Nella Interpretazione dei sogni da me pubblicata nel 1900 ho dimostrato che i sogni sono in generale interpretabili e che, compiuto il lavoro di interpretazione, è possibile sostituirli con pensieri correttamente congegnati e tali da poter essere inseriti in un dato punto del contesto psichico. Nelle pagine seguenti vorrei ora dare un esempio dell’unica applicazione pratica che la tecnica dell’interpretazione onirica sembra ammettere. Già nel mio libro ho indicato come io mi sia imbattuto nei problemi del sogno.461 Li trovai sul mio cammino mentre tentavo di guarire le psiconevrosi mediante uno speciale procedimento della psicoterapia, in quanto i malati mi riferivano, tra gli altri fatti della loro vita psichica, anche sogni che sembrava richiedessero di essere inseriti nella lunga fila di connessioni tra il sintomo morboso e l’idea patogena. Appresi allora come si dovesse tradurre il linguaggio del sogno nel modo d’espressione immediatamente intelligibile del linguaggio del nostro pensiero. Devo rilevare che questa conoscenza è indispensabile agli psicoanalisti, poiché il sogno costituisce una delle vie per cui può giungere alla coscienza quel materiale psichico che, in forza della ripulsione suscitata dal suo contenuto, è stato isolato dalla coscienza, rimosso ed è quindi diventato patogeno. Il sogno è, in breve, una delle vie indirette per aggirare la rimozione, uno dei mezzi principali del cosiddetto “modo figurativo indiretto” nel campo psichico. Il presente frammento della storia del trattamento di una giovinetta isterica dovrebbe mostrare come l’interpretazione onirica intervenga nel lavoro analitico. Esso mi permetterà altresì per la prima volta di sostenere pubblicamente, con un’ampiezza che non permetterà più malintesi, una parte delle mie vedute sui processi psichici e sulle condizioni organiche dell’isteria. Di tale ampiezza non ho certo più bisogno di scusarmi, giacché si ammetterà che le grandi esigenze poste dall’isteria al medico e al ricercatore non possono essere soddisfatte da un disdegnoso spregio, ma solo da uno studio amorevole ed approfondito. Invero:
Nicht
Kunst und Wissenschaft allein,
Geduld will bei dem Werke sein!
[Non solo perizia e
dottrina,
Pazienza esige un tal lavoro!]462
L’esposizione preliminare della storia clinica nella sua forma compiuta e perfetta porrebbe il lettore fin dall’inizio in condizioni del tutto diverse da quelle dell’osservatore medico. Quanto viene riferito dai congiunti del malato – nel nostro caso, dal padre della diciottenne – dà in generale un quadro molto confuso del corso della malattia. Per parte mia, comincio il trattamento invitando la paziente a narrarmi tutta la storia della sua vita e della malattia, ma ciò che vengo a sapere non è ancora sufficiente ad orientarmi. Questa prima narrazione è paragonabile a un fiume non navigabile il cui corso ora è ostruito da rocce, ora deviato e impoverito da banchi di sabbia. Non posso altro che provare meraviglia per i casi clinici d’isteria così esatti e forbiti quali figurano nelle opere dei maestri; in realtà, i malati sono incapaci di fornire simili resoconti di sé stessi. Essi possono, sì, dare al medico informazioni sufficienti e coerenti su questa o quell’epoca della loro vita, ma seguono poi periodi per i quali la loro relazione si fa superficiale, lascia lacune ed enigmi, e poi ancora periodi completamente oscuri sui quali il malato non fornisce alcuna informazione che permetta di rischiararli. Le interconnessioni, anche solo apparenti, sono quasi sempre spezzate, la successione dei diversi avvenimenti è incerta; durante la stessa narrazione l’ammalata corregge ripetutamente un’affermazione, una data, per poi, dopo lunghe esitazioni, ritornare forse alla prima dichiarazione. L’incapacità della malata di riferire ordinatamente la storia della sua vita, in quanto essa coincida con la storia della malattia, non soltanto è caratteristica della nevrosi,463 ma ha anche una grande importanza teorica. Tale deficienza deriva dalle seguenti cause: in primo luogo, l’ammalata nasconde coscientemente e di proposito una parte di quello che le è perfettamente noto e dovrebbe raccontare, per motivi non ancora superati di timidezza e di vergogna (o di discrezione quando si tratta di terze persone); questa è la parte dell’insincerità cosciente. In secondo luogo, una parte del suo sapere anamnestico, di cui la malata abitualmente dispone, rimane esclusa dalla narrazione senza che ella si prefigga intenzionalmente di sottrarla; è questa la parte dell’insincerità inconscia. In terzo luogo, non mancano mai le vere amnesie, le lacune della memoria, cui sono soggetti non soltanto ricordi antichi, ma anche recentissimi; né mancano le paramnesie formatesi secondariamente per colmare quelle lacune.464 Quando gli avvenimenti stessi sono ritenuti dalla memoria, lo scopo cui mirano le amnesie viene invece raggiunto, in modo altrettanto sicuro, attraverso l’abolizione di un nesso: la connessione viene lacerata nella maniera più sicura alterando la successione cronologica degli avvenimenti. Tale successione, pertanto, appare sempre l’elemento più vulnerabile del patrimonio mnestico, quello che per primo soggiace alla rimozione. Molti ricordi si incontrano per così dire in un primo stadio di rimozione e si mostrano in preda al dubbio; qualche tempo dopo, a questo dubbio si sostituiranno dimenticanza o falsificazione della memoria.465
Questa particolare maniera di porsi dei ricordi riferentisi alla storia della malattia si trova in necessaria e teoricamente richiesta correlazione coi sintomi morbosi. Nel corso del trattamento, il malato aggiunge alla narrazione ciò che aveva nascosto o ciò che, benché egli lo avesse sempre saputo, non gli era venuto in mente; le illusioni mnestiche si dimostrano insostenibili, le lacune della memoria si colmano. Verso la fine del trattamento, e solo allora, è possibile avere la visione completa di una storia clinica conseguente, intelligibile e non lacunosa. Se scopo pratico del trattamento è quello di eliminare tutti i possibili sintomi sostituendoli con pensieri coscienti, ci si può porre anche un fine teorico, quello di correggere tutte le deficienze mnemoniche del malato. I due fini coincidono; quando si raggiunge l’uno si raggiunge anche l’altro e la stessa strada conduce ad entrambi.
Dalla natura stessa di ciò che costituisce il materiale della psicoanalisi consegue che nelle nostre storie cliniche dobbiamo prestare alle condizioni puramente umane e sociali dei malati altrettanta attenzione che ai dati somatici e ai sintomi morbosi. Innanzitutto ci interesseremo delle situazioni familiari dei pazienti e ciò, come vedremo, da diversi punti di vista e non soltanto da quello della ricerca dei fattori ereditari.
La famiglia della mia paziente, ragazza di 18 anni, si componeva dei suoi genitori e di un fratello, maggiore di lei di un anno e mezzo. Personalità dominante era il padre, tanto per la sua intelligenza e le qualità del suo carattere, quanto per le circostanze della sua vita, che forniscono il quadro entro cui si svolge la storia dell’infanzia e della malattia della paziente. All’epoca in cui presi in cura la giovane egli era un uomo di oltre quarantacinque anni, di attività e capacità poco comuni, grande industriale in condizioni economiche eccellenti. La figlia gli era molto affezionata e il suo precoce senso critico rimaneva perciò tanto più sfavorevolmente colpito da certe sue azioni e da certi aspetti del suo carattere.
La tenerezza di lei si era ancora accresciuta per le molte e gravi malattie cui il padre era andato soggetto sin da quando ella ebbe compiuto 6 anni. A quell’epoca, il padre si era ammalato di tubercolosi e la famiglia si era quindi trasferita in una cittadina delle nostre province meridionali, climaticamente più favorevole. L’affezione polmonare migliorò rapidamente; tuttavia, essendo necessario che il padre continuasse a riguardarsi, nei successivi dieci anni tanto i genitori che i figli seguitarono ad abitare prevalentemente in questa località, che indicherò con B. Quando la salute glielo permetteva, il padre si assentava temporaneamente per visitare i suoi stabilimenti; in piena estate la famiglia soggiornava in una stazione climatica di montagna.
Quando la fanciulla aveva circa 10 anni, un distacco della retina obbligò il padre a una cura dell’oscurità ed ebbe come conseguenza un indebolimento permanente della vista. La malattia più grave si manifestò circa due anni dopo: un accesso di confusione mentale, accompagnato da fenomeni di paralisi e da leggeri disturbi psichici. Un suo amico, di cui dovremo riparlare,466 indusse allora il malato, che stentava a riprendersi, a recarsi a Vienna insieme al suo medico per consultarmi. Per un momento mi chiesi se non si trattasse di una paralisi di origine tabetica; mi decisi infine a diagnosticare un’affezione vascolare diffusa e, poiché il malato ammise un’infezione specifica contratta prima del matrimonio, gli prescrissi un’energica cura antiluetica, in seguito alla quale tutti i disturbi regredirono. Debbo senza dubbio a questo felice intervento se il padre, quattro anni più tardi, mi presentò la figliola divenuta chiaramente nevrotica e se, dopo altri due anni, me l’affidò per un trattamento psicoterapeutico.
Nel frattempo avevo avuto occasione di conoscere a Vienna anche una sorella del paziente, di poco più anziana, la quale presentava una grave forma di psiconevrosi senza sintomi caratteristici d’isteria. Questa signora, la cui vita era stata amareggiata da un matrimonio infelice, morì in seguito a un marasma ad evoluzione rapida e i cui sintomi non furono mai pienamente chiariti. Un fratello maggiore del malato, che incontrai una volta per caso, era uno scapolo ipocondriaco.
Le simpatie della ragazza, divenuta mia paziente a diciotto anni, si erano sempre rivolte al lato paterno della famiglia e, da quando si era ammalata, aveva visto nella zia testé menzionata il proprio modello. Mi appariva d’altronde indubbio che la giovane apparteneva piuttosto al ceppo paterno, sia per le sue doti e la precocità intellettuale che per la sua predisposizione patologica. Non ho conosciuto la madre. Da quanto mi dissero padre e figlia, ho potuto farmi l’idea di una donna di poca cultura e soprattutto di poca testa, che specialmente dopo la malattia del marito e l’estraneità che ne era seguita concentrava tutti i suoi interessi sulle faccende domestiche, offrendo così un esempio di quella che potrebbe definirsi la “psicosi della casalinga”. Senza capire gli interessi più vivi dei figli, era tutto il giorno intenta a far pulizia e a tenere in ordine l’appartamento, i mobili e le suppellettili, al punto che usarne e goderne diveniva pressoché impossibile. Non si può non accostare questo stato, di cui troviamo indizi abbastanza frequenti nelle normali donne di casa, alle varie forme di coazione al lavacro e alla pulizia in genere; tuttavia queste donne, come anche la madre della nostra paziente, difettano completamente di ogni consapevolezza del proprio stato patologico e manca, quindi, un elemento essenziale della “nevrosi ossessiva”. I rapporti tra madre e figlia erano da anni ben poco amichevoli. La figlia non teneva alcun conto della madre, la criticava aspramente e si era completamente sottratta alla sua influenza.467
L’unico fratello della giovane, maggiore di lei di un anno e mezzo, aveva costituito, in passato, il modello a cui ella avrebbe ambito di rassomigliare; ma negli ultimi anni le relazioni tra i due si erano allentate. Il giovane cercava di sottrarsi il più possibile ai disaccordi familiari, ma, quando era costretto a prendere partito, si metteva dalla parte della madre. La consueta attrazione sessuale aveva così ravvicinato da una parte padre e figlia, dall’altra madre e figlio.
