Dal fatto che lo strato corticale che riceve gli stimoli non dispone di un rivestimento protettivo contro gli eccitamenti che provengono dall’interno, discende necessariamente che queste trasmissioni di stimoli acquistano un’importanza predominante dal punto di vista economico, dando spesso origine a disturbi economici che possono essere paragonati alle nevrosi traumatiche. Le fonti di tale eccitamento interno sono in massima parte le cosiddette pulsioni dell’organismo, che fungono da rappresentanti di tutte le forze che traendo origine dall’interno del corpo vengono trasmesse all’apparato psichico, e che costituiscono l’elemento al tempo stesso più importante e più oscuro della ricerca psicoanalitica.
Forse non è troppo arrischiato supporre che gli impulsi originati dalle pulsioni non appartengano al tipo dei processi nervosi “legati”, ma piuttosto al tipo dei processi liberamente mobili che tendono alla scarica. La parte più valida delle nostre conoscenze relative a questi processi ci deriva dallo studio del lavoro onirico. In quelle ricerche abbiamo scoperto che i processi che hanno luogo nei sistemi inconsci sono radicalmente diversi da quelli che si svolgono nei sistemi preconsci (o consci). Nell’inconscio gli investimenti possono essere facilmente trasferiti in modo completo, spostati, condensati; tale trattamento, se fosse applicato a un materiale preconscio, potrebbe dare solo risultati difettosi; e ciò determina anche le note peculiarità del sogno manifesto una volta che i residui preconsci del giorno precedente siano stati elaborati secondo le leggi dell’inconscio. Ho chiamato questo tipo di processo che ha luogo nell’inconscio processo psichico “primario”, per distinguerlo dal processo secondario che si verifica nella nostra vita normale, durante la veglia. Poiché tutti i moti pulsionali sono ancorati ai sistemi inconsci, non è una novità sostenere che essi seguono il processo primario. Inoltre, è facile identificare il processo psichico primario con l’investimento liberamente mobile di Breuer, e il processo secondario con i cambiamenti che avvengono in quello che lo stesso Breuer chiama investimento legato o tonico.197 Stando così le cose, gli strati superiori dell’apparato psichico avrebbero il compito di legare l’eccitamento pulsionale che ubbidisce al processo primario. Il fallimento di questo tentativo provocherebbe disturbi analoghi a quelli della nevrosi traumatica; soltanto dopo che l’investimento libero fosse stato convenientemente legato, il principio di piacere (e quella sua modificazione che è il principio di realtà) potrebbe esplicare indisturbato il suo dominio. Fino a quel momento prevarrebbe invece l’altro compito dell’apparato psichico, il compito di domare o legare l’eccitamento, non diremo in contrasto col principio di piacere, ma indipendentemente da esso e in una certa misura senza tenerne conto.
Le manifestazioni della coazione a ripetere (che abbiamo descritto considerando sia le prime attività della vita psichica infantile sia le esperienze che si verificano durante il trattamento psicoanalitico) rivelano un alto grado di pulsionalità, e, quando sono in contrasto col principio di piacere, possono far pensare alla presenza di una forza “demoniaca”. A proposito del giuoco infantile ci pare che il bambino ripeta l’esperienza spiacevole anche perché se è attivo riesce a dominare molto meglio una forte impressione di quanto potesse fare quando si limitava a subirla passivamente. Ogni nuova ripetizione sembra rafforzare questo dominio che egli si propone di attuare; anche nel caso delle esperienze piacevoli il bambino non si sazia di ripeterle, e insiste inesorabilmente sull’identità dell’impressione. Questo tratto del carattere è destinato a scomparire in seguito. Una barzelletta udita per la seconda volta non fa quasi più effetto; assistendo per la seconda volta a una rappresentazione teatrale, l’impressione che si riceve non è mai quella della prima volta; ancora, è molto difficile indurre un adulto a cui è piaciuto molto un libro a rileggerlo subito dopo. La novità è sempre condizione del godimento. Il bambino, invece, non si stanca di chiedere agli