2.

[Circa 1902-1910]

Dall’anno 1902 una schiera di giovani medici mi si fece attorno con l’esplicita intenzione di imparare, esercitare e diffondere la psicoanalisi. A ciò li aveva indotti un collega, che aveva sperimentato su se stesso i benefici effetti della terapia analitica.521 In serate determinate ci si riuniva nella mia abitazione, si discuteva secondo certe regole, si cercava di orientarsi in questo campo di indagine sconcertante per la sua novità, e di conquistare ad esso l’interesse di altre persone. Un giorno un giovane diplomato di una scuola professionale si presentò a noi con un manoscritto che rivelava un’intelligenza eccezionale. Lo inducemmo a compiere gli studi ginnasiali,522 a iscriversi all’università e a dedicarsi alle applicazioni non mediche della psicoanalisi. La piccola associazione guadagnò così un segretario assiduo e fidato, e io acquistai in Otto Rank il mio aiutante e collaboratore più fedele.523

La piccola cerchia non tardò ad allargarsi mutando ripetutamente, nel corso degli anni successivi, la propria composizione. In complesso potevo dire a me stesso che per la ricchezza e varietà di talenti che in essa operavano, non aveva nulla da invidiare allo stato maggiore di qualsiasi docente clinico. Fin dall’inizio ne fecero parte uomini che nella successiva storia del movimento psicoanalitico avrebbero assunto funzioni assai importanti, se pur non sempre gradevoli. A quel tempo però non era ancora possibile intuire tale sviluppo. Potevo ritenermi soddisfatto, e credo di aver fatto di tutto per rendere accessibile agli altri ciò che io sapevo e avevo sperimentato. Di cattivo auspicio erano solo due circostanze, che finirono per estraniarmi intimamente da quella cerchia. Non riuscii a stabilire tra i membri quell’amichevole accordo che dovrebbe regnare tra uomini che svolgono il medesimo difficile lavoro, né a soffocare le dispute di priorità, cui il lavoro in comune forniva numerose occasioni. Le difficoltà connesse all’insegnamento della pratica psicoanalitica, notevolissime in effetti e alle quali sono imputabili molti dei dissidi odierni, erano peraltro già presenti in quella privata Società psicoanalitica di Vienna. Io stesso non osavo presentare una tecnica ancora incompiuta e una teoria in continua evoluzione con quella autorità che ad altri avrebbe probabilmente risparmiato alcune deviazioni che hanno portato al definitivo sbandamento. L’autonomia e la precoce indipendenza dal maestro danno sempre una soddisfazione psicologica a chi svolge un lavoro intellettuale; ma da un punto di vista scientifico si trae un vantaggio da questi atteggiamenti solo se in questi ricercatori si realizzano alcune condizioni personali che non sono molto frequenti. La psicoanalisi in particolare avrebbe richiesto una lunga, severa disciplina e un’educazione al dominio di sé. In considerazione del coraggio che essi dimostravano nel votarsi a una causa così derisa e disperata, ero incline a permettere ai membri della Società cose che altrimenti mi avrebbero urtato. La cerchia peraltro non comprendeva soltanto medici, ma anche altre persone colte che avevano riconosciuto un che di significativo nella psicoanalisi: scrittori, artisti, e così via. L’Interpretazione dei sogni, il libro sul Motto di spirito e altri lavori avevano mostrato sin dall’inizio che le teorie della psicoanalisi non possono rimanere confinate al campo medico, poiché sono suscettibili di applicazioni molteplici ad altri ambiti delle scienze umane.

Dal 1907 la situazione cambiò di colpo contrariamente ad ogni aspettativa. Risultò che la psicoanalisi aveva silenziosamente suscitato interesse e trovato amici, anzi che esistevano scienziati pronti a professarla. Una lettera di Bleuler524 mi aveva già precedentemente informato che i miei lavori venivano studiati e utilizzati al Burghölzli. Nel gennaio 1907 giunse a Vienna il primo membro della clinica zurighese, il dottor Eitingon,525 e presto seguirono altre visite che avviarono un vivace scambio d’idee; infine, su invito di Carl Gustav Jung, a quel tempo ancora assistente al Burghölzli, nella primavera del 1908 fu combinato un primo incontro a Salisburgo, che riunì gli amici della psicoanalisi da Vienna, Zurigo e altri luoghi. Frutto di questo primo Congresso psicoanalitico fu la fondazione di una rivista, lo “Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen” [Annuario di ricerche psicoanalitiche e psicopatologiche], diretto da Bleuler e Freud e redatto da Jung, che cominciò a uscire nell’anno 1909. In questa pubblicazione si espresse la stretta collaborazione scientifica instauratasi tra Vienna e Zurigo.

