I. L’ELABORAZIONE SECONDARIA

Intendiamo finalmente porre in rilievo il quarto dei fattori che partecipano alla formazione del sogno.858

Proseguendo nell’indagine del contenuto onirico secondo il metodo introdotto poco fa, esaminandone cioè gli eventi di rilievo in base alla loro provenienza dai pensieri del sogno, incontriamo anche alcuni elementi la cui spiegazione richiede un’ipotesi del tutto nuova. Rammento i casi in cui nel sogno ci si stupisce, ci si adira, ci si ribella, e precisamente di fronte a una parte del contenuto onirico stesso. La maggior parte di questi spunti critici nel sogno non è rivolta contro il contenuto del sogno, bensì risulta essere parte del materiale onirico sussunta e opportunamente utilizzata, come ho mostrato con esempi appropriati [nei paragrafi precedenti]. Alcuni di questi spunti però non ammettono tale derivazione; non si riesce a trovarne il correlato nel materiale del sogno. Che cosa significa per esempio la critica, per nulla rara nel sogno: “È solo un sogno”? [Vedi il cap. 6, par. C, in OSF, vol. 3.] Questa è un’autentica critica del sogno, quale potrei fare nella veglia. Non è nemmeno raro, inoltre, ch’essa sia soltanto il preludio del risveglio; più spesso ancora è preceduta da una sensazione penosa che si calma dopo la costatazione dello stato di sogno. Ma il pensiero: “È solo un sogno”, durante il sogno, intende significare quel che significa, a scena aperta, in bocca alla bella Elena di Offenbach:859 esso vuole ridurre l’importanza dell’esperienza appena trascorsa e rendere possibile la sopportazione del seguito. Serve ad addormentare una certa istanza che in quel dato momento avrebbe tutte le ragioni di destarsi e di proibire la continuazione del sogno, o della scena. Ma è più comodo continuare a dormire e sopportare il sogno, “perché è soltanto un sogno.” Immagino che la critica dispregiativa: “È solo un sogno” compaia dunque nel sogno quando la censura, che non dorme mai totalmente, si sente colta di sorpresa dal sogno già ammesso. È troppo tardi per reprimerlo e così con quell’osservazione si oppone all’angoscia o alla sensazione penosa che scaturisce dal sogno. È una manifestazione di esprit d’escalier da parte della censura psichica.

Quest’esempio ci offre però una prova inconfutabile del fatto che non tutto ciò che è contenuto nel sogno proviene dai pensieri del medesimo, ma che una funzione psichica, non dissimile dal nostro pensiero vigile, può contribuire al contenuto onirico. Si tratta ora di sapere se ciò avviene soltanto eccezionalmente, oppure se all’istanza psichica, che di solito agisce soltanto come censura, spetta regolarmente una parte nella formazione del sogno.

Dobbiamo decidere senza esitazione per la seconda ipotesi. È indubbio che l’istanza censurante, la cui influenza abbiamo sinora riconosciuta soltanto nelle limitazioni e omissioni del contenuto onirico, provoca in esso anche interpolazioni e arricchimenti. Queste interpolazioni sono spesso facilmente riconoscibili; sono riferite timidamente, introdotte da un “come se”, non hanno di per sé alcuna vivacità particolare e sono sempre collocate in punti, nei quali possono servire a collegare due brani del contenuto onirico, ad avviare un rapporto fra due parti del sogno. Esse mantengono nella memoria una durata minore di quella degli autentici derivati del materiale onirico; se il sogno soggiace alla dimenticanza, sono le prime a cadere e io ho il forte sospetto che la nostra frequente lagnanza di aver molto sognato, di aver dimenticato la maggior parte dei sogni e di ricordare solo frammenti [vedi il cap. 6, par. A, in OSF, vol. 3], sia fondata sulla perdita subitanea proprio di questi pensieri di saldatura. Ad analisi completata, queste interpolazioni si tradiscono talvolta per il fatto che nei pensieri del sogno non si trova alcun materiale che vi si riferisca. Tuttavia, a un esame accurato, sono costretto a definire questo caso come piuttosto raro; perlopiù i pensieri intercalati sono comunque riconducibili a un materiale dei pensieri del sogno, che però non potrebbe pretendere, né per il proprio valore né per sovradeterminazione, d’essere accolto nel sogno. La funzione psichica che stiamo ora considerando nella formazione del sogno, promuove a quel che sembra creazioni nuove soltanto in caso estremo; finché è possibile, utilizza ciò che può rintracciare di conveniente nel materiale onirico.

