Nell’estate 1911 Freud, da Collalbo (Klobenstein) sul Renon in Alto Adige, dove si trovava in villeggiatura, scrisse a Jones (9 agosto), a Ferenczi (11 agosto) e a Jung (20 agosto) annunciando di essere tutto preso da un nuovo lavoro. A Jones e a Ferenczi disse più apertamente che l’argomento riguardava la psicologia della religione, e affermò di essere immerso nei problemi “del totem e del tabù”. Con Jung fu più cauto: “Lavoro in un campo nel quale Lei sarà sorpreso di trovarmi. Ho scovato cose strane e inquietanti e mi sentirò quasi obbligato a non parlarne con Lei. Il Suo acume scoprirà tutto se aggiungo che ardo dall’impazienza di leggere il suo lavoro Trasformazioni e simboli della libido.” Jung rispose il 29 agosto dichiarandosi molto incuriosito, ma incapace di indovinare di che cosa si potesse trattare. Solo il 1° settembre Freud divenne più esplicito: “I miei lavori in queste settimane si riferiscono allo stesso tema del Suo, l’origine della religione.” Ma insieme non vuol mostrarsi troppo impegnato, e la lettera finisce con la frase: “Qui sul Renon stiamo divinamente bene e il posto è bellissimo. Ho scoperto in me il piacere inesauribile del far nulla, temperato appena da un paio d’ore dedicate alla lettura di qualche novità...”
Le novità erano essenzialmente i quattro volumi di Totemism and Exogamy (Totemismo ed esogamia) di Frazer, pubblicati l’anno prima a Londra. Solo più tardi Freud prese visione di altri scritti dello stesso Frazer, e delle opere di Wundt, Reinach, Durkheim e altri.
Nei riguardi di Jung, Freud si trovava in uno stato d’animo particolare, perché lo stesso Jung, da una angolatura completamente diversa, si stava anch’egli occupando di psicologia della religione. Va anzi riconosciuto che a volgersi verso questo tipo di ricerche, Freud era stato anche stimolato dagli studi di Jung: l’anno prima aveva letto con grande interesse il manoscritto della prima parte di Wandlungen und Symbole der Libido (Trasformazioni e simboli della libido, 1912, il cui titolo definitivo divenne Simboli della trasformazione), e nel tardo autunno dello stesso 1911 scrisse a Jones (5 novembre): “Sto lavorando d’impegno sulla psicogenesi della religione, e mi trovo sulle tracce delle Wandlungen di Jung”, confermando dunque in tal modo i rapporti con tale opera.
Tuttavia nel rinnovamento generale della psicologia, operato dagli studi psicoanalitici, il problema della religione era ovviamente un argomento che comunque non poteva essere eluso; né si può perciò dire che sia stato il solo Jung a suscitare in Freud l’interesse per questo genere di problemi. In vari scritti anteriori Freud aveva già avuto occasione di analizzare i fenomeni psichici connessi alla religione (vedi Azioni ossessive e pratiche religiose (1907, in OSF, vol. 5) e La morale sessuale “civile” e il nervosismo moderno (1908, in OSF, vol. 5). Inoltre, fin dal tempo della sua corrispondenza con Fliess, aveva dimostrato interesse per problemi qui trattati in seguito, come il tema del generale orrore per l’incesto (vedi nelle Minute teoriche per Wilhelm Fliess (1892-97, in OSF, vol. 2) la minuta N del 31 maggio 1897), quello del significato dei miti (lettera del 12 dicembre 1897) e della origine della idea di Dio (lettera del 4 luglio 1901), tema quest’ultimo già accennato nell’Interpretazione dei sogni (1899, in OSF, vol. 3), nota 470.
