Sessualità femminile

1.

Nella fase del normale complesso edipico troviamo il bambino o la bambina legati teneramente al genitore di sesso opposto, mentre prevale l’ostilità nel rapporto col genitore dello stesso sesso. Non incontriamo nessuna difficoltà a spiegare questa situazione nel caso del maschio. La madre è stata il suo primo oggetto amoroso; lo rimane e, con il rafforzamento delle tendenze amorose del bimbo e il suo approfondimento della relazione tra padre e madre, il padre finisce di diventare il rivale. Per la femmina è diverso. Poiché, anche per lei, il primo oggetto fu la madre, come trova la strada per arrivare al padre? Come, quando e perché si libera dalla madre? Da molto tempo abbiamo compreso che lo sviluppo della sessualità femminile viene complicato dalla necessità di rinunciare alla zona genitale originariamente direttiva, la clitoride, per una nuova, la vagina.18 Ora, questa seconda sostituzione (lo scambio dell’originario oggetto materno con il padre) ci appare non meno caratteristica e significativa per lo sviluppo della donna. In qual modo queste due necessità siano interconnesse non è del tutto chiaro.

Donne con un forte vincolo paterno sono notoriamente molto frequenti, e non occorre assolutamente che siano nevrotiche. Su di esse ho fatto le osservazioni che qui riferirò e che mi hanno condotto a una certa concezione della sessualità femminile. Mi hanno soprattutto colpito due fatti. Il primo era che dove esisteva un vincolo paterno particolarmente intenso, là vi era stata, in base ai risultati dell’analisi, una fase precedente di esclusivo vincolo materno, della stessa intensità e passionalità; la seconda fase, tranne il cambio dell’oggetto, non aveva aggiunto quasi nulla alla vita amorosa; la relazione primaria con la madre era stata molto ricca e sviluppata in molte direzioni. Il secondo fatto dimostrava che si era molto sottovalutata anche la durata nel tempo di questo vincolo materno. Questo si prolungava nella maggior parte dei casi fino al quarto anno di età, in un caso fino al quinto, comprendeva cioè la parte di gran lunga più estesa della fioritura piccolo-infantile della vita sessuale. Ma allora si deve valutare la possibilità che un certo numero di esseri femminili rimanga fermo al primitivo vincolo materno e non compia mai la svolta richiesta in direzione dell’uomo.

Con ciò la fase preedipica della donna acquista un significato che finora non le avevamo attribuito.

Poiché in tale fase vi è spazio per tutte le fissazioni e rimozioni alle quali siamo soliti ricondurre il sorgere delle nevrosi, pare necessario ritrattare la validità generale della tesi che il complesso edipico sia il nucleo della nevrosi. Tuttavia chi rilutta di fronte a questa correlazione non è costretto a farla. Da una parte si può assegnare al complesso edipico un contenuto più ampio che abbraccia tutte le relazioni del bambino con i due genitori, dall’altra si può tener conto delle nuove esperienze sostenendo che la femmina giunge a una normale e positiva impostazione edipica soltanto dopo aver superato un periodo precedente dominato da un complesso negativo.19 In realtà durante questa fase il padre non è per la bambina molto più che un rivale molesto, per quanto l’ostilità nei suoi confronti non raggiunga mai l’acutezza che si riscontra nei maschi. Tutte le aspettative di un puro parallelismo tra sviluppo sessuale maschile e femminile sono state da noi abbandonate da tempo.

La comparsa di un’antica epoca preedipica provoca la stessa sorpresa che, in altro campo, ebbe la scoperta della civiltà minoico-micenea precedente alla civiltà greca.

Tutto, nell’ambito di questo primo vincolo materno, mi sembrò così difficile da afferrare analiticamente, così grigio e remoto, umbratile, difficile da riportare in vita, come se fosse precipitato in una rimozione particolarmente inesorabile. Ma forse questa impressione mi veniva dal fatto che le donne che avevo in analisi potevano mantener fermo proprio quel vincolo paterno20 nel quale si erano rifugiate uscendo dal periodo precedente che cercavo di appurare. Pare in verità che le analiste, come Jeanne Lampl-de Groot ed Helene Deutsch, abbiamo avuto modo di accorgersi di queste realtà più facilmente e perspicuamente, perché venne loro in aiuto, nelle persone di cui avevano assunto la responsabilità, la traslazione su un confacente sostituto della madre. Io non sono riuscito a penetrare completamente addentro a nessun caso, mi limiterò perciò a comunicare risultati generalissimi e a dare un breve assaggio delle cognizioni alle quali sono pervenuto. Una di queste consiste nel sospetto che esista una relazione particolarmente intima tra questa fase del vincolo materno e l’etiologia dell’isteria, cosa che non desterà meraviglia se si riflette che entrambe, la fase come la nevrosi, appartengono alle specifiche caratteristiche della femminilità, e vi è l’ulteriore sospetto che in questa dipendenza dalla madre si trovi il germe della futura paranoia della donna.21 Ha infatti tutta l’aria di essere un germe siffatto la paura, strabiliante ma regolarmente ricorrente, di venir uccisa (divorata?) dalla madre. Viene naturale supporre che questo timore corrisponda a un’ostilità che si sviluppa nella bambina contro la madre in seguito alle molteplici restrizioni inerenti all’educazione e alle cure del corpo, e che il meccanismo di simile proiezione venga favorito dall’immaturità dell’organizzazione psichica.22

2.