Ripetutamente ho riconosciuto con gratitudine i grandi meriti della scuola psichiatrica di Zurigo per la divulgazione della psicoanalisi promossa soprattutto da Bleuler e Jung, e non esito a fare lo stesso oggi, pure in condizioni tanto mutate. Invero non fu la presa di posizione della scuola di Zurigo ad attirare per prima l’attenzione del mondo scientifico sulla psicoanalisi. Il periodo di latenza era trascorso e dappertutto la psicoanalisi divenne oggetto di crescente interessamento. Ma altrove dall’interesse che veniva rivolto alla psicoanalisi non risultò a tutta prima che un rifiuto, quasi sempre accentuato appassionatamente; a Zurigo, invece, l’accordo in linea di principio divenne la nota dominante. In nessun altro luogo esisteva un gruppetto altrettanto compatto di adepti, o poteva essere posta al servizio dell’indagine psicoanalitica una clinica pubblica, o si trovava un docente disposto ad assumere la dottrina psicoanalitica come parte integrante del suo insegnamento di psichiatria. Gli zurighesi divennero in tal modo il nucleo della piccola schiera che si batteva per il riconoscimento dell’analisi. Soltanto essi offrivano l’opportunità di imparare la nuova arte e di eseguire lavori in materia. La maggior parte di coloro che oggi mi seguono e collaborano con me sono venuti passando per Zurigo, persino quelli per cui geograficamente era molto più vicina Vienna che la Svizzera. Vienna è in posizione eccentrica rispetto all’Occidente europeo, in cui si trovano i grandi centri della nostra cultura; da molti anni la sua reputazione è danneggiata da pesanti pregiudizi. I rappresentanti delle nazioni più importanti si danno convegno in Svizzera, dove l’attività intellettuale è così fervida; un focolaio d’infezione ivi situato era destinato ad assumere quindi particolare importanza per la diffusione di quella che Hoche di Friburgo ha chiamato “un’epidemia psichica”.526

Secondo la testimonianza di un collega che ha partecipato a quanto si faceva al Burghölzli, si può stabilire che già molto presto la psicoanalisi vi destò interesse. Nello scritto di Jung sui fenomeni occulti, pubblicato nel 1902, si trova già un primo accenno al mio libro sull’interpretazione dei sogni.527 A partire dal 1903 o 1904, riferisce il mio informatore, la psicoanalisi assunse una posizione di primo piano. Da quando tra Vienna e Zurigo si erano stretti rapporti personali, anche al Burghölzli si costituì alla metà del 1907 una società informale che discuteva i problemi della psicoanalisi in incontri che avvenivano con regolarità. Nell’unione che si stabilì tra la scuola viennese e quella di Zurigo, gli Svizzeri non erano affatto la parte meramente ricettiva. Essi avevano già svolto un rispettabile lavoro scientifico, i cui risultati andarono a beneficio della psicoanalisi. L’esperimento associativo suggerito dalla scuola di Wundt era da loro stato interpretato in senso psicoanalitico e aveva consentito applicazioni inaspettate. Divenne quindi possibile fornire rapide conferme sperimentali di osservazioni psicoanalitiche, e dimostrare all’allievo la presenza di alcune connessioni che l’analista avrebbe solo potuto raccontare. Era gettato il primo ponte che dalla psicologia sperimentale conduceva alla psicoanalisi.

Nel trattamento psicoanalitico l’esperimento associativo consente un’analisi provvisoria del caso in questione a livello qualitativo, ma non fornisce un contributo essenziale alla tecnica e in fondo può essere trascurato nel corso delle analisi. Più significativa fu invece un’altra acquisizione della scuola di Zurigo, vale a dire dei suoi due capi, Bleuler e Jung. Il primo dimostrò che in tutta una serie di casi puramente psichiatrici la spiegazione scaturiva da quegli stessi processi che erano stati individuati, mediante la psicoanalisi, nel caso del sogno e delle nevrosi (“meccanismi di Freud”); Jung applicò con successo il metodo interpretativo analitico ai più stravaganti e oscuri fenomeni della dementia praecox [schizofrenia],528 sicché l’origine di essa fu rintracciata con chiarezza nella vita passata e negli interessi dei pazienti. Da quel momento in poi divenne impossibile per gli psichiatri continuare a ignorare la psicoanalisi. La grande opera di Bleuler sulla schizofrenia,529 nella quale il metodo psicoanalitico veniva equiparato a quello clinico-sistematico, costituì il coronamento di questo successo.

