Siamo partiti dal dato di fatto fondamentale che, all’interno di una massa e per influsso di questa, il singolo subisce una modificazione spesso profonda della propria attività psichica. La sua affettività viene straordinariamente esaltata, la sua capacità intellettuale si riduce in misura considerevole, ed entrambi i processi tendono manifestamente a equipararlo agli altri individui della massa; è un risultato, questo, che può esser conseguito unicamente mediante l’annullamento delle inibizioni pulsionali peculiari ad ogni singolo individuo, e mediante la rinuncia agli specifici modi di esprimersi delle sue inclinazioni. Ci è stato detto che tali effetti, spesso indesiderati, possono, almeno in parte, venir neutralizzati da una superiore “organizzazione” delle masse; ciò tuttavia non contraddice il dato fondamentale della psicologia delle masse enunciato nelle due tesi che nella massa primitiva gli affetti si esaltano e il pensiero si inibisce. Siamo ora intenzionati a trovare la spiegazione psicologica di tale trasformazione psichica del singolo all’interno della massa.
Fattori razionali, come la sopra menzionata intimidazione del singolo, e pertanto l’azione della sua pulsione di autoconservazione, non riescono evidentemente a spiegare per intero i fenomeni che s’impongono all’osservazione. Per il resto, ciò che ci viene offerto dagli autori che si sono occupati di sociologia e di psicologia delle masse è, anche se designata con nomi diversi, sempre la stessa cosa: si tratta della magica parola suggestione. In Tarde293 aveva nome “imitazione”, ma dobbiamo dar ragione a un autore il quale obietta che l’imitazione è assunta sotto il concetto di suggestione e ne è anzi una conseguenza.294 In Le Bon tutto ciò che di sorprendente caratterizza i fenomeni sociali viene ricondotto a due fattori: la suggestione reciproca fra i singoli e il prestigio del capo. Ma il prestigio si manifesta a sua volta solo nei suoi effetti; ovverosia nella suggestione che suscita. Per quanto riguarda McDougall, potevamo per un momento ritenere che il principio da lui addotto dell’“induzione primaria dell’affettività” rendesse superflua l’ipotesi della suggestione. Ma, dopo una più attenta considerazione, dobbiamo tuttavia riconoscere che tale principio non enuncia se non le note affermazioni concernenti l’“imitazione” o il “contagio”, pur accentuandone più spiccatamente l’elemento affettivo. Che ci sia in noi, quando avvertiamo in un altro il segno di uno stato affettivo, una tendenza a cedere allo stesso affetto è indubbio; ma quanto spesso riusciamo a resistere a tale tendenza, a respingere l’affetto, a reagire in maniera affatto contraria? Perché quindi, all’interno della massa, cediamo invariabilmente a tale contagio? Occorrerà nuovamente dire che ciò che costringe a obbedire a tale tendenza all’imitazione, indotta in noi dall’affetto, è l’influsso suggestivo della massa. In ogni caso non c’è modo neanche in McDougall di evitare la suggestione; da lui, non meno che da altri autori, apprendiamo che le masse risultano contraddistinte da una particolare suggestionabilità.
Siamo in tal modo preparati a sentirci dire che la suggestione (o più esattamente la suggestionabilità) è un fenomeno originario, non ulteriormente riducibile, un fatto fondamentale della vita psichica umana. Tale lo ritenne anche Bernheim, delle cui prodigiose capacità fui testimone nel 1889. Ricordo però bene che già allora provavo un’oscura avversione nei confronti di questa tirannide della suggestione.295 Quando un malato che non si dimostrava arrendevole veniva redarguito con le parole “Ma che cosa fa? Vous vous contre-suggestionez!”, mi dicevo che questa era una palese ingiustizia e un atto di violenza. Se si tentava di soggiogarlo con la suggestione, l’uomo aveva certamente il diritto di controsuggestionarsi. La mia resistenza si manifestò successivamente come rifiuto di ammettere che la suggestione, la quale spiegava tutto, non fosse a sua volta suscettibile di spiegazione. Ripetevo in proposito la vecchia domanda scherzosa:296
Christoph
trug Christum,
Christus trug die ganze Welt,
Sag’, wo hat Christoph
Damals hin den Fuss gestellt?
[Cristoforo portava Cristo,
Cristo portava il mondo intero;
Ma allora, dimmi, dove
Poggiò Cristoforo il piede?]
Christophorus Christum, sed Christus sustulit orbem:
Constiterit pedibus dic ubi Christophorus?