Avendo comunicato due fatti che mi hanno colpito per la loro novità, cioè che la forte dipendenza della femmina dal padre è soltanto l’erede di un vincolo materno altrettanto forte e che questa prima fase ha una durata inaspettatamente lunga, riprendo ora il discorso per inserire questi risultati nel quadro che ci è già noto dello sviluppo della sessualità femminile, e nel far questo non avrò paura di ripetermi. Il paragone continuo con le situazioni maschili tornerà assai utile alla nostra esposizione.

In primo luogo occorre riconoscere che la bisessualità, asserita presente nella disposizione di tutti gli esseri umani, vien fuori molto più chiaramente nella donna che nell’uomo. L’uomo ha solo una zona sessuale direttiva, un organo sessuale, mentre la donna ne possiede due: la vagina, propriamente femminile, e la clitoride, analoga al membro maschile. Ci riteniamo autorizzati a supporre che la vagina per lunghi anni quasi non esista e che forse procuri per la prima volta sensazioni al tempo della pubertà. Negli ultimi tempi, a dire il vero, aumentano le voci di osservatori secondo cui si verificano moti vaginali anche in questi anni della seconda infanzia. L’essenziale di ciò che nelle bambine precede la genitalità deve aver luogo nella clitoride. La vita sessuale femminile si divide normalmente in due fasi, di cui la prima ha carattere maschile; solo la seconda è quella specificamente femminile. Nello sviluppo della femmina vi è come un processo di trapasso da una fase all’altra, di cui non vi è nulla di analogo nel maschio. Un’ulteriore complicazione sorge dal fatto che la funzione della “virile” clitoride continua nella successiva vita sessuale femminile in una forma molto mutevole e certo non ancora compresa in modo soddisfacente. Naturalmente noi non sappiamo su quali basi biologiche poggino queste particolarità della donna; ancor meno possiamo sottintendere ad esse un’intenzione teleologica.

Parallelamente a questa prima grande differenza procede l’altra, sul terreno del rinvenimento dell’oggetto. Nel maschio la madre diviene il primo oggetto amoroso perché essa gli dà l’alimento e le cure del corpo, ed essa rimane tale finché viene sostituita da un oggetto di natura simile o da lei derivato. Anche per la femmina la madre dev’essere il primo oggetto; le condizioni che sono alla radice della scelta oggettuale sono certamente identiche per tutti i bambini. Ma alla fine dello sviluppo l’uomo-padre deve essere divenuto il nuovo oggetto amoroso, vale a dire che al mutamento di sesso della bimba deve corrispondere un mutamento nel sesso dell’oggetto. Ci attendono qui nuovi compiti di ricerca, si pongono gli interrogativi per quali vie si svolga questa trasformazione, se si compia fino in fondo o in modo imperfetto, e quali diverse possibilità si dischiudano in questo sviluppo.

Abbiamo già visto che un’ulteriore differenza tra i sessi si riferisce alla loro posizione nei confronti del complesso edipico. È nostra impressione qui che quanto abbiamo asserito su tale complesso valga a rigor di termini solo per il maschio, e che abbiamo pienamente ragione di respingere il nome di complesso di Elettra23 con cui si vuol sottolineare l’analogia nel comportamento dei due sessi. La relazione fatale, di amore per uno dei genitori e, insieme, di odio per l’altro considerato un rivale, si pone solo per il maschio. In quest’ultimo, successivamente, la scoperta della possibilità di evirazione, dimostrata dalla vista dei genitali femminili, impone la riorganizzazione del complesso edipico, provoca la creazione del Super-io e dà così il via a tutti i processi che mirano all’inquadramento dell’individuo nella comunità civile. Dopo l’interiorizzazione dell’istanza paterna nel Super-io, il maschio deve risolvere il compito successivo di staccare il Super-io dalle persone che esso in origine ha psichicamente sostituito. In questa singolare linea di sviluppo proprio l’interesse narcisistico per i genitali – l’interesse per la conservazione del pene – si volge a limitare la sessualità infantile.24

Nell’uomo l’influsso del complesso di evirazione lascia anche un certo residuo di disprezzo per la donna, quest’essere evirato. Di qui deriva, al limite, un’inibizione della scelta oggettuale e, se vi è il sostegno di fattori organici, omosessualità assoluta.

