviluppo di questa moralità, parliamo volentieri di “degenerazione”, ma si tratta chiaramente di un’inibizione dello sviluppo. Dove il carattere primario è già stato coperto dallo sviluppo ulteriore, esso può essere ancora tratto alla luce, almeno parzialmente, dall’insorgere dell’isteria. È addirittura sorprendente la concordanza fra il cosiddetto carattere isterico e il carattere di un bambino cattivo. La nevrosi ossessiva corrisponde invece a un’ipermoralità, imposta come carico di rinforzo al carattere primario, che si fa di nuovo vivo.
Molte persone dunque che oggi amano i loro fratelli e che, se morissero, ne sentirebbero acutamente la mancanza, da molto tempo albergano contro di loro, nell’inconscio, desideri malvagi che possono realizzarsi nei sogni. È però particolarmente interessante osservare il comportamento verso i fratelli minori dei bambini fino a tre anni o poco più. Finora il bambino era figlio unico; ora gli annunziano che la cicogna ha portato un altro bambino. Egli esamina il nuovo arrivato e dichiara recisamente: “La cicogna se lo riporti via.”512 Sono fermamente convinto che il bambino sappia valutare lo svantaggio che deve attendersi dall’estraneo. Da una signora mia amica, che oggi è in ottimi rapporti con la sorella, minore di quattro anni, so che reagì alla notizia del suo arrivo con la riserva: “Ma in ogni caso il mio berretto rosso non glielo darò.” Anche se il bambino giunge a questa consapevolezza soltanto più tardi, è però in quel momento che si desta la sua ostilità. Conosco il caso di una bambina di meno di tre anni che tentò di strangolare nella culla il lattante, dalla cui permanenza non si attendeva nulla di buono. I bambini di questa età sono capaci di gelosie fortissime e molto evidenti. Oppure: se il fratellino sparisce effettivamente molto presto e sul bambino si concentra di nuovo tutta la tenerezza della famiglia e poi ecco che ne arriva un altro mandato dalla cicogna; non è forse logico che il nostro tesoro crei in sé il desiderio che il nuovo concorrente subisca la medesima sorte del precedente, in modo che gli possa andar bene come prima e come nel periodo intermedio?513 Naturalmente, quest’atteggiamento del bambino di fronte ai fratelli nati dopo lui, è, in condizioni normali, una semplice funzione della differenza d’età. Se questa differenza è sensibile, nella bambina maggiore si desteranno già gli istinti materni nei confronti del neonato indifeso.
Nell’età infantile, i sentimenti di ostilità verso i fratelli devono essere molto più frequenti di quel che appare all’ottusa osservazione degli adulti.514
Ho perduto l’occasione di fare osservazioni di questo tipo sui miei figli, nati a breve distanza l’uno dall’altro; la colgo ora col mio nipotino, il cui dominio assoluto è stato disturbato, dopo quindici mesi, dalla comparsa di una competitrice. Per la verità, mi si dice che l’ometto si comporta molto cavallerescamente con la sorellina, le bacia la mano e l’accarezza; io però mi convinco che egli, pur non avendo ancora compiuto due anni, usa la sua capacità di parola per criticare quella persona, che in ogni caso gli pare soltanto superflua. Ogniqualvolta il discorso cade su di lei, interviene ed esclama irritato: “Troppo picco(l)a, troppo picco(l)a.” Negli ultimi mesi, da quando la bambina si è sottratta con un eccellente sviluppo a questa valutazione dispregiativa, sa giustificare in altro modo il suo monito ch’ella non merita tanta attenzione. In qualsiasi occasione adatta, ricorda che non ha denti.515 Della bambina maggiore di un’altra mia sorella, ricordiamo tutti come, a sei anni d’età, si fece confermare per mezz’ora da tutte le zie: “Non è vero che Lucia questa cosa non la può ancora capire?” Lucia era la sua rivale, minore di due anni e mezzo.
Il sogno della morte di fratelli, che corrisponde a una maggiore ostilità, non è per esempio mai mancato in nessuna delle mie pazienti. Ho trovato una sola eccezione, che si può facilmente tradurre in una conferma della regola. Spiegando un giorno a una signora, nel corso di una seduta, questo stato di cose – stato che in base al sintomo mi sembrava potersi considerare all’ordine del giorno – ella rispose con mia sorpresa di non aver mai avuto sogni simili. Si sovvenne però di un altro sogno, che apparentemente non aveva alcun riferimento con tutto ciò: un sogno avuto per la prima volta a quattro anni, quand’era la più giovane, e più volte ripetuto in seguito. Un gran numero di bambini, tutti suoi fratelli, sorelle, cugini e cugine correvano qua e là su un prato. Improvvisamente ebbero le ali, s’alzarono in volo e sparirono. La signora non aveva alcuna idea del significato del sogno, ma a noi non sarà difficile riconoscere in esso un sogno della morte di tutti i fratelli, nella sua forma originaria, poco influenzata dalla censura. Mi permetto di suggerire l’analisi seguente. Alla morte di uno dei bambini di quella schiera – in questo caso, i figli di due fratelli erano stati allevati in fraterna comunità – la nostra sognatrice, che non aveva ancora quattro anni, avrà chiesto a una saggia persona adulta: “Che cosa succede ai bambini quando sono morti?” E questa sarà stata la risposta: “Gli spuntano le ali e diventano angioletti.” Nel sogno, dopo questa spiegazione, i fratelli hanno ora tutti le ali come gli angeli e – questo è il punto essenziale – se ne volano via. La nostra piccola facitrice d’angioletti rimane sola, unica, si badi, di tanta schiera! Che i bambini corrano qua e là su un prato, dal quale si allontanano a volo, richiama allusivamente, in modo quasi inequivocabile, le farfalle, come se la bambina fosse stata guidata dallo stesso collegamento di idee che indusse gli antichi a raffigurare l’anima con ali di farfalla.