La nostra paziente, che chiamerò col nome di Dora,468 presentava sintomi nervosi già all’età di 8 anni. Aveva sofferto allora di permanente difficoltà di respiro, talora con accessi acuti, la quale si era presentata per la prima volta dopo una breve gita in montagna e che perciò venne attribuita a sforzo eccessivo. Essa scomparve gradualmente nel corso di sei mesi grazie al riposo e ai riguardi prescritti. Sembra che il medico di famiglia diagnosticasse senza la minima esitazione un disturbo puramente nervoso, escludendo ogni causa organica della dispnea, ma evidentemente egli giudicò questa diagnosi compatibile con l’etiologia dello sforzo eccessivo.469
La bambina superò senza conseguenze le abituali malattie infettive dell’infanzia. La paziente mi narrò (con intenzione simbolizzante!)470 che di solito il fratello contraeva per primo la malattia, ma in forma leggera, mentre dopo lei presentava sintomi più gravi. Verso i 12 anni la paziente cominciò a soffrire di cefalgie di tipo emicranico e di accessi di tosse nervosa che, dapprima, si manifestavano simultaneamente; poi i due sintomi si separarono, seguendo un’evoluzione diversa. L’emicrania si fece più rara e scomparve all’età di 16 anni. Gli accessi di tosse nervosa, iniziatisi sicuramente con un comune catarro, rimasero. Quando la paziente, a 18 anni, venne a farsi curare da me, tossiva nuovamente in modo caratteristico. Il numero delle crisi non poté essere stabilito, la loro durata variava da tre a cinque settimane e, una volta, si protrasse per diversi mesi. Nella prima metà di un accesso di questo tipo – almeno negli ultimi anni – il sintomo più molesto era una perdita totale della voce. Una diagnosi era stata formulata da lungo tempo: anche qui si trattava di “nervosismo”; le molteplici cure abituali, tra cui l’idroterapia e le applicazioni elettriche locali, non dettero risultati. La fanciulla che, cresciuta in queste condizioni, era divenuta una ragazza matura e dal giudizio molto indipendente, si abituò a farsi beffa degli sforzi dei medici e, alla fine, a rinunciare alle loro cure. Essa era sempre stata restia, del resto, a consultare il medico, pur non avendo alcuna avversione personale per il medico di famiglia. Ogni proposta di consultare un nuovo medico incontrava la sua opposizione, ed anche da me venne solo per ordine del padre.
La prima volta che la vidi di prima estate, la ragazza aveva 16 anni: soffriva di tosse e di raucedine e già allora proposi una cura psichica, che non venne intrapresa in quanto anche questa crisi, durata piuttosto a lungo, cessò spontaneamente. L’inverno dell’anno successivo, dopo la morte della sua zia diletta, ella si trovava a Vienna in casa dello zio e delle cugine, quando si ammalò con febbre; il medico diagnosticò un’appendicite.471 L’autunno seguente la famiglia lasciò definitivamente la stazione climatica di B., poiché la salute del padre sembrava consentirlo, e si stabilì prima nella località in cui si trovava lo stabilimento del padre, poi, appena un anno dopo, permanentemente a Vienna.
Dora intanto, divenuta una florida ragazza dai lineamenti intelligenti e attraenti, dava gravi preoccupazioni ai genitori. Sintomi principali del suo stato morboso erano ora la depressione e un’alterazione del carattere. Era evidentemente scontenta di sé e dei suoi, trattava il padre sgarbatamente e non s’intendeva più affatto con la madre, che voleva assolutamente indurla a prendere parte ai lavori domestici. Cercava di evitare le relazioni sociali; per quanto glielo permettevano la stanchezza e la difficoltà a concentrarsi di cui si lamentava, occupava il proprio tempo assistendo a conferenze per signore e dedicandosi a studi più o meno severi. Un giorno i genitori si spaventarono trovando sopra la scrivania della ragazza o in un cassetto una lettera, in cui ella prendeva congedo da loro affermando di non poter più sopportare la vita.472 In realtà, il padre, non certo sprovvisto di acume, ritenne che la ragazza non fosse in preda a un serio proposito suicida, tuttavia ne rimase impressionato e quando un giorno, dopo una banale discussione tra padre e figlia, quest’ultima fu per la prima volta colta da svenimento473 (episodio che in seguito soggiacerà ad amnesia), venne deciso, nonostante la sua opposizione, che la ragazza dovesse sottoporsi a un mio trattamento.
Il caso clinico quale l’ho fin qui abbozzato non sembrerebbe, tutto considerato, degno di comunicazione: “petite hystérie” con tutti i sintomi somatici e psichici più comuni: dispnea, tosse nervosa, afonia, fors’anche emicrania; e insieme depressione, insociabilità isterica e un taedium vitae probabilmente non del tutto sincero. Sicuramente sono stati pubblicati casi d’isteria più interessanti e molto spesso più minutamente descritti, poiché infatti noi non parleremo nemmeno, nel seguito, di stigmate della sensibilità cutanea, di riduzione del campo visivo o di altri fenomeni del genere. Mi permetto solo di osservare che tutte le collezioni di fenomeni strani e sorprendenti nell’isteria non ci hanno fatto progredire molto nella conoscenza di questa malattia, sempre enigmatica. Ciò di cui abbiamo bisogno è proprio una spiegazione dei casi più comuni e dei loro sintomi più frequenti e tipici. Sarei stato lieto se le circostanze mi avessero permesso di chiarire completamente questo caso di piccola isteria. Non dubito, in base alla mia esperienza di altri malati, che i miei mezzi analitici sarebbero stati sufficienti allo scopo.
Nel 1896, poco dopo la pubblicazione dei miei Studi sull’isteria in collaborazione col dottor Josef Breuer, chiesi a un eminente collega il suo giudizio sulla teoria psicologica dell’isteria là esposta. Egli rispose francamente che la considerava una generalizzazione ingiustificata di conclusioni che avrebbero potuto esser valide solo per alcuni casi. Da allora ho visto numerosi casi di isteria, ho seguito ogni caso per giorni, settimane o anni e neppure in un solo caso ho mancato di rilevare quelle condizioni psichiche postulate negli Studi: trauma psichico, conflitto di affetti e – come aggiunsi in pubblicazioni successive – l’implicazione della sfera sessuale. Naturalmente, quando si tratta di cose divenute patogene per la loro tendenza a nascondersi, non ci si deve attendere che i malati vengano ad offrirle spontaneamente al medico, né accontentarsi del primo “no” che si opponga all’indagine.474
Nel caso della mia paziente Dora, grazie alla già più volte rilevata intelligenza del padre, non ebbi bisogno di cercare l’aggancio fra le circostanze della sua vita e l’insorgere della malattia, almeno per l’ultima forma assunta da essa. Il padre mi riferì che sia lui che la sua famiglia avevano stretto, a B., un’intima amicizia con una coppia colà residente da parecchi anni. La signora K. lo aveva curato durante la sua grave malattia, acquistando così diritto alla sua perenne riconoscenza. Il signor K. si era mostrato sempre amabile verso sua figlia Dora; faceva passeggiate con lei, le offriva piccoli regali, senza che in ciò nessuno trovasse nulla di male. Dora si era occupata con gran zelo dei due bambini dei K., comportandosi con loro come una madre. Quando mi avevano visitato due anni prima, in estate, padre e figlia erano appunto in viaggio per raggiungere i signori K., che trascorrevano la villeggiatura sulle rive di uno dei nostri laghi alpini. Dora avrebbe dovuto rimanere in casa dei K. parecchie settimane, mentre il padre sarebbe ritornato dopo pochi giorni. Il signor K. si sarebbe trattenuto al lago. Ma quando il padre si accinse a ripartire, la ragazza dichiarò improvvisamente e molto decisamente che sarebbe venuta via con lui, e riuscì a spuntarla. Solo qualche giorno dopo chiarì il suo strano comportamento, raccontando alla madre – perché essa lo riferisse al padre – che durante una passeggiata, dopo una gita sul lago, il signor K. si era permesso di farle delle proposte amorose. La prima volta che lo videro, il padre e lo zio della ragazza chiesero spiegazioni all’accusato; questi negò nel modo più assoluto di aver fatto nulla che potesse meritare una simile interpretazione e mise in dubbio la sincerità della ragazza che, a quanto diceva la signora K., s’interessava solo di cose sessuali e nella casa sul lago aveva letto persino la Fisiologia dell’amore del Mantegazza e altri libri del genere. Era perciò probabile che la ragazza, eccitata da una di quelle letture, “si fosse immaginata” tutta la scena da essa raccontata.
“Non dubito – mi disse il padre – che a questo incidente siano da addebitare la depressione di Dora, la sua irritabilità e le sue idee suicide. Ella pretende che io rompa la mia relazione col signor K. e soprattutto con la signora K., che prima ella venerava addirittura. Ma io non posso farlo, in primo luogo perché io stesso ritengo che il racconto di Dora delle proposte indecenti del signor K. non sia altro che una fantasia che le è penetrata nella mente, in secondo luogo perché sono legato alla signora K. da una sincera amicizia e non potrei darle questo dispiacere. La povera donna è molto infelice col marito, di cui del resto io non ho grande stima; anche lei soffre molto di nervi e ha in me il suo unico appoggio. Dato il mio stato di salute, non ho certo bisogno di assicurarLe che in questa relazione non v’è nulla di illecito. Siamo due povere creature che, per quanto è possibile, si danno reciproco conforto con un’amichevole comprensione. Lei sa che mia moglie non mi dà niente. Eppure Dora, che ha ereditato la mia testardaggine, non si lascia dissuadere dal suo odio per i K. La sua ultima crisi si è verificata dopo un colloquio in cui mi ha ripetuto la stessa richiesta. Veda Lei, ora, di riportarla su una strada migliore.”
Queste dichiarazioni, però, non concordavano del tutto col fatto che, in altre conversazioni, il padre aveva cercato di addossare la responsabilità del carattere intollerabile della figlia alla madre, le cui singolarità rendevano a tutti insopportabile la vita in famiglia. Ma io mi ero già da tempo proposto di rimandare il mio giudizio sullo stato reale delle cose fino a quando non avessi ascoltato anche l’altra parte in causa.