Non trascurerò di accennare a una differenza che fin da allora si palesò nell’indirizzo di lavoro delle due scuole. Già nel 1897 avevo pubblicato l’analisi di un caso di schizofrenia,530 d’impronta paranoide però, per cui la sua soluzione non poteva sminuire l’impressione suscitata dalle analisi junghiane. Per me, più che la possibilità di interpretarne i sintomi, era stato importante scoprire il meccanismo psichico della malattia e soprattutto rilevarne la coincidenza con quello già riconosciuto nell’isteria. Sulle differenze fra i due meccanismi non fu allora ancora gettata luce alcuna. Ciò accadde perché a quell’epoca io mi proponevo di costruire una teoria libidica delle nevrosi che spiegasse tutti i fenomeni nevrotici e psicotici in base a vicissitudini abnormi della libido, ossia a deviazioni rispetto al suo impiego normale. Questo punto di vista mancava agli scienziati svizzeri. Per quanto sappia, Bleuler sostiene ancor oggi la causa organica delle varie forme di dementia praecox, e Jung, il cui lavoro a proposito di questa malattia era apparso nel 1907, al nostro congresso di Salisburgo del 1908 sostenne la tesi che essa ha origine tossica, tesi che non tiene conto della teoria della libido anche se invero non la esclude. Sullo stesso punto più tardi (1912)531 egli si è arenato, basandosi troppo su quel materiale di cui prima non si era voluto servire.

Non posso, a differenza di chi non ne è coinvolto, apprezzare gran che un terzo contributo della scuola svizzera, che forse va messo interamente sul conto di Jung. Mi riferisco alla dottrina dei “complessi”, che nacque dai suoi studi sull’associazione verbale degli anni 1906-09.532 Essa né ha dato origine a una teoria psicologica indipendente, né ha dimostrato di potersi inscrivere senza sforzo nel contesto della teoria psicoanalitica. La parola “complesso”, invece, ha conquistato diritto di cittadinanza nella psicoanalisi, come termine adeguato e spesso indispensabile per la descrizione riassuntiva di uno stato di fatto psicologico.533 Nessun altro fra i nomi e le designazioni coniati per le esigenze della psicoanalisi ha raggiunto popolarità così grande, né è incorso così spesso in applicazioni abusive a detrimento di formulazioni concettuali più precise. Nel gergo degli psicoanalisti si è incominciato a parlare di “ritorno del complesso”, quando ci si riferiva al “ritorno del rimosso”, oppure si è presa l’abitudine di dire: ho un complesso contro di lui, quando l’unica espressione corretta sarebbe stata: ho una resistenza contro di lui.

Negli anni a partire dal 1907 che sono seguiti all’unificazione delle scuole di Vienna e di Zurigo, la psicoanalisi conobbe quell’eccezionale impulso sotto il cui segno si trova ancor oggi; di esso esiste una documentazione sicura sia nella diffusione degli scritti in suo favore e nel fatto che continua ad aumentare il numero dei medici che desiderano esercitare o apprendere la psicoanalisi, sia nell’accumularsi degli attacchi sferrati contro di essa in congressi e dotte compagnie. Essa è migrata nei paesi più lontani e non solo ha fatto sobbalzare ovunque gli psichiatri, ma ha destato altresì l’interesse dei profani colti e di chi era impegnato in altri campi del sapere. Havelock Ellis, che aveva seguito con simpatia lo sviluppo della psicoanalisi senza mai proclamarsi suo seguace, nel 1911 scrisse in una relazione al Congresso medico australasiatico: “La psicoanalisi di Freud è ora promossa ed esercitata non solo in Austria e in Svizzera, ma anche negli Stati Uniti, in Inghilterra, in India, in Canada e, non ne dubito, in Australasia.”534 Un medico (probabilmente tedesco) del Cile, al Congresso internazionale di medicina e igiene di Buenos Aires, nel 1910, intervenne in favore della sessualità infantile e pronunciò parole di lode per i successi della psicoanalisi nella terapia dei sintomi ossessivi;535 uno psichiatra inglese dell’India centrale (Berkeley-Hill536) mi informò attraverso un distinto collega venuto in Europa che i maomettani dell’India, sui quali stava esercitando la psicoanalisi, non lasciavano intravedere un’etiologia delle loro nevrosi diversa da quella dei nostri pazienti europei.

L’introduzione della psicoanalisi negli Stati Uniti avvenne sotto auspici particolarmente illustri. Nell’autunno del 1909 Jung e io fummo invitati da G. Stanley Hall,537 presidente della Clark University di Worcester (presso Boston), a tenere per il ventesimo anniversario della fondazione dell’Istituto un certo numero di conferenze in lingua tedesca. Con nostra grande sorpresa scoprimmo che gli uomini privi di pregiudizi di quella piccola ma rispettata università pedagogico-filosofica erano a conoscenza di tutti i lavori psicoanalitici e vi avevano fatto riferimento nelle loro lezioni. Nella pudibonda America era possibile, quantomeno nei circoli accademici, discutere liberamente e trattare scientificamente tutto ciò che nella vita era reputato indecente. Le cinque conferenze che avevo improvvisato a Worcester uscirono poi nell’“American Journal of Psychology” in traduzione inglese e poco dopo in lingua tedesca con il titolo Über Psychoanalyse.538 Jung parlò dei suoi studi di associazione verbale e dei conflitti dell’anima infantile.539 Fummo ricompensati per la nostra opera con il titolo onorifico di LL.D. (dottori utroque jure). Durante quella settimana celebrativa di Worcester la psicoanalisi era rappresentata da cinque persone: oltre a Jung e me, c’erano Ferenczi, che mi aveva accompagnato nel viaggio, Ernest Jones, a quel tempo all’Università di Toronto (Canada), ora a Londra, e Brill, che stava già esercitando la pratica analitica a New York.