Qualcuno a questo punto potrebbe forse obiettare: si possono, è vero, ammettere gli impulsi ostili dei bambini nei confronti dei fratelli, ma come può l’animo infantile giungere a tal grado di malvagità da augurare la morte al concorrente o a compagni di giuoco più forti, come se soltanto con la pena di morte si potesse espiare ogni colpa? Chi parla in questo modo non considera che la rappresentazione infantile dell’“esser morto” non ha in comune con la nostra che l’espressione e poco altro. Il bambino non sa nulla degli orrori della decomposizione, del gelo nella fredda tomba, del terrore del nulla senza fine, che l’adulto – come testimoniano tutti i miti dell’aldilà – tanto male sopporta nella sua rappresentazione. La paura della morte gli è estranea, ecco perché gioca con l’orribile parola e minaccia un altro bambino: “Se lo fai un’altra volta, morirai come è morto Francesco”, mentre la povera madre rabbrividisce, non potendo forse dimenticare che la maggior parte dei nati su questa terra non oltrepassa gli anni dell’infanzia. Anche all’età di otto anni, il bambino può dire alla mamma, tornando a casa da una visita al museo di storia naturale: “Mamma, ti voglio tanto bene; quando morirai ti faccio impagliare e ti metto qui nella stanza per poterti vedere sempre sempre!” Tanto poco somiglia alla nostra la rappresentazione infantile dell’esser morto.516
Per il bambino, al quale d’altra parte si risparmiano le scene di sofferenza che precedono la morte, essere morti equivale a “essere via”, non disturbare più i superstiti. Egli non distingue in che modo avvenga quest’assenza, se mediante una partenza, un congedo, un allontanamento oppure la morte.517 Se negli anni preistorici di un bambino fu licenziata la bambinaia e poco dopo morì la madre, nel suo ricordo, come si scopre nell’analisi, i due avvenimenti sono sovrapposti in una sola serie. Che il bambino non senta molto intensamente la mancanza degli assenti è stato sperimentato con dolore da più di una madre, quando, tornata a casa da un viaggio estivo di varie settimane, s’informa e si sente rispondere che “i bambini non hanno chiesto una sola volta della mamma.” Se poi la madre è veramente partita per quel “viaggio senza ritorno” che è la morte, i bambini in un primo tempo sembrano averla dimenticata ed è soltanto più tardi che incominciano a ricordarsi di lei.
Se dunque il bambino ha motivo di desiderare l’assenza di un altro bambino, non esita affatto a conferire a questo desiderio la forma che egli possa essere morto, mentre la reazione psichica al sogno del desiderio di morte dimostra che, nonostante ogni diversità di contenuto, il desiderio nel bambino è pure in qualche modo lo stesso dell’analogo desiderio dell’adulto.518
Ora, se l’infantile desiderio di morte nei confronti dei fratelli si spiega con l’egoismo del bambino, che gli fa concepire i fratelli come concorrenti, in che modo si spiega il desiderio di morte nei confronti dei genitori, che per il bambino sono i dispensatori d’amore e coloro che appagano le sue esigenze e la cui conservazione dovrebbe quindi stargli a cuore proprio per ragioni di egoismo?
Alla risoluzione di questa difficoltà ci guida l’esperienza che i sogni della morte dei genitori si riferiscono in grande prevalenza al genitore che ha lo stesso sesso del bambino che sogna, di modo che il maschio sogna la morte del padre, la femmina la morte della madre. Non posso affermare che ciò avvenga regolarmente, ma la prevalenza nel senso indicato è talmente manifesta da esigere una spiegazione che faccia ricorso a un fattore determinante di significato generale.519 Grosso modo, è come se si facesse valere precocemente una predilezione sessuale, come se il bambino vedesse nel padre, la bambina nella madre, il rivale in amore, dalla cui eliminazione può derivare loro solo un vantaggio.
Prima di respingere quest’idea come mostruosa, si devono considerare attentamente, anche in questo caso, i rapporti reali tra genitori e figli. Bisogna discernere ciò che la civile esigenza della pietà esige da codesto rapporto e ciò che risulta di fatto dall’osservazione quotidiana. Nel rapporto fra genitori e figli si cela più di un’occasione di ostilità; le condizioni per l’insorgere di desideri che non reggono di fronte alla censura sono date in grande abbondanza. Soffermiamoci in primo luogo sulla relazione fra padre e figlio. A mio parere, la santità riconosciuta ai comandamenti del decalogo ottunde il nostro senso di percezione della realtà. Forse non osiamo neppure rilevare che la maggior parte degli uomini si pone fuori dell’osservanza del quarto comandamento. Negli strati più bassi come in quelli più alti della società umana, la pietà per i genitori suole cedere di fronte ad altri interessi. Le oscure notizie che, tramite la mitologia e la leggenda, ci sono pervenute dai primordi della società umana, danno una inquietante immagine della pienezza di potere del padre e dell’assenza di scrupoli con cui veniva esercitata. Crono divora i suoi figli, pressappoco come il cinghiale la figliata della femmina; Zeus evira il padre520 e si pone al suo posto in veste di dominatore. Quanto più assoluto era il dominio del padre nella famiglia antica, tanto più il figlio, come successore designato, dev’essere stato spinto ad assumere la posizione di nemico e tanto maggiore dev’essere stata la sua impazienza di giungere egli stesso, con la morte del padre, al potere. Anche adesso, nella nostra famiglia borghese, il padre, negando al figlio l’indipendenza e i mezzi per essa necessari, agevola di solito lo sviluppo del germe naturale dell’inimicizia che risiede nel loro rapporto. Molto spesso il medico si trova nella situazione di costatare che il dolore per la perdita del padre non riesce a soffocare nel figlio la soddisfazione per la libertà finalmente raggiunta. Ogni padre è solito aggrapparsi convulsamente a ciò che è rimasto nella nostra società della molto antiquata potestas patris familias, e ogni poeta che, come Ibsen, ponga in primo piano nelle sue favole la lotta primigenia fra padre e figlio è sicuro del successo.
I motivi di conflitto tra madre e figlia sorgono quando la figlia cresce e, anelando alla libertà sessuale, trova nella madre chi le fa da guardia; la madre a sua volta è resa avvertita dal fiorire della figlia che per lei è giunto il tempo di rinunciare a pretese sessuali.
Tutti questi rapporti sono palesi agli occhi di ciascuno. Ma non ci sono d’aiuto nell’intento di spiegare i sogni di morte dei genitori, come li riscontriamo in persone per le quali la pietà verso i genitori è divenuta da moltissimo tempo qualcosa di inviolabile. Inoltre, le precedenti considerazioni ci hanno preparati a far risalire il desiderio di morte nei confronti dei genitori alla primissima infanzia.