adulti – fino a esaurirne la pazienza – di ripetere i giuochi che costoro gli hanno mostrato o fatto insieme a lui; e se gli è stata raccontata una bella storia vuole continuamente risentirla piuttosto che ascoltarne una nuova, esigendo con assoluta intransigenza che la ripetizione sia identica e correggendo ogni cambiamento di cui il narratore si sia reso responsabile nell’intento, magari, di acquistare agli occhi del bambino un nuovo merito.198 Questo comportamento non contraddice al principio di piacere; è evidente che la ripetizione, la costatazione dell’identità, costituisce a sua volta una fonte di piacere. Al contrario, nel caso della persona sottoposta ad analisi, è evidente che la coazione a ripetere gli eventi della propria infanzia nella traslazione non tiene conto in alcun modo del principio di piacere. Il nevrotico si comporta in modo assolutamente infantile, dimostrandoci così che le tracce mnestiche rimosse delle sue esperienze più remote non sono presenti in lui in forma “legata”, e che anzi in un certo senso sono incapaci di ubbidire alle regole del processo secondario. Al fatto di non essere legate esse devono anche la loro capacità di formare, congiungendosi con i residui diurni, una fantasia di desiderio il cui appagamento è raffigurato nel sogno. Questa stessa coazione a ripetere ci si presenta dunque come un ostacolo terapeutico quando, alla fine di un’analisi, cerchiamo di indurre il malato a staccarsi completamente dal medico; e possiamo supporre che se coloro i quali non hanno familiarità con l’analisi provano un’oscura angoscia – la paura di svegliare qualcosa che secondo loro sarebbe meglio lasciar dormire –, ciò che essi temono è in fondo la comparsa di questa coazione demoniaca.
Ma che tipo di connessione esiste fra la pulsionalità e la coazione a ripetere? A questo punto ci si impone l’ipotesi di esserci messi sulle tracce di una proprietà universale delle pulsioni, e forse della vita organica in generale, proprietà che finora non era stata chiaramente riconosciuta o, almeno, non era stata rilevata esplicitamente.199 Una pulsione sarebbe dunque una spinta, insita nell’organismo vivente, a ripristinare uno stato precedente al quale quest’essere vivente ha dovuto rinunciare sotto l’influsso di forze perturbatrici provenienti dall’esterno; sarebbe dunque una sorta di elasticità organica, o, se si preferisce, la manifestazione dell’inerzia che è propria della vita organica.200
Questa concezione della pulsione ci suona strana, poiché ci siamo abituati a ravvisare in essa un fattore che spinge al cambiamento e allo sviluppo, mentre ora la dobbiamo intendere in un modo precisamente opposto, vale a dire come espressione della natura conservatrice degli esseri viventi. D’altro lato, se pensiamo alla vita animale, ci vengono subito in mente esempi che paiono attestare il condizionamento storico delle pulsioni. Certi pesci, per esempio, affrontano nella stagione della fregola lunghe e laboriose migrazioni per deporre le uova in determinate acque, lontanissime da quelle in cui abitualmente risiedono; ora, secondo l’opinione di molti biologi, questi pesci non fanno altro che andare in cerca delle località dove risiedevano prima le loro specie, che nel corso del tempo si sono poi trasferite in altre zone. La stessa spiegazione può valere per le migrazioni degli uccelli di passo; comunque, a farci astenere dalla ricerca di altri esempi, bastano i fenomeni dell’ereditarietà e i dati dell’embriologia, i quali ci offrono le più grandiose prove dell’esistenza di una coazione a ripetere organica. Vediamo come l’embrione di un animale (anche se solo transitoriamente e in forma abbreviata) sia costretto a ricapitolare, nel suo sviluppo, le strutture di tutte le forme da cui l’animale deriva, anziché muovere verso la propria configurazione definitiva per la via più rapida e breve. Questo comportamento può essere attribuito solo in minima parte all’azione di forze meccaniche; una spiegazione storica è indispensabile. Analogamente, la capacità di riprodurre un organo perduto formandone uno nuovo perfettamente uguale si ritrova fino a un livello assai elevato della gerarchia animale.