Nell’esperienza con il signor K. (le profferte e la conseguente offesa nell’onore) consisterebbe dunque, per la nostra paziente Dora, il trauma psichico che Breuer e io a suo tempo475 abbiamo indicato quale precondizione indispensabile per la formazione dello stato patologico isterico. Questo nuovo caso presenta peraltro tutte le difficoltà che successivamente mi hanno indotto a superare quella teoria,476 e inoltre una difficoltà nuova di carattere particolare. Il trauma a noi noto nella vita passata della paziente, infatti, come tanto spesso accade nei casi d’isteria, non è atto a spiegare le caratteristiche particolari dei sintomi né a determinarle; non ci saremmo trovati in condizioni diverse per cogliere il contesto se invece della tosse nervosa, dell’afonia, della depressione e del taedium vitae fossero derivati dal trauma sintomi diversi. Bisogna poi aggiungere che una parte di questi sintomi – la tosse e la perdita della voce – erano stati prodotti dalla malata già alcuni anni prima del trauma, e che le loro prime manifestazioni appartenevano anzi all’infanzia, essendosi avute all’età di otto anni. Pertanto, se non vogliamo abbandonare la teoria traumatica, dobbiamo retrocedere fino all’infanzia, per cercarvi influenze o impressioni che abbiano potuto agire in modo analogo a un trauma; e allora diventa davvero importante rilevare come anche l’indagine di casi i cui primi sintomi non si sono prodotti nell’infanzia mi ha sollecitato a risalire nella storia dell’ammalato fino ad anni ancor precedenti la fanciullezza.477
Superate le prime difficoltà della cura, Dora mi riferì una precedente esperienza con il signor K., persino più idonea ad agire come trauma sessuale. Ella aveva allora 14 anni; il signor K. aveva dato appuntamento per il pomeriggio a lei e alla moglie nella sua azienda commerciale sulla piazza principale di B., per assistere da lì a una cerimonia religiosa. Ma egli aveva poi convinto la moglie a rimanere a casa, aveva congedato i commessi e, quando la giovane arrivò, si trovava solo nel locale. Avvicinandosi il momento dell’arrivo della processione, egli pregò la ragazza di attenderlo presso la porta che bisognava attraversare per raggiungere la scala conducente al piano superiore, mentre egli stesso avrebbe abbassato le serrande. Tornato che fu, invece di varcare la porta aperta, strinse improvvisamente a sé la ragazza e la baciò sulle labbra. La situazione era certamente atta a suscitare una sensazione netta di eccitazione sessuale in una ragazza di quattordici anni che non aveva mai avuto esperienze del genere. Dora però provò in quel momento una nausea violenta, si svincolò dall’uomo e si precipitò verso la scala e di lì verso la porta d’uscita dell’edificio. L’amicizia con il signor K. tuttavia non fu interrotta; nessuno dei due fece mai cenno alla breve scena e Dora afferma di averla tenuta segreta fino a quando non me la confessò nel corso della cura. Del resto ella evitò in seguito ogni occasione di trovarsi sola con il signor K. I K. avevano poco prima progettato una gita di parecchi giorni cui Dora avrebbe dovuto prendere parte: dopo il bacio nel negozio, ella rifiutò l’invito senza dare spiegazioni.478
In questa scena, seconda in ordine di menzione ma prima in ordine di tempo, il comportamento della ragazza quattordicenne è già nettamente isterico. Non esito infatti a considerare isterici tutti coloro in cui un’occasione di eccitamento sessuale provoca soprattutto o soltanto sentimenti spiacevoli, e ciò indipendentemente dal fatto che il soggetto sia o no in grado di produrre sintomi somatici. Chiarire il meccanismo di questo capovolgimento degli affetti rimane uno dei compiti più importanti e al tempo stesso più difficili della psicologia delle nevrosi. Io ritengo di aver ancora molto cammino da compiere per raggiungere tale meta; nei limiti di questa comunicazione, inoltre, potrò pubblicare soltanto una parte di ciò che mi consta su questo argomento.479
Mettere in rilievo il capovolgimento degli affetti non è di per sé sufficiente a caratterizzare il caso della nostra paziente; è necessario anche dire che si era prodotto uno spostamento della sensazione. Invece della sensazione genitale, che non sarebbe certo mancata in una ragazza sana in circostanze analoghe,480 abbiamo qui quella sensazione spiacevole relativa al tratto di mucosa con cui si inizia il canale digerente: la nausea. Certo, l’eccitamento delle labbra attraverso il bacio ha influito su questa localizzazione; credo però di poter anche riconoscere l’effetto di un altro fattore.481
La nausea provata allora non divenne in Dora un sintomo permanente e anche all’epoca del trattamento essa esisteva in modo, per così dire, soltanto potenziale. La paziente mangiava con difficoltà e provava una leggera avversione per i cibi. Per contro quella scena aveva lasciato un’altra conseguenza, un’allucinazione sensitiva che riappariva, di tanto in tanto, anche durante la sua narrazione. Ella affermava di provare ancora sulla parte superiore del corpo la pressione di quell’abbraccio. In base a certe regole valide nella formazione dei sintomi, che ho imparato a conoscere, e alla luce di altre singolarità della malata altrimenti inesplicabili (quale quella di non voler passare vicino ad alcun uomo in colloquio animato o tenero con una donna), ho così ricostruito lo svolgimento di quella scena. Io ritengo che la ragazza abbia avvertito, durante il focoso abbraccio, non soltanto il bacio sulle labbra, ma anche la pressione del membro eretto contro il suo corpo. Questa percezione che l’aveva sconvolta era stata eliminata dalla memoria, rimossa e sostituita con l’innocua sensazione di pressione al torace, che traeva dalla sua fonte rimossa la propria esagerata intensità. Un nuovo spostamento, dunque, dalla parte inferiore a quella superiore del corpo.482 La coazione nel comportamento della paziente si costituì invece come se provenisse dal ricordo inalterato: ella non voleva passare accanto a uomini che credeva in istato di eccitamento sessuale, perché non voleva rivederne un’altra volta il segno somatico.
È importante rilevare come in questo caso tre sintomi – la nausea, il senso d’oppressione alla parte superiore del corpo e l’orrore per uomini impegnati in teneri colloqui – derivano da un’unica esperienza e che solo la correlazione fra i tre segni rende possibile capire la maniera di formazione dei sintomi. La nausea corrisponde al sintomo di rimozione relativo alla zona erogena delle labbra (viziata, come vedremo, dal ciucciare infantile). La pressione del membro eretto ha probabilmente avuto per effetto un’analoga modificazione del corrispondente organo femminile, la clitoride, e l’eccitamento di questa seconda zona erogena è venuto a fissarsi, mediante spostamento, sulla contemporanea sensazione di pressione al torace. L’orrore per gli uomini in presumibile stato di eccitamento sessuale segue il meccanismo di una fobia, ed è inteso a mettere al sicuro il soggetto da una ripetizione della percezione rimossa.
Per provare la possibilità di questa integrazione, domandai nel modo più prudente alla malata se sapesse nulla circa i segni corporei che rivelano l’eccitazione dell’uomo. Essa rispose di sì, per quanto si riferiva all’oggi, ma soggiunse che non credeva di averne saputo niente all’epoca dell’incidente. Con questa paziente ho sin dall’inizio evitato con ogni cura di ampliare le sue cognizioni nel campo della vita sessuale, e questo non per scrupolo, ma perché volevo sottoporre le mie ipotesi in proposito a una rigorosa verifica. Chiamavo perciò le cose col loro nome soltanto quando le allusioni anche troppo chiare della paziente facevano apparire assai poco arrischiata l’espressione diretta. La sua risposta pronta e sincera veniva regolarmente a confermare che la cosa le era già nota, ma di dove le derivasse questa conoscenza costituiva un mistero che i ricordi della malata non consentivano di risolvere. Aveva dimenticato la provenienza di ogni cognizione del genere.483
Se la mia ricostruzione della scena del bacio svoltasi nel negozio non è arbitraria, ne deriva la seguente deduzione per quanto riguarda la nausea.484 Sembra che tale sensazione di disgusto costituisca, originariamente, una reazione all’odore (più tardi anche alla vista) degli escrementi. Le funzioni escretorie possono d’altronde essere richiamate alla mente dai genitali e in particolare dal membro virile, in quanto l’organo serve oltre che alla funzione sessuale anche a quella della minzione. Questa funzione è anzi quella nota per prima e l’unica conosciuta nel periodo presessuale. In tal modo il disgusto prende posto tra le espressioni affettive della vita sessuale. L’“inter urinas et faeces nascimur”, secondo l’espressione del Padre della Chiesa, è inerente alla vita sessuale e non se ne lascia separare nonostante tutti gli sforzi di idealizzazione. Tengo tuttavia a mettere in rilievo che, secondo il mio punto di vista, il problema non deve essere considerato risolto con la scoperta di questa via d’associazione. Il fatto che questa associazione possa essere provocata non spiega perché essa venga provocata effettivamente. In circostanze ordinarie, l’associazione non avviene. La conoscenza delle vie non rende superflua la conoscenza delle forze che le percorrono.485
Del resto non mi era facile dirigere l’attenzione della mia paziente sui suoi rapporti col signor K. Ella dichiarava di non aver più nulla a che fare con quella persona. Lo strato superiore di tutte le sue associazioni durante le sedute, tutto ciò che le diveniva facilmente cosciente e che ella ricordava di aver avuto cosciente il giorno prima, si riferiva sempre al padre. Era vero che ella non poteva perdonare al padre la continuazione dei rapporti con il signor K. e soprattutto con la signora K. La sua opinione su questi rapporti era d’altronde diversa da quella che il padre avrebbe voluto che fosse; per lei non v’era alcun dubbio che quella che legava suo padre alla bella e giovane donna era una comune relazione amorosa. Nessun elemento atto a suffragare questa convinzione era sfuggito alla sua percezione, in ciò implacabilmente acuta, qui non vi era alcuna lacuna nella sua memoria. La conoscenza con i K. era cominciata già prima della grave malattia del padre; ma era divenuta intima soltanto quando, durante questa malattia, la giovane signora si era eretta ad infermiera, mentre la moglie si era tenuta lontana dal letto del paziente. Durante la prima villeggiatura estiva dopo la guarigione avvennero cose che dovevano aver aperto a tutti gli occhi sulla vera natura di quell’“amicizia”. Le due famiglie avevano affittato insieme una suite in un albergo, ed ecco che un giorno la signora K. dichiarò che non poteva più rimanere nella camera da letto che divideva con uno dei suoi bambini, e pochi giorni dopo anche il padre della paziente abbandonò la sua camera da letto e tutti e due si trasferirono in altre camere, al fondo, separate soltanto dal corridoio e che offrivano contro qualsiasi disturbo garanzie assai maggiori delle camere precedenti. Quando Dora, più tardi, mosse al padre rimproveri a proposito della signora K., egli soleva rispondere di non poter capire quell’ostilità e che anzi i figli avrebbero avuto ogni motivo di essere grati alla signora K. La mamma, cui la fanciulla si rivolse per avere chiarimenti su quell’oscuro discorso, le disse che il babbo era a quell’epoca così infelice che aveva voluto suicidarsi nel bosco; la signora K., sospettando il suo proposito, gli era andata dietro e con le sue preghiere l’aveva persuaso a non abbandonare i suoi. Dora naturalmente non credeva una parola di tutto questo; i due erano stati visti insieme nel bosco e il padre aveva inventato la storia del suicidio per giustificare quell’appuntamento.486
Dopo il ritorno a B., il babbo si recava tutti i giorni dalla signora K. in date ore, quando il marito si trovava in ditta. Tutti parlavano della cosa e a lei stessa erano state rivolte in proposito domande significative. Anche il signor K. si era spesso lamentato amaramente con la mamma, risparmiando invece a Dora ogni allusione alla faccenda, comportamento che a lei sembrava di dover ascrivere alla sua delicatezza. Durante le passeggiate in comune, il babbo e la signora K. facevano regolarmente in modo da restare soli insieme. Non v’era dubbio che ella prendesse denaro da lui, poiché faceva spese che non avrebbe certo potuto permettersi con i mezzi suoi o del marito. Il babbo aveva anche cominciato a farle regali costosi, e per nascondere questo fatto si mostrava al tempo stesso particolarmente generoso verso la moglie e verso Dora stessa. La signora K., fino ad allora malaticcia così da essere stata perfino costretta a passare alcuni mesi in una casa di cura per malattie nervose perché non poteva camminare, adesso era perfettamente sana e piena di vita.
Anche dopo aver lasciato B. la relazione, che durava ormai da parecchi anni, era continuata; il padre di tanto in tanto dichiarava che non poteva sopportare il clima del luogo e che doveva riguardarsi, cominciava a tossire e a lamentarsi e alla fine partiva improvvisamente per B., di dove poi scriveva lettere allegrissime. Tutti quei mali erano solo pretesti per rivedere la sua amica. Poi, un giorno, si seppe che si sarebbero trasferiti a Vienna, e Dora cominciò a sospettare che ci fosse una qualche connessione. E infatti, nemmeno tre settimane dopo l’arrivo a Vienna ella sentì dire che anche i K. vi si erano trasferiti. Anche adesso vi si trovavano e Dora incontrava spesso il babbo per strada insieme alla signora K. Incontrava spesso anche il signor K., che la seguiva sempre con lo sguardo e che un giorno, incontrandola sola, l’aveva seguita per un buon tratto per vedere dove andasse e se per caso non avesse un appuntamento.