Con una sicurezza che esclude ogni dubbio, questa supposizione trova conferma, per gli psiconevrotici, nelle analisi intraprese con essi. Queste ci insegnano che i desideri sessuali del bambino – nella misura in cui meritano questo nome nello stato germinale – si destano molto precocemente e che la prima inclinazione della bambina è per il padre, le prime infantili concupiscenze del bambino per la madre. In tal modo il padre per il bambino, la madre per la bambina, diventano concorrenti che disturbano; e quanto poco ci voglia per il bambino a far sì che questo sentimento conduca al desiderio di morte, si è già visto nel caso dei fratelli. Di regola, la scelta sessuale si fa già valere nei genitori; una tendenza naturale fa sì che l’uomo vizi le figliolette e che la donna stia dalla parte dei figli, anche se entrambi – ammesso che la magia del sesso non turbi il loro giudizio – operano con severità nell’educazione dei piccoli. Il bambino nota benissimo la preferenza e si ribella a quello dei genitori che vi si oppone. Il fatto di trovare amore nell’adulto non è per lui soltanto la soddisfazione di un bisogno particolare, ma significa altresì che si cede alla sua volontà in tutto il resto. Così egli segue la propria tendenza sessuale istintiva e contemporaneamente rinnova l’iniziativa che parte dai genitori, se la sua scelta coincide con la loro.
Di solito, la maggior parte degli indizi di queste tendenze infantili nei bambini viene trascurata; alcuni possono essere notati anche dopo i primi anni dell’infanzia. Una bambina di otto anni che conosco, coglie l’occasione, se sua madre deve allontanarsi da tavola, per proclamarsi sua erede: “Adesso sono io la mamma. Carlo, vuoi ancora verdura? Prendine, ti prego” e così via. Una bambina di quattro anni, molto vivace e dotata, nella quale questo tratto di psicologia infantile è singolarmente trasparente, dichiara esplicitamente: “Adesso la mammina se ne può anche andare, poi il babbino deve sposare me e io voglio essere sua moglie.” Nella vita infantile questo desiderio non esclude affatto che la piccola ami teneramente anche sua madre. Se al maschietto è permesso, quando il padre è in viaggio, di dormire accanto alla madre e al ritorno di questi deve tornare nella camera dei bambini, in compagnia di una persona che gli piace assai meno, è facile che in lui si formi il desiderio che il padre sia sempre assente, per poter conservare il suo posto presso la cara, bella mamma, e un mezzo per raggiungere questo desiderio è, evidentemente, che il padre sia morto, poiché una cosa la sua esperienza gli ha insegnato: le persone “morte”, come il nonno per esempio, sono sempre assenti, non tornano mai più.
Pur adattandosi senza fatica all’interpretazione proposta, queste osservazioni su bambini piccoli non consentono quel pieno convincimento che impongono al medico le psicoanalisi di nevrotici adulti. In questo caso la comunicazione dei sogni in questione è fatta con preamboli tali da costringere a interpretarli come sogni di desiderio. Un giorno trovo una mia paziente accorata e con gli occhi rossi di pianto. “Non voglio più vedere i miei parenti – dice – devono avere orrore di me.” Poi, quasi senza transizione, dice di ricordare un sogno, di cui naturalmente non conosce il significato. Lo ha fatto quando aveva quattro anni ed è il seguente: Una lince o una volpe521 passeggia sul tetto, poi qualche cosa cade o lei stessa cade e poi portano via da casa sua madre morta, mentre lei piange addolorata. Subito dopo averle chiarito come questo sogno significhi il desiderio nutrito nella sua infanzia di vedere la mamma morta e come si debba attribuire a esso la sua opinione che i parenti debbano avere orrore di lei, la paziente mi fornisce materiale per spiegare il sogno stesso. “Occhio di lince” è l’insulto lanciatole da un ragazzaccio quand’era molto piccola; quando aveva tre anni una tegola cadde dal tetto sulla testa di sua madre, facendola sanguinare copiosamente.
Una volta ho avuto occasione di studiare attentamente una giovanetta nel corso di vari stati psichici da lei attraversati. In una fase di confusione agitata, con la quale ebbe inizio la malattia, essa dimostrò una particolare avversione per sua madre, picchiandola e insultandola appena si avvicinava al letto mentre, nello stesso periodo, era amorevole e docile verso sua sorella, molto maggiore di lei. Seguì poi uno stato lucido ma un po’ apatico, con sonno molto turbato; in questa fase iniziai il trattamento e analizzai i suoi sogni. Un grandissimo numero di essi trattava più o meno velatamente della morte della madre. Una volta la paziente assisteva ai funerali di una vecchia, un’altra volta vedeva se stessa e sua sorella sedute a tavola, vestite a lutto: il significato di questi sogni non lasciava alcun dubbio. Nel corso di un ulteriore, progressivo miglioramento, comparvero fobie isteriche, di cui la più tormentosa era che fosse successo qualche cosa alla mamma. Ovunque si trovasse, doveva correre a casa per sincerarsi che la mamma fosse ancora viva. Considerato insieme con le mie altre esperienze, il caso era assai istruttivo: mostrava per così dire in una traduzione plurilingue, diversi modi di reagire dell’apparato psichico di fronte alla stessa rappresentazione stimolante. Nello stato confusionale, che io concepisco come sopraffazione della seconda istanza psichica da parte della prima, di solito repressa, l’ostilità inconscia verso la madre aveva acquistato vigore in senso motorio; subentrata la prima fase di acquietamento, repressa la ribellione e ristabilito il dominio della censura, a questa ostilità non rimase aperto, per realizzare il desiderio della morte della madre, che il campo del sogno; quando la normalità si consolidò ulteriormente, essa creò come controreazione isterica e fenomeno di difesa l’eccessiva preoccupazione per la madre. In questo contesto non è più inspiegabile perché le ragazze isteriche siano spesso legate in modo eccessivo alla loro madre.
