Un particolare sorprendente della storia del nostro pittore è l’affermazione che egli stipulò due diversi patti col diavolo.
L’enunciato del primo patto, scritto con l’inchiostro nero, era il seguente:574
“Io, Christoph Haizmann, firmo un patto con questo Signore, impegnandomi a essere suo figlio e servo per nove anni.”
Il secondo, scritto col sangue, diceva:
“Christoph Haizmann, con questo patto mi dichiaro impegnato a essere figlio e servo di questo Satana e in capo a nove anni ad appartenergli nel corpo e nell’anima.”
Si dice che all’epoca in cui fu composto il Trophaeum gli originali di entrambi i patti si trovassero nell’archivio del convento di Mariazell; entrambi recano la stessa data, il 1669.
Ho già parlato più volte dei due patti e mi accingo ora a considerarli in modo più dettagliato, anche se è proprio qui che appare particolarmente grande il pericolo di sopravvalutare le inezie.
Il fatto che una persona firmi due patti col diavolo, per modo che il primo documento viene sostituito dal secondo, senza perdere tuttavia la propria validità, è del tutto inconsueto. Forse coloro che hanno maggiore familiarità con i temi demonologici ne saranno meno sconcertati. Per parte mia, non ho potuto fare a meno di ravvisarvi una caratteristica peculiare di questo caso, e ho cominciato a nutrire dei sospetti quando ho scoperto che proprio su questo punto le relazioni non coincidevano. L’esame di queste contraddizioni ci porterà inopinatamente a una più profonda comprensione di questo caso clinico.
La lettera di accompagnamento del parroco di Pottenbrunn descrive una situazione oltremodo semplice e chiara. Essa parla soltanto di un patto, quello che il pittore aveva stilato nove anni prima col sangue, e che sarebbe scaduto di lì a pochi giorni, il 24 settembre [1677]. Il patto sarebbe stato dunque stipulato il 24 settembre 1668; purtroppo questa data non è indicata esplicitamente, anche se può essere dedotta con certezza.
La testimonianza dell’abate Franciscus, che come sappiamo è datata pochi giorni dopo (12 settembre 1677), descrive già una situazione più complicata. È naturale supporre che il pittore avesse fornito nel frattempo informazioni più precise. La testimonianza afferma che il pittore stipulò due patti: uno nell’anno 1668 (è la data che collima con le indicazioni della lettera del parroco), scritto con inchiostro nero, e l’altro “sequenti anno 1669”, scritto col sangue. Il patto che egli aveva ricevuto indietro il giorno della Natività di Maria [l’8 settembre] era quello scritto col sangue, dunque l’ultimo, del 1669. Tutto ciò non risulta dalla testimonianza dell’abate, poiché più avanti in essa è detto semplicemente: “schedam redderet” [restituisse il foglio] e “schedam sibi porrigentem conspexisset” [lo vide nell’atto di porgergli il foglio], come se si potesse trattare di un unico documento scritto; tuttavia consegue dall’ulteriore corso della storia come pure dal frontespizio a colori del Trophaeum, dove sul biglietto tenuto dal drago demoniaco è chiaramente visibile una scrittura rossa. Come abbiamo già detto, l’ulteriore corso della vicenda è che nel maggio 1678 il pittore ritorna a Mariazell, dopo aver subito, a Vienna, nuovi attacchi da parte del Maligno, e supplica affinché gli possa essere restituito anche il primo documento scritto con l’inchiostro, per un nuovo atto di grazia della santa Madre di Dio. Il modo in cui ciò accade non è più descritto dettagliatamente come la prima volta. Si dice solo “qua iuxta votum reddita” [quando gli fu restituito, secondo le sue preghiere] e in un altro passo il compilatore narra che proprio questo particolare patto venne scagliato dal diavolo addosso al pittore “arrotolato e strappato in quattro pezzi”575 il 9 maggio 1678, circa alle nove di sera.
Eppure i due patti hanno la stessa data: anno 1669.
Questa contraddizione o non significa assolutamente nulla o ci porta sulla traccia seguente:
Se prendiamo come punto di partenza la relazione dell’abate, essendo questa la più dettagliata, si presentano alcune difficoltà. Quando Christoph Haizmann confessò al parroco di Pottenbrunn di essere messo alle strette dal diavolo e che il patto sarebbe presto scaduto, poteva soltanto pensare (nel 1677) al patto stipulato nel 1668, e cioè al primo, quello scritto con l’inchiostro (che è l’unico di cui parla la lettera del parroco, dove peraltro si dice che era stato scritto col sangue). Eppure pochi giorni dopo, a Mariazell, Haizmann si preoccupa soltanto di riavere indietro il patto successivo scritto col sangue – che non sta affatto per scadere (1669-1677) – mentre invece lascia scadere il primo, che viene richiesto indietro solo nel 1678, e cioè quando i nove anni sono passati da un pezzo. Inoltre, perché mai i due patti portano la stessa data del 1669, dato che uno di essi viene esplicitamente attribuito all’anno successivo (“anno subsequenti”576)?