Che il babbo non fosse sincero, avesse qualcosa di falso nel carattere, pensasse solo a sé stesso e avesse il dono di sistemare le cose come meglio gli convenissero, queste critiche, durante le sedute, si fecero particolarmente insistenti allorché il padre, sentendosi nuovamente peggio, partì per un soggiorno di parecchie settimane a B., e Dora, che non si lasciava sfuggire nulla, aveva presto scoperto che anche la signora K. era partita per la stessa località per far visita ai parenti.
In generale non potevo contraddire la sua caratterizzazione del padre, né era difficile vedere quale delle accuse della paziente fosse maggiormente giustificata. Nei momenti di maggiore amarezza le s’imponeva l’idea di essere stata consegnata a K. come prezzo per la sua tolleranza della relazione tra suo padre e la moglie, e sotto la tenerezza di Dora per suo padre si poteva sentire l’indignazione per un simile impiego di sé stessa. In altri momenti, essa si rendeva conto di aver esagerato facendo affermazioni del genere. Evidentemente i due uomini non avevano mai concluso un patto formale in cui essa avesse costituito oggetto di scambio; di fronte a una proposta come quella, soprattutto il padre si sarebbe ritratto inorridito. Ma egli era di quegli uomini che sanno smussare un conflitto falsando il proprio giudizio su uno degli elementi in contraddizione. Avvertito del pericolo che avrebbe potuto sorgere per un’adolescente da rapporti costanti e non sorvegliati con un uomo che non trovava soddisfazione presso la propria moglie, egli avrebbe sicuramente risposto di aver piena fiducia in sua figlia, che un uomo come K. non avrebbe mai potuto divenire pericoloso e che comunque il suo amico sarebbe stato incapace di simili intenzioni; oppure avrebbe osservato che Dora era ancora una bambina e che K. la trattava come tale. Ma la verità era che ognuno dei due uomini evitava di trarre dal comportamento dell’altro conseguenze che sarebbero state d’ostacolo ai propri desideri. Per un anno intero, da quando stava nella stessa città, il signor K. aveva potuto mandare fiori a Dora tutti i giorni, cogliere ogni occasione per farle regali costosi e passare tutto il suo tempo libero in sua compagnia, senza che i suoi genitori avessero riconosciuto in quella condotta il carattere di un corteggiamento amoroso.
Quando, durante il trattamento psicoanalitico, emerge una sequenza di pensieri ben fondata e irreprensibile, v’è per il medico un momento d’imbarazzo di cui il malato approfitta per porre la domanda: “Non è tutto vero e giusto? che cosa vuol cambiare a ciò che ho raccontato?” Presto, però, ci si avvede che tali pensieri, inattaccabili dall’analisi, sono serviti al malato per nasconderne altri che vogliono sottrarsi alla critica e alla coscienza. Una serie di accuse contro altre persone lascia supporre una serie di autoaccuse dello stesso contenuto. Basta ritorcere ciascuno dei rimproveri contro la persona stessa che li formula. Questo modo di difendersi da un’autoaccusa rivolgendo lo stesso rimprovero contro altri presenta innegabilmente qualcosa di automatico. Ne vediamo il prototipo nelle accuse “di ritorno” dei bambini che, quando li accusiamo di dir bugie, rispondono senza esitazione: “Bugiardo sei tu.” Un adulto, volendo ricambiare un’offesa, cercherebbe qualche reale punto debole del suo avversario e non si servirebbe principalmente della ritorsione dell’accusa di cui è stato oggetto. Nella paranoia questa proiezione del rimprovero su altri, senza modificazione del contenuto e quindi senza considerazione della realtà, si manifesta come processo di formazione del delirio.
Anche le accuse mosse da Dora al padre erano accompagnate nel sottofondo, senza eccezione, da un contrappunto di autoaccuse dello stesso contenuto, come mostreremo in dettaglio. Essa aveva ragione di ritenere che il padre non volesse spiegarsi meglio la condotta di K. verso sua figlia per non essere disturbato nella sua relazione con la signora K. Ma Dora aveva fatto esattamente la stessa cosa. Si era fatta complice di quella relazione e aveva respinto tutti gli indizi che ne indicavano la vera natura; solo dall’epoca dell’avventura sul lago datavano la sua lucidità al riguardo e le inflessibili pretese presentate al padre. In tutti gli anni precedenti essa aveva favorito in tutti i modi possibili la relazione del padre con la signora K. Non si recava mai da quest’ultima quando pensava che ci si trovasse il padre; sapendo che in tale occasione i bambini erano stati allontanati, dirigeva i suoi passi in modo da incontrarli e se ne andava a passeggio con loro. C’era stato qualcuno, in casa, che già prima aveva voluto aprirle gli occhi sulla relazione tra suo padre e la signora K. e incitarla a prender partito contro quest’ultima. Si trattava dell’ultima governante della ragazza, una signorina piuttosto anziana, assai istruita e di libere vedute.487 Istitutrice e allieva andarono perfettamente d’accordo per un certo tempo, finché Dora si guastò improvvisamente con lei e chiese che venisse licenziata. Fino a quando la governante ebbe influenza, se ne servì per suscitare malanimo contro la signora K. Alla madre di Dora ella dichiarava che tollerare una simile intimità tra suo marito e un’estranea era incompatibile con la sua dignità; richiamava inoltre l’attenzione di Dora su ogni evidente elemento di quella relazione. Ma i suoi sforzi rimanevano vani, giacché Dora restava profondamente affezionata alla signora K. e non voleva sapere nulla delle ragioni che avrebbero potuto far apparire scandalosa la relazione di costei col padre. Dora, d’altra parte, si rendeva benissimo conto dei motivi che spingevano la governante. Cieca da un lato, era abbastanza perspicace dall’altro. Si avvedeva che la governante era innamorata di suo padre; quando questi era presente sembrava un’altra persona: sapeva essere divertente e servizievole. Quando la famiglia viveva nella città industriale e la signora K. non figurava all’orizzonte, dirigeva la sua ostilità contro la madre di Dora, ora la sua diretta rivale. Ma Dora, fino a questo punto, non l’aveva presa a malvolere. Ella si irritò soltanto quando si accorse di essere completamente indifferente alla governante e che l’amore che questa sembrava rivolgerle, in realtà, era diretto a suo padre. Quando il padre era fuori città, la signorina non aveva tempo per Dora, non voleva andare a passeggio con lei, non si interessava alle sue attività; appena il padre tornava da B., ella ridiveniva tutta servizievole e piena di zelo. Allora Dora la lasciò perdere.
Per colpa della povera signorina Dora era divenuta consapevole, con indesiderata chiarezza, di una parte del suo stesso comportamento. La governante si era comportata con Dora, in certi momenti, come Dora con i bambini del signor K. Presso questi bambini Dora aveva preso il posto della madre, dava loro lezioni, li portava a passeggio, offriva loro un pieno sostituto dello scarso interesse che la vera madre mostrava per loro. Tra i coniugi K. si era spesso parlato di divorzio, che non ebbe luogo perché il marito, padre affezionato, non voleva rinunciare a nessuno dei due bambini. L’interesse comune per i bambini aveva costituito, fin dal principio, un legame tra il signor K. e Dora. Accudire ai bambini era evidentemente per Dora la copertura protettiva sotto cui nascondere a sé stessa e agli altri qualcosa d’altro.
Dal comportamento di Dora con i bambini quale è stato chiarito alla luce del comportamento della governante con lei, derivava una conclusione quale poteva dedursi anche dal tacito assenso della malata alla relazione di suo padre con la signora K., e cioè: in tutti quegli anni, ella era stata innamorata di K. Quando enunciai questa deduzione la paziente non si mostrò d’accordo. Ella disse subito, è vero, che anche altre persone (come ad esempio una sua cugina che era stata per qualche tempo in visita a B.) le avevano detto: “Ma tu sei addirittura pazza per quell’uomo”; quanto a lei però, non poteva ricordarsi di aver nutrito sentimenti del genere. Più tardi, quando l’abbondanza degli elementi emersi rese più difficile un diniego, ella ammise di aver forse amato il signor K. a B., ma che tutto era finito dopo la scena sul lago.488 Ad ogni modo appariva chiaro che il rimprovero che essa aveva mosso al padre, di esser restato sordo a precisi doveri e di aver accomodato le cose nel modo più conveniente ai propri desideri amorosi, ricadeva su lei stessa.489
L’altra accusa, secondo cui le malattie del padre erano solo dei pretesti di cui si serviva, cela anch’essa tutta una parte della storia segreta di Dora. Essa si lamentò un giorno di un sintomo apparentemente nuovo, di acuti dolori allo stomaco. Le chiesi: “Chi sta imitando con questo?”, e colpii giusto. Il giorno prima la malata aveva fatto visita alle cugine, figlie della defunta zia. La più giovane si era fidanzata e la maggiore, in quell’occasione, era stata colta da dolori allo stomaco e si era dovuto portarla al Semmering.490 Dora sosteneva che si trattava solo di invidia, che la cugina si ammalava tutte le volte che voleva ottenere qualche cosa e che adesso voleva andarsene di casa per non assistere alla felicità della sorella.491 Ma il mal di stomaco della stessa Dora indicava ch’ella si identificava con la cugina ritenuta una simulatrice, perché anche lei invidiava l’amore della cugina più fortunata, oppure perché vedeva il proprio caso rispecchiato in quello di sua sorella maggiore che, poco tempo prima, aveva avuto un affare di cuore infelicemente concluso.492 Ma Dora aveva anche imparato, osservando la signora K., come ci si possa servire utilmente delle malattie. Ogni volta che il signor K. rientrava da uno dei suoi viaggi (che lo tenevano lontano di casa per una parte dell’anno) trovava sofferente la moglie che pure, come Dora ben sapeva, era stata in ottima salute fino al giorno prima. Dora capì che la presenza del marito aveva un’azione maligna sulla moglie, e che per costei la malattia era la benvenuta in quanto le permetteva di sottrarsi agli odiati doveri coniugali. Un’osservazione fatta improvvisamente a questo punto, circa l’alternarsi di periodi di malattia a periodi di buona salute durante i primi anni della sua giovinezza a B., mi indusse a supporre che anche i suoi stati fossero da considerare in dipendenza da qualche cosa, come era per la signora K. È infatti regola della tecnica psicoanalitica che attraverso la contiguità, la vicinanza temporale delle associazioni, si manifesti una connessione interiore, ancora nascosta, esattamente come nella scrittura, se le lettere a e b sono collocate l’una accanto all’altra, significa che con esse va costruita la sillaba ab. Dora aveva avuto innumerevoli accessi di tosse con perdita della voce; che la presenza e l’assenza dell’amato avessero influito sull’apparire e scomparire di questi fenomeni morbosi? In caso affermativo, sarebbe dovuta emergere in qualche punto una coincidenza che confermasse il fatto. Domandai alla paziente quale fosse la durata media delle crisi. Da tre a sei settimane circa. E quanto duravano le assenze del signor K.? Pure da tre a sei settimane, doveva riconoscerlo. Con la sua malattia, dunque, Dora dimostrava il suo amore per K. così come la moglie di questi la sua avversione. Soltanto, la sua condotta era l’inverso di quella della signora: Dora si ammalava durante l’assenza di K., guariva dopo il suo ritorno. E sembrava fosse stato effettivamente così, almeno per le crisi relative ad un primo periodo; in seguito si affermò, certo, la necessità di cancellare la coincidenza tra accessi morbosi e assenze dell’uomo segretamente amato, al fine di non tradire il segreto attraverso la costanza della coincidenza. Solo la durata della crisi restò allora a indicare il suo primitivo significato.