Del tutto diversi sono gli effetti del complesso di evirazione nella donna: la bambina riconosce come un fatto la sua castrazione e con ciò anche la superiorità del maschio e la propria inferiorità, ma oppone anche resistenza a questa realtà assai sgradita. Da questo atteggiamento contraddittorio derivano tre direzioni di sviluppo. La prima conduce all’abbandono totale della sessualità: la bimba, sgomentata dal confronto col maschio, non si contenta più della sua clitoride, rinuncia alla sua attività fallica e in genere alla sessualità, nonché a buona parte della sua mascolinità in altri campi. La seconda direzione si attiene fermamente, lungo una linea di caparbia autoaffermazione, alla virilità minacciata; la speranza di riuscire ancora a ottenere un pene rimane desta incredibilmente a lungo, assurge a scopo della vita, e la fantasia di essere, malgrado tutto, un uomo spesso informa di sé lunghi periodi della vita. Anche questo “complesso di virilità”25 della donna può sfociare nella scelta di un oggetto manifestamente omosessuale. Solo un terzo sviluppo assai contorto sbocca nella normale strutturazione finale della femminilità, ove il padre è assunto come oggetto ed è pertanto trovata la forma femminile del complesso edipico. Il complesso edipico è dunque nella femmina il risultato finale di una più lunga evoluzione. Lungi dal venir distrutto dall’influsso dell’evirazione, ne costituisce al contrario il prodotto; elude le forti influenze avverse che nel maschio agiscono sul complesso in modo distruttivo, e le elude in misura tale che troppo spesso la femmina non riesce a superarlo. Perciò anche le conseguenze culturali del suo dissolvimento sono esigue e meno importanti. Non c’è pericolo di sbagliare affermando che questa differenza nella reciproca relazione tra complesso edipico e complesso di evirazione impronta di sé il carattere della donna come essere sociale.26

La fase del vincolo materno esclusivo, che può essere chiamata preedipica, assume dunque nella donna importanza di gran lunga maggiore che nell’uomo. Molte manifestazioni della vita sessuale femminile, che prima non risultavano direttamente accessibili, diventano chiare riconducendole a questa fase. Per esempio, abbiamo da tempo osservato che molte donne che hanno scelto il loro marito sulla base del modello paterno, o che lo hanno collocato al posto del padre, ripetono ciò nonostante con lui nel matrimonio il loro cattivo rapporto con la madre.27 Egli doveva ereditare la relazione col padre e in realtà eredita quella con la madre. Questo si spiega facilmente come un ovvio caso di regressione. La relazione con la madre era quella originaria, su di essa fu costruita quella col padre, e ora nel matrimonio torna in luce dalla rimozione la forma originaria. In effetti il contenuto principale dell’evoluzione verso la femminilità è modellato dal trapasso dei legami affettivi dall’oggetto materno a quello paterno.

Dato che trattando con certe donne si ha l’impressione che passino il periodo della maturità a lottare col marito così come trascorsero la giovinezza a lottare con la madre, vien da concludere alla luce delle considerazioni precedenti che l’atteggiamento di ostilità verso la madre non è una conseguenza della rivalità del complesso edipico; l’atteggiamento, bensì, ha le sue radici nella fase precedente e dalla situazione edipica trae soltanto il suo rafforzamento e la sua applicazione. Troviamo conferma di ciò anche in dirette indagini analitiche. Il nostro interesse deve volgersi ai meccanismi che hanno provocato il distacco dall’oggetto materno prima amato in modo così intenso ed esclusivo. Siamo ormai preparati a trovare non un singolo fattore, bensì un’intera serie di fattori che cooperano a questo stesso scopo finale.

Tra essi spiccano alcuni che sono determinati dalla condizione generale della sessualità infantile e che perciò valgono parimenti per la vita amorosa dei maschi. Prima di tutto menzioneremo la gelosia verso altri: fratelli e sorelle, rivali, e cade qui anche il posto del padre. L’amore dell’età infantile è smisurato, richiede un rapporto esclusivo, non si accontenta di essere condiviso. Ha però anche un secondo carattere: privo in effetto di meta, è incapace di un completo soddisfacimento e, soprattutto per questo, è condannato a risolversi in disillusione28 e a dar luogo a un atteggiamento ostile. Nella vita più tarda la mancanza di esaudimento favorirebbe un altro sbocco: questo fattore potrebbe assicurare la continuazione ininterrotta dell’investimento libidico, come avviene nelle relazioni libidiche a meta inibita; ma qui, sotto la spinta dei processi evolutivi, succede regolarmente che la libido abbandona la posizione insoddisfacente per cercarne una nuova.

Un altro motivo molto più specifico per il distacco dalla madre va ricercato nell’effetto del complesso di evirazione sulla creatura priva di pene. Presto o tardi la bimba fa la scoperta della propria inferiorità organica, naturalmente prima e più facilmente se ha un fratello o è circondata da altri maschi. Abbiamo già appreso che da qui si diramano tre direzioni: a) verso la cessazione di tutta la vita sessuale; b) verso l’ostinata accentuazione della mascolinità; c) i primi passi verso la definitiva femminilità. Non è facile fissare precisi limiti temporali e stabilire la maniera tipica in cui si svolgono gli eventi. La stessa scoperta dell’evirazione ha una cronologia mutevole e parecchi altri fattori risultano incostanti e affidati al caso. Entra qui in gioco lo stato cui è pervenuta l’attività fallica della bambina, nonché se questa attività è divenuta palese, e la misura in cui, in tal caso, la bambina si è sentita impedita nell’esercitarla.