Il compilatore deve essersi reso conto di queste difficoltà, perché fa un tentativo per eliminarle. Nella sua introduzione egli si ricollega alla versione dell’abate, ma la modifica in un punto. Il pittore, egli dice, ha stipulato nel 1669 un patto col diavolo scritto con l’inchiostro, ma poi (“deinde vero”) col sangue. Egli non tiene dunque conto dell’esplicita indicazione delle due relazioni secondo cui un patto ebbe luogo nel 1668, e ignora l’osservazione dell’abate, per cui i due patti ebbero luogo in anni diversi: tutto ciò al fine di non discostarsi dalle date dei due documenti restituiti dal diavolo.
Nella testimonianza dell’abate dopo le parole “sequenti vero anno 1669” [invece nell’anno seguente 1669] c’è un passo, tra parentesi, che suona così: “sumitur hic alter annus pro nondum completo, uti saepe in loquendo fieri solet, nam eundem annum indicant syngraphae, quarum atramento scripta ante praesentem attestationem nondum habita fuit”.577 Questo brano è un’evidente interpolazione del compilatore, poiché l’abate, che ha visto solo un patto, non può certo asserire che entrambi i patti recano la stessa data. Anche le parentesi erano intese certamente a mettere in evidenza che si trattava di un’aggiunta al testo della deposizione.578 Il contenuto del brano rappresentava un ulteriore tentativo del compilatore di conciliare i dati tra loro incompatibili. Egli pensava che effettivamente il primo patto fosse stato stipulato nel 1668, ma che poiché l’anno era già avanzato (era settembre) il pittore lo avesse postdatato di un anno per modo che i due patti potessero esibire lo stesso anno. Che egli invochi il fatto che spesso nella conversazione la gente si comporta nello stesso modo, è una circostanza che a mio avviso riduce tutto questo tentativo di spiegazione a una “scappatoia” poco convincente.
Non so se la mia esposizione ha in qualche modo colpito il lettore, né se lo ha messo in condizione di interessarsi a queste inezie. Pur essendomi trovato nell’impossibilità di accertare con assoluta sicurezza come stavano le cose, studiando questa confusa faccenda sono pervenuto a un’ipotesi che ha il vantaggio di spiegare gli eventi nel modo più naturale, seppure non del tutto coincidente con le testimonianze scritte.
La mia opinione è che quando il pittore giunse per la prima volta a Mariazell parlò solo di un patto scritto regolarmente col sangue e che stava per scadere; il patto era dunque stato firmato nel settembre 1668, proprio come attesta la lettera di accompagnamento del parroco. Questo patto scritto col sangue fu anche quello che il pittore esibì a Mariazell affermando che gli era stato restituito dal diavolo, costrettovi dalla santa Madre di Dio. Sappiamo che cosa accadde in seguito. Di lì a breve il pittore lasciò il santuario e andò a Vienna, dove si sentì libero fino alla metà di ottobre. Ma poi ricominciarono sofferenze e apparizioni, che egli considerava opera dello Spirito Maligno. Sentì nuovamente il bisogno di esserne liberato e si trovò però di fronte alla difficoltà di spiegare perché mai l’esorcismo nella sacra cappella non lo avesse liberato per sempre. Se fosse tornato a Mariazell come un recidivo che non era stato guarito dal suo male non vi avrebbe certo trovato una buona accoglienza. Per superare questa difficoltà inventò di aver stipulato un patto precedente, questo però scritto con l’inchiostro, per modo che il fatto di averlo trascurato a favore di un patto successivo, scritto col sangue, potesse apparire plausibile. Tornato a Mariazell, si fece restituire anche questo preteso primo patto, dopo di che il Maligno lo lasciò in pace, anche se nello stesso tempo egli fece qualcos’altro che ci permette di vedere che cosa sta dietro le quinte di questa nevrosi.