Ricordo di aver visto e sentito dire a suo tempo, alla clinica di Charcot, che nei soggetti affetti da mutismo isterico lo scrivere prende le veci del parlare e che essi scrivono più facilmente, più rapidamente e meglio degli altri e di quanto facessero prima. Lo stesso era accaduto nel caso di Dora; nei primi giorni di afonia, infatti, “scrivere riusciva sempre particolarmente facile.” Questo particolare fenomeno, in quanto espressione di una funzione fisiologica sostitutiva, creata dalla necessità, non esigeva in sé stesso alcuna spiegazione psicologica; vale la pena tuttavia di notare che era facile offrirne una. Quando era in viaggio il signor K. le scriveva assai spesso, le mandava cartoline illustrate; a volte accadeva che lei sola fosse informata della data del suo ritorno, mentre la moglie lo vedeva arrivare di sorpresa. Che si corrisponda con un assente al quale non è possibile parlare, è del resto altrettanto ovvio del desiderio di farsi capire per iscritto quando manca la voce. L’afonia di Dora permetteva dunque la seguente interpretazione simbolica: quando l’amato era lontano, ella rinunciava alla parola, che non aveva più valore giacché non poteva parlare con lui. La scrittura acquistava viceversa importanza come l’unico mezzo di porsi in rapporto con l’assente.
Affermerò ora, quindi, che in tutti i casi di afonia periodica si debba diagnosticare l’esistenza di un essere amato periodicamente assente? Non è certo questa la mia opinione. La determinazione del sintomo nel caso di Dora è troppo specifica perché si possa pensare a una ripetizione frequente della stessa etiologia accidentale. Ma che valore ha allora la spiegazione dell’afonia nel nostro caso? Non ci siamo forse lasciati ingannare da un gioco d’arguzia? Non credo. Ci si deve ricordare, a questo punto, la questione, sollevata così spesso, se l’origine dei sintomi dell’isteria sia psichica o somatica e se, ammessa l’origine psichica, questa valga necessariamente per tutti i sintomi. Tale questione, come tante altre a cui gli studiosi cercano con assidui quanto infruttuosi sforzi di dar risposta, è male impostata. La realtà delle cose non si esaurisce in questa alternativa. Per quanto posso vedere, ogni sintomo isterico necessita l’apporto di ambedue le parti. Esso non può insorgere senza una certa compiacenza somatica,493 offerta da un processo normale o patologico in un organo o su un organo del corpo. Tale processo non si presenta più di una volta (laddove è propria del sintomo isterico la capacità di ripetizione) se esso non ha un significato psicologico, un senso. Questo senso il sintomo isterico non lo reca con sé; esso gli viene conferito, viene in certo modo a saldarsi con esso, e può essere diverso in ogni caso a seconda della natura dei pensieri repressi che lottano per esprimersi. Esiste tuttavia una serie di fattori agenti in modo da far sì che le relazioni tra i pensieri inconsci e i processi somatici di cui essi dispongono per esprimersi siano meno arbitrari e si avvicinino ad alcune combinazioni tipiche. Per la terapia le determinazioni rilevabili nel materiale psichico accidentale sono le più importanti; i sintomi vengono risolti ricercandone il significato psichico. Una volta sgombrato il terreno da quanto può essere eliminato per mezzo della psicoanalisi, sarà possibile farsi le idee più svariate, probabilmente esatte, sul fondamento somatico, normalmente organico e costituzionale dei sintomi. Anche per quanto riguarda gli accessi di tosse e di afonia di Dora noi non ci limiteremo all’interpretazione psicoanalitica, ma indicheremo, dietro a questa, il fattore organico da cui emanava la “compiacenza somatica” che permetteva di esprimere l’inclinazione per un essere amato periodicamente assente. E se il nesso tra espressione sintomatica e contenuto mentale inconscio dovesse stupirci, in questo caso, per il suo carattere di astuzia ed artificiosità, ci sarà lieto sentire che tale nesso suole produrre la stessa impressione in tutti i casi, in tutti gli esempi possibili.
Mi aspetto ora di sentirmi dire che si tratta di un vantaggio ben modesto della psicoanalisi se da noi la soluzione dell’enigma dell’isteria non sarà più ricercata nella “particolare labilità delle molecole nervose” o nella possibilità di stati ipnoidi,494 ma nella “compiacenza somatica”. A quest’obiezione risponderò che il problema in questo modo non è solo spinto un passo indietro, ma fa anche un passo verso più piccole dimensioni. Non si tratta più di tutto il problema, ma solo di quella parte di esso in cui risiede il carattere particolare dell’isteria, che la distingue da altre psiconevrosi. Per un buon tratto i processi psichici sono gli stessi in tutte le psiconevrosi, finché a un certo punto entra in campo la “compiacenza somatica”, che procura uno sfogo organico ai processi psichici inconsci. Quando questo fattore non interviene, dallo stato generale emerge qualcosa di diverso da un sintomo isterico e purtuttavia ad esso affine: una fobia, per esempio, oppure un’ossessione, in breve un sintomo psichico.
Torniamo ora all’accusa di “simulazione” della malattia mossa da Dora a suo padre. Mi resi conto ben presto che a quest’accusa corrispondevano autoaccuse relative non soltanto a stati morbosi passati, ma anche a malattie presenti. A questo punto generalmente il medico ha il compito di indovinare e integrare ciò che l’analisi gli ha fornito soltanto in forma allusiva. Dovetti far osservare alla paziente che la sua malattia attuale era motivata e tendenziosa proprio come quella della signora K. di cui ella aveva capito il senso. Non v’era dubbio ch’ella mirava a uno scopo che sperava di raggiungere mediante la malattia, e questo scopo poteva essere solo quello di allontanare il padre dalla signora K. Non essendo riuscita ad ottenere ciò con preghiere e argomenti, sperava forse di raggiungerlo spaventando suo padre (vedi lettera d’addio) o suscitandone la compassione (con gli svenimenti); se con tutto questo ella non arrivava a nulla, perlomeno si vendicava di lui. Essa sapeva bene – aggiunsi – che suo padre le era affezionato al punto da farsi venire le lacrime agli occhi ogni volta che gli si domandava della salute di sua figlia. Dissi poi d’essere pienamente convinto che sarebbe subito guarita se il padre le avesse dichiarato che sacrificava la signora K. alla sua salute; speravo, però, che egli non si sarebbe lasciato indurre a farlo, giacché in tal caso essa avrebbe appreso quale efficace strumento avesse nelle sue mani e non avrebbe certo mancato di servirsi in ogni occasione futura delle sue possibilità di malattia. Sapevo bene però che se il padre non le avesse ceduto, essa non avrebbe rinunciato tanto facilmente alla propria malattia.
Tralascio i dettagli che mostrarono l’esattezza di tutto ciò, per aggiungere alcune osservazioni generali su come operano i motivi della malattia nell’isteria. I motivi per essere ammalati vanno nettamente distinti come concetto dalla suscettibilità di ammalarsi, dal materiale di cui sono formati i sintomi. I motivi non partecipano alla formazione dei sintomi, non sono neppure presenti all’inizio della malattia; si aggiungono ad essa solo secondariamente, e tuttavia solo con la loro apparizione la malattia è pienamente costituita.495 Si può essere certi della loro presenza in tutti i casi di sofferenza reale e di una certa durata. Il sintomo è in un primo tempo un ospite sgradito della vita psichica, ha tutto contro di sé e anche per questo scompare così facilmente da solo, almeno in apparenza, per influsso del tempo. Non trova in principio alcun impiego utile nell’economia domestica della psiche, ma assai sovente finisce col trovarlo in un secondo tempo: qualche corrente psichica può trovar comodo servirsi del sintomo, e in tal modo questo acquista una funzione secondaria, rimanendo come ancorato alla vita psichica. Chi vuol guarire il malato urta allora, con sua grande sorpresa, in una forte resistenza, la quale dimostra come l’intenzione del malato di rinunciare alla sua sofferenza non è poi così assoluta, così seria come pareva.496 Si immagini un operaio, per esempio un conciatetti, che in seguito a una caduta sia diventato storpio e ora campi alla meglio mendicando agli angoli delle strade. Gli si presenta un taumaturgo e gli promette di rendergli dritta e sana la gamba storpia. Orbene, io credo che non ci si dovrà attendere di veder apparire sul suo viso un’espressione di eccessiva beatitudine. Certo, al momento dell’infortunio, egli s’era sentito estremamente infelice, al pensiero che non avrebbe mai più potuto lavorare e che avrebbe dovuto far la fame o vivere d’elemosina. Ma in seguito, ciò che dapprima l’aveva reso incapace di guadagnarsi da vivere si è trasformato in un mezzo di sostentamento; egli vive della sua infermità. Levategli questa, e lo lascerete forse senza risorsa alcuna; nel frattempo egli ha dimenticato il suo mestiere, ha perduto le sue abitudini di lavoro, si è abituato all’ozio e forse anche al bere.
I motivi per essere ammalati operano spesso già nell’infanzia. La bimba avida d’amore, che malvolentieri spartisce le tenerezze dei genitori con fratelli e sorelle, si accorge che queste rifluiscono interamente su di lei quando i genitori sono preoccupati per una sua malattia. Essa conosce ora un mezzo per attirare l’amore dei genitori e se ne servirà non appena avrà a disposizione il materiale psichico necessario per produrre la malattia. Quando la bimba è diventata donna e, in contrasto completo con le esigenze della sua infanzia, si trova sposata con un uomo che ha poche cure per lei, opprime la sua volontà, sfrutta senza riguardi il suo lavoro e non le dedica né tenerezza né il proprio denaro, la malattia diviene la sua unica arma per affermarsi nella vita. Essa le procura il desiderato riposo, costringe il marito a sacrifici finanziari e a premure che non avrebbe avuto per la moglie sana, lo obbliga a un trattamento prudente in caso di guarigione giacché altrimenti è già pronta la ricaduta. L’apparenza di obiettività, di involontarietà dello stato morboso, di cui anche il medico curante darà garanzia, permette alla malata di valersi opportunamente, senza rimorsi coscienti, di un mezzo che aveva trovato efficace negli anni d’infanzia.
Eppure, questa malattia è intenzionalmente prodotta. Gli stati morbosi sono in genere destinati a una certa persona e quindi scompaiono con la partenza di questa persona. Il giudizio rozzo, banale che sentiamo dare sulle malattie degli isterici dai parenti poco colti e da infermiere, è in certo senso giusto. È vero che la paralitica salterebbe giù dal letto se la camera andasse a fuoco, che la moglie viziata si scorderebbe di tutti i mali se il suo bambino si ammalasse gravemente o se una catastrofe minacciasse la sua casa. Quelli che parlano così dei malati hanno ragione ma trascurano un punto importante, la distinzione psicologica tra conscio e inconscio, ciò che è forse ancora ammissibile per quanto riguarda il bambino, ma che non lo è più nell’adulto. Per questa ragione, non serve a nulla assicurare il malato che tutto dipende dalla sua volontà, incoraggiarlo o ingiuriarlo; è attraverso le vie dell’analisi che bisogna prima cercare di convincerlo dell’esistenza in lui dell’intenzione di essere ammalato.
In generale è nella lotta contro i motivi della malattia che risiede la debolezza di ogni terapia dell’isteria, ivi compresa quella psicoanalitica. Per il destino è più facile, non ha bisogno di affrontare né la costituzione né il materiale patogeno del malato; elimina un motivo di malattia e il malato è temporaneamente, talora anche permanentemente, liberato dal suo male. Quante meno guarigioni miracolose e scomparse spontanee di sintomi dovremmo registrare noi medici nell’isteria, se ci fosse dato più sovente accesso a quegli interessi vitali dei malati che invece ci vengono tenuti nascosti! In un caso si tratta di una data che è trascorsa, in un altro sono venuti a cessare i riguardi per una certa persona, in un altro ancora una certa situazione, per eventi esterni, è radicalmente mutata: ed ecco che il male, fino ad allora così ostinato, è eliminato di colpo: in apparenza spontaneamente, in realtà perché gli è stato sottratto il motivo più forte, una delle funzioni che assolveva nella vita del malato.