La bimba scopre la propria attività fallica, la masturbazione alla clitoride,29 in modo perlopiù spontaneo ed è certo che in un primo momento non vi aggiunge alcuna fantasia. Che le cure igieniche influiscano sul risveglio di questa attività, lo prova la fantasia così frequente in cui la madre, la balia o la bambinaia fa da seduttrice.30 Resta da vedere se l’onanismo femminile sia più raro e fin dall’inizio meno energico di quello maschile, come non è affatto da escludere. Una vera seduzione è abbastanza frequente, da parte sia di altri bambini sia di persone addette le quali vogliano calmare, addormentare o rendersi indispensabili alla bambina. Dove opera la seduzione, questa disturba regolarmente il decorso naturale dei processi evolutivi e spesso si lascia dietro ampie e durature conseguenze.

Il divieto di masturbarsi, come abbiamo visto, è causa di abbandono della masturbazione, ma anche motivo di rivolta contro la persona che impone il divieto, contro la madre cioè, o chi la sostituisce e che più tardi si fonde immancabilmente con essa. L’ostinata insistenza a masturbarsi sembra aprire la strada verso la mascolinità. Anche quando la bimba non riesce a reprimere la masturbazione, l’effetto del divieto, solo apparentemente vano, si esercita nei successivi tentativi di rinunciare a costo di qualsiasi sacrificio al soddisfacimento che le è stato rovinato. La scelta oggettuale della maturità può essere ancora influenzata dal persistere in questo proposito. Il rancore per essere impedita nella libera attività sessuale ha una parte importante nel distacco dalla madre. Il medesimo motivo sarà di nuovo operante anche dopo la pubertà, allorché la madre riterrà suo dovere salvaguardare la castità della figlia.31 Non dobbiamo naturalmente dimenticare che la madre contrasta allo stesso modo anche la masturbazione del maschio e crea così anche per lui un forte motivo di rivolta.

Quando la bimba, alla vista di un genitale maschile, si accorge del suo difetto, accetta la brutta sorpresa solo dopo lunga esitazione e non senza riluttanza. Abbiamo già visto che l’aspettativa di avere prima o poi un tale genitale permane ostinatamente e che il desiderio sopravvive a lungo alla speranza. In altri casi la bambina considera, in un primo tempo, l’evirazione come una sventura individuale, solo più tardi la estende ad altre bambine e infine a donne adulte.32 Quando comprende che questi caratteri negativi sono generali, si produce in lei una grave svalutazione della femminilità e quindi anche della madre.

Nulla di più probabile che il quadro ora delineato di come la bimba reagisce all’impressione dell’evirazione e al divieto dell’onanismo paia al lettore confuso e contraddittorio. Non è tutta colpa dell’autore. In realtà una descrizione universalmente valida è quasi impossibile. In diversi individui si danno le più diverse reazioni, e nel medesimo individuo esistono, l’uno accanto all’altro, atteggiamenti opposti. Nel momento che interviene il divieto sorge il conflitto, il quale accompagnerà d’ora in poi lo sviluppo della funzione sessuale. Ciò significa anche che la comprensione è particolarmente difficile, poiché è faticosissimo distinguere i processi mentali di questa prima fase da quelli successivi dai quali sono stati ricoperti e deformati nella memoria. Così per esempio più tardi il fatto della evirazione è concepito come una punizione per l’attività onanistica, e l’esecuzione del castigo è attribuita al padre, ma nessuna delle due idee ha nulla di originario. Anche il maschio teme sempre di essere evirato dal padre, sebbene anche in lui la minaccia venga perlopiù da parte della madre.

Comunque stiano le cose, alla fine di questa prima fase del vincolo materno viene a galla, come principale motivo di distacco, il rimprovero che essa non ha dotato la bambina di un vero genitale, vale a dire l’ha generata come femmina.33 Stupefacente è un altro rimprovero, rivolto a una realtà un po’ più vicina: la madre le ha dato troppo poco latte, non l’ha allattata abbastanza a lungo. Nelle condizioni della civiltà odierna non è un fatto insolito, ma certamente meno frequente di quanto parrebbe dalle affermazioni fatte in analisi. Pare piuttosto che questa rimostranza sia un’espressione della scontentezza generale dei bambini che, nelle condizioni culturali della monogamia, dopo sei o nove mesi vengono divezzati dal seno materno, mentre la madre primitiva si dedica esclusivamente al suo bambino per due o tre anni. I nostri bambini non sarebbero mai riusciti a saziarsi, non avrebbero mai succhiato abbastanza al seno materno. Non sono sicuro, però, che nell’analisi di bambini allattati così a lungo come i bambini dei primitivi non ci imbatteremmo nella medesima lagnanza. L’ingordigia della libido infantile non ha limiti!