È certo che le illustrazioni furono eseguite solo durante il suo secondo soggiorno a Mariazell; il frontespizio, che è una composizione unica, rappresenta le scene di entrambi i patti. Nel tentativo di mettere d’accordo le sue nuove asserzioni con quelle precedenti il pittore può essersi benissimo trovato in imbarazzo. Per sua sfortuna egli poteva solo inventare un patto precedente, non uno successivo. In questo modo non poté evitare il goffo risultato di essere liberato da un patto (quello scritto col sangue) troppo presto (nell’ottavo anno), e dall’altro (quello scritto con l’inchiostro) troppo tardi (nel decimo anno). Egli tradì la duplice redazione della storia sbagliando la data dei patti, e collocando anche il primo nel 1669. Questo errore ha il significato di un atto di involontaria sincerità: ci permette di arguire che il patto che dovrebbe esser stato stipulato in precedenza fu concluso in realtà in un’epoca successiva. Il compilatore, che si accinse a rielaborare il materiale certamente non prima del 1714, e forse solo nel 1729, fece del suo meglio per eliminarne le non inessenziali contraddizioni. Poiché i due patti che aveva dinanzi a sé portavano la data del 1669, se la cavò ricorrendo all’interpolazione introdotta nella testimonianza dell’abate.
È facile vedere qual è il punto debole di questa costruzione peraltro attraente. Già nella testimonianza dell’abate Franciscus si fa riferimento a due patti, uno scritto in nero e l’altro col sangue. Ho dunque la scelta fra due possibilità: o devo accusare il compilatore di avere alterato in qualche modo anche questa testimonianza, in stretto rapporto con la sua interpolazione, oppure devo dichiararmi incapace di risolvere questo imbroglio.579
Già da tempo i lettori avranno considerato superflua tutta questa discussione e troppo irrilevanti i dettagli che essa tratta. Ma la faccenda acquista un nuovo interesse se viene seguita in una determinata direzione.
Ho appena detto che a mio giudizio il pittore, sgradevolmente sorpreso dal corso preso dalla sua malattia, inventò un patto precedente (quello scritto con l’inchiostro), per poter sostenere la sua posizione con i reverendi padri di Mariazell. Ora io scrivo per lettori che, se credono nella psicoanalisi, non credono però nel diavolo, ed essi potrebbero obiettarmi che è assurdo rivolgere tale accusa a quel pover’uomo del pittore (hunc miserum, lo chiama il parroco nella sua lettera di accompagnamento). Il patto scritto col sangue è stato in definitiva un parto della sua fantasia, né più e né meno di quello che egli pretende di aver scritto precedentemente con l’inchiostro. In realtà non gli è apparso nessun diavolo, e tutta quanta la storia del patto col diavolo è esistita solo nella sua fantasia. Lo riconosco; non si può negare al poveretto il diritto di integrare la sua fantasia originaria con una nuova fantasia, se il cambiamento della situazione sembra richiederlo.
Ma anche qui la storia non è finita. I due patti non sono fantasie come lo sono le visioni del diavolo; stando alle assicurazioni del copista, nonché alla testimonianza dell’abate Kilian, si trattava di documenti che, nell’archivio di Mariazell, tutti potevano vedere e toccare. Ci troviamo dunque di fronte a un dilemma. O dobbiamo supporre che il pittore si sia fabbricato da sé, nel momento in cui ne aveva bisogno, i due biglietti che a suo dire gli erano stati restituiti per grazia divina, oppure dobbiamo supporre che i reverendi padri di Mariazell e San Lambert, nonostante tutte le solenni assicurazioni, autenticazioni, testimonianze sigillate eccetera, non fossero persone attendibili. Devo ammettere che sono poco propenso a dubitare dei monaci. Sono certo pronto a credere che per rendere coerente tutta la vicenda il compilatore abbia falsificato qualche punto della testimonianza del primo abate, ma questa “elaborazione secondaria” non dev’essere andata molto al di là di certe modificazioni analoghe che vengono compiute anche da storici moderni e laici, e in ogni caso fu fatta in buona fede. Da un altro punto di vista i reverendi padri hanno dimostrato di meritare la nostra fiducia. Come abbiamo già detto [vedi par. 1], nulla avrebbe potuto impedire loro di sopprimere i resoconti sull’incompletezza della guarigione e la persistenza delle tentazioni. E anche la descrizione della scena dell’esorcismo nella cappella, che eravamo autorizzati a considerare con una certa apprensione, è riuscita sobria e convincente. Non resta dunque altra alternativa che incolpare il pittore. Egli aveva certamente con sé il patto scritto in rosso quando si recò nella cappella per espiare e pregare, e lo tirò fuori quando ritornò presso i monaci dopo essersi incontrato col diavolo. Non doveva neanche trattarsi necessariamente dello stesso biglietto che più tardi venne conservato nell’archivio; anzi, secondo la nostra costruzione, presumibilmente esso era datato 1668 (nove anni prima dell’esorcismo).