In tutti i casi pienamente sviluppati si riscontreranno probabilmente motivi che sostengono la malattia. Ma vi sono casi in cui si tratta di motivi puramente interiori, come ad esempio l’autopunizione, cioè il pentimento e la penitenza. Allora il problema terapeutico sarà risolto con maggior facilità che non nei casi in cui la malattia è in relazione al conseguimento di uno scopo esterno.497 Per Dora questo scopo era evidentemente quello di intenerire il padre e di allontanarlo dalla signora K.
Nessuna delle azioni del padre, del resto, sembrava averla tanto esasperata quanto la sua prontezza nel ritenere la scena del lago un prodotto della sua fantasia. Solo al pensare di essersi potuta immaginare una cosa simile Dora andava fuori di sé. Non riuscii per molto tempo a indovinare quale autoaccusa si celasse dietro quell’appassionata ripulsa di quella spiegazione. Ero in diritto di supporre qualcosa di nascosto, poiché un rimprovero ingiustificato non offende in modo duraturo. D’altronde ero giunto alla conclusione che il racconto di Dora dovesse assolutamente corrispondere al vero. Una volta capite le intenzioni del signor K., ella non lo aveva lasciato finir di parlare, l’aveva schiaffeggiato ed era fuggita. All’uomo rimasto solo la sua condotta apparve allora non meno incomprensibile di quanto appare a noi; da molto tempo infatti egli doveva aver concluso, da innumerevoli piccoli indizi, che poteva esser certo dell’inclinazione della ragazza per lui. Nella discussione sul secondo sogno troveremo sia la soluzione di questo problema sia quella dell’autoaccusa da me cercata invano sinora [par. 3].
Poiché le lamentele contro il padre continuavano a ripetersi con fastidiosa monotonia e poiché anche la tosse persisteva, fui indotto a pensare che il sintomo potesse avere un significato in rapporto col padre. Comunque, le esigenze ch’io mi riservo solitamente di soddisfare con la spiegazione di un sintomo erano lungi dall’essere esaurite. Secondo una regola di cui avevo trovato sempre nuova conferma ma che non avevo avuto ancora il coraggio di elevare a principio generale, il sintomo è il raffiguramento – la realizzazione – di una fantasia a contenuto sessuale, significa cioè una situazione sessuale; o, per meglio dire, almeno uno dei significati di un sintomo corrisponde al raffiguramento di una fantasia sessuale, mentre per gli altri significati tale delimitazione di contenuto non sussiste. Dedicandosi al lavoro psicoanalitico, ci si avvede infatti ben presto che un sintomo ha più di un significato, che esso serve nello stesso tempo a raffigurare parecchi processi ideativi inconsci. Vorrei anzi aggiungere che a mio parere un singolo processo ideativo inconscio, una sola fantasia, non è quasi mai sufficiente a produrre un sintomo.
L’occasione di interpretare la tosse nervosa mediante una situazione sessuale fantasticata si presentò assai presto. Quando Dora mi sottolineò ancora una volta che la signora K. amava suo padre solo perché questi era un potente industriale mi accorsi, da certe particolarità del suo modo d’esprimersi (particolarità che qui tralascio, così come la maggior parte degli aspetti puramente tecnici dell’analisi), che dietro quella proposizione si celava il suo contrario: ossia che il padre era invece impotente. Ciò poteva avere soltanto un senso sessuale: il padre era impotente come uomo. Dora confermò quest’interpretazione da parte della sua conoscenza consapevole, e le feci allora notare ch’ella si contraddiceva, giacché da un lato sosteneva che la relazione con la signora K. era una comune relazione amorosa, dall’altro che il padre era impotente, e perciò incapace di intrattenere una simile relazione. Dalla sua risposta risultò ch’ella non trovava necessario ammettere la contraddizione. Sapeva bene – mi disse – che c’è più di un modo di soddisfacimento sessuale. Anche in questo caso, peraltro, la fonte di questo sapere non era per lei rintracciabile. Quando le domandai s’ella si riferisse all’uso di organi diversi dai genitali per il rapporto sessuale, mi rispose affermativamente, e io soggiunsi allora ch’ella pensava dunque proprio a quelle parti del corpo che in lei si trovavano in uno stato di irritazione: gola e cavità orale. Naturalmente, non voleva saperne di attribuirsi pensieri del genere, ma appunto l’insorgenza del sintomo poteva esser resa possibile solo da una sua relativa mancanza di chiarezza al riguardo. Era comunque inevitabile concludere che con la sua tosse per accessi, riferita, come è normale, a un senso di prurito alla gola, la paziente si rappresentava una situazione di appagamento sessuale per os tra le due persone i cui rapporti amorosi la preoccupavano costantemente. Pochissimo tempo dopo questa spiegazione tacitamente accettata, la tosse scomparve, e questo concordava appieno con la mia deduzione; non volli però annettervi eccessivo valore, dato che questa sparizione già tante volte si era verificata spontaneamente.
Questo brano d’analisi potrebbe aver provocato nel medico che legge non soltanto una legittima incredulità, ma anche sorpresa e orrore: io però sono pronto a esaminare queste due reazioni per vedere se sono giustificate. Penso che la sorpresa sarà motivata dalla mia audacia nel discorrere di cose così scabrose e nefande con una giovinetta o, genericamente, con una donna sessualmente matura. L’orrore si riferirà certo al fatto che una giovane illibata possa conoscere certe pratiche e occuparsene con l’immaginazione. Su ambedue i punti vorrei consigliare moderazione e riflessione. Né per il primo né per il secondo v’è motivo di indignarsi. Si può parlare con adolescenti e con donne di tutte le questioni sessuali senza nuocere loro e senza rendersi sospetti, in primo luogo facendolo in un certo modo e in secondo luogo potendo suscitare in loro la convinzione che è inevitabile. Anche il ginecologo si permette, nelle stesse condizioni, di far spogliare le sue pazienti quando è opportuno. La maniera migliore per trattare questi argomenti è quella secca, diretta; essa è al tempo stesso la più lontana dalla lubricità con cui gli stessi argomenti vengono trattati in “società”, lubricità alla quale ragazze e donne sono assai bene abituate. Io chiamo organi e funzioni col loro nome tecnico, e rendo noto io stesso questo nome alla malata se, per caso, non lo conosce. J’appelle un chat un chat [letteralmente: chiamo gatto il gatto]. So bene che vi sono persone, medici e non medici, che si scandalizzano di una terapia in cui corrono conversazioni di questo genere e che sembrano invidiare a me o ai miei pazienti le sensazioni pruriginose che secondo loro essa dovrebbe procurare. Ma conosco troppo bene l’onestà di questi signori per prendermela a cuore. Vincerò la tentazione di scriverne una satira. Solo una cosa voglio ricordare, cioè che ho spesso la soddisfazione con le mie pazienti, che in principio trovavano tutt’altro che facile la franchezza nelle cose sessuali, di sentirle esclamare: “Ma veramente, la sua cura è molto più decente che non la conversazione del signor X.”
Prima di intraprendere un trattamento d’isteria è necessario convincersi che è inevitabile abbordare argomenti sessuali, o perlomeno esser pronti a lasciarsi convincere dall’esperienza. Pour faire une omelette il faut casser des œufs [per fare una frittata bisogna rompere le uova], si dovrebbe dire a sé stessi. Gli stessi pazienti si lasciano convincere con facilità, e nel corso di un trattamento se ne presentano anche troppe occasioni. Non bisogna farsi scrupolo a trattare con essi fatti della vita sessuale normale o anormale. Se il medico ha un minimo di prudenza, non farà che tradurre nella coscienza dei malati ciò che essi già sanno nel loro inconscio; e tutta l’efficacia della cura risiede appunto nell’aver compreso che gli affetti di un’idea inconscia operano in modo più intenso e, poiché essa non può essere inibita, più dannoso di quelli di un’idea cosciente. Il rischio di corrompere giovinette inesperte è inesistente, giacché i sintomi dell’isteria non si manifestano quando il soggetto non ha alcuna nozione, neppure nell’inconscio, dei processi sessuali. Quando c’è isteria, non può più parlarsi di “innocenza di pensiero” nel senso in cui l’intendono genitori ed educatori. Della validità, senza eccezioni, di questa affermazione, ho trovato conferma in ragazzi di dieci, dodici, quattordici anni, maschi e femmine.
Per quanto riguarda la seconda reazione emotiva che non si rivolge più contro di me ma, nel caso io abbia ragione, contro la paziente, ritenendo orrido il carattere perverso delle sue fantasie, vorrei sottolineare che una simile passionalità di giudizio non si addice a un medico. Trovo tra l’altro superfluo che il medico, che nei suoi scritti si occupa delle aberrazioni della pulsione sessuale, colga ogni occasione per intercalare nel testo l’espressione del suo orrore personale per cose tanto ripugnanti. Qui si tratta di realtà a cui spero che, reprimendo i nostri gusti particolari, riusciremo a fare l’abitudine. Di ciò che chiamiamo perversioni sessuali – prevaricazioni della funzione sessuale relativamente alla zona corporale e all’oggetto sessuale – dobbiamo saper parlare senza indignazione. I troppo zelanti dovrebbero calmarsi sol che considerassero l’indeterminatezza dei confini della vita sessuale cosiddetta normale rispetto alle diverse razze e alle diverse epoche. Non dobbiamo dimenticare che quella che è per noi la più ripugnante delle perversioni, l’amore carnale dell’uomo per l’uomo, era, in una civiltà assai superiore alla nostra, come la greca, non soltanto tollerata, ma anzi investita di importanti funzioni sociali. Ciascuno di noi oltrepassa di un breve tratto nella sua vita sessuale, in una direzione o in un’altra, i ristretti confini normali. Le perversioni non sono né bestialità né degenerazioni nel senso passionale della parola. Esse costituiscono lo sviluppo di germi, tutti contenuti nella disposizione sessuale indifferenziata del bambino, la cui repressione o volgimento verso fini asessuali più alti – la “sublimazione”498 – è destinata a fornire le energie per gran parte dei nostri contributi alla civiltà. Quando dunque un soggetto sembra divenuto grossolanamente e manifestamente perverso, è più giusto dire che esso è rimasto tale, che esso rappresenta uno stadio di inibizione evolutiva. Gli psiconevrotici sono tutte persone dalle tendenze perverse fortemente marcate, ma rimosse e rese inconsce nel corso dello sviluppo. Le loro fantasie inconsce presentano pertanto esattamente lo stesso contenuto delle azioni autentiche dei perversi, anche se non hanno letto la Psychopathia sexualis di von Krafft-Ebing che, secondo alcuni ingenui, avrebbe tanta colpa nella formazione delle tendenze perverse. Le psiconevrosi costituiscono, per così dire, la negativa499 delle perversioni. La costituzione sessuale, in cui sono incorporati i fattori ereditari, agisce nel nevrotico insieme alle influenze accidentali della vita che turbano lo svolgimento della sessualità normale. Le acque che trovano un ostacolo nel letto di un fiume rifluiscono in corsi più antichi, già destinati ad essere abbandonati. Le forze motrici per la formazione dei sintomi isterici vengono fornite non soltanto dalla sessualità normale rimossa, ma anche dai moti perversi inconsci.500
Le meno ripugnanti tra le cosiddette perversioni sessuali godono di grandissima diffusione presso la nostra popolazione, come tutti sanno ad eccezione dei medici che scrivono su questo argomento; o meglio, lo sanno anche loro, ma si sforzano di dimenticarlo nel momento in cui prendono la penna in mano per scriverne. Non vi è dunque da meravigliarsi se la nostra isterica, quasi501 diciannovenne, che aveva sentito parlare di un tal rapporto sessuale (succhiamento del membro maschile) sviluppasse una simile fantasia inconscia e l’esprimesse attraverso il senso di irritazione alla gola e la tosse. E non sarebbe neppure strano se Dora, come ho potuto accertare con sicurezza in altre malate, fosse giunta a questa fantasia senza chiarimenti dall’esterno. La precondizione somatica per creare in modo autonomo tale fantasia, coincidente col modo d’agire dei perversi, era fornita, nel caso della mia paziente, da un dato di fatto che merita di essere rilevato. Ella ricordava assai bene che da bimba era stata una “ciucciatrice”; anche il padre ricordava di averle fatto perdere tale abitudine, protrattasi fino all’età di quattro o cinque anni. Dora stessa aveva serbato nella sua memoria una chiara immagine ove si vedeva, bambina piccola, seduta per terra in un angolo, ciucciandosi il pollice sinistro mentre con la mano destra tirava il lobo dell’orecchio del fratello che le sedeva placidamente accanto. Abbiamo qui nella sua interezza il modo di autosoddisfacimento mediante l’atto del ciucciare, modo di cui mi hanno parlato anche altre pazienti, divenute più tardi anestetiche e isteriche.