Se ora, a distanza di circa trent’anni, mi accosto di nuovo all’enigma della suggestione, trovo che nulla in proposito è mutato. Nulla, ad eccezione di un’unica cosa, la quale attesta appunto l’influsso della psicoanalisi. Vedo che ci si sforza soprattutto di formulare correttamente il concetto di suggestione, ossia di stabilire convenzionalmente l’accezione di questo termine;297 ciò è tutt’altro che inutile dato che la parola tende a un impiego sempre più esteso e a un significato sempre più vago, talché, come nell’inglese in cui to suggest e suggestion corrispondono ai nostri “suggerire” e “suggerimento”, poco ci manca che essa designi ogni sorta di possibile influsso. Comunque, circa la natura della suggestione, ossia circa le condizioni in cui si producono influssi privi di fondamento logico sufficiente, non si è avuta alcuna dilucidazione. Non mi sottrarrei all’incombenza di corroborare tale affermazione analizzando la letteratura di questi ultimi trent’anni, se non fossi a conoscenza che proprio in tal senso è in corso nel mio ambiente un’approfondita ricerca.298
Cercherò invece di utilizzare, in vista di una dilucidazione della psicologia delle masse, il concetto di libido, che ci ha reso servizi tanto eccellenti nello studio delle psiconevrosi.
Libido è un termine desunto dalla teoria dell’affettività. Chiamiamo così – considerandola una grandezza quantitativa, anche se per ora non misurabile – l’energia delle pulsioni attinenti a tutto ciò che può esser compendiato nella parola “amore”. Il nocciolo di ciò che intendiamo per amore è naturalmente costituito da ciò che tutti chiamano amore e che i poeti celebrano, ossia dall’amore fra l’uomo e la donna che tende all’unione sessuale. Non escludiamo tuttavia tutto ciò che anche altrimenti è espresso dalla parola amore: così da un lato l’amore per se stessi, dall’altro quello per i genitori e per i bambini, l’amicizia e l’amore per gli uomini in generale, come pure l’attaccamento a oggetti concreti e a idee astratte. Ci è lecito farlo dacché la ricerca psicoanalitica ci ha insegnato che tutte queste tendenze sono l’espressione di quegli stessi moti pulsionali che nei rapporti tra i sessi spingono all’unione sessuale, mentre in altre circostanze vengono deviati da tale meta sessuale od ostacolati nel suo raggiungimento, pur serbando la loro natura originaria in misura sufficiente da mantenere riconoscibile la loro identità (sacrifici della propria persona, bisogno ardente di vicinanza).
Riteniamo quindi che tramite la parola “amore”, nelle sue molteplici accezioni, la lingua abbia creato una sintesi perfettamente legittima e di non poter fare nulla di meglio che porla a fondamento delle nostre discussioni e descrizioni scientifiche. Con questa decisione la psicoanalisi ha scatenato una tempesta d’indignazione, quasi si fosse resa colpevole di un’innovazione delittuosa. Eppure, con questa concezione “ampliata” dell’amore, la psicoanalisi non ha creato nulla di originale. L’“Eros” del filosofo Platone mostra, per la sua provenienza, la sua funzione e il suo rapporto con l’amore sessuale, una coincidenza perfetta con la forza amorosa o libido della psicoanalisi, come hanno illustrato dettagliatamente Nachmansohn e Pfister,299 e, allorché nella sua famosa Lettera ai Corinzi l’apostolo Paolo celebrò l’amore al di sopra di ogni cosa, egli lo intese certamente nella medesima accezione “ampliata”;300 dobbiamo dunque concludere che, pur ammirandoli molto in apparenza, non sempre gli uomini prendono sul serio i loro grandi pensatori.
Nella psicoanalisi tali pulsioni amorose vengono chiamate, a potiori e in base alla loro provenienza, pulsioni sessuali. Le persone “colte” hanno perlopiù considerato tale denominazione un’offesa e si sono vendicate ritorcendo contro la psicoanalisi l’accusa di “pansessualismo”. Chi nella sessualità scorge qualcosa di vergognoso e di degradante per la natura umana è libero di servirsi dei più distinti termini “eros” ed “erotismo”. Anch’io avrei potuto fare così fin dall’inizio e certo mi sarei risparmiato molte contestazioni. Ma non ho voluto farlo perché preferisco evitare le concessioni alla pusillanimità. Se si prende questa strada non si sa dove si va a finire; si comincia con concessioni sulle parole per finire a poco a poco con concessioni sulle cose. Non vedo proprio alcun merito nel fatto di vergognarsi della sessualità: la parola greca eros, che dovrebbe mitigare lo sconcio, non è in ultima analisi altro che la traduzione della nostra parola tedesca Liebe [amore], e infine, chi è in grado di attendere non ha bisogno di fare concessioni di sorta.
Cercheremo pertanto di partire dall’ipotesi che le relazioni d’amore (o, per esprimersi con un termine più neutro, i legami emotivi) costituiscano anche l’essenza della psiche collettiva. Non dimentichiamo che gli autori non ne parlano mai: ciò che ad esse dovrebbe corrispondere resta evidentemente nascosto dietro il riparo, il paravento, della suggestione. Le nostre aspettative si basano innanzitutto su due idee non ancora chiaramente delineate. La prima è che la massa vien evidentemente tenuta insieme da qualche forza. A quale forza potremmo attribuire meglio questa funzione se non a Eros, che tiene unite tutte le cose nel mondo?301 La seconda è che se nella massa il singolo rinuncia al proprio peculiare modo d’essere e si lascia suggestionare dagli altri, ciò avviene, ci sembra, perché vi è in lui un bisogno di stare in armonia con gli altri anziché contrapporsi ad essi; e forse tutto sommato egli si comporta così “per amor loro”.302