Ciò che distingue e tradisce questa parte del lavoro onirico è la sua tendenza.860 È una funzione che procede come il filosofo, nella maliziosa asserzione del poeta: con le sue pezze e le sue toppe, tura le lacune esistenti nella struttura del sogno.861 Il suo sforzo fa sì che il sogno perda l’apparenza dell’assurdità e dell’incoerenza e si avvicini al modello di un’esperienza comprensibile. Ma lo sforzo non sempre è coronato da pieno successo. Si formano dunque sogni che, a un’osservazione superficiale, possono apparire perfettamente logici e corretti; partono da una situazione possibile, la svolgono attraverso mutamenti privi di contraddizioni e giungono, per quanto questo sia il caso più raro, a una conclusione che non sorprende. Questi sogni hanno subito l’elaborazione più profonda da parte di questa funzione psichica, simile al pensiero vigile; sembrano avere un senso, ma questo senso è anche il più distante dal reale significato del sogno. Analizzandoli, ci convinciamo che l’elaborazione secondaria del sogno ha trattato il materiale nel modo più libero, conservando con esso il minor numero di relazioni. Sono sogni che, per così dire, sono già stati interpretati una volta, prima che noi li interpretiamo nella veglia.862

In altri casi quest’elaborazione tendenziosa è riuscita soltanto in un brano: fino a un certo punto sembra regnare la coerenza, poi il sogno diventa insensato o confuso, per raggiungere eventualmente un’altra volta, nel suo decorso, la parvenza della ragionevolezza. In altri sogni ancora, l’elaborazione è completamente fallita: ci troviamo disarmati di fronte a un assurdo cumulo di frammenti del contenuto onirico.

A questa quarta potenza formatrice del sogno, che presto ci risulterà già nota – in realtà è l’unica delle quattro che formano il sogno a esserci familiare anche per altro verso – a questo quarto momento determinante, dunque, non vorrei negare perentoriamente la capacità creativa di fornire al sogno nuovi contributi. Ma sicuramente anche la sua influenza, al pari di quella delle altre, si manifesta in modo dominante nelle preferenze e nelle scelte di materiale psichico già formato nei pensieri del sogno. Esiste però un caso in cui la fatica di aggiungere al sogno per così dire una facciata le viene per la maggior parte risparmiata, in quanto una creazione del genere si trova già pronta, in attesa d’essere utilizzata, nel materiale dei pensieri del sogno. Quest’elemento dei pensieri del sogno che considero ora, ho l’abitudine di denominarlo “fantasia”; e forse eviterò malintesi, indicando subito il “sogno a occhi aperti” come suo corrispettivo nella vita vigile.863 Gli psichiatri non hanno ancora completamente riconosciuto e chiarito la parte di quest’elemento nella nostra vita psichica; l’apprezzamento che ne ha fatto Benedikt mi sembra un inizio molto promettente.864 Il significato del “sogno a occhi aperti” non è sfuggito alla sicura chiaroveggenza dei poeti ed è notissima la descrizione che Alphonse Daudet fa dei sogni a occhi aperti di un personaggio minore del suo romanzo Il nababbo. [Vedi il cap. 7, par. B, in OSF, vol. 3.] Lo studio delle psiconevrosi porta alla sorprendente scoperta che queste fantasie o sogni a occhi aperti sono il primo gradino dei sintomi isterici, o almeno di tutta una serie di essi; i sintomi non sono legati ai ricordi stessi, bensì alle fantasie costruite in base ai ricordi. La frequente comparsa di fantasie diurne coscienti ci facilita la conoscenza di queste formazioni; ma come esistono fantasie coscienti, ne esistono numerosissime inconsce, costrette a rimaner tali a causa del loro contenuto e della loro derivazione dal materiale rimosso. Un ulteriore approfondimento dei caratteri delle fantasie diurne ci insegna che a buon diritto è toccato a queste formazioni lo stesso nome delle nostre produzioni mentali notturne, il nome: sogni. Esse hanno in comune con i sogni notturni una parte essenziale delle loro caratteristiche. Il loro esame avrebbe potuto veramente dischiuderci la via d’accesso più breve e migliore per la comprensione dei sogni notturni.

Come i sogni, esse sono appagamenti di desiderio; come i sogni, si basano in buona parte su impressioni di vicende infantili; come i sogni, godono per le loro creazioni di una certa indulgenza da parte della censura. Indagando sulla loro composizione, si scopre che lo spunto di desiderio che si manifesta nella loro produzione ha mischiato, riordinato e congegnato in un nuovo insieme il materiale con cui sono costruite. Con i ricordi infantili, ai quali si rifanno, hanno pressappoco lo stesso rapporto che certi palazzi barocchi di Roma hanno con le antiche rovine, le cui pietre quadre e le cui colonne hanno fornito il materiale per la costruzione più recente.