Da una di tali malate ho ricevuto un’informazione che getta chiara luce sull’origine di questa strana abitudine. La giovane – che del resto non aveva mai perso l’abitudine di succhiarsi le dita – serbava il seguente ricordo infantile, che sembrava risalisse alla prima metà del secondo anno di vita: lei che succiava al seno della nutrice e al tempo stesso le tirava ritmicamente il lobo dell’orecchia. Ritengo che nessuno contesterà che la mucosa delle labbra e della bocca debba essere considerata come “zona erogena”502 primaria, dato che essa ha in parte conservato questo significato nel bacio, atto considerato normale. Un’attività intensa e iniziata per tempo di questa zona erogena costituisce dunque la condizione per l’ulteriore compiacenza somatica da parte del tratto di mucosa che ha inizio con le labbra. Così, allorché poi è già noto il vero oggetto sessuale, il membro maschile, se si producono circostanze che accrescono nuovamente l’eccitamento della zona orale rimasta erogena non occorrono grandi sforzi inventivi per sostituire al capezzolo originario, o al dito che ne teneva il posto, l’oggetto sessuale attuale, il pene, nella situazione atta al soddisfacimento. Dunque questa fantasia quanto mai ripugnante e perversa di succhiare il pene ha l’origine più innocente; essa è la riproduzione variata di un’impressione che può dirsi preistorica, quella del succhiare il seno materno o della nutrice, impressione in genere ravvivata, in seguito, dalla vista di bimbi che vengono allattati. Perlopiù la mammella della mucca è servita da adeguata rappresentazione intermedia tra il capezzolo materno e il pene.503
Dalla esposta interpretazione dei sintomi relativi alla gola della mia paziente può derivare un’altra osservazione. Ci si potrà chiedere in che modo questa situazione sessuale fantasticata concordi con l’altra spiegazione, secondo cui la comparsa e scomparsa dei fenomeni morbosi riprodurrebbe l’assenza e presenza dell’uomo amato ed esprimerebbe dunque, tenendo conto del comportamento della moglie di lui, il pensiero: “se io fossi sua moglie l’amerei in modo del tutto diverso, sarei malata (di nostalgia, diciamo) quando è lontano, sarei sana (di gioia) quando è di nuovo a casa.” La mia esperienza in fatto di soluzione dei sintomi isterici mi consente di rispondere che non è necessario che i diversi significati di un sintomo siano tra loro conciliabili, ossia si integrino così da formare un contesto coerente; è sufficiente che questo contesto sia fornito dal tema che ha dato origine a tutte le diverse fantasie. Del resto, nel nostro caso non è da escludere la conciliabilità; uno dei significati si riferisce più alla tosse, l’altro più all’afonia e all’alternarsi degli stati; un’analisi più approfondita avrebbe probabilmente consentito di ampliare notevolmente la mentalizzazione dei dettagli della malattia.
Abbiamo già visto che un sintomo corrisponde senza eccezione a più significati contemporaneamente; aggiungiamo ora che esso può esprimere anche più significati successivamente. Col passare degli anni, il sintomo può modificare uno dei suoi significati o il suo significato principale, oppure il ruolo principale può passare da un significato all’altro. È come se vi fosse, nel carattere della nevrosi, un elemento conservatore, per cui il sintomo una volta costituito viene conservato, per quanto è possibile, anche quando il pensiero inconscio che in esso trovava la sua espressione ha perso la sua importanza. È peraltro facile spiegare meccanicisticamente questa tendenza alla conservazione del sintomo; la produzione di un simile sintomo è così difficile, la traduzione dell’eccitamento puramente psichico in termini fisici (da me denominata “conversione”)504 dipende da tante condizioni favorevoli, la compiacenza somatica, necessaria alla conversione, è così difficile da avere, che la spinta a scaricare l’eccitamento proveniente dall’inconscio induce a contentarsi, per quanto è possibile, di una via di scarico già praticabile. La costituzione di rapporti associativi tra un nuovo pensiero, che ha bisogno di scaricarsi, e il vecchio, che ha perso tale bisogno, sembra assai più facile della creazione di una nuova conversione. Lungo la via così aperta l’eccitamento fluisce dalla sua nuova fonte verso l’antico punto di scarico e il sintomo somiglia, nelle parole del Vangelo, a un vecchio otre riempito di vino nuovo. Ma anche se, da quanto precede, la parte somatica del sintomo isterico appare l’elemento più stabile, più difficile da rimpiazzare, mentre la parte psichica appare l’elemento più variabile e facilmente sostituibile, non si deve dedurre da questo confronto tra le due parti un relativo rapporto d’importanza. Per la psicoterapia la più importante è sempre la parte psichica.
L’incessante ripetizione degli stessi pensieri circa i rapporti tra il padre e la signora K. offrì all’analisi, nel caso di Dora, l’occasione di ottenere altri materiali importanti.
Un tale giro di pensieri può essere definito sovraintenso o meglio rinforzato, “sovravalente” nel senso di Wernicke.505 Malgrado il contenuto apparentemente corretto, il suo carattere patologico viene rivelato dalla peculiarità che, nonostante tutti gli sforzi coscienti e intenzionali, il soggetto non riesce né a spezzarlo né a sopprimerlo, laddove un giro normale di pensieri può essere eliminato qualunque ne sia l’intensità. Dora sentiva perfettamente che i suoi pensieri sul padre meritavano un giudizio particolare. “Non posso pensare ad altro”, si lamentava ripetutamente. “Mio fratello mi dice, è vero, che noi ragazzi non abbiamo il diritto di criticare le azioni del babbo. Non ce ne dovremmo preoccupare e magari ci dovremmo rallegrare del fatto che egli abbia trovato una donna cui affezionarsi, dato che la mamma lo comprende così poco. Mi rendo conto di questo e vorrei pensarla come mio fratello, ma non posso. Non posso perdonargli.”506
Che fare di fronte a un simile pensiero sovravalente, dopo aver preso conoscenza dei suoi motivi inconsci e delle obiezioni vanamente mosse contro di esso? Occorre dirsi che un tale giro di pensieri sovraintenso deve il suo rafforzamento all’inconscio. Esso non può essere risolto dall’attività mentale, o perché si spinge, con le sue radici, fino al materiale inconscio rimosso, o perché dietro ad esso si nasconde un altro pensiero inconscio.507 Quest’ultimo è perlopiù il suo opposto diretto. I pensieri opposti sono sempre strettamente legati gli uni agli altri e spesso appaiati in modo che mentre l’uno è conscio in modo sovraintenso, la sua controparte è rimossa e inconscia. Questo rapporto è un prodotto del processo di rimozione. La rimozione, infatti, viene spesso effettuata in modo che il pensiero opposto a quello da rimuovere venga rafforzato all’eccesso. Ho denominato questo fenomeno rafforzamento reattivo, e pensiero reattivo quello che si afferma con eccessiva intensità nella coscienza e che si mostra ineliminabile come fosse un pregiudizio. I due pensieri si comportano reciprocamente pressappoco come i due aghi di una coppia astatica di aghi magnetici.508 In virtù di un certo eccesso di intensità, il pensiero reattivo trattiene nella rimozione il materiale respinto; ma per ciò stesso è “sfumato” e protetto contro il lavoro mentale cosciente. La via per togliere al pensiero sovraintenso il suo rafforzamento è dunque quella di rendere cosciente il pensiero opposto rimosso.509
Non bisogna neppure escludere la possibilità di incontrare casi in cui sussiste non una soltanto, ma il concorso di entrambe le cause per la sovravalenza. Si possono presentare anche altre complicazioni che però si lasciano facilmente ricondurre ai casi precedenti.
Verifichiamo innanzitutto, nell’esempio offertoci da Dora, la prima ipotesi, cioè che la radice della preoccupazione di tipo ossessivo per i rapporti tra il padre e la signora K. rimanga a Dora ignota perché la radice stessa risiede nel suo inconscio. Non è difficile indovinare, dalle circostanze e dalle manifestazioni di questo caso, la natura di tale radice. Con la sua condotta Dora superava, evidentemente, i limiti dell’interessamento filiale; ella sentiva e agiva piuttosto come una moglie gelosa, in un modo che sarebbe stato comprensibile nella madre. Ponendo al padre l’alternativa “lei o io”, con le scene che gli faceva, con la minaccia di suicidio che gli aveva lasciato intravvedere, ella si metteva chiaramente al posto della madre. D’altronde, se abbiamo indovinato il carattere di fantasticata situazione sessuale su cui è basata la tosse, in essa Dora si metteva al posto della signora K. Ella si identificava dunque con le due donne amate dal padre, l’una prima e l’altra ora. È facile concluderne che essa era assai più affezionata al padre di quanto ella stessa sapesse o fosse disposta a riconoscere, ossia che era innamorata del padre.
Simili relazioni amorose inconsce tra padre e figlia, tra madre e figlio, riconoscibili dalle loro conseguenze abnormi, sono da considerare a mio avviso come un risveglio di germi infantili della sensibilità. Ho esposto altrove510 come per tempo si manifesti l’attrazione sessuale tra genitori e figli e come il mito di Edipo sia probabilmente da considerare una versione poetica dell’aspetto tipico di tali relazioni. Questo verificarsi per tempo dell’inclinazione della figlia per il padre, del figlio per la madre, di cui si può probabilmente riscontrare una chiara traccia nella maggior parte delle persone, deve essere ritenuto più intenso sin dall’inizio nei bambini costituzionalmente predisposti alla nevrosi, precoci e avidi di amore. Intervengono in seguito certe influenze (di cui non è da parlare in questa sede) che fissano il rudimentale moto amoroso o lo rafforzano al punto ch’esso divenga – già negli anni dell’infanzia o solo all’epoca della pubertà – qualcosa di equiparabile a un’inclinazione sessuale e che, come questa, implichi la partecipazione della libido.511 Le circostanze esterne, nel caso della nostra paziente, non erano affatto sfavorevoli a questa supposizione. Per la sua stessa disposizione ella era attratta dal padre e le ripetute malattie di lui dovevano aver accresciuto la sua tenerezza; molte volte il malato aveva ammesso lei sola a prestargli le piccole cure abituali; fiero della sua intelligenza precoce, il padre ne aveva fatto, ancora bambina, la sua confidente. Non era in verità la madre, ma lei, ad essere stata cacciata da più d’una posizione dalla comparsa della signora K.