Percorriamo di nuovo l’intera serie delle motivazioni per il distacco dalla madre poste in luce dall’analisi: ha trascurato di fornire la figlia dell’unico vero genitale, non l’ha allattata abbastanza, l’ha costretta a dividere l’amore materno con altri, non ha realizzato mai tutte le aspettative amorose, e infine dapprima ha eccitato l’attività sessuale e poi l’ha vietata. Motivi tutti insufficienti per giustificare l’ostilità finale. Alcuni di essi sono le conseguenze ineluttabili della natura della sessualità infantile, altri sembrano razionalizzazioni accampate più tardi per spiegare l’incomprensibile voltafaccia del sentimento. Piuttosto, forse, il vincolo materno deve scomparire proprio perché è il primo ed è così intenso, così come spesso avviene delle nozze delle giovani donne che contraggono un primo matrimonio nel momento del più acceso innamoramento. In tutti e due i casi l’impostazione dell’amore non reggerà alle inevitabili delusioni e all’accumularsi delle ragioni di aggressività. Le seconde nozze riescono di regola molto meglio.

Noi non possiamo arrivare al punto di sostenere che l’ambivalenza degli investimenti emotivi sia una legge psicologica generalmente valida, o che sia impossibile in genere provare un grande amore per una persona senza che vi si accompagni, o che ciò si rovesci, in un odio forse altrettanto grande. Gli individui normali e adulti riescono senza dubbio a distinguere tra loro questi due atteggiamenti, a non odiare il loro oggetto amoroso e a non essere costretti ad amare il loro nemico. Ma in ciò è da vedere il risultato di sviluppi posteriori. Nelle prime fasi della vita amorosa la regola è palesemente costituita dall’ambivalenza. In molti individui questo tratto arcaico si conserva per tutta la vita, per i nevrotici ossessivi è caratteristico delle loro relazioni oggettuali che amore e odio si eguaglino tra loro. Anche nei primitivi è innegabile il prevalere dell’ambivalenza.34 L’intenso legame della bimba con la madre dev’essere dunque fortemente ambivalente e, con il contributo degli altri fattori, proprio per questa ambivalenza si strappa, conseguenza anche questa, pertanto, di una caratteristica generale della sessualità infantile.

Contro questo tentativo di spiegazione sorge subito la domanda: com’è possibile, tuttavia, che il maschio mantenga indisturbato il suo vincolo materno, che certamente non è meno intenso? Non meno pronta è la risposta: perché a lui è possibile risolvere la sua ambivalenza verso la madre in quanto trova nel padre una collocazione per tutti i suoi sentimenti ostili. Ma anzitutto, prima di dare questa risposta, occorre aver studiato esaurientemente la fase preedipica maschile; in secondo luogo e con ogni probabilità, è più prudente confessare che non si è ancora ben addentro a questi processi che si è appena imparato a conoscere.

3.

Un’ulteriore questione è che cosa pretenda la bimba dalla madre, di che genere siano le sue mete sessuali all’epoca del vincolo materno esclusivo. La risposta che si trae dal materiale analitico corrisponde perfettamente alle nostre aspettative. Le sue mete sessuali verso la madre sono di natura sia attiva che passiva, e vengono determinate dalle fasi libidiche che la bambina attraversa. Il rapporto tra attività e passività merita tutta la nostra attenzione. È facile osservare che in ogni campo della vita psichica, non solo nell’ambito della sessualità, un’impressione ricevuta passivamente desta nel bambino (maschio o femmina) la tendenza a una reazione attiva. Egli tenta di fare la stessa cosa che poco prima è stata fatta a lui o con lui. È questa una parte del lavoro impostogli di assoggettamento del mondo esterno e può essere spinta al punto di cercare di ottenere la ripetizione di quelle impressioni che egli avrebbe motivo di evitare per il loro contenuto penoso. Anche il gioco infantile è posto al servizio di questo fine, di integrare cioè un’esperienza passiva con un’azione attiva e in questo modo per così dire abolirla. Se il dottore ha aperto la bocca al bambino recalcitrante per guardargli la gola, dopo che se ne è andato il bambino giocherà al dottore e ripeterà il procedimento violento su uno dei fratellini più piccoli che sia così indifeso nei suoi confronti come lo era lui nei confronti del dottore.35 È evidente in ciò una ribellione contro la passività e una preferenza per il ruolo attivo. Non in tutti i bambini si verifica in maniera ugualmente regolare ed energica questa conversione della passività in attività, che in alcuni può venir meno. Da questo comportamento si può trarre qualche conclusione sul relativo vigore della virilità e femminilità di cui i bambini daranno prova nella loro sessualità.