Il rapporto personale più significativo allacciato a Worcester fu quello con James J. Putnam, professore di neuropatologia alla Harvard University, che anni prima aveva espresso un giudizio negativo sulla psicoanalisi ma che adesso stava rapidamente familiarizzandosi con essa, raccomandandola ai suoi connazionali e colleghi in numerose conferenze dense di contenuto e belle nella forma. Il rispetto di cui in America egli era circondato per le elevate doti morali del suo carattere e per il suo inflessibile amore del vero tornò a vantaggio della psicoanalisi e la protesse dalle accuse cui avrebbe probabilmente finito per soccombere ben presto. Più tardi Putnam ha ceduto troppo alle grandi esigenze etiche e filosofiche della sua natura, avanzando la pretesa, a mio avviso impossibile, che la psicoanalisi si ponesse al servizio di una determinata concezione etico-filosofica del mondo; tuttavia egli è rimasto il pilastro principale del movimento psicoanalitico nella sua terra d’origine.540

I più grandi meriti per la successiva diffusione di questo movimento li acquistarono Brill e Jones, che con un’assiduita colma di abnegazione con i loro lavori portavano e riportavano dinanzi agli occhi dei connazionali i fatti fondamentali facilmente osservabili della vita quotidiana, del sogno e della nevrosi. Brill ha rafforzato questo influsso con la sua attività medica e la traduzione dei miei scritti, Jones con conferenze istruttive e interventi incisivi ai congressi americani.541 La mancanza di una tradizione scientifica radicata e la minore rigidità delle autorità ufficiali furono decisamente favorevoli all’iniziativa promossa da Stanley Hall in America. Un tratto caratteristico fu fin dal principio che professori e direttori di istituzioni manicomiali americane si mostrarono interessati all’analisi nella stessa misura dei professionisti indipendenti. Ed è chiaro che proprio per questo, la battaglia decisiva per le sorti dell’analisi non può che avvenire là dove si è prodotta la massima resistenza, e cioè negli antichi centri della cultura.

Dei paesi europei, la Francia fino ad ora si è rivelato il meno disponibile ad accettare la psicoanalisi, nonostante gli efficaci scritti in francese dello zurighese A. Maeder abbiano fornito al lettore un agevole accesso alle sue teorie. I primi indizi di partecipazione sono giunti dalla provincia: Morichau-Beauchant (Poitiers) fu il primo francese a professare pubblicamente la psicoanalisi. Régis542 e Hesnard (Bordeaux) solo recentemente hanno tentato di dissipare i pregiudizi dei loro compatrioti nei confronti della nuova dottrina con una presentazione ampia, non sempre comprensibile, le cui obiezioni si rivolgono in particolar modo al simbolismo.543 A Parigi stessa pare stia ancora regnando la convinzione (alla quale al Congresso di Londra del 1913544 Janet ha dato così eloquente espressione) che tutto ciò che della psicoanalisi è buono ripeta, con irrilevanti modifiche, le opinioni di Janet, e che tutto il resto sia nefando. Allo stesso congresso Janet dovette ascoltare una serie di rettifiche di Jones, che gli potè rinfacciare la sua scarsa cognizione di causa.545 Pur respingendo le sue pretese, non possiamo dimenticare i pregi del suo lavoro sulla psicologia delle nevrosi.

In Italia, dopo alcuni promettenti inizi, venne a mancare un’ulteriore partecipazione. In Olanda, grazie a relazioni personali, l’analisi fece presto il suo ingresso; van Emden, van Ophuijsen, van Renterghem546 e i due Stärcke vi svolgono un’attività sia teorica che pratica coronata da successo.547 L’interesse degli ambienti scientifici inglesi per l’analisi si è sviluppato assai lentamente, ma abbiamo ragione di sperare che il senso pratico degli Inglesi e la loro passione per le cause giuste favorirà in Gran Bretagna una splendida fioritura della psicoanalisi.