Un’altra volta ebbi occasione di osservare a fondo la vita psichica inconscia di un giovane, che a causa di una nevrosi ossessiva era quasi incapace di vivere: non poteva andare in strada perché lo tormentava l’idea di poter uccidere tutte le persone che gli passavano accanto, trascorreva le sue giornate preparando ordinatamente le prove del suo alibi, nel caso gli venisse mossa l’accusa di aver commesso uno degli omicidi avvenuti in città. Inutile aggiungere che era un uomo altrettanto probo quanto colto. L’analisi – che del resto lo portò alla guarigione – scoprì come motivazione di questa penosa rappresentazione ossessiva impulsi omicidi nei confronti del padre, un po’ troppo severo, impulsi che, con sua sorpresa, si erano manifestati coscientemente quando aveva sette anni di età, ma che naturalmente avevano origine in un’epoca infantile molto precedente. Dopo la dolorosa malattia e la morte del padre, a trentun anni si manifestò il rimprovero ossessivo che si trasferì su sconosciuti, nella forma della fobia anzidetta. Chi è stato sul punto di voler spingere il proprio padre dalla cima di un monte nell’abisso, può essere certamente ritenuto anche capace di non risparmiare la vita di persone estranee; fa bene perciò a rinchiudersi nella sua stanza.522
Secondo le mie ormai numerose esperienze, i genitori hanno la parte principale nella vita psichica infantile di tutti i futuri psiconevrotici: amore per l’uno, odio per l’altro dei genitori, fanno parte di quella riserva inalienabile di impulsi psichici che si forma in quel periodo ed è così significativa per la semeiologia della futura nevrosi. Non credo però che gli psiconevrotici si differenzino molto a questo riguardo da altri uomini che rimangono normali, nel senso che riescano a creare qualche cosa di assolutamente nuovo e loro peculiare. È molto più probabile, ed è comprovato da osservazioni occasionali in bambini normali, che anche in questi sentimenti di amore e di odio verso i genitori essi ci facciano distinguere più chiaramente, per semplice ingrandimento, ciò che accade in modo meno chiaro e meno intenso nella psiche della maggior parte dei bambini. A sostegno di questa conoscenza, l’antichità ci ha tramandato un materiale leggendario, la cui incisività profonda e universale riesce comprensibile soltanto ammettendo un’analoga validità generale delle premesse anzidette, tratte dalla psicologia infantile.
Intendo la leggenda del re Edipo e l’omonimo dramma di Sofocle. Edipo, figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, viene abbandonato lattante perché un oracolo ha predetto al padre che il figlio che sta per nascergli sarà il suo assassino. Edipo viene salvato e cresce come figlio di re in una corte straniera, sinché, incerto della propria origine, interroga egli stesso l’oracolo e ne ottiene il consiglio di star lontano dalla patria, perché facendovi ritorno sarebbe costretto a divenire l’assassino di suo padre e lo sposo di sua madre. Sulla strada che lo porta lontano dalla presunta patria, incontra il re Laio e lo uccide nel corso di una repentina lite. Giunge poi davanti a Tebe, dove risolve gli enigmi della Sfinge che sbarra la via; per ringraziamento i Tebani lo eleggono re e gli offrono in dono la mano di Giocasta. Per lungo tempo regna pacifico e onorato, genera con la madre a lui sconosciuta due figli e due figlie, finché scoppia una pestilenza che induce ancora una volta i Tebani a consultare l’oracolo. Qui comincia la tragedia di Sofocle. I messi portano il responso che la pestilenza avrà fine quando l’uccisore di Laio sarà espulso dal paese. Ma dove si trova costui?
E dove
Potrà scoprirsi l’indistinta traccia
Che testimoni della colpa antica?523
Ora, l’azione della tragedia non consiste in altro che nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte – paragonabile al lavoro di una psicoanalisi – che Edipo stesso è l’assassino di Laio, ma anche il figlio dell’assassinato e di Giocasta. Travolto dalla mostruosità dei fatti commessi inconsapevolmente, Edipo si acceca e abbandona la patria. La sentenza dell’oracolo è compiuta.
Edipo re è una cosiddetta tragedia del fato; il suo effetto tragico pare basato sul contrasto fra il supremo volere degli dèi e i vani sforzi dell’uomo minacciato dalla sciagura; profondamente colpito, lo spettatore dovrebbe apprendere dalla tragedia la rassegnazione al volere della divinità, la cognizione della propria impotenza. È logico, quindi, che alcuni poeti moderni abbiano cercato di ottenere un effetto tragico analogo, intessendo lo stesso contrasto in una favola da loro inventata. Ma gli spettatori hanno assistito indifferenti all’attuarsi, contro ogni resistenza, di una maledizione o del decreto di un oracolo in uomini incolpevoli: le successive tragedie del fato sono rimaste inefficaci.
Se l’Edipo re riesce a scuotere l’uomo moderno non meno dei greci suoi contemporanei, la spiegazione può trovarsi soltanto nel fatto che l’effetto della tragedia greca non si basa sul contrasto fra destino e volontà umana, bensì va ricercato nella peculiarità del materiale in cui tale contrasto si presenta. Deve esistere nel nostro intimo una voce pronta a riconoscere la forza coattiva del destino di Edipo, mentre siamo in grado di rifiutare come puramente arbitrarie le costruzioni che figurano in L’avola [di Grillparzer (1817)] o in altre tragedie fataliste. E realmente, nella storia del re Edipo è contenuto un momento determinante di questo tipo. Il suo destino ci commuove soltanto perché sarebbe potuto diventare anche il nostro, perché prima della nostra nascita l’oracolo ha decretato la medesima maledizione per noi e per lui. Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione. Il re Edipo, che ha ucciso suo padre Laio e sposato sua madre Giocasta, è soltanto l’appagamento di un desiderio della nostra infanzia. Ma, più fortunati di lui, siamo riusciti in seguito – nella misura in cui non siamo diventati psiconevrotici – a staccare i nostri impulsi sessuali da nostra madre, a dimenticare la nostra gelosia nei confronti di nostro padre. Davanti alla persona in cui si è adempiuto quel desiderio primordiale dell’infanzia, indietreggiamo inorriditi, con tutta la forza della rimozione che questi desideri hanno subito da allora nel nostro intimo. Portando alla luce nella sua analisi la colpa di Edipo, il poeta ci costringe a prendere conoscenza del nostro intimo, nel quale quegli impulsi, anche se repressi, sono pur sempre presenti. La contrapposizione con cui il coro ci lascia:
...mirate
Lui che sapeva gli enimmi famosi, il più grande tra gli uomini,
Edipo, a cui nessuno nel tempo felice si volse
Senza un invido sguardo... verso che gorghi d’orrore
E di dolore discenda...