Inoltre l’orientamento della indagine qui condotta sulla religione avrebbe voluto essere diverso da quello di Jung, in quanto Freud – come afferma nella prefazione al libro, datata settembre 1913 (quando però i rapporti con Jung erano già in piena crisi) – avrebbe inteso servirsi dei dati della propria esperienza analitica per chiarire i problemi della psicologia collettiva, o dei popoli, anziché seguire il percorso inverso, come tendeva a fare Jung. Quando il quarto saggio fu terminato (primavera del 1913) Freud affermò ripetutamente (lettere a Ferenczi dell’8 maggio e ad Abraham del 13 maggio) che esso avrebbe reso certamente più netta la frattura fra la sua posizione e quella di Jung.
Freud portò a termine un primo breve capitolo, L’orrore dell’incesto nei popoli primitivi, che venne pubblicato come saggio a sé nel primo numero della rivista “Imago”, vol. 1(1), 17-33 (1912) sotto il titolo generale Über einige Übereinstimmungen im Seelenleben der Wilden und der Neurotiker (Alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici), e poi ristampato (con qualche taglio) nel settimanale “Pan” (11 e 18 aprile 1912) e sul quotidiano “Neuer Wiener Journal” (aprile 1912), entrambi di Vienna.
Subito dopo fu composto il secondo saggio Il tabù e l’ambivalenza emotiva, che venne letto il 15 maggio 1912 alla Società psicoanalitica di Vienna, e pubblicato in “Imago”, vol. 1(3), 213-27 (1912) sotto lo stesso titolo generale del precedente. Il terzo saggio, Animismo, magia e onnipotenza dei pensieri, fu pure letto alla Società di Vienna il 15 gennaio 1913 e pubblicato in “Imago”, vol. 2 (1), 1-21 (1913).
Intanto Freud aveva preso visione e aveva studiato l’opera, pubblicata nel 1889 da W. Robertson Smith, Lectures on the Religion of the Semites (Sulla religione dei semiti); in essa aveva trovato una conferma a quelle ipotesi sul pasto totemico che vengono esposte nel quarto saggio, Il ritorno del totemismo nei bambini. Anche questo fu letto il 4 giugno 1913 alla Società di Vienna e poi pubblicato in “Imago”, vol. 2 (4), 357-408 (1912).
Subito dopo i quattro saggi furono riuniti in volume (Heller, Lipsia e Vienna 1913, pp. V-149) col titolo Totem und Tabu (binomio riassuntivo, già usato da Freud nella lettera a Ferenczi dell’agosto 1911), seguito dal sottotitolo che riproduceva quello dei quattro saggi staccati pubblicati su “Imago”. Successive edizioni presso l’Internationaler Psychoanalitischer Verlag si ebbero nel 1920, 1922, 1934. L’opera fu compresa in Gesammelte Schriften, vol. 10 (1924), pp. 3-194 e in Gesammelte Werke, vol. 9 (1940) pp. 1-205.
Nel 1930 Freud scrisse per una edizione in ebraico una apposita prefazione, che fu pubblicata in tedesco in Gesammelte Schriften, vol. 12 (1934), p. 385 e in Gesammelte Werke, vol. 14 (1948), p. 569.
Totem e tabù è apparso in lingua italiana nella traduzione di Edoardo Weiss (Laterza, Bari 1930). La presente traduzione è di Silvano Daniele.
Nei suoi scritti ulteriori Freud ha spesso fatto riferimento ai motivi trattati nel presente libro, in particolare nella sua Autobiografia (1924, in OSF, vol. 10) e in L’uomo Mosè e la religione monoteistica: tre saggi (1934-38, in OSF, vol. 11).
Freud ha scritto la presente opera con grande entusiasmo, persuaso che essa dovesse costituire qualche cosa di fondamentale, come lo era stata L’interpretazione dei sogni (1899).