In Svezia P. Bjerre, continuatore dell’attività medica di Wetterstrand, ha almeno temporaneamente rinunciato alla suggestione ipnotica in favore del trattamento analitico. R. Vogt (Cristiania) fin dal 1907 ha apprezzato la psicoanalisi nel suo Psykiatriens grundtraek, sì che il primo manuale di psichiatria che ha tenuto conto della psicoanalisi è stato scritto in lingua norvegese. In Russia la psicoanalisi è generalmente nota e diffusa; quasi tutti i miei scritti al pari di quelli di altri aderenti dell’analisi sono stati tradotti in russo. Ma non si è ancora giunti in Russia a una comprensione veramente approfondita delle teorie analitiche. I contributi dei medici russi sono da considerare per ora insignificanti. Solo Odessa possiede nella persona di M. Wulf un analista istruito. L’introduzione della psicoanalisi nella scienza e letteratura polacca torna principalmente a merito di L. Jekels. L’Ungheria, geograficamente così strettamente unita all’Austria, scientificamente così estraniata da essa, ha finora dato alla psicoanalisi un collaboratore soltanto, Ferenczi, che vale però una società intera.548

Per quel che riguarda la situazione della psicoanalisi in Germania, non si può fare a meno di tener conto che essa si trova al centro della discussione scientifica, suscitando espressioni del più reciso rifiuto presso medici e profani; tali espressioni non si sono a tutt’oggi ancora esaurite, ma anzi continuano a farsi sentire e di tanto in tanto s’intensificano. Nessuna istituzione scolastica pubblica ha fino ad oggi dato accesso alla psicoanalisi e sono pochissimi i medici professionisti di successo che la esercitano; soltanto pochi istituti, come quello di Binswanger a Kreuzlingen (su suolo svizzero) e di Marcinowski nello Holstein, le hanno aperto le porte. Uno dei rappresentanti più eminenti dell’analisi, Karl Abraham, ex assistente di Bleuler, agisce nella difficile atmosfera berlinese. Ci si potrebbe stupire che questa situazione di fatto si sia mantenuta inalterata già da parecchi anni se non si sapesse che la suddetta descrizione superficiale riflette soltanto l’apparenza esteriore. Non si deve attribuire eccessiva importanza al rifiuto dei rappresentanti ufficiali della scienza, dei direttori d’istituto e della nuova generazione che da essi dipende. È comprensibile che gli oppositori alzino la voce, mentre i seguaci intimiditi se ne stanno in silenzio. Infatti molti di questi ultimi, i cui primi contributi all’analisi avevano fatto ben sperare, si sono ritirati dal movimento sotto la pressione delle circostanze. Il movimento procede tuttavia silenziosamente con marcia irresistibile, acquista sempre nuovi seguaci tra gli psichiatri e i profani, porta alla letteratura psicoanalitica un numero sempre crescente di lettori, e proprio per questa ragione costringe gli avversari al tentativo di difendersi con forza sempre maggiore. Almeno una dozzina di volte nel corso di questi anni mi è capitato di leggere, in rapporti sui lavori di congressi e di sedute di associazioni scientifiche o in rendiconti di alcune pubblicazioni, che ormai la psicoanalisi è morta, superata e liquidata una volta per tutte. Avremmo dovuto dare una risposta simile al telegramma che Mark Twain inviò al giornale che aveva erroneamente annunciato la sua morte: “Notizia del mio decesso fortemente esagerata.” Dopo ogni dichiarazione di morte la psicoanalisi ha acquistato nuovi seguaci e collaboratori o si è creata nuovi organi. Dichiararla morta rappresenta comunque un progresso rispetto alla congiura del silenzio.

Contemporaneamente a tale espansione della psicoanalisi nello spazio, avvenne un dispiegamento del suo contenuto che dalla nevrosi e dalla psichiatria si estese ad altri campi del sapere. Non indugerò in una descrizione approfondita di questo aspetto dell’evoluzione della nostra disciplina, dal momento che esiste un ottimo libro di Rank e Sachs che illustra dettagliatamente proprio questi risultati del lavoro analitico.549 Comunque tutto in questo campo è allo stadio iniziale, poco elaborato; generalmente si tratta solo di primi tentativi e talvolta di pure intenzioni. Nessuna persona ragionevole vi troverà nulla da eccepire. L’enorme quantità di problemi è affrontata da una piccola cerchia di persone, di cui la maggior parte ha altrove la propria attività principale ed è costretta ad affrontare con una preparazione dilettantistica i problemi specifici di una scienza sconosciuta. Questi ricercatori di provenienza psicoanalitica non fanno alcun mistero del loro dilettantismo, agiscono con l’unico intento di segnare il cammino e tenere il posto agli specialisti, indicando le tecniche e le premesse analitiche di cui costoro dovranno tener conto quando si metteranno personalmente al lavoro. Se ciononostante i risultati conseguiti fino ad oggi hanno qualche interesse, ciò è da un lato merito della fecondità del metodo analitico, dall’altro del fatto che già ora esistono scienziati che, pur non essendo medici, hanno eletto a compito della loro vita l’applicazione della psicanalisi alle scienze morali.