Le prime esperienze sessuali e le prime con un colorito sessuale che il bambino maschio e femmina fa con la madre sono naturalmente di natura passiva. Egli viene da lei allattato, imboccato, pulito, vestito e istruito in tutte le faccende. Una parte della libido del bambino rimane aderente a questa esperienza e la gode con le soddisfazioni ad essa collegate, un’altra parte si prova a rovesciarla in attività. Per prima cosa l’essere allattato al petto viene sostituito dalla suzione attiva. Nelle altre cose egli si contenta o dell’autonomia, cioè di fare lui ciò che prima subiva, o della ripetizione attiva, nel gioco, delle sue esperienze passive, oppure ancora tramuta la madre nell’oggetto verso il quale il bambino assume la parte di soggetto attivo. L’ultima soluzione, che appartiene al campo delle azioni vere e proprie, mi apparve per lungo tempo incredibile, finché l’esperienza dissipò ogni dubbio a questo proposito.

Si sente dire di rado che una bimba voglia lavare la madre, vestirla o ammonirla a fare i suoi bisogni. È vero che dice di quando in quando: “Adesso giochiamo che io sono la mamma e tu il bambino”, ma perlopiù esaudisce questi desideri attivi in modo indiretto giocando con la bambola, ove lei rappresenta la madre e la bambola il bambino. La preferenza del gioco con la bambola nelle femmine, al contrario dei maschi, viene in genere interpretata come indizio del primo destarsi della femminilità. Non a torto, solo non si deve trascurare che quello che qui emerge è il lato attivo della femminilità, e che questa preferenza della bambina testimonia probabilmente l’esclusività del vincolo con la madre nella completa incuria dell’oggetto paterno.

L’attività sessuale, così stupefacente, delle femmine verso la madre, si esprime, in ordine di tempo, in tendenze orali, sadistiche e infine persino falliche dirette verso la madre. È difficile qui indicare i particolari, poiché si tratta spesso di oscuri moti pulsionali che la bambina non può afferrare psichicamente allorché si presentano, che perciò hanno ricevuto un’interpretazione retrospettiva e poi nell’analisi affiorano in modi di esprimersi che in origine erano certo loro estranei. Talvolta essi si incontrano come traslazioni sul successivo oggetto paterno, al quale non appartengono e ove disturbano notevolmente l’intendimento. I desideri aggressivi orali e sadistici si trovano nella forma in cui sono stati per tempo costretti dalla rimozione, cioè come paura di venir uccisa dalla madre, timore che a sua volta giustifica il desiderio di morte verso la madre, se tale desiderio diviene cosciente. Quanto spesso questo timore della madre trovi sostegno in un’inconsapevole ostilità di questa, che la bambina indovina, non si può stabilire [vedi sopra, par. 1]. (La paura di venir divorati l’ho riscontrata fino ad ora solo nei maschi; essa è riferita al padre, ma tale angoscia è verosimilmente il prodotto di una trasformazione dell’aggressività orale diretta verso la madre. Si vuol divorare la madre di cui ci si è nutriti; nel padre, viene a mancare la ragione plausibile per questo desiderio.)

Le pazienti con un forte vincolo materno nelle quali potei studiare la fase preedipica hanno concordemente riferito che solevano opporre la più grande resistenza ai clisteri e alle lavande intestinali che la madre cercava di fare loro, reagendo con paura e urla di rabbia. Non è escluso che questo sia un comportamento molto frequente o addirittura normale nei bambini e nelle bambine. Raggiunsi per la prima volta la comprensione di ciò che sta alla base di questa straordinaria veemenza tramite un’osservazione di Ruth Mack Brunswick, la quale si occupava contemporaneamente a me dello stesso problema; ella paragonava lo scoppio di rabbia per l’enteroclisma all’orgasmo per la stimolazione dei genitali. L’angoscia sarebbe qui da intendere come trasformazione della voglia di aggredire che qui viene stimolata. Penso anch’io che sia così e che nella fase sadistico-anale all’intensa stimolazione passiva della zona intestinale corrisponda uno scoppio del desiderio di aggressione, che si estrinseca direttamente come rabbia o, in seguito alla sua repressione, come angoscia. Tale reazione pare esaurirsi in anni più tardi.

Tra i moti passivi della fase fallica spicca l’accusa regolarmente rivolta dalle bambine alla madre di averle sedotte, perché dovettero provare le prime o almeno le più forti sensazioni genitali durante la pulizia e la cura del corpo eseguita dalla madre (o da chi ne faceva le veci). La bambina gradisce queste sensazioni e invita la madre a rafforzarle attraverso un ripetuto contatto e sfregamento: così mi è stato spesso riferito da madri che avevano osservato questo comportamento nelle loro figliolette di due o tre anni. Il fatto che la madre schiude così immancabilmente la fase fallica alla bambina spiega, secondo me, perché nelle fantasie degli anni futuri il padre appare regolarmente come il seduttore sessuale. Col distacco dalla madre anche l’introduzione alla vita sessuale è trasmessa al padre.36

Nella fase fallica si destano infine anche moti attivi di desiderio verso la madre. L’attività sessuale di questo periodo culmina nella masturbazione alla clitoride; qui vi è verosimilmente un’idea della madre, ma dalla mia esperienza non si può ricavare se la bambina riconduca tutto ciò alla rappresentazione di una meta sessuale e quale sia questa meta. Soltanto quando tutti gli interessi della bambina ricevono un nuovo impulso dall’arrivo di un fratellino o di una sorellina tale meta diventa chiaramente individuabile. La bimba vuole aver fatto generare alla madre questo nuovo bambino, proprio come il maschio, e anche la sua reazione a questo avvenimento e il suo comportamento verso il neonato sono gli stessi. Tutto questo suona abbastanza assurdo, ma forse solo perché è insolito.