Quando dissi a Dora che dovevo supporre che la sua inclinazione per il padre avesse già da tempo il carattere di un pieno innamoramento, ella rispose naturalmente come al solito di “non ricordarsi”; mi parlò però subito di un fatto analogo riguardante una sua cugina per parte di madre, di sette anni, in cui ella credeva spesso di vedere come un riflesso della propria infanzia. La piccola era stata un giorno testimone ancora una volta di una violenta lite tra i genitori ed aveva sussurrato all’orecchio a Dora, giunta in visita poco dopo: “Non puoi credere quanto detesti quella donna! – (accennando alla madre). – E se un giorno muore io sposo papà!” In simili associazioni da cui risulta qualcosa che concorda con le mie affermazioni, io vedo generalmente una conferma data dall’inconscio. Non ci si può attendere un diverso “sì” dall’inconscio; un “no” inconscio non esiste.512
Per anni questo amore per il padre non si era manifestato; anzi Dora era stata per molto tempo in rapporti cordialissimi proprio con la donna che l’aveva soppiantata presso il padre e aveva persino favorito la sua relazione con il padre, come sappiamo dalle autoaccuse. Questo amore si era dunque ravvivato di recente e, se stanno così le cose, ci si deve chiedere a quale scopo. Evidentemente come sintomo reattivo, allo scopo di reprimere qualcosa d’altro, qualcosa, cioè, ancora potente nell’inconscio. Date le circostanze, non potevo non pensare in primo luogo che questa cosa repressa fosse l’amore per il signor K. Dovevo supporre che questo amore durasse ancora ma che dopo la scena del lago incontrasse, per motivi ignoti, una violenta opposizione interiore, e che la giovane avesse risvegliato e rafforzato la sua antica inclinazione per il padre per non dover più nulla riscontrare nella propria coscienza del suo amore di adolescente, divenutole penoso. Riuscii allora a comprendere un conflitto capace di sconvolgere la vita psichica della paziente. Ella era da un lato piena di rimpianto per aver respinto le profferte di K., piena di nostalgia di lui e delle sue piccole manifestazioni di tenerezza; dall’altro, a questi sentimenti teneri e nostalgici si opponevano potenti motivi, tra i quali s’indovinava facilmente il suo orgoglio. Ella era così giunta a convincersi di averla finita con K. (e questo era il vantaggio che le procurava questo tipico processo di rimozione), mentre doveva d’altronde chiamare in aiuto ed esagerare l’inclinazione infantile per il padre, per difendersi dall’amore per K. che cercava costantemente di riaffiorare alla coscienza. Lo stato quasi costante di esasperata gelosia della malata sembrava peraltro essere determinato anche in un altro modo.513
Ero perfettamente preparato a sentire da Dora, allorché le esposi questa spiegazione, il più deciso diniego. Il “no” che il paziente ci oppone allorché presentiamo per la prima volta alla sua percezione cosciente il pensiero rimosso non fa che confermare la rimozione, e la decisione con cui è pronunciato è in certo modo una misura dell’intensità di essa. Se non consideriamo questo “no” come un giudizio imparziale, di cui il malato d’altronde è incapace, bensì passiamo oltre e continuiamo il nostro lavoro, incontriamo ben presto le prime prove del fatto che il “no”, in un tal caso, significa il “sì” desiderato. Dora ammise che non poteva serbare al signor K. tutto il rancore che questi si sarebbe meritato. Mi raccontò che un giorno l’aveva incontrato per la strada, mentre era in compagnia d’una cugina che non lo conosceva, e che la cugina aveva esclamato: “Dora, che hai? Sei diventata pallida come un cencio!” Ella non si era affatto accorta di essere impallidita; io le spiegai però che il gioco della fisionomia e l’espressione dell’affetto danno ascolto più all’inconscio che alla coscienza e tradiscono facilmente il primo.514 Un’altra volta, dopo parecchi giorni in cui si era mostrata d’umore costante e lieto, ella venne da me in uno stato di profondo abbattimento, che lei stessa non sapeva spiegarsi. Oggi – mi disse – tutto le andava a rovescio; era il compleanno dello zio e non poteva risolversi a fargli gli auguri, senza saperne il perché. Le mie capacità interpretative in quel momento parevano piuttosto ottuse; la lasciai continuare ed ella ricordò improvvisamente che quel giorno ricorreva anche il compleanno del signor K., del che non mancai di servirmi contro di lei. Non era inoltre difficile capire perché i ricchi regali ch’ella aveva ricevuto qualche giorno prima per il proprio compleanno non le avessero procurato alcuna gioia. Un regalo mancava, quello del signor K., che in passato era stato evidentemente il più prezioso per lei.
Dora continuò tuttavia per un po’ di tempo a opporsi alle mie asserzioni, finché verso la fine dell’analisi una prova decisiva venne a dimostrarne l’esattezza.
Devo ora parlare di un’altra complicazione, a cui certo non dedicherei spazio alcuno se fossi un artista che deve inventare un simile stato d’animo in un racconto, invece di un medico che ne deve fare la dissezione. L’elemento cui ora alluderemo non può che offuscare e dissolvere la bellezza, la poesia del conflitto che abbiamo dovuto ascrivere a Dora; esso verrebbe a buon diritto sacrificato dalla censura dell’artista che, del resto, quando appare nelle vesti di psicologo, semplifica e astrae. Ma nella realtà che io mi sforzo qui di descrivere, la complicazione dei motivi, il cumulo e la combinazione degli stati d’animo, in una parola la sovradeterminazione, costituiscono la norma. Sotto i pensieri sovravalenti che s’aggiravano intorno alla relazione tra il padre e la signora K. si celava in effetti anche un moto di gelosia il cui oggetto era questa stessa donna; un moto, dunque, che poteva basarsi soltanto sopra un’inclinazione verso il suo stesso sesso. È noto da tempo ed è spesso stato messo in rilievo che nella pubertà ragazzi e ragazze mostrano chiari indizi, anche in casi normali, d’inclinazione verso il proprio sesso. L’amicizia entusiastica tra compagne di scuola, con giuramenti, baci e promesse di eterna corrispondenza e con tutte le suscettibilità proprie della gelosia, abitualmente precorre la prima vera passione per un uomo. In circostanze favorevoli la corrente omosessuale si esaurisce poi completamente; ma se il successivo amore per l’uomo non costituisce un’esperienza felice, spesso quella corrente viene risvegliata dalla libido negli anni seguenti ed elevata a un grado più o meno alto d’intensità. Se ciò può essere agevolmente costatato nelle persone sane, una disposizione anche maggiore all’omosessualità dovrà potersi accertare nella costituzione dei nevrotici, dato che in questi, come abbiamo precedentemente visto, si ha un maggiore sviluppo dei germi normali di perversione. Così dev’essere effettivamente, poiché non ho ancora effettuato una sola psicoanalisi di uomo o di donna senza imbattermi in una simile rilevante corrente omosessuale. Nelle adolescenti o donne isteriche in cui la libido sessuale diretta verso l’uomo ha subìto un’energica repressione, si riscontra regolarmente la libido diretta verso la donna, rafforzata in sua vece e talora persino parzialmente conscia.
Non mi attarderò qui su questo importante argomento, indispensabile soprattutto per capire l’isteria maschile, perché l’analisi di Dora fu interrotta prima che potesse far luce su questo aspetto del suo caso. Voglio però ricordare quella governante con cui Dora visse in intimo scambio d’idee finché non si accorse di essere accudita da lei e vezzeggiata non per sé stessa ma in ragione del padre; allora l’aveva costretta a lasciare la casa. Dora mi intrattenne anche ampiamente, con una frequenza e un’enfasi particolari, sulla storia di un’altra amicizia alienatasi per motivi rimasti a lei stessa misteriosi. Ella era sempre andata molto d’accordo con la sua cugina più giovane, quella che poi si era fidanzata, e le confidava tutti i propri segreti. Ora, quando il padre tornò per la prima volta a B. dopo la vacanza interrotta sul lago e Dora naturalmente non volle accompagnarlo, venne invitata la cugina a fare il viaggio con lui, e questa accettò. Dopo di allora Dora provò un senso di freddezza per la cugina e lei stessa si meravigliava di come le fosse divenuta indifferente, sebbene, doveva ammetterlo, non avesse grandi rimproveri da muoverle. Queste suscettibilità della paziente mi indussero a chiederle quali fossero stati i suoi rapporti con la signora K. fino al momento del dissidio. Appresi allora che la giovane donna e Dora, appena adolescente, avevano vissuto per anni nella maggiore intimità. Quando Dora abitava presso i K. ella divideva con la signora la camera da letto, da cui il marito veniva sloggiato. Era stata la confidente e la consigliera della moglie in tutte le difficoltà della sua vita coniugale; non v’era nulla di cui non avessero parlato. Medea era ben soddisfatta che Creusa attirasse a sé i due bambini; ed ella certo nulla faceva per disturbare la relazione del padre di quei bambini con la ragazza. Come Dora arrivasse ad amare l’uomo di cui la sua cara amica sapeva dirle tanto male, costituisce un interessante problema psicologico, che si può risolvere se si comprende che nell’inconscio i pensieri vivono fianco a fianco in modo particolarmente confortevole e persino i contrari si sopportano senza urti, uno stato di cose, questo, che permane abbastanza spesso anche nella coscienza.
Quando Dora parlava della signora K., ne decantava “il candore affascinante del corpo”, in un tono piuttosto da innamorata che da rivale sconfitta. Un’altra volta mi disse, con più mestizia che amarezza, di essere convinta che i regali che le portava il babbo erano stati scelti dalla signora K.; ella vi riconosceva il suo gusto. Un’altra volta ancora mi disse che certo per opera della signora K. le erano stati regalati gioielli in tutto simili a quelli che aveva visto presso di lei e di cui allora aveva espresso apertamente il desiderio. Debbo insomma dire che non ho mai udito una parola dura o irosa di Dora nei confronti della donna in cui ella, dal punto di vista dei suoi pensieri sovravalenti, avrebbe dovuto vedere la ragione prima della propria infelicità. Ella sembrava dunque comportarsi in modo non conseguente, ma questa inconseguenza apparente era proprio l’espressione di una corrente emotiva che complicava le cose. In effetti, come si era condotta nei suoi riguardi l’amica tanto entusiasticamente amata? Dopo che Dora ebbe formulato le sue accuse contro il signor K., il padre gli aveva scritto chiedendogli spiegazioni, e questi aveva risposto protestando anzitutto il proprio massimo rispetto ed offrendosi di venire alla città industriale per chiarire ogni malinteso. Ma qualche settimana dopo, quando il padre s’incontrò col signor K. a B., non si parlò più di rispetto; K. parlò male di Dora e, come ultima carta, disse che una ragazza che leggeva certi libri e s’interessava a certe cose non poteva pretendere il rispetto di un uomo. Solo con la signora K. Dora aveva parlato del Mantegazza e di argomenti scabrosi; era stata dunque lei a tradirla e a denigrarla. Si ripeteva il caso della governante: anche la signora K. non l’aveva amata per lei stessa, ma per suo padre, l’aveva sacrificata senza esitazione per non essere disturbata nella sua relazione con lui. Forse quest’offesa l’aveva colpita più da vicino, aveva avuto su Dora un’azione più patogena dell’altra con cui ella cercava forse di mascherarla, l’offesa fattale dal padre sacrificandola. Un’amnesia così ostinatamente mantenuta circa la fonte delle sue conoscenze scabrose non era forse in diretto rapporto col valore sentimentale dell’accusa rivoltale e di conseguenza col tradimento dell’amica?
Non credo dunque di ingannarmi presumendo che i pensieri sovravalenti di Dora, aggirantisi sulla relazione tra il padre e la signora K., non fossero destinati soltanto a reprimere l’amore, una volta cosciente, per il signor K., ma anche a mascherare l’amore per la signora K., inconscio nel senso più profondo. Con questa seconda corrente i pensieri su cui insisteva erano in totale contrasto: Dora si ripeteva senza tregua che il padre l’aveva sacrificata a quella donna, asseriva enfaticamente di invidiare a costei l’amore di suo padre, e in tal modo nascondeva a sé stessa il contrario, ossia ch’ella non poteva non invidiare al padre l’amore di quella donna e che non aveva potuto perdonare alla donna amata la delusione datale col suo tradimento. Il moto di gelosia della donna si accoppiava, nell’inconscio, a una gelosia quale avrebbe potuto essere provata da un uomo. Queste correnti virili, o per dir meglio ginecofile, del sentimento sono da considerarsi tipiche della vita erotica inconscia delle adolescenti isteriche.515