La maggior parte di queste applicazioni va fatta risalire, com’è ovvio, all’impulso suscitato dai miei primi lavori analitici. L’esame analitico delle persone nervose e dei sintomi nevrotici degli individui normali rese necessario supporre che esistessero situazioni psicologiche che era impossibile confinare all’ambito in cui si erano manifestate. L’analisi ci fornì pertanto non solo la spiegazione di fatti patologici, ma rivelò altresì la connessione fra essi e la normale vita psichica, scoprendo relazioni insospettate tra la psichiatria e le più disparate scienze il cui contenuto fosse un’attività psichica. Certi sogni tipici, ad esempio, offrirono la possibilità di comprendere miti e favole. Riklin550 e Abraham,551 seguendo questo spunto, inaugurarono quelle indagini sui miti che trovarono poi il loro compimento nell’opera di Rank, i cui lavori sulla mitologia soddisfano tutte le pretese degli specialisti.552 La traccia del simbolismo onirico condusse al centro dei problemi della mitologia, del folklore (Jones,553 Storfer554) e delle astrazioni religiose. Ad uno dei congressi psicoanalitici, tutti gli ascoltatori restarono profondamente impressionati quando uno scolaro di Jung dimostrò la concordanza delle configurazioni fantastiche schizofreniche con le cosmogonie di tempi e popoli primitivi.555 In seguito il materiale delle mitologie fu elaborato ulteriormente nei lavori di Jung che intendevano gettare un ponte tra nevrosi e fantasie religiose e mitologiche, con risultati non sempre ineccepibili, ma molto interessanti.

Un’altra via condusse dall’indagine sui sogni all’analisi delle creazioni poetiche e infine dei poeti e degli artisti stessi. Alla prima tappa risultò che i sogni inventati dai poeti si comportano spesso rispetto all’analisi come se fossero sogni veri e propri.556 La concezione dell’attività psichica inconscia consentì che ci si formasse una prima idea dell’essenza del lavoro creativo del poeta; e l’esser stati costretti, dallo studio dei nevrotici, a riconoscere il valore dei moti pulsionali, ci permise di individuare le fonti della produzione artistica, ponendoci di fronte ai due problemi seguenti: come l’artista reagisce a tali impulsi e con quali mezzi riesce a travestire le sue reazioni.557 Quasi tutti gli analisti con interessi generali hanno contribuito nei loro lavori alla disamina di questi problemi, che sono fra i più affascinanti tra quelli offerti dalle applicazioni della psicoanalisi. Naturalmente neppure qui mancò da parte di chi non aveva familiarità con l’analisi quell’opposizione che si espresse in fraintendimenti e appassionati rifiuti simili a quelli che si erano verificati sul terreno originario della psicoanalisi. C’era del resto da aspettarsi a priori che in qualsiasi territorio la psicoanalisi si spingesse avrebbe dovuto sostenere la medesima lotta con gli indigeni. Resta da dire soltanto che non in tutti i campi i tentativi d’incursione hanno ancora destato l’attenzione che il futuro riserva loro. Tra le applicazioni rigorosamente scientifico-letterarie della psicoanalisi la più notevole è l’accurato lavoro di Rank sul motivo dell’incesto, il cui contenuto è comunque tale da assicurare al suo autore la più vasta impopolarità.558 Esistono, per il momento, solo pochi lavori scientifico-linguistici e storici su base psicoanalitica. Io stesso ho osato per primo accostare i problemi religioso-psicologici, tracciando un paragone tra il cerimoniale religioso e quello nevrotico.559 Il pastore Pfister di Zurigo, nel suo lavoro sulla religiosità del conte von Zinzendorf560 (nonché in altri contributi), ha potuto ricondurre l’esaltazione religiosa all’erotismo perverso; negli ultimi lavori della scuola di Zurigo avviene più facilmente che l’analisi si compenetri di rappresentazioni religiose, anziché l’inverso cui si aspirava.

Nei quattro saggi che compongono Totem e tabù (1912-13) ho fatto il tentativo di trattare analiticamente problemi della psicologia dei popoli che direttamente ci riconducono alle origini delle più importanti istituzioni della nostra civiltà: gli ordinamenti statali, la moralità, la religione, ma anche il divieto dell’incesto e la coscienza morale. Oggi non è ancora possibile stabilire fino a che punto le conclusioni emerse da tale indagine resisteranno alla critica.