Il distacco dalla madre è un passo importantissimo nello sviluppo della bambina, è più di un semplice cambiamento oggettuale. Noi abbiamo già descritto ciò che lo provoca e tutte le sue pretese motivazioni; ora aggiungiamo che a mano a mano che esso procede si può osservare un graduale ma deciso eclissarsi degli impulsi sessuali attivi e un accrescersi di quelli passivi. Certo le aspirazioni attive hanno subito una maggior frustrazione, si sono dimostrate assolutamente inattuabili e perciò vengono anche più facilmente abbandonate dalla libido, ma anche dalla parte delle aspirazioni passive non sono mancate le delusioni. Spesso col distacco dalla madre cessa anche la masturbazione clitoridea, e abbastanza sovente, con la rimozione della virilità finora posseduta dalla bimba, viene compromessa durevolmente una buona parte delle sue aspirazioni sessuali in genere. Il trapasso all’oggetto paterno si attua con l’aiuto delle tendenze passive, nella misura in cui sono sopravvissute allo sconvolgimento. La via per lo sviluppo alla femminilità è ora aperta alla fanciulla, purché non venga ridotta a strettoia dai residui del vincolo materno preedipico, già superato.

Soffermandoci un momento a riconsiderare il periodo qui descritto dell’evoluzione sessuale femminile, non potremo esimerci dal trarre una precisa conclusione sull’intera femminilità. Abbiamo visto all’opera le medesime forze libidiche che ritroviamo nel maschio e siamo giunti alla persuasione che per un certo tempo tali forze battono la medesima strada nei due sessi e pervengono ai medesimi risultati.

[Nella bambina], successivamente, fattori biologici fanno deviare queste forze dalle loro mete iniziali e dirigono anche le tendenze attive, virili in tutti i sensi, sulle vie della femminilità. Poiché non possiamo prescindere dall’idea che l’eccitamento sessuale risalga all’azione di determinate sostanze chimiche, vien subito da aspettarsi che la biochimica debba un giorno fornirci una sostanza la cui presenza susciti l’eccitamento sessuale maschile, e un’altra che susciti quello femminile. Ma questa speranza pare non meno ingenua dell’altra, oggi per fortuna superata, di riuscire a distinguere al microscopio i germi dell’isteria, della nevrosi ossessiva, della melanconia eccetera.

Anche nella chimica sessuale le cose devono essere molto più complicate.37 Per la psicologia, però, è indifferente se nel corpo vi sia un’unica sostanza eccitante, o ve ne siano due, o un numero imprecisato. La psicoanalisi ci insegna che è sufficiente il concetto di una libido unica, la quale peraltro aspira a mete (vale a dire maniere di soddisfacimento) attive e passive. In questa contrapposizione, soprattutto nell’esistenza di tendenze libidiche con mete passive, è racchiuso il resto del problema.

4.

Se si esamina la letteratura analitica su questo argomento, ci si convince che essa contiene già tutto quello che ho qui esposto.38 Sarebbe stato inutile pubblicare questo lavoro se non fosse che in un campo così difficilmente accessibile qualsiasi resoconto di esperienze e opinioni personali ha il suo valore. Ho inoltre raggiunto in più punti una maggior precisione e li ho isolati con maggior cura. In alcuni dei saggi altrui l’esposizione si fa confusa perché trattano contemporaneamente il problema del Super-io e del senso di colpa. Ho evitato di far ciò e, nella descrizione dei vari esiti di questa fase evolutiva, ho evitato anche di affrontare le complicazioni che sorgono quando la bambina, delusa dal padre, ritorna al vincolo materno prima abbandonato, oppure quando, nel corso della vita, passa ripetutamente da un atteggiamento all’altro. Ma proprio perché il mio lavoro è solo un contributo tra gli altri, mi sia consentito prescindere da una critica approfondita della letteratura e limitarmi a rilevare significative concordanze con alcuni lavori e importanti divergenze con altri.