L’ovvia obiezione secondo la quale oltre alle pulsioni conservatrici che costringono alla ripetizione ce ne possono essere benissimo altre che spingono alla nuova formazione e al progresso non può essere certamente trascurata; più avanti la prenderemo in considerazione.201 Ma per il momento ci attira l’idea di sviluppare fino alle sue ultime conseguenze l’ipotesi che tutte le pulsioni tendano a ripristinare uno stato di cose precedente. Anche se il risultato potrà dare un’impressione di astruseria o di misticismo, noi sappiamo bene di non meritare affatto l’accusa di esserci proposti una cosa del genere. Quel che cerchiamo sono i sobri risultati della ricerca o della riflessione che da essa scaturisce; né vorremmo che tali risultati possedessero altre qualità all’infuori della certezza.202
Supposto dunque che tutte le pulsioni organiche siano conservatrici, siano state acquisite storicamente e tendano alla regressione, alla restaurazione di uno stato di cose precedente, i fenomeni dello sviluppo organico dovranno essere ascritti all’influenza perturbatrice e deviante di fattori esterni. L’organismo elementare non avrebbe mai voluto cambiare il suo stato iniziale; se le circostanze esterne fossero rimaste le stesse non avrebbe fatto niente di più che ripetere costantemente lo stesso corso di vita. Tuttavia, in ultima istanza, ciò che deve aver lasciato l’impronta decisiva sull’evoluzione degli organismi è la storia dell’evoluzione della terra in cui viviamo e del suo rapporto col sole. Ognuno dei cambiamenti imposti a un organismo nel corso della vita è stato accolto dalle pulsioni organiche conservatrici e preservato per essere successivamente ripetuto; queste pulsioni suscitano così necessariamente la falsa impressione di essere forze inclini al mutamento e al progresso, mentre invece cercano semplicemente di raggiungere una meta antica seguendo vie ora vecchie ora nuove. Si potrebbe anche indicare questo fine ultimo cui tende tutto ciò che è organico. Sarebbe in contraddizione con la natura conservatrice delle pulsioni se il fine dell’esistenza fosse il raggiungimento di uno stato mai attinto prima. Al contrario, deve trattarsi di una situazione antica, di partenza, che l’essere vivente abbandonò e a cui cerca di ritornare al termine di tutte le tortuose vie del suo sviluppo. Se possiamo considerare come un fatto sperimentale assolutamente certo e senza eccezioni che ogni essere vivente muore (ritorna allo stato inorganico) per motivi interni, ebbene, allora possiamo dire che la meta di tutto ciò che è vivo è la morte, e, considerando le cose a ritroso, che gli esseri privi di vita sono esistiti prima di quelli viventi.
In un certo momento le proprietà della vita furono suscitate nella materia inanimata dall’azione di una forza che ci è ancora completamente ignota. Forse si è trattato di un processo di tipo analogo a quello che in seguito ha determinato lo sviluppo della coscienza in un certo strato della materia vivente. La tensione che sorse allora in quella che era stata fino a quel momento una sostanza inanimata fece uno sforzo per autoannullarsi; nacque così la prima pulsione, la pulsione a ritornare allo stato inanimato. In quel tempo morire era ancora una cosa facile, per la sostanza vivente; probabilmente la sua vita aveva ancora un corso assai breve, la cui direzione era determinata dalla struttura chimica della giovane vita. È possibile, così, che per molto tempo la sostanza vivente fosse continuamente ricreata e morisse facilmente, finché decisive influenze esterne provocarono mutamenti tali da costringere la sostanza sopravvissuta a deviare sempre più dal corso originario della sua vita, e a percorrere strade sempre più tortuose e complicate prima di raggiungere il suo scopo, la morte. Queste vie errabonde che portano alla morte, fedelmente serbate dalle pulsioni conservatrici, si presenterebbero oggi a noi come l’insieme dei fenomeni della vita. Se resta ferma la natura esclusivamente conservatrice delle pulsioni, questa ipotesi sull’origine e sullo scopo della vita è la sola che possiamo formulare.