esprime un monito che tocca noi stessi e il nostro orgoglio, noi che dagli anni dell’infanzia siamo diventati ai nostri occhi così saggi e potenti. Come Edipo, viviamo inconsapevoli dei desideri, offensivi per la morale, che ci sono stati imposti dalla natura e dopo la loro rivelazione noi tutti vorremmo distogliere lo sguardo dalle scene della nostra infanzia.524
Che la leggenda di Edipo sia tratta da un primordiale materiale onirico, che ha per contenuto il penoso turbamento suscitato dal rapporto con i genitori a causa dei primi impulsi sessuali, si trova indicato in modo non equivoco nel testo della tragedia sofoclea. Giocasta consola Edipo, non ancora consapevole, ma reso tuttavia inquieto dal ricordo dei responsi dell’oracolo, accennando a un sogno comune sì a molti uomini ma, secondo lei, senza significato alcuno:
Quanti, prima di te, nei sogni
loro
Giacquero con la madre! Ma la vita
Per chi vede in quest’ombre il nulla vano
È solamente lievissimo peso.
Come allora, anche oggi il sogno di avere rapporti sessuali con la madre è frequente in molti uomini, che lo raccontano indignati e sorpresi. Esso è, come si può comprendere, la chiave della tragedia e il complemento del sogno della morte del padre. La favola di Edipo è la reazione della fantasia a questi due sogni tipici e, nello stesso modo in cui i sogni di adulti sono vissuti con sentimenti di rifiuto, così la leggenda deve accogliere nel suo contenuto anche orrore e autopunizione. La sua ulteriore configurazione deriva ancora una volta da un’erronea elaborazione secondaria della materia, che cerca di asservire quest’ultima a un intento teologizzante. (Vedi il materiale onirico dell’esibizione nel cap. 5, par. D, sottopar. α, in OSF, vol. 3.) Il tentativo di conciliare l’onnipotenza divina con la responsabilità umana è destinato naturalmente a fallire, sia in questo sia in qualsiasi altro materiale.
Nello stesso terreno dell’Edipo re525 si radica un’altra grande creazione tragica, l’Amleto di Shakespeare. Ma nella mutata elaborazione della medesima materia si rivela tutta la differenza nella vita psichica di due periodi di civiltà tanto distanti tra loro, il secolare progredire della rimozione nella vita affettiva dell’umanità. Nell’Edipo, l’infantile fantasia di desiderio che lo sorregge viene tratta alla luce e realizzata come nel sogno; nell’Amleto permane rimossa e veniamo a sapere della sua esistenza – in modo simile a quel che si verifica in una nevrosi – soltanto attraverso gli effetti inibitori che ne derivano. L’effetto travolgente del dramma più recente si è dimostrato singolarmente compatibile col fatto che si può rimanere perfettamente all’oscuro del carattere dell’eroe. Il dramma è costruito sull’esitazione di Amleto ad adempiere il compito di vendetta assegnatogli; il testo non rivela quali siano le cause o i motivi di questa esitazione, né sono stati in grado di indicarli i più diversi tentativi di interpretazione. Secondo la concezione tuttora prevalente, che risale a Goethe, Amleto rappresenta il tipo d’uomo la cui vigorosa forza di agire è paralizzata dallo sviluppo opprimente dell’attività mentale (“la tinta nativa della risoluzione è resa malsana dalla pallida cera del pensiero”526). Secondo altri, il poeta ha tentato di descrivere un carattere morboso, indeciso, che rientra nell’ambito della nevrastenia. Sennonché, la finzione drammatica dimostra che Amleto non deve affatto apparirci come una persona incapace di agire in generale. Lo vediamo agire due volte, la prima in un improvviso trasporto emotivo, quando uccide colui che sta origliando dietro il tendaggio, una seconda volta in modo premeditato, quasi perfido, quando con tutta la spregiudicatezza del principe rinascimentale manda i due cortigiani alla morte a lui stesso destinata. Che cosa dunque lo inibisce nell’adempimento del compito che lo spettro di suo padre gli ha assegnato? Appare qui di nuovo chiara la spiegazione: la particolare natura di questo compito. Amleto può tutto, tranne compiere la vendetta sull’uomo che ha eliminato suo padre prendendone il posto presso sua madre, l’uomo che gli mostra attuati i suoi desideri infantili rimossi. Il ribrezzo che dovrebbe spingerlo alla vendetta è sostituito in lui da autorimproveri, scrupoli di coscienza, i quali gli rinfacciano letteralmente che egli stesso non è migliore del peccatore che dovrebbe punire. Così ho tradotto in termini di vita cosciente ciò che nella psiche dell’eroe deve rimanere inconscio. Se qualcuno vuol dare ad Amleto la denominazione di isterico, posso accettarla solo come corollario della mia interpretazione. A questa ben s’accorda l’avversione sessuale che Amleto manifesta poi nel dialogo con Ofelia, la medesima avversione sessuale che negli anni successivi doveva impadronirsi sempre più dell’animo del poeta, sino alle sue estreme manifestazioni nel Timone d’Atene. Naturalmente, può essere solo la personale vita psichica del poeta, quella che si pone di fronte a noi nell’Amleto. Traggo dall’opera di Georg Brandes su Shakespeare527 la notizia che il dramma è stato composto immediatamente dopo la morte del padre di Shakespeare (1601), quindi in pieno lutto, nella reviviscenza – ci è lecito supporre – delle sensazioni infantili di fronte al padre. È noto anche che il figlio di Shakespeare, morto giovane, aveva nome Hamnet (identico a Hamlet). Come l’Amleto tratta del rapporto del figlio coi genitori, così il Macbeth, cronologicamente vicino, ha per tema la mancanza di figli. Del resto, nello stesso modo in cui ogni sintomo nevrotico, e il sogno stesso, sono passibili di sovrainterpretazione, anzi la esigono per essere totalmente compresi, così anche ogni autentica creazione poetica sorge da più di un motivo, da più di un impulso nell’anima del poeta e ammette più di un’interpretazione. Ho qui tentato soltanto l’interpretazione dello strato più profondo di impulsi esistente nella psiche del poeta creatore.528
Non posso abbandonare l’argomento dei sogni tipici della morte di persone care senza delucidare con qualche parola ancora il loro significato per la teoria del sogno in generale. Questi sogni ci mostrano realizzato il caso, veramente inconsueto, del pensiero onirico – formato dal desiderio rimosso – che sfugge ad ogni censura e passa inalterato nel sogno. Devono essere circostanze particolari, quelle che rendono possibile tale destino. La posizione di privilegio di questi sogni si trova per me nei due momenti determinanti seguenti: in primo luogo, non esiste desiderio dal quale ci crediamo più lontani; pensiamo che questo desiderio non potrebbe “venirci in mente neanche per sogno” e perciò la censura onirica è disarmata di fronte a questa mostruosità, all’incirca come la legislazione solonica non sapeva stabilire alcuna pena per il parricidio. In secondo luogo però, al desiderio rimosso e insospettato si fa incontro, con particolare frequenza proprio in questo caso, un residuo diurno in forma di preoccupazione per la vita della persona cara. Questa preoccupazione non riesce a penetrare nel sogno se non servendosi del desiderio consonante [vedi il cap. 7, par. C, in OSF, vol. 3]; ma il desiderio può mascherarsi con la preoccupazione che si è destata durante il giorno. Ove si ritenga che tutto questo avvenga in modo più semplice – e cioè che di notte e in sogno si continui semplicemente a tessere quel che si è incominciato di giorno – i sogni della morte di persone care risultano esclusi da ogni connessione con la spiegazione del sogno, e si persiste inutilmente in un enigma assai facilmente riducibile.