Ebbe sì, all’atto di licenziare per la stampa il quarto saggio, che è quello più importante e originale, qualche perplessità, come ci narra Jones (Vita e opere di Freud, vol. 2, p. 428), ma superò presto questi dubbi e in seguito considerò sempre il libro come una delle sue opere migliori. Freud aveva anche previsto che l’accoglienza del pubblico sarebbe stata – proprio in modo simile a quanto era accaduto per L’interpretazione dei sogni – del tutto negativa. Così fu effettivamente. All’infuori degli ambienti psicoanalitici, si stentò a comprendere il significato dell’opera.
Anche Freud nota la difficoltà di questo genere di studi, giacché il materiale su cui sono condotti è sempre di seconda mano, e cioè costituito da relazioni di esploratori e missionari (nota 175). Nel caso specifico Freud non si avvale neppure di relazioni dirette, ma solo di un materiale già manipolato e interpretato dagli etnologi e antropologi le cui opere sono state da lui consultate. Inoltre i temi trattati nell’opera sono estremamente vari. Freud stesso, scrivendo a Jones (9 aprile 1913) mentre stava stendendo il quarto dei saggi, affermò: “È l’impresa più ardua nella quale mi sia mai imbarcato, sulla religione, l’etica e quibusdam aliis.”
Anche la pluralità dei titoli impiegati da Freud per designare l’insieme delle ricerche è sconcertante: la prima indicazione privata che si trova nelle lettere è, come abbiamo visto, l’origine della religione; poi “totem e tabù”, due concetti fondamentali ricorrenti in tutta la fenomenologia del comportamento sociale e religioso dei primitivi; e ancora: “alcune concordanze nella vita psichica dei selvaggi e dei nevrotici”, che denota un riferimento agli interessi basali di Freud, e cioè lo studio dei nevrotici. Pure i titoli dei singoli saggi, o capitoli, che indicano sì gli argomenti trattati prevalentemente in ciascun saggio, ma riguardano anche l’opera intera – il problema dell’incesto, l’ambivalenza emotiva, l’onnipotenza dei pensieri, le zoofobie infantili – mostrano come il libro, malgrado le fonti antropologiche su cui si appoggia, e quantunque Freud, come abbiamo veduto, si fosse proposto di chiarire i problemi della psicologia dei popoli, non sia un’opera di antropologia o di etnografia, ma faccia senz’altro parte delle indagini psicoanalitiche che Freud da oltre un ventennio veniva sviluppando.
Che il carattere della ricerca sia psicoanalitico, e non storico culturale, è confermato da Freud stesso all’inizio del quarto capitolo. Era per lui soprattutto importante aver ritrovato, nella vita dei selvaggi a organizzazione totemistica, i due comandamenti del totemismo, gli stessi che caratterizzano il complesso edipico studiato nei nevrotici. E la connessione intima fra totemismo ed esogamia, che gli etnologi e lo stesso Frazer nei suoi ultimi lavori contestano, è invece senz’altro accettata da Freud non tanto perché altri studiosi come Durkheim l’hanno sostenuta, ma soprattutto perché essa corrisponde ai dati dell’esperienza psicoanalitica nel trattamento dei nevrotici.
Anche da un punto di vista metodologico, Freud dichiara apertamente (cap. 4, par. 7) di procedere come sempre. Egli tratta cioè la storia dei popoli quasi si trattasse di una psiche collettiva, nella quale i processi potessero svolgersi come nella psiche individuale, né si preoccupa dei mezzi con cui una fase può influire sulla successiva. Procede sicuro in base alla propria esperienza di questo metodo applicato alla psicologia dei nevrotici, dove ogni ipotesi attende di esser confermata dal nuovo materiale che il paziente produce in analisi: ciò che ovviamente non può verificarsi nel campo della psicologia dei popoli.
Freud si mostra consapevole (vedi nota 281) delle riserve che sul piano metodologico possono essere sollevate verso questo modo di procedere, rispetto al quale studiosi di diverso indirizzo sono rimasti sconcertati e scettici. Per lo sviluppo della dottrina psicoanalitica il libro è invece fondamentale: esso offre infatti un costante punto di riferimento per una molteplicità di elementi della vita psichica individuale.