Non meno sorprendente di queste conclusioni appare quella che concerne i grandi gruppi di pulsioni la cui esistenza poniamo alla base dei fenomeni biologici degli organismi. L’ipotesi di pulsioni di autoconservazione del tipo di quelle che noi attribuiamo ad ogni essere vivente è in singolare contrasto col presupposto che tutta la vita pulsionale serva a determinare la morte. Vista alla luce di questo presupposto, l’importanza teoretica delle pulsioni di autoconservazione, di potenza e di autoaffermazione diventa molto minore. Sono pulsioni parziali, che hanno la funzione di garantire che l’organismo possa dirigersi verso la morte per la propria via tenendo lontane altre possibilità di ritorno all’inorganico che non siano quelle immanenti allo stesso organismo. Non dobbiamo più contare sulla misteriosa tendenza dell’organismo (così difficile da inserire in qualsiasi contesto) ad affermarsi contro tutto e contro tutti. Essa si riduce al fatto che l’organismo vuole morire solo alla propria maniera. Anche questi custodi della vita sono stati in origine guardie del corpo della morte. Si determina così il paradosso che l’organismo vivente si oppone con estrema energia a eventi (pericoli) che potrebbero aiutarlo a raggiungere più in fretta lo scopo della sua vita (per così dire grazie a un corto circuito). Ma questo comportamento è quello che caratterizza precisamente le tensioni meramente pulsionali, in contrasto con quelle intelligenti.203
Ma facciamo una pausa e riflettiamo un momento. Le cose non possono stare così. Le pulsioni sessuali, a cui la teoria delle nevrosi ha assegnato una posizione del tutto particolare, appaiono in una luce completamente diversa. Non tutti gli organismi sono soggetti alla coazione esterna che sospinge verso un sempre maggiore sviluppo. A molti è riuscito di rimanere fino ad oggi al loro livello inferiore; ancora oggi vivono molti di questi esseri viventi, alcuni dei quali (ancorché non tutti) devono essere molto simili alle configurazioni primordiali degli animali e delle piante superiori. Allo stesso modo, non tutti gli organismi elementari che compongono la complessa struttura corporea di un essere vivente superiore percorrono tutto il cammino evolutivo che si conclude con la morte naturale. Probabilmente alcuni di essi, le cellule germinali, conservano la struttura originaria della sostanza vivente, e, dopo un certo tempo, con tutte le disposizioni pulsionali ereditate, e con quelle recentemente acquisite, si staccano dall’organismo nel suo insieme. Forse sono proprio queste due caratteristiche che permettono alle cellule germinali un’esistenza autonoma. In determinate circostanze favorevoli, esse cominciano a svilupparsi, e cioè a ripetere il processo a cui devono la propria esistenza; alla fine una parte della loro sostanza procede ancora una volta fino al termine del suo sviluppo, mentre un’altra parte, il nuovo residuo germinale, risale nuovamente fino all’inizio dello sviluppo. Queste cellule germinali lavorano così contro la morte della sostanza vivente e riescono ad attingere per essa quella che ci deve apparire come una potenziale immortalità, anche se forse si tratta soltanto di un prolungamento della via che conduce alla morte. È estremamente significativo il fatto che questa funzione della cellula germinale sia rafforzata o resa possibile solo dalla sua fusione con un’altra cellula, ad essa simile e tuttavia diversa.
Le pulsioni che si prendono a cuore la sorte di questi organismi elementari che sopravvivono all’essere individuale, le pulsioni che provvedono affinché essi trovino un sicuro ricovero fintantoché sono senza difesa contro gli stimoli del mondo esterno, che determinano il loro incontro con le altre cellule germinali ecc., costituiscono il gruppo delle pulsioni sessuali. Tali pulsioni sono conservatrici nello stesso senso in cui lo sono le altre in quanto riportano la sostanza vivente a fasi più primitive; ma lo sono in misura maggiore perché risultano particolarmente refrattarie agli influssi esterni; inoltre sono conservatrici ancora in un altro senso, dal momento che assicurano la durata della vita stessa per un periodo di tempo relativamente lungo.204 Sono le autentiche pulsioni di vita, operano contro l’intento delle altre pulsioni che, per la loro funzione, portano alla morte; e questo fatto mostra come esista un contrasto fra queste pulsioni e le altre, contrasto la cui importanza è stata riconosciuta da tempo dalla teoria delle nevrosi. È come se la vita dell’organismo seguisse un ritmo irresoluto: un gruppo di pulsioni si precipita in avanti per raggiungere il fine ultimo della vita il più presto possibile, l’altro gruppo, giunto a un certo stadio di questo percorso, ritorna indietro per rifarlo nuovamente a partire da un determinato punto e prolungare così la durata del cammino. Comunque, anche se certamente la sessualità e la differenziazione dei sessi all’inizio della vita non esistevano, resta la possibilità che le pulsioni che in seguito sarebbero state definite sessuali fossero attive fin dalle origini, e che il loro porsi in contrasto con l’attività delle “pulsioni dell’Io” non sia affatto cominciato solo in un’epoca più tarda.205