È pure istruttivo ricercare il rapporto tra questi sogni e i sogni d’angoscia. Nei sogni della morte di persone care il desiderio rimosso ha trovato una via per la quale gli è possibile sottrarsi alla censura, e alla deformazione che ne risulta. Fenomeno concomitante, che non manca mai, è che nel sogno si provano sensazioni dolorose. Nello stesso modo, il sogno d’angoscia si verifica soltanto quando la censura viene globalmente o parzialmente sopraffatta, mentre d’altra parte questa sopraffazione risulta facilitata quando l’angoscia è già data come sensazione attuale, proveniente da fonti somatiche [vedi il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3]. Così diventa evidente il fine per cui la censura esercita il suo ufficio, la deformazione del sogno: per evitare lo sviluppo d’angoscia o di altre forme di affetti penosi.
Ho parlato prima [cap. 5, par. D, sottopar. β] dell’egoismo della psiche infantile e mi ricollego ora a questo tema nell’intento di far intuire un rapporto, in base al quale i sogni hanno conservato anche questo carattere. Essi sono tutti assolutamente egoistici,529 in tutti compare, anche se travestito, il caro Io. I desideri che in essi trovano appagamento sono regolarmente desideri di questo Io; ed è soltanto un’apparenza illusoria, quella per cui un sogno sembra provocato da un interesse altruistico. Voglio sottoporre all’analisi alcuni esempi che contraddicono quest’affermazione.
Un bambino di non ancora quattro anni racconta di aver visto un grande piatto guarnito, sul quale c’era un gran pezzo di carne arrosto, e tutto d’un tratto il pezzo era mangiato tutto insieme, non tagliato. Non ha visto la persona che lo ha mangiato.530
Chi può essere lo sconosciuto che consuma quel lauto pasto di carne di cui sogna il nostro piccolo? Le esperienze del giorno che precede il sogno ce ne devono dare la spiegazione. Per prescrizione medica, da qualche giorno il ragazzo è tenuto a dieta lattea; ma la sera del giorno del sogno si è comportato male e per punizione gli è stata negata la cena. Già un’altra volta aveva fatto una simile cura della fame e aveva mantenuto un atteggiamento molto coraggioso. Sapeva che non gli avrebbero dato nulla, ma non aveva osato accennare neppure con una parola alla sua fame. In lui l’educazione comincia a fare effetto; si manifesta già nel sogno, che dimostra un principio di deformazione onirica. Non v’è dubbio che egli stesso è la persona i cui desideri mirano a un pasto così lauto, e precisamente a un pasto di arrosto. Ma sapendo che gli è proibito, non osa sedersi egli stesso a tavola, come fanno nel sogno i bambini affamati (vedi il sogno delle fragole della mia piccola Anna, nel cap. 3, in OSF, vol. 3). La persona rimane anonima.
Sogno una volta di vedere nella vetrina di una libreria il nuovo fascicolo di una raccolta, in rilegatura d’amatore, che ho l’abitudine di comperare (monografie d’artisti, di storia universale, famosi centri d’arte, e così via). La nuova collezione ha per titolo: “Oratori (o orazioni) celebri” e il suo primo fascicolo porta il nome del dottor Lecher.
All’analisi, mi sembra poco probabile che la fama del dottor Lecher, oratore a oltranza dell’ostruzionismo tedesco in parlamento, mi tenga occupato durante i miei sogni. La verità è che alcuni giorni fa ho preso in cura psichica nuovi pazienti e sono ora costretto a parlare dalle dieci alle undici ore al giorno. Sono quindi io stesso un oratore a oltranza.
Un’altra volta sogno che un professore della nostra università che conosco dice: “Mio figlio, il miope.” Segue quindi un dialogo consistente in brevi battute e poi un terzo brano di sogno, nel quale figuriamo io e i miei figli. Per il contenuto latente del sogno, il professor M. e suo figlio sono pure comparse, figure di copertura per me e mio figlio maggiore. In seguito [qui nel cap. 6, par. G, sottopar. 6] tratterò ancora di questo sogno per un’altra particolarità.
Un esempio di sentimenti egoistici veramente bassi che si celano dietro una tenera sollecitudine è offerto dal sogno seguente:
Il mio amico Otto ha un brutto aspetto, è bruno in viso e ha occhi sporgenti.