Nell’“elaborazione secondaria” del contenuto onirico, che abbiamo attribuito al quarto momento formativo del sogno, ritroviamo la stessa attività che può manifestarsi, senza inibizione da parte di altri fattori, nella creazione dei sogni a occhi aperti. Potremmo dire senz’altro che questo nostro quarto momento determinante cerca di plasmare, a partire dal materiale offertogli, qualche cosa come un sogno a occhi aperti. Qualora però un simile sogno a occhi aperti esista già nel contesto dei pensieri del sogno, questo fattore del lavoro onirico se ne impadronirà con particolare predilezione e farà in modo che giunga nel contenuto del sogno. Esistono sogni che consistono unicamente nella ripetizione di una fantasia diurna, rimasta forse inconscia, come per esempio il sogno del fanciullo che procede sul carro di battaglia insieme agli eroi della guerra di Troia [vedi il cap. 3, in OSF, vol. 3]. Nel mio sogno “Autodidasker” [vedi nel cap. 6, par. A, sottopar. 3, punti 4, 5, in OSF, vol. 3], perlomeno la seconda parte è la fedele ripetizione di una fantasia diurna, di per sé innocente, sui miei rapporti con il professor N. Dipende dalla complessità delle condizioni che il sogno deve soddisfare nel suo sorgere, il fatto che la fantasia già pronta costituisca il più delle volte una parte del sogno, o che soltanto una parte di essa penetri nel contenuto del sogno. Nel complesso, la fantasia viene quindi trattata come qualsiasi altro elemento del materiale latente, ma spesso è ancora riconoscibile nel sogno come un tutto unico. Nei miei sogni esistono spesso parti che spiccano per un’impressione diversa dalle altre. Mi sembrano per così dire scorrevoli, più coerenti e nello stesso tempo più fugaci delle altre parti dello stesso sogno; lo so, sono fantasie inconsce che giungono ben connesse nel sogno, ma non sono mai riuscito a fissarne una. Del resto queste fantasie, al pari di tutti gli altri elementi dei pensieri del sogno, vengono accostate fra loro, condensate, stratificate le une sopra le altre e così via; esistono però gradazioni diverse, dal caso in cui riescono, quasi inalterate, a formare il contenuto o almeno la facciata del sogno, fino al caso opposto, in cui sono rappresentate nel contenuto del sogno soltanto da uno dei loro elementi o da una lontana allusione a uno di essi. Evidentemente, è determinante anche per la sorte delle fantasie esistenti nei pensieri del sogno, quali vantaggi esse possano contrapporre alle esigenze della censura e alle necessità della condensazione.

Nella mia scelta di esempi per l’interpretazione del sogno ho evitato, nei limiti del possibile, i sogni nei quali hanno una parte di rilievo fantasie inconsce, perché l’introduzione di quest’elemento psichico avrebbe richiesto ampie discussioni sulla psicologia del pensiero inconscio. Tuttavia, non posso eludere completamente la “fantasia” neppure in questo contesto, dato che spesso giunge completa nel sogno e più spesso ancora vi traspare nitidamente. Intendo quindi riferire ancora un altro sogno, che appare composto di due fantasie diverse, antitetiche, che si sovrappongono a vicenda in singoli punti e di cui l’una è superficiale, mentre l’altra diventa in certo modo l’interpretazione della prima.865 [Vedi il cap. 6, par. I, in OSF, vol. 3.]

Il sogno – è l’unico di cui non possegga accurati appunti – era pressappoco il seguente: Il sognatore, un giovane scapolo, è seduto nella sua trattoria abituale, che è vista con esattezza. Compaiono poi più persone per portarlo via e fra loro una che lo vuole arrestare. Dice ai suoi compagni di tavolo: “Pago più tardi, ritornerò.” Ma questi replicano sogghignando: “Lo sapevamo già, dicono tutti così.” Un avventore gli grida alle spalle: “Ecco un altro che se ne va.” Egli viene quindi condotto in uno stretto locale dove trova una donna con un bambino in braccio. Uno dei suoi accompagnatori dice: “Questo è il signor Müller.” Un commissario, oppure un altro funzionario, sfoglia un pacco di biglietti o di carte ripetendo: “Müller, Müller, Müller.” Finalmente gli rivolge una domanda alla quale egli risponde affermativamente. Egli si volta quindi verso la donna e nota che le è cresciuta una gran barba.

In questo caso è facile separare le due componenti. Quella superficiale è una fantasia di arresto e ci sembra creata ex novo dal lavoro onirico. Ma dietro di essa si rende visibile, come materiale leggermente trasformato dal lavoro onirico, la fantasia di matrimonio, e i tratti che possono essere comuni a entrambe risultano ancora una volta con particolare nitidezza, come in una fotografia sovrapposta di Galton [vedi il cap. 4, in OSF, vol. 3]. La promessa dell’uomo, sino allora scapolo, di tornare al suo posto presso il tavolo degli amici, l’incredulità dei compagni, resi cauti dalle molte esperienze, il grido alle spalle: “Ecco un altro che se ne va (si sposa)”, questi sono tratti facilmente comprensibili anche dal punto di vista dell’altra interpretazione. Così pure la risposta affermativa data al funzionario. L’atto di sfogliare un mucchio di carte, ripetendo lo stesso nome, corrisponde a una circostanza secondaria, ma ben riconoscibile, delle cerimonie nuziali, cioè alla lettura ad alta voce dei telegrammi d’augurio che giungono a mucchi, indirizzati tutti allo stesso nome. Con la comparsa della sposa in persona, la fantasia di matrimonio riporta addirittura la vittoria sulla fantasia di arresto che la copre. Il fatto che alla fine la sposa metta in mostra una barba, ho potuto spiegarlo con un’informazione – il sogno non fu sottoposto ad analisi –: il giorno prima il sognatore era passato per strada con un amico, nemico quanto lui del matrimonio, e gli aveva fatto notare una bella bruna che veniva loro incontro. Ma l’amico aveva osservato: “Sì, certo, se però con gli anni a queste donne non crescesse la barba come al padre loro.”