Nella magistrale descrizione, ancora insuperata, fatta da Abraham delle forme in cui si esprime il complesso di evirazione,39 si vorrebbe veder inserito il fattore del vincolo materno iniziale ed esclusivo. Non posso fare a meno di essere d’accordo nei punti essenziali con l’importante lavoro di Jeanne Lampl-de Groot sulla storia evolutiva del complesso edipico nella donna.40 Vi è qui il riconoscimento della piena identità della fase preedipica nei maschi e nelle femmine, e l’affermazione, confortata da numerose osservazioni, dell’attività sessuale (fallica) della bambina riguardo alla madre. Il distacco dalla madre viene ricondotto all’influsso della presa di coscienza dell’evirazione, che costringe la bambina a rinunciare all’oggetto sessuale e con questo spesso anche all’onanismo; viene coniata, per tutto questo processo, la formula per cui la bambina attraversa una fase di complesso edipico “negativo”, finché può entrare in quello positivo. Trovo inadeguato questo lavoro là dove presenta il distacco dalla madre come un puro cambiamento oggettuale, senza giungere alla dimostrazione che esso si svolge sotto i chiari segni dell’ostilità. Questa ostilità è messa in pieno risalto nell’ultimo lavoro di Helene Deutsch sul masochismo femminile e la sua relazione con la frigidità,41 dove viene anche riconosciuta l’attività fallica della bambina e l’intensità del suo vincolo materno. La Deutsch dichiara anche che la svolta verso il padre avviene sul terreno delle tendenze passive (già destate nel rapporto con la madre). Nel suo libro precedente Psicoanalisi delle funzioni sessuali femminili (1925)42 l’autrice non si era ancora liberata dall’impiego dello schema edipico anche per la fase preedipica, e perciò spiegava l’attività fallica della bambina come identificazione con il padre.

Fenichel, nel suo scritto sulla preistoria pregenitale del complesso edipico,43 pone giustamente l’accento sulla difficoltà di distinguere, nel materiale portato alla superficie mediante l’analisi, che cosa costituisca un contenuto immutato della fase preedipica e che cosa sia deformato per regressione (o in altra maniera). Egli non riconosce l’attività fallica della bambina nel senso attribuitole da Jeanne Lampl-de Groot, e polemizza anche contro l’“anticipazione” del complesso edipico proposta da Melanie Klein nel suo articolo sui primi stadi del conflitto edipico,44 spostato da lei già alle soglie del secondo anno di vita. Questa datazione altera necessariamente anche il modo di concepire tutte le altre circostanze dello sviluppo, ma non coincide con i risultati di fatto dell’analisi degli adulti e in particolare è inconciliabile con i miei accertamenti sulla lunga durata nella bambina del vincolo materno preedipico. Un modo per attenuare questo contrasto ce lo offre la riflessione che in questo campo non siamo ancora in grado di distinguere che cosa sia stabilito rigidamente da leggi biologiche e che cosa sia mobile e mutevole, affidato a esperienze accidentali. Come ci è noto da tempo riguardo all’influsso della seduzione, anche altri fattori – come il momento in cui nasce un fratello o una sorella o viene scoperta la differenza tra i sessi, come l’osservazione diretta del rapporto sessuale o il comportamento incoraggiante o scostante dei genitori ecc. – possono provocare un’accelerazione e maturazione dello sviluppo sessuale del bambino.

Presso alcuni autori trapela l’inclinazione a ridurre il significato dei primi, massimamente originari moti libidici dei bambini, a favore dei processi evolutivi posteriori, cosicché a quelli rimarrebbe, al limite, il compito di fornire solo certe direttrici, mentre le intensità45 che s’incanalano lungo queste vie sarebbero provvedute da successive regressioni e formazioni reattive. Così fa per esempio Karen Horney quando, scrivendo sulla fuga dalla femminilità,46 sostiene che l’invidia primaria del pene è da noi ampiamente sopravvalutata, mentre l’intensità con cui successivamente la bambina aspira alla virilità è da ascriversi a una invidia secondaria del pene, che viene impiegata per difendersi dagli impulsi femminili e in specie dal vincolo femminile al padre. Questo non corrisponde alle mie impressioni. Per sicuro che sia il fatto dei successivi rafforzamenti da regressione o da formazione reattiva, e per quanto possa essere difficile proporsi la stima relativa delle componenti libidiche che qui confluiscono, pure io penso che non dobbiamo trascurare l’altro fatto, che quei primi moti libidici possiedono una loro intensità, la quale resta superiore a tutte quelle che verranno dopo e alla quale propriamente spetta la qualifica di incommensurabile. È certamente vero che tra il vincolo paterno e il complesso di virilità esiste un’antitesi – antitesi generale tra attività e passività, mascolinità e femminilità –, ma non abbiamo nessuna ragione di supporre che solo l’uno sia primario e l’altro debba la sua forza solo alla sua funzione di difesa. E se la difesa contro la femminilità riesce così energica, da dove può trarre le sue forze se non dalla tendenza virile che ha trovato la sua prima espressione nell’invidia del pene e perciò merita di derivare da essa la sua definizione?

Un’analoga obiezione vale per la concezione di Jones esposta nel suo scritto sul primo sviluppo della sessualità femminile,47 secondo cui lo stadio fallico della bimba dev’essere piuttosto una reazione protettiva secondaria che un effettivo stadio dello sviluppo. Questo non corrisponde né ai rapporti dinamici né a quelli di tempo.

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