Otto è il mio medico di casa e sarò sempre in debito con lui perché da anni bada alla salute dei miei figli, li cura con successo quando si ammalano e per di più coglie ogni pretesto possibile per far loro dei regali [vedi il cap. 2, Sogno del 23-24 luglio 1895, Analisi, in OSF, vol. 3]. Il giorno prima del sogno ci aveva fatto visita e mia moglie aveva osservato il suo aspetto stanco e abbattuto. Ed ecco di notte il mio sogno che gli presta alcuni dei sintomi del morbo di Basedow. Chi, nell’interpretazione, si libera dalle mie regole, intende questo sogno nel senso che sono preoccupato per la salute del mio amico e che questa preoccupazione si realizza nel sogno. Ciò contraddirebbe non solo l’affermazione che il sogno è un appagamento di desiderio, ma anche l’altra affermazione, secondo cui il sogno è accessibile solo a impulsi egoistici. Ma chi interpretasse in questo senso potrebbe forse spiegarmi perché nel caso di Otto temo il morbo di Basedow, alla cui diagnosi il suo aspetto non offre il minimo pretesto? La mia analisi fornisce invece il seguente materiale, che proviene da un episodio accaduto sei anni fa. Con una piccola compagnia, di cui faceva parte anche il professor R., attraversavo nella più profonda oscurità il bosco di N., distante alcune ore dal nostro luogo di soggiorno estivo. Il cocchiere, che non era perfettamente lucido, mandò la carrozza giù per un pendio e fu proprio una fortuna se riuscimmo a scamparla. Dovemmo però pernottare nella più vicina locanda, dove la notizia del nostro incidente ci procurò grande simpatia. Un signore che presentava i segni non misconoscibili del morbo di Basedow – non il gozzo del resto, solo colorito bruno del volto e occhi sporgenti, esattamente come nel sogno – si mise a nostra completa disposizione e chiese che cosa potesse fare per noi. Il professor R. rispose col suo fare brusco: “Nient’altro che prestarmi una camicia da notte.” Al che il nobiluomo: “Mi dispiace, ma questo no” e se ne andò.
Continuando l’analisi, mi viene in mente che Basedow non è soltanto il nome di un medico, ma anche quello di un celebre pedagogo. (Ora, da sveglio, non mi sento molto sicuro di questa nozione.)531 Ma l’amico Otto è proprio la persona a cui ho chiesto di vigilare, nel caso mi succedesse qualcosa, sull’educazione fisica dei miei figli, soprattutto nel periodo della pubertà (di qui la camicia da notte). Vedendo ora in sogno l’amico Otto con i sintomi della malattia di quel nobile soccorritore, voglio dire evidentemente: “Se mi succede qualche cosa, ci sarà da aspettarsi da lui in favore dei figli altrettanto poco, quanto a suo tempo dal signor barone L., nonostante le sue gentili offerte.” A questo punto l’impronta egoistica del sogno dovrebbe essere palese.532
Ma dove sta in questo caso l’appagamento di desiderio? Non nella vendetta perpetrata contro l’amico Otto, il cui destino è ormai quello di essere bistrattato nei miei sogni,533 ma nella relazione seguente: rappresentando nel sogno Otto come barone L., io identifico contemporaneamente la mia persona con quella di un altro, vale a dire quella del professor R., perché chiedo qualche cosa a Otto come in quella circostanza R. al barone L. Ed è questo il punto. Il professor R., al quale di solito per la verità non oso paragonarmi, si è fatto come me la sua strada da solo, fuori della scuola ed è giunto soltanto in età avanzata al titolo che meritava da gran tempo. Ancora una volta dunque voglio diventare professore! Anzi, persino “in età avanzata” è un appagamento di desiderio, poiché significa che vivrò abbastanza a lungo per guidare io stesso i miei ragazzi nel periodo della pubertà.534
Di altri sogni tipici dai quali ci si lascia trasportare con piacere o si cade con senso d’angoscia, non ho esperienza personale e tutto quello che ho da dire su di essi lo debbo alle psicoanalisi. Dai ragguagli che se ne possono ricavare, bisogna concludere che anche questi sogni ripetono impressioni dell’infanzia, vale a dire si riferiscono a quei giuochi di movimento che esercitano sul bambino una così straordinaria forza d’attrazione. Quale zio non ha fatto volare un bambino, correndo per la stanza tenendolo sollevato sulle braccia o non ha giocato a farlo cadere dondolandolo sulle ginocchia e allungando improvvisamente una gamba o non lo ha sollevato in aria facendo finta all’improvviso di togliergli il sostegno? I bambini gridano di gioia e chiedono instancabilmente la ripetizione del giuoco, soprattutto se comporta un po’ di spavento e di vertigine; anni dopo se ne creano la ripetizione nel sogno, tralasciando le mani che li hanno sorretti, e così volano e cadono liberamente. È nota la predilezione di tutti i bambini piccoli per giuochi di questo tipo come per il dondolio e l’altalena; quando poi vedono giuochi acrobatici al circo, il ricordo è nuovamente ravvivato.535 In alcuni ragazzi, l’accesso isterico non consiste in seguito che in riproduzioni di tali esercizi, che essi eseguono con grande abilità. Non di rado, in questi giuochi di movimento di per sé innocenti, si sono anche destate sensazioni sessuali.536 Per dirla con una parola di uso comune che comprende tutte queste manifestazioni: è il divertimento (Hetzen)537 dell’infanzia che si ripete nei sogni del volare, del cadere, della vertigine e così via, e le cui sensazioni di piacere ora si invertono in angoscia. Ma, come ben sa ogni mamma, anche il divertimento dei bambini in realtà abbastanza spesso finisce in litigio e pianto.
Ho quindi buone ragioni per respingere la spiegazione secondo cui lo stato della nostra sensibilità cutanea durante il sonno, le sensazioni di movimento dei nostri polmoni e così via, provocano i sogni di volo e di caduta [vedi il cap. 1, par. C, sottopar. 3, in OSF, vol. 3]. Osservo che anche queste sensazioni vengono riprodotte in base al ricordo, cui il sogno si riferisce; che sono quindi contenuto, e non fonti, del sogno.