Naturalmente anche questo sogno non manca di elementi, nei quali la deformazione onirica ha operato più a fondo. Così la frase: “Pagherò più tardi” potrebbe avere per mira il paventato comportamento del suocero in fatto di dote. È evidente che considerazioni di vario tipo trattengono il sognatore dall’abbandonarsi con soddisfazione alla fantasia di matrimonio. Una di queste considerazioni, quella per cui col matrimonio si perde la propria libertà, si è incarnata nella trasformazione in una scena di arresto.

Rifacendoci ancora una volta al fatto che il lavoro onirico si serve volentieri di una fantasia che trova bell’e pronta, anziché comporne una col materiale dei pensieri del sogno, forse risolveremo uno degli enigmi più interessanti del sogno. Ho raccontato (vedi nel cap. 1, par. C, sottopar. 1, in OSF, vol. 3) il sogno di Maury, il quale, colpito alla nuca da un’assicella, si sveglia da un lungo sogno, un romanzo completo sull’epoca della grande Rivoluzione. Dato che il sogno ci viene presentato come coerente ed è completamente costruito in modo da spiegare lo stimolo di risveglio, il cui verificarsi non poteva essere intuito dal sognatore, sembra si sia ridotti a supporre come unica ipotesi che tutto il ricco sogno sia stato composto e si sia svolto nel breve periodo di tempo fra la caduta dell’asse sulla vertebra cervicale di Maury e il risveglio prodotto dal colpo. Non oseremmo attribuire una tale rapidità al lavoro mentale vigile e giungeremmo pertanto a riconoscere al lavoro onirico il privilegio di un decorso notevolmente accelerato.

A questa conclusione, rapidamente divenuta popolare, autori più recenti hanno mosso vivaci obiezioni.866 In parte esse pongono in dubbio l’esattezza del resoconto fatto da Maury, in parte tentano di dimostrare che la rapidità delle nostre attività mentali vigili non è minore di quella che è possibile concedere alla produzione onirica. La discussione solleva questioni di principio la cui soluzione non mi sembra imminente. Debbo però confessare che l’argomentazione, per esempio quella svolta da Egger proprio a proposito del sogno della ghigliottina di Maury, non mi è sembrata persuasiva. Di questo sogno, io vorrei proporre la spiegazione seguente. È poi tanto improbabile che il sogno di Maury rappresenti una fantasia conservata da anni, già pronta nella sua memoria, destata – vorrei dire “allusa” – nel momento in cui egli riconobbe lo stimolo del risveglio? In questo modo verrebbe a cadere per prima cosa ogni difficoltà a comporre una storia tanto lunga e minuziosa nel periodo di tempo estremamente ridotto che il sognatore ha a sua disposizione: era già composta. Se il legno avesse colpito la nuca di Maury durante la veglia, egli avrebbe forse avuto tempo di pensare: “È proprio come essere ghigliottinato.” Ma dato che egli è stato colpito dall’asse durante il sonno, il lavoro onirico utilizza rapidamente questo stimolo per produrre un appagamento di desiderio, come se pensasse (sia preso in senso del tutto figurato): “Ecco una buona occasione per realizzare quella fantasia di desiderio che mi sono creato in quel determinato periodo, nel corso della lettura.” Che il romanzo sognato sia appunto uno di quei romanzi che un adolescente è solito creare sotto lo stimolo di impressioni fortemente eccitanti, non mi sembra si possa contestare. Chi non si sarebbe sentito affascinato – e per di più come francese e storico della civiltà – dalle descrizioni dell’epoca del Terrore, quando l’aristocrazia, uomini e donne, il fiore della nazione, mostrò come si possa morire con animo sereno mantenendo la vivacità del proprio spirito e la finezza del proprio stile di vita, sino alla chiamata fatale? Com’è seducente immaginare di essere uno dei giovani che si congedano col baciamano dalla signora, prima di salire impassibili sul patibolo! Oppure, se il motivo principale di quel fantasticare è stato l’ambizione, immedesimarsi in una di quelle possenti individualità che con la sola forza dei loro pensieri e della loro focosa eloquenza dominano la città nella quale pulsano le passioni dell’umanità; che in nome dell’ideale mandano a morte migliaia di persone e preparano la trasformazione d’Europa, mentre non sono sicuri neppure della propria testa e un giorno la pongono sotto la lama della ghigliottina: per esempio nella parte di uno dei Girondini o dell’eroe Danton? Che la fantasia di Maury sia stata del tipo ambizioso, sembra indicato da un tratto che si è conservato nel ricordo: “accompagnato da un’immensa moltitudine”.