Circa l’applicazione del pensiero analitico ai temi dell’estetica, il mio libro sul motto di spirito561 ne è stato un primo esempio. Tutto il resto è ancora in attesa di elaborazione; coloro che vi si accingeranno possono comunque contare su un ricco raccolto in questo ambito. In tutti questi settori manca la collaborazione dei rispettivi specialisti, per attirare i quali Hanns Sachs nel 1912 ha fondato la rivista “Imago”, diretta da lui stesso e da Rank. In essa Hitschmann e von Winterstein hanno preso a illuminare psicoanaliticamente sistemi e personalità filosofiche; non resta che augurarci che tali indagini proseguano e si approfondiscano.

Le rivoluzionarie scoperte della psicoanalisi attinenti alla vita psichica del bambino, alla funzione degli impulsi sessuali nel medesimo (von Hug-Hellmuth562) e ai destini delle componenti della sessualità che diventano inutilizzabili ai fini dell’atto riproduttivo, attirarono inevitabilmente l’attenzione sulla pedagogia e stimolarono il tentativo di sottolineare, in questo ambito di ricerche, l’importanza del punto di vista analitico. È merito del pastore Pfister aver intrapreso con sincero entusiasmo quest’applicazione della psicoanalisi e averla consigliata ai curatori d’anime e agli educatori.563 In Svizzera egli è riuscito a conquistare ai suoi interessi tutta una serie di pedagoghi. Pare che altri suoi colleghi condividano le sue opinioni, ma abbiano preferito tenersi prudentemente in disparte. Una frazione di analisti viennesi ritiratisi dalla psicoanalisi sembra essere approdata a una sorta di pedagogia medica.564

Ho tentato, con questi accenni incompleti, d’indicare la quantità ancora incalcolabile delle relazioni sorte tra psicoanalisi medica e altri campi del sapere. C’è materiale per il lavoro di una generazione di ricercatori, e non dubito che questo lavoro sarà compiuto non appena superate le resistenze che all’analisi vengono opposte sul suo terreno d’origine.565

Attualmente ritengo che scrivere la storia di queste resistenze sia infruttuoso e inopportuno. È una storia non molto gloriosa per gli uomini di scienza dei nostri giorni. Ma voglio subito aggiungere che non mi è mai venuto in mente di condannare e di disprezzare in blocco gli avversari della psicoanalisi solo perché erano tali; ciò a prescindere da qualche persona indegna, e dagli avventurieri e profittatori che in tempi di guerra sempre si incontrano su entrambi i fronti. Sapevo peraltro darmi una spiegazione del comportamento di questi miei avversari e inoltre avevo imparato che la psicoanalisi mette in evidenza gli aspetti peggiori di ciascuno. Decisi tuttavia di non rispondere e, fin dove giungeva la mia influenza, di trattenere anche gli altri dalla polemica. Date le particolari condizioni della disputa relativa alla psicoanalisi, il beneficio di discussioni pubbliche o su riviste mi pareva assai dubbio, mentre sapevo come si formano le maggioranze nei congressi e nelle assemblee di associazioni, e nutrivo scarsa fiducia nella correttezza o nella nobiltà dei signori avversari. L’esperienza insegna che pochissime persone riescono a mantenere un atteggiamento corretto nelle controversie scientifiche (di obiettività è meglio non parlarne), e gli alterchi scientifici mi hanno da sempre fatto una pessima impressione. Forse questo mio comportamento è stato frainteso, si è pensato forse che io fossi così mite o di esser riusciti a intimidirmi a tal punto che non valesse più la pena di occuparsi di me. A torto; sono capace come chiunque altro di litigare e di infierire, ma non mi riesce di esprimere in forma letterariamente adeguata gli affetti che a ciò soggiacciono; preferisco perciò astenermi del tutto dalla polemica.

Forse per alcuni aspetti sarebbe stato meglio se avessi dato libero sfogo alle mie passioni e a quelle di chi mi stava vicino. Noi tutti conosciamo l’interessante tentativo di spiegare le origini della psicoanalisi a partire dall’ambiente viennese; ancora nel 1913 Janet non ha disdegnato di servirsene, benché certamente egli sia fiero di essere parigino e Parigi non possa accampare la pretesa di essere una città più morigerata di Vienna.566 La prospettiva avanzata è la seguente: la psicoanalisi, ossia l’asserzione che le nevrosi fanno capo a disturbi della vita sessuale, può essere sorta solo in una città come Vienna, in un’atmosfera di sensualità e d’immoralità sconosciuta ad altre città; la psicoanalisi non sarebbe altro che il rispecchiamento, e in un certo senso la proiezione teorica, di queste particolari condizioni dell’ambiente viennese. Bene, non sono davvero un campanilista, ma questa teoria mi è sempre parsa particolarmente insensata, tanto insensata che qualche volta sono stato incline a supporre che il rimprovero di “viennesismo” fosse solo un eufemismo per sostituire un altro rimprovero che si preferiva non proferire in pubblico.567 Se le premesse fossero esattamente l’opposto di quel che sono, l’argomentazione potrebbe anche esser degna di attenzione. Supposto che vi sia una città i cui abitanti si siano imposti restrizioni particolari nel soddisfare i bisogni sessuali, rivelando nel contempo un’inclinazione particolare verso gravi malattie nevrotiche, tale città sarebbe invero il terreno su cui a un osservatore potrebbe venire in mente di collegare i due fatti e di dedurre uno dall’altro. Ora per Vienna non si verifica né l’una né l’altra di queste due premesse. I viennesi non sono né più astinenti né più nevrotici di altri abitanti di grandi città. I rapporti sessuali sono un po’ più disinvolti, la pruderie è minore che nelle città occidentali e nordiche, orgogliose della loro castità. Tali peculiarità dei viennesi lungi dall’illuminare il presunto ricercatore circa la causa delle nevrosi dovrebbero piuttosto trarlo in inganno.