Torniamo per un momento sui nostri passi e chiediamoci se tutte queste speculazioni hanno qualche fondamento. Prescindendo dalle pulsioni sessuali,206 è sicuro che non esistano altre pulsioni all’infuori di quelle che vogliono ripristinare uno stato precedente? non ce ne sono anche altre che si sforzano di creare una situazione che non era mai stata raggiunta prima? Non conosco, nel mondo organico, alcun esempio sicuro che potrebbe contraddire la caratterizzazione da noi proposta. Non è possibile costatare con certezza l’esistenza di una pulsione universale che spinge gli esseri viventi verso un più alto sviluppo; tuttavia è innegabile che il mondo animale e vegetale presentano di fatto un’evoluzione in questo senso. Ma da un lato spesso le valutazioni in base alle quali consideriamo una certa fase evolutiva superiore a un’altra sono puramente soggettive, e dall’altro la biologia ci insegna che quella che è la più alta evoluzione sotto un certo aspetto è assai sovente compensata o bilanciata da un’involuzione sotto un altro profilo. Ci sono inoltre numerose specie animali il cui stadio giovanile ci permette di inferire che il loro sviluppo ha assunto, al contrario, un carattere regressivo. Sia lo sviluppo più elevato sia l’involuzione potrebbero essere conseguenze dell’adattamento cui gli organismi sono stati costretti da forze esterne, e il ruolo delle pulsioni potrebbe limitarsi in entrambi i casi a conservare – sotto forma di fonte interna di piacere – il mutamento imposto dall’esterno.207
Può essere difficile, per molti di noi, rinunciare a credere che nell’uomo sia insita una pulsione che lo spinge a cercare la perfezione, una pulsione che lo ha elevato fino all’attuale livello di capacità intellettuale e di sublimazione etica, e dalla quale ci si può attendere l’evoluzione dell’uomo a superuomo. Solo che io non credo nell’esistenza di questa pulsione interiore, e non vedo in che modo si possa far salva questa benefica illusione. Mi pare che l’evoluzione del genere umano fino a questo momento non abbia affatto bisogno di una spiegazione diversa da quella che vale per gli animali; quell’infaticabile impulso verso un ulteriore perfezionamento che si può osservare in una minoranza di individui umani può essere facilmente spiegato come conseguenza della rimozione pulsionale su cui è fondata la civiltà umana in tutto ciò che ha di più valido e prezioso. La pulsione rimossa non rinuncia mai a cercare il suo pieno soddisfacimento, che consisterebbe nella ripetizione di un’esperienza primaria di soddisfacimento; tutte le formazioni sostitutive e reattive, tutte le sublimazioni non potranno mai riuscire a sopprimere la sua persistente tensione, e la differenza fra il piacere del soddisfacimento agognato e quello effettivamente ottenuto determina nell’uomo quell’impulso che non gli permette di fermarsi in nessuna posizione raggiunta, ma, secondo le parole del poeta, “sempre lo spinge più avanti”.208 Il cammino a ritroso, che porterebbe a un soddisfacimento completo, è di regola ostruito dalle resistenze che mantengono le rimozioni, e quindi non resta altra alternativa che quella di procedere nell’unica direzione in cui si è ancora liberi di svilupparsi, peraltro senza la prospettiva di poter concludere il processo e raggiungere la meta. I processi che intervengono nella formazione di una fobia nevrotica, la quale altro non è se non un tentativo di fuggire davanti a un soddisfacimento pulsionale, prefigurano la modalità di formazione di questa presunta “pulsione di perfezionamento”, la quale comunque non può essere attribuita a tutti gli esseri umani. È vero che le condizioni dinamiche del suo sviluppo sono universalmente presenti, ma la situazione economica pare favorire il fenomeno soltanto in rari casi.
Vorrei solo aggiungere poche parole per suggerire la possibilità che lo sforzo dell’Eros di connettere fra loro le sostanze organiche in unità sempre più vaste sostituisca quella “pulsione di perfezionamento” di cui non possiamo ammettere l’esistenza. Congiunto con gli effetti della rimozione, lo sforzo dell’Eros potrebbe spiegare i fenomeni che vengono attribuiti alla pulsione testé menzionata.209