Non occorre però che tutta questa fantasia, pronta da tempo, venga percorsa interamente durante il sogno; basta che venga per così dire appena “sfiorata.” Intendo dire questo: se si eseguono un paio di battute e qualcuno, come avviene nel Don Giovanni, dice: “È dalle Nozze di Figaro di Mozart”, tutt’in una volta fluttuano in me ricordi, dei quali però, un attimo dopo, niente di isolato può giungere alla coscienza. La battuta significativa serve da punto di irruzione, a partire dal quale viene posto contemporaneamente in eccitazione tutto un complesso. Potrebbe non succedere diversamente nel pensiero inconscio. Attraverso lo stimolo del risveglio, viene eccitato il punto psichico che dischiude l’accesso all’intera fantasia della ghigliottina. Questa però non viene percorsa durante il sonno, ma soltanto nel ricordo, dopo il risveglio. Da svegli, ricordiamo ora nei suoi particolari la fantasia, che nel sogno è stata toccata per intero. Così non abbiamo alcun mezzo per assicurarci che ricordiamo effettivamente qualche cosa di sognato. La stessa spiegazione, che si tratti cioè di fantasie già pronte che vengono suscitate, come un tutto unico, dallo stimolo del risveglio, si può dare anche per altri sogni impostati sullo stimolo del risveglio, per esempio per il sogno di battaglia di Napoleone, prima dell’esplosione della macchina infernale [vedi il cap. 1, par. C, sottopar. 1 e il cap. 5, par. C, in OSF, vol. 3].

Tra i sogni raccolti da Justine Tobowolska nella sua dissertazione sulla durata apparente del sogno,867 il più probante mi sembra quello riferito da Macario, del drammaturgo Casimir Bonjour.868 Costui volle assistere una sera alla prima di un suo lavoro, ma per la stanchezza si appisolò al suo posto dietro le quinte proprio nel momento in cui si alzava il sipario. Nel sonno egli ripercorse tutti i cinque atti del suo lavoro, notando i vari segni di commozione manifestati dagli ascoltatori durante le singole scene. Al termine della rappresentazione, udì tutto beato il suo nome pronunziato tra le più vive espressioni di plauso. All’improvviso si svegliò. Ciò che vide e udì gli parve incredibile: la rappresentazione non era andata oltre i primi versi della prima scena; egli non poteva aver dormito più di due minuti. Non è certo troppo azzardato affermare, per questo sogno, che il ripercorrere cinque atti del dramma, il notare la reazione del pubblico alle singole scene, non comporta di necessità una creazione nuova durante il sonno, ma può invece ripetere nel senso indicato un lavoro di fantasia già compiuto. La Tobowolska, insieme ad altri autori, rileva che i sogni con un decorso rappresentativo accelerato hanno in comune la caratteristica di apparire singolarmente coerenti, a differenza di altri sogni, e che il ricordo di essi è più sommario che particolareggiato. Ma questi dovrebbero essere per l’appunto i caratteri che spettano a codeste fantasie compiute, sfiorate dal lavoro onirico, conclusione, questa, che gli autori peraltro non traggono. Non voglio tuttavia affermare che tutti i sogni di risveglio ammettano questa spiegazione o che il problema dell’accelerazione del decorso rappresentativo nel sogno si possa risolvere unicamente in questo modo.

È inevitabile occuparsi a questo punto del rapporto tra quest’elaborazione secondaria del contenuto onirico e gli altri fattori del lavoro onirico. Forse si può immaginare che i momenti determinanti nella formazione del sogno – la tendenza alla condensazione, la necessità di evitare la censura e la considerazione della raffigurabilità nei mezzi psichici del sogno – formino dapprima, in base al materiale disponibile, un contenuto onirico provvisorio, e che poi questo venga riplasmato sino a soddisfare, nei limiti del possibile, le esigenze di una seconda istanza? È poco probabile. Dobbiamo supporre piuttosto che le esigenze di quest’istanza costituiscano fin dall’inizio una delle condizioni che il sogno deve soddisfare e che questa condizione – al pari di quelle della condensazione, della censura di resistenza e della raffigurabilità – agisca contemporaneamente sul vasto materiale dei pensieri del sogno, in senso induttivo e selettivo. Ma fra le quattro condizioni della formazione onirica, l’ultima descritta è in ogni modo quella le cui esigenze sembrano le meno imperative per il sogno. L’identificazione di questa funzione psichica, che intraprende la cosiddetta elaborazione secondaria del contenuto onirico, con il lavoro del nostro pensiero vigile, risulta altamente probabile per la considerazione seguente: il nostro pensiero vigile (preconscio)869 si comporta, nei confronti di un materiale percettivo qualsiasi, esattamente come la funzione anzidetta nei confronti del contenuto onirico. È per esso naturale far ordine in tale materiale, creare delle relazioni, ridurlo a una coerenza intelligibile, conforme alle nostre aspettative [vedi il cap. 1, par. C, sottopar. 1 e il cap. 1, par. D, in OSF, vol. 3]. Anzi in questo senso andiamo anche troppo avanti: e la bravura dei prestigiatori si fa beffe di noi, basandosi appunto su questa nostra abitudine intellettuale. Nello sforzo di comporre in modo comprensibile le impressioni sensoriali che ci vengono offerte, commettiamo spesso gli errori più strani o falsifichiamo addirittura la verità del materiale che abbiamo dinanzi. Le prove di questo fatto sono troppo note a tutti per richiedere ampia citazione. Leggiamo senza curarci di certi errori di stampa che disturbano il senso, perché ci formiamo l’illusione di leggere il testo esatto. Sembra che il redattore di un giornale francese molto letto osasse scommettere di far stampare un lungo articolo intercalando ad ogni frase “davanti” o “dietro”, senza che uno solo dei lettori se ne accorgesse. Vinse la scommessa. Leggendo un giornale, anni fa, fui colpito da un curioso esempio di connessione errata. Dopo la seduta della camera francese in cui Dupuy, con l’intrepida frase “La séance continue”, fece cessare il terrore prodotto dallo scoppio di una bomba buttata nella sala da un anarchico, coloro che avevano assistito all’evento dalla galleria vennero interrogati come testimoni sulle loro impressioni di fronte all’attentato. Tra loro si trovavano due provinciali: uno raccontò di aver effettivamente udito, alla fine di un discorso, una detonazione, ma di aver creduto che fosse consuetudine parlamentare sparare un colpo al termine di ogni discorso. L’altro, che probabilmente aveva già udito parecchi oratori, incorse nel medesimo giudizio, con la variante tuttavia che tale sparo fosse un riconoscimento, che si faceva seguire soltanto a discorsi particolarmente riusciti.