Non mi nascondo affatto, tuttavia, di non essere in grado di dare una spiegazione completa di questa serie di sogni tipici. Proprio in questo caso il mio materiale non mi è di alcun aiuto. Debbo tener fermo il punto di vista generale, secondo il quale tutte le sensazioni cutanee e di movimento di questi sogni tipici vengono destate appena qualche motivo psichico lo esiga e possono essere trascurate, quando non venga loro incontro tale necessità [vedi il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3]. Anche il riferimento alle esperienze infantili mi sembra risultare chiaramente dagli indizi che ho ricavato dall’analisi di psiconevrotici. Non sono però in condizione di indicare quali altri significati – forse diversi per ogni persona, nonostante l’apparenza tipica di questi sogni – possano essersi legati nel corso della vita, al ricordo di quelle sensazioni e vorrei arrivare a colmare questa lacuna con un’accurata analisi di esempi validi. A chi si meravigliasse che mi lamento della mancanza di materiale, nonostante la frequenza per l’appunto dei sogni di volare, cadere, strappare i denti e così via, debbo spiegare che non ho fatto esperienza su me stesso di tali sogni, da quando ho rivolto la mia attenzione al tema dell’interpretazione dei sogni. I sogni dei nevrotici che sono di solito a mia disposizione non sono però tutti interpretabili, e spesso non sino al fondo della loro mira recondita; una certa forza psichica, che partecipava alla costruzione della nevrosi e che nella soluzione di questa si rende di nuovo efficace, si oppone a un’interpretazione spinta sino all’ultimo enigma.
Chiunque abbia concluso con l’esame di maturità i suoi studi superiori si lamenta dell’ostinazione con cui è perseguitato dal sogno angoscioso di essere stato respinto, di dover ripetere un anno, eccetera. Per chi invece possegga un titolo accademico, questo sogno tipico è sostituito da un altro, che gli rinfaccia di non aver superato l’esame di laurea; contro di esso già nel sonno egli vanamente obietta che ormai da anni esercita la professione, che è libero docente, oppure alto funzionario. Sono i ricordi indelebili delle punizioni inflitteci nell’infanzia per le nostre malefatte che si sono così ridestati nel nostro intimo, in corrispondenza dei due punti cruciali dei nostri studi, nel “dies irae, dies illa” dei severi esami. Anche l’“angoscia dell’esame” dei nevrotici trova il suo rafforzamento in quest’angoscia infantile. Da quando abbiamo cessato di essere scolari, non sono più, come prima, i genitori e gli educatori oppure, in seguito, gli insegnanti, a occuparsi della nostra punizione; l’inesorabile concatenamento causale della vita si è incaricato del proseguimento della nostra educazione e ora sogniamo la maturità o l’esame di laurea – e chi non ha tremato allora, pur appartenendo alla schiera dei giusti? – ogniqualvolta crediamo che l’esito ci punirà perché non abbiamo fatto bene, o non siamo riusciti a fare una cosa; ogni volta che sentiamo la pressione di una responsabilità.
Sono debitore538 di un’ulteriore delucidazione su questo tipo di sogni a un esperto collega [Stekel] il quale, nel corso di una discussione scientifica, rilevò che, a sua conoscenza, il sogno d’esame di maturità esiste soltanto in persone che l’abbiano superato, mai in persone che non siano riuscite. L’angoscioso sogno d’esame – che si presenta, com’è sempre più confermato, quando per il giorno dopo ci attendiamo un compito di responsabilità e la possibilità di fare brutta figura – avrebbe dunque scelto nel passato un’occasione in cui la grave angoscia si dimostrò ingiustificata e venne contraddetta dal risultato. Sarebbe questo un esempio molto vistoso di erronea comprensione del contenuto del sogno da parte dell’istanza vigile [vedi il cap. 5, par. D, sottopar. α, in OSF, vol. 3.]. L’obiezione, concepita come ribellione nei confronti del sogno: ma io sono già dottore e così via, sarebbe in realtà la consolazione offertaci dal sogno, che dunque così suonerebbe: non temere per domani, pensa all’angoscia che hai provato prima dell’esame di maturità, eppure non è successo nulla. Infatti oggi sei già dottore e così via. E perciò l’angoscia che attribuiamo al sogno deriverebbe dai residui diurni.
Questa spiegazione ha trovato conferma nelle prove, benché insufficienti di numero, che ho potuto fare su di me e su altre persone. Per esempio, laureando, fui respinto all’esame di medicina legale: nel sogno questa materia non mi ha mai turbato, mentre ho fatto abbastanza spesso esami di botanica, zoologia o chimica, materie queste che mi han fatto andare all’esame con una ben fondata paura e nelle quali però sono riuscito a sottrarmi alla punizione per favore del destino o dell’esaminatore. Nel sogno della maturità, sono regolarmente esaminato in storia, esame che allora superai brillantemente, ma soltanto perché il mio amabile professore – il benefattore con un occhio solo di un altro sogno (vedi il cap. 1, par. B, in OSF, vol. 3) – non aveva trascurato di notare che sul biglietto di esame che io gli avevo restituito, la seconda delle tre domande era stata cancellata con l’unghia del dito, per rammentargli di non insistere su quel punto. Un mio paziente che si era ritirato all’esame di maturità ma lo superò in seguito, mentre fu respinto all’esame d’ufficiale e non divenne ufficiale, mi racconta di sognare spesso il primo esame, mai l’ultimo.539
I sogni d’esame540 oppongono all’interpretazione quella difficoltà che dianzi ho definito caratteristica della maggior parte dei sogni tipici [vedi il cap. 5, par. D, in OSF, vol. 3]. Solo raramente il materiale associativo che ci è messo a disposizione da chi sogna basta all’interpretazione. Per meglio comprendere questi sogni è necessario raccogliere una serie più estesa di esempi. Recentemente ho avuto la netta impressione che l’obiezione: ma sei già dottore e così via, non soltanto mascheri la consolazione ma accenni anche a un rimprovero. E questo sarebbe: “sei già così vecchio, così avanti nella vita, e fai sempre di queste sciocchezze, di queste ragazzate.” Questo miscuglio di autocritica e consolazione corrisponderebbe al contenuto latente dei sogni d’esame. Pertanto non è più sorprendente che i rimproveri per le “sciocchezze” e le “ragazzate”, negli esempi or ora analizzati, si riferissero alla ripetizione di atti sessuali reprensibili.
Wilhelm Stekel,541 cui dobbiamo la prima interpretazione del “sogno di maturità”, è del parere ch’esso si riferisca costantemente all’esperimento e alla maturità sessuale. La mia esperienza ha potuto spesso confermarlo.