La città di Vienna ha comunque fatto di tutto per rinnegare il proprio contributo alla nascita della psicoanalisi. In nessun luogo come a Vienna l’analista avverte con tanta chiarezza l’ostile indifferenza dell’ambiente degli studiosi e delle persone colte.

Può darsi che di ciò la mia politica di evitare il vasto pubblico abbia una parte di responsabilità. Se avessi permesso o fatto sì che la psicoanalisi divenisse oggetto di discussione nelle chiassose sedute delle Società mediche viennesi, tutte le passioni si sarebbero sfogate, tutti i rimproveri e le invettive che ciascuno ha contro l’altro in mente o sulla punta della lingua si sarebbero espresse apertamente, e forse oggi il bando contro la psicoanalisi sarebbe superato e questa non sarebbe più un’estranea nella propria città natale. Così invece ha forse ragione il poeta che fa dire al suo Wallenstein:

Doch das vergeben mir die Wiener nicht,
Dass ich um ein Spektakel sie betrog.

[Questo i Viennesi non mi perdoneranno mai,
Che di uno spettacolo li frodai].568

Il compito superiore alle mie forze di rinfacciare agli avversari della psicoanalisi suaviter in modo il loro torto e le loro arbitrarietà, fu assolto nella maniera più onorevole da Bleuler.569 Il mio apprezzamento a questo lavoro critico su due fronti è talmente scontato, che mi affretto a esporre ciò che in esso non mi convince. È ancora uno scritto di parte, troppo indulgente verso gli errori degli avversari, e troppo severo verso le manchevolezze degli adepti. Questo tratto che caratterizza il lavoro di Bleuler spiega forse perché il giudizio di uno psichiatra di così grande prestigio, di così indubbia competenza e indipendenza, non abbia esercitato un maggior influsso sui suoi colleghi. L’autore dell’Affettività570 non deve stupirsi se l’incisività di un’opera si rivela determinata non dal valore dei suoi argomenti, ma dalla sua tonalità affettiva. Un’altra parte dell’efficacia del suo lavoro – quella sui seguaci della psicoanalisi – fu più tardi demolita da Bleuler stesso il quale rivelò il rovescio della propria posizione rispetto alla psicoanalisi e smantellò tanta parte dell’edificio della dottrina psicoanalitica,571 che gli avversari potrebbero davvero dirsi soddisfatti del soccorso loro offerto da un difensore siffatto. A filo conduttore di questo giudizio negativo nei confronti della psicoanalisi, Bleuler non adduce argomenti nuovi o osservazioni migliori, ma fa appello esclusivamente allo stato delle proprie conoscenze di cui egli non confessa più, come nei lavori precedenti, l’inadeguatezza. Parve quindi che la psicoanalisi fosse minacciata da una perdita difficilmente riparabile. Tuttavia nel suo ultimo scritto,572 di fronte agli attacchi che gli ha procurato l’aver introdotto la psicoanalisi nel suo libro sulla schizofrenia,573 Bleuler azzarda ciò che egli stesso chiama un “atto di presunzione”. “Ora, però, voglio compiere un atto di presunzione: ritengo che le diverse concezioni psicologiche finora elaborate abbiano contribuito ben poco alla spiegazione dei nessi tra sintomi psicogenetici e malattia, e che la psicologia del profondo costituisca una parte di quella psicologia ancora da creare di cui il medico ha bisogno per comprendere e guarire razionalmente i propri malati; ritengo persino che con la mia Schizofrenia io sia avanzato di un piccolissimo passo verso questa comprensione. Le prime due asserzioni sono sicuramente esatte, l’ultima potrà rivelarsi errata.”

Dal momento che con “psicologia del profondo” non s’intende altro che la psicoanalisi, ci possiamo per il momento ritenere soddisfatti di questa ammissione.

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