Dunque non è se non il nostro pensiero normale l’istanza psichica che si avvicina al contenuto onirico con la pretesa ch’esso sia intelligibile, lo sottopone a una prima interpretazione e ne provoca in questo modo il totale fraintendimento. [Vedi il cap. 6, par. I, in OSF, vol. 3.] Alla nostra interpretazione resta dunque prescritto di tralasciare in ogni caso l’apparente coerenza del sogno, perché di origine sospetta, e di riandare, sia per gli elementi chiari sia per quelli confusi, al materiale onirico.

In questo modo però notiamo da che cosa dipende essenzialmente la scala qualitativa dei sogni, estesa dalla confusione alla chiarezza (vedi il cap. 6, par. C, in OSF, vol. 3). Chiare ci appaiono le parti del sogno nelle quali l’elaborazione secondaria è riuscita a conseguire qualche risultato, confuse le altre, alle quali è mancata la forza di quest’attività. Dato che le parti confuse sono spesso anche quelle espresse con minor vivacità, possiamo concludere che il lavoro onirico secondario va ritenuto responsabile anche di un contributo all’intensità plastica delle singole figurazioni oniriche.

Volgendomi alla ricerca di un qualche cosa che sia paragonabile alla struttura definitiva del sogno, quale risulta dalla cooperazione del pensiero normale, non trovo altro che quelle enigmatiche iscrizioni, con cui i “Fliegende Blätter” hanno divertito per tanto tempo i loro lettori. Una certa frase, di ambito dialettale per amore di contrasto, e di significato il più scurrile possibile, deve far credere di racchiudere un’iscrizione latina. A questo scopo le lettere delle parole vengono strappate dalla loro connessione sillabica e disposte in un nuovo ordine. Qua e là si forma un’autentica parola latina, in altri punti crediamo di trovarci di fronte ad abbreviazioni di parole latine e in altri punti ancora dell’iscrizione, l’apparenza di parti disgregate o di lacune ci maschera l’assenza di significato delle lettere isolate. Se non vogliamo cader vittime dello scherzo, dobbiamo rinunciare a considerarla tipicamente un’iscrizione, prendere in considerazione le lettere in quanto tali e, senza curarci dell’ordine che è stato loro dato, comporle in parole della nostra madre lingua.870

L’elaborazione secondaria871 è il momento determinante del lavoro onirico che è stato osservato e valutato nella sua importanza dalla maggior parte degli studiosi. Havelock Ellis ne descrive l’attività in una gaia allegoria:872 “Possiamo in realtà immaginare che la coscienza del sonno dica a sé stessa: ‘Ecco qua il nostro maestro, la coscienza vigile, che dà un’enorme importanza alla ragione, alla logica, e così via. Su, presto! Piglia le cose, mettile in ordine, ogni ordine è buono, prima che entri lei a occupare la scena.’”

L’identità di questo modo di procedere con quello del pensiero vigile è affermata con particolare chiarezza da Delacroix:873 “Questa funzione interpretativa non è peculiare del sogno: è lo stesso lavoro di coordinamento logico che noi facciamo sulle nostre sensazioni durante la veglia.” James Sully sostiene la stessa concezione.874 Così pure la Tobowolska:875 “Su queste successioni incoerenti d’allucinazioni, lo spirito si sforza di compiere lo stesso lavoro di coordinamento che fa, durante la veglia, sulle sensazioni: collega tra di loro, in un legame immaginario, tutte queste immagini distaccate e colma le lacune troppo ampie che si trovano fra di esse.”

Per alcuni studiosi quest’attività di ordinamento e interpretazione incomincia già durante il sogno e continua nella veglia. Per esempio Paulhan:876 “Ho pensato spesso, tuttavia, che potesse esserci una certa deformazione del sogno, o meglio riformazione, nel ricordo... La tendenza sistematizzante dell’immaginazione potrebbe benissimo compiere dopo il risveglio ciò che ha abbozzato durante il sonno; così, la rapidità reale del pensiero sarebbe aumentata in apparenza dai perfezionamenti dovuti all’immaginazione vigile.” Bernard-Leroy e Tobowolska:877 “Nel sogno, al contrario, l’interpretazione e il coordinamento si hanno non solamente in forza dei dati del sogno, ma anche per l’aiuto di quelli della veglia...”

Era quindi inevitabile che questo momento della formazione del sogno, l’unico riconosciuto, venisse sopravvalutato, tanto da attribuirgli l’intera creazione del sogno. Questa creazione dovrebbe compiersi nel momento del risveglio come sostengono Goblot e, in senso più lato, Foucault,878 i quali attribuiscono al pensiero vigile la facoltà di formare il sogno con i pensieri che emergono dal sonno.

Bernard-Leroy e Tobowolska affermano a proposito di questa concezione: “Si è creduto di poter situare il sogno al momento del risveglio, e si è attribuita al pensiero vigile la funzione di costruire il sogno con le immagini presenti nel pensiero del sonno.”

Alla valutazione dell’elaborazione secondaria connetto l’esame di un nuovo contributo al lavoro del sogno, messo in luce da alcune sottili osservazioni di Herbert Silberer. Come ho già riferito altrove (vedi il cap. 6, par. D, in OSF, vol. 3), Silberer ha colto per così dire in flagrante la trasposizione del pensiero in immagine, costringendosi a un’attività mentale in stato di stanchezza e sonnolenza. Il pensiero elaborato dileguava e al suo posto si presentava una visione, che si rivelava essere il surrogato di quel pensiero perlopiù astratto (ibid.). Ora, durante questi esperimenti, accadeva che l’immagine emergente, corrispondente a un elemento onirico, raffigurasse qualche cosa di diverso dal pensiero in attesa di elaborazione, raffigurasse cioè la stanchezza stessa, la difficoltà o l’avversione per tale lavoro, dunque, al posto dell’oggetto della sua fatica, lo stato soggettivo e la situazione funzionale della persona che si affaticava. Silberer definì questo caso, che in lui era assai frequente, “fenomeno funzionale”, per contraddistinguerlo dal “fenomeno materiale”, che ci si doveva aspettare.

Per esempio: “Un pomeriggio sono disteso, pieno di sonno, sul mio divano, ma mi costringo a riflettere su un problema filosofico. Cerco precisamente di porre in paragone le concezioni del tempo in Kant e Schopenhauer. La sonnolenza mi impedisce di fissare contemporaneamente le idee di entrambi, come sarebbe necessario per effettuare il confronto. Dopo vari tentativi senza risultato, mi imprimo ancora una volta nella mente, con tutta la mia forza di volontà, il ragionamento kantiano, per applicarlo poi all’impostazione schopenhaueriana del problema. Dopo di che rivolgo la mia attenzione a quest’ultima; ma appena tento di ritornare a Kant, ecco che è di nuovo svanito, e invano mi sforzo di riprenderlo. Questo vano sforzo di ritrovare lì per lì gli enunciati di Kant, smarriti in qualche punto della mia mente, mi si presenta ora a occhi chiusi, improvvisamente, come nell’immagine onirica, in forma di simbolo plastico-visivo: Chiedo un’informazione a un segretario scorbutico che, chino sulla scrivania, non si lascia disturbare dalla mia insistenza. Alzandosi a metà mi guarda sdegnato e scostante.879

Altri esempi che si riferiscono all’ondeggiamento tra sonno e veglia:

“Esempio n. 2. Circostanze: di mattina, al risveglio. Ripensando, in uno stato di sonno abbastanza profondo (stato crepuscolare), a un sogno precedente, in un certo senso risognandolo e portandolo a compimento, sento che mi sto avvicinando alla coscienza vigile, voglio però rimanere ancora nello stato crepuscolare.

“Scena: oltrepasso un ruscello con un piede, ma lo ritiro immediatamente e tento di rimanere al di qua.”880

“Esempio n. 6. Circostanze: come nell’esempio n. 4” [vuole restare a letto ancora un po’ senza però cadere addormentato]. “Voglio abbandonarmi ancora un poco al sonno.

“Scena: mi congedo da qualcuno e prendo accordi con lui (o con lei) per reincontrarlo(la) presto.”881

Il fenomeno “funzionale”, la “rappresentazione dello stato anziché dell’oggetto”, fu osservato da Silberer essenzialmente nelle due condizioni dell’addormentamento e del risveglio. È facile comprendere come solo quest’ultima abbia importanza per l’interpretazione del sogno. Con esempi efficaci Silberer ha dimostrato che il brano finale del contenuto manifesto di molti sogni, che sono seguiti immediatamente dal risveglio, non rappresenta altro che il proponimento o il processo del risveglio stesso. Servono a questo scopo: il varcare una soglia (“simbolismo della soglia”), il lasciare un ambiente per entrare in un altro, il partire, il tornare a casa, il separarsi da un compagno, il tuffarsi nell’acqua e così via. Non posso peraltro fare a meno di osservare che nei miei sogni, nonché in quelli delle persone da me analizzate, gli elementi onirici riferibili al simbolismo della soglia sono di gran lunga meno frequenti di quanto avremmo dovuto aspettarci, stando alle comunicazioni di Silberer.

Non è affatto impensabile o improbabile che questo “simbolismo della soglia” possa spiegare anche taluni elementi al centro della trama onirica, per esempio lì dove si hanno oscillazioni nella profondità del sonno, e la tendenza a interrompere il sogno. Esempi sicuri di questo fenomeno, però, non sono stati ancora forniti.882 Più frequente sembra il caso della sovradeterminazione, quando cioè un punto del sogno, che trae il suo contenuto di base dalla compagine dei pensieri onirici, viene usato anche per rappresentare uno stato dell’attività psichica.

L’interessantissimo fenomeno funzionale di Silberer ha provocato, senza colpa dell’autore, molti abusi, perché in esso ha trovato appoggio l’antica tendenza all’interpretazione simbolico-astratta dei sogni. In alcuni, il privilegio accordato alla “categoria funzionale” si spinge sino a farli parlare di fenomeno funzionale ogniqualvolta nel contenuto dei pensieri del sogno compaiono attività intellettuali o processi sentimentali, quantunque questo materiale abbia diritto né più né meno di tutto il resto a entrare nel sogno in qualità di residuo diurno.883

Riconosciamo che i fenomeni di Silberer costituiscono un secondo contributo da parte del pensiero vigile alla formazione del sogno (a dire il vero meno costante e meno importante del primo, introdotto sotto il nome di “elaborazione secondaria”). Si è visto che parte dell’attenzione attiva durante il giorno rimane desta anche durante il sonno, rivolta al sogno, controllandolo, criticandolo e riservandosi la facoltà di interromperlo. È stato ovvio riconoscere in quest’istanza psichica che permane il censore,884 al quale spetta un’influenza così fortemente limitativa sulla configurazione del sogno. Ciò che le osservazioni di Silberer aggiungono è che in determinate circostanze interviene una specie di autosservazione, che dà il suo contributo al contenuto onirico. Dei probabili rapporti tra quest’istanza di autosservazione – che può farsi invadente soprattutto in menti filosofiche – e la percezione endopsichica, il delirio di attenzione, la coscienza e il censore del sogno converrà trattare in altra sede.885

Mi accingo ora a riassumere886 quest’estesa trattazione del lavoro onirico. Ci siamo trovati di fronte a una questione impostata in questi termini: nella formazione del sogno, la psiche fa uso di tutte le sue facoltà in libero svolgimento o soltanto di una loro frazione, impedita nella sua prestazione? Le nostre indagini ci portano a rifiutare una tale impostazione, perché inadeguata alle situazioni di fatto. Ma volendo rimanere, nella risposta, sullo stesso piano imposto dalla domanda, dobbiamo asserire la verità di ambedue le concezioni, che apparentemente si escludono a vicenda in quanto antitetiche. Nella formazione del sogno, il lavoro psichico si scompone in due operazioni: produzione dei pensieri del sogno, e loro trasformazione in contenuto del sogno. I pensieri del sogno sono formati in modo perfettamente corretto e con tutta l’energia psichica di cui siamo capaci; appartengono al pensiero che non è divenuto cosciente, dal quale derivano, attraverso una determinata trasformazione, anche i pensieri coscienti. Per quanto possano essere importanti e misteriosi gli enigmi che si nascondono nei pensieri onirici, essi tuttavia non hanno alcun rapporto particolare col sogno e non meritano di essere trattati fra i problemi del sogno.887 L’altra parte del lavoro, invece, l’operazione che trasforma i pensieri inconsci in contenuto onirico, è peculiare e tipica della vita del sogno. Ora questo lavoro onirico vero e proprio si stacca dal modello del pensiero vigile molto più di quanto abbiano supposto perfino i denigratori più accesi dell’opera della psiche nella creazione del sogno. Non che esso sia più sciatto, più scorretto, più smemorato, più incompleto del pensiero vigile; è qualche cosa di interamente diverso qualitativamente e perciò non immediatamente confrontabile con esso. Non pensa, non calcola, non giudica affatto, si limita a trasformare. È possibile farne una descrizione esauriente, tenendo presenti le condizioni cui deve sottostare la sua creazione. Questo prodotto, il sogno, dev’essere prima di tutto sottratto alla censura e a questo scopo il lavoro onirico si serve dello spostamento delle intensità psichiche, fino alla trasmutazione di tutti i valori psichici; i pensieri debbono essere resi, esclusivamente o prevalentemente, come tracce mnestiche visive o acustiche e da quest’esigenza sorge per il lavoro onirico la considerazione della raffigurabilità, cui esso risponde mediante nuovi spostamenti. Debbono essere prodotte, probabilmente, intensità maggiori di quelle che sono a disposizione di notte nei pensieri del sogno e a questo scopo serve la intensa condensazione cui vengono sottoposti gli elementi di questi pensieri. Scarsa considerazione tocca poi alle relazioni logiche del materiale ideativo; alla fine esse trovano una velata rappresentazione nelle peculiarità formali dei sogni. Gli stati affettivi dei pensieri del sogno sottostanno a mutamenti minori di quelli del loro contenuto rappresentativo. Di regola, vengono repressi; se permangono, vengono staccati dalle rappresentazioni e connessi secondo la loro affinità. Soltanto una porzione del lavoro onirico, la rielaborazione – di misura variabile – effettuata dal pensiero vigile parzialmente desto, si adatta grosso modo alla concezione che gli studiosi hanno voluto far valere per l’intera attività della formazione del sogno.888

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