Questo libro fu scritto nel luglio 1926 e pubblicato nel settembre successivo col titolo Die Frage der Laienanalyse. Unterredungen mit einen Unparteiischen (Internationaler Psychoanalytischer Verlag, Lipsia-Vienna-Zurigo 1926) e fu poi riprodotto in Gesammelte Schriften, vol. 11 (1928), pp. 307-84 e in Gesammelte Werke, vol. 14 (1948), pp. 209-86. Esso aveva tratto origine da una questione giuridica, sorta in seguito a una querela per esercizio abusivo della medicina, sporta contro Theodor Reik (un eminente psicoanalista non medico) da un suo paziente, che riteneva di essere stato danneggiato dal trattamento psicoanalitico subito.
Anche per l’intervento di Freud presso una persona influente la causa finì in nulla, perché il querelante risultò uno squilibrato.
Freud ritenne tuttavia di dover prendere posizione con questo scritto che ha la forma di un dialogo con un interlocutore imparziale.
Per dimostrare che l’attività psicoanalitica non richiede una preparazione medica in senso stretto, ma un altro tipo di preparazione, Freud dà in questo dialogo – scritto in forma assai vivace e suggestiva – una descrizione di ciò che accade durante l’analisi. Descrive quali cognizioni e doti debbano essere possedute dall’analista, e come una preparazione di questo genere non possa ottenersi con insegnamenti tradizionali di tipo scolastico. L’addestramento necessario è complesso e del tutto speciale, ma non esige l’insieme di cognizioni che vengono richieste a un medico. Un’ulteriore precisazione sugli intenti di questo libretto è contenuta nello scritto Il dottor Reik e il problema dei guaritori empirici (1926) presentato in questo volume.
Benché Freud non fosse del tutto soddisfatto del suo scritto che considerava troppo superficiale (secondo quanto ci dice E. Jones, Vita e opere di Freud, vol. 3, p. 347) la forma piana, tollerante anche verso gli avversari, e lievemente umoristica di quest’opera, ne fa qualche cosa che si legge assai piacevolmente. Ogni persona mediocremente colta, pur se priva di cognizioni analitiche, può agevolmente farsi un’idea abbastanza esatta dell’andamento di un trattamento psicoanalitico.
Da una lettera inedita di Freud ad Abraham dell’11 novembre 1924 e da un’altra lettera a Julius Tandler dell’8 marzo 1925, risulta che Freud aveva comunque maturato una posizione assai netta in favore dell’analisi profana già parecchio tempo prima, e non aveva esitato a renderla pubblica per iscritto e verbalmente, ottenendo perfino il consenso del fisiologo Durig e del professore di anatomia Tandler. Nel fisiologo Durig è sembrato anzi di poter ravvisare l’interlocutore “imparziale” di questo scritto. Sull’argomento Freud si era comunque già espresso in passato; si veda, ad esempio, la sua Prefazione a “Il metodo psicoanalitico” di Oskar Pfister (1913), in OSF, vol. 7, in cui ammette di non vedere alcun impedimento a che la tecnica psicoanalitica sia affidata ai non medici, reputando anzi che l’esercizio della psicoanalisi richieda preparazione psicologica piuttosto che addestramento medico. In questo stesso senso egli si esprime qui nell’Autobiografia (1924), par. 6 e, sempre qui, nella Prefazione a “Gioventù traviata” di August Aichhorn (1925).
La questione dell’“analisi profana”, come finì con l’essere indicato il problema se anche i non medici possano, in seguito a una adeguata preparazione, esercitare l’analisi, fu risolta sul piano giuridico, anche se non mancarono alcuni spiacevoli strascichi: si veda in proposito Jones, Vita e opere di Freud cit., vol. 3, p. 348. Essa dette invece luogo ad aspre polemiche nell’ambito dello stesso movimento psicoanalitico, in quanto investiva il problema, anche pratico, se accettare o meno nelle varie società psicoanalitiche analisti non medici. Nel 1927 la “Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse” e l’“International Journal of Psycho-Analysis” ospitarono, rispettivamente nel vol. 13(1, 2, 3) e nel vol. 8 (2 e 3), ben ventotto contributi provenienti da diversi paesi su questo tema.
Freud sentì il bisogno di reintervenire con alcune considerazioni conclusive in un dibattito che aveva visto impegnati alcuni psicoanalisti molto importanti: nel 1927 scrisse dunque un Poscritto (Nachwort zur ‘Frage der Laienanalyse’) nella “Internationale Zeitschrift für Psychoanalyse”, vol. 13(3), pp. 326-32 (1927), che fu poi riprodotto in Gesammelte Schriften, vol. 11 (1928), pp. 385-94, e in Gesammelte Werke, vol. 14 (1948), pp. 287-96, in vista del Congresso programmato per il settembre 1927 a Innsbruck. Il Congresso avrebbe dovuto pronunciarsi appunto sul problema degli psicoanalisti non medici. Ma vedi, su questo, alcune ulteriori informazioni nell’Introduzione a questo volume.
Come racconta Jones, che al tema dell’“Analisi profana” ha dedicato un intero capitolo nella sua grande Vita e opere di Freud cit., vol. 3, pp. 342-56, si delineò allora in seno all’Associazione psicoanalitica internazionale una scissione piuttosto grave fra i nordamericani fortemente contrari all’ammissione dei non medici e parecchi europei più vicini alle tesi di Freud. Freud stesso fu molto turbato da quella che riteneva, come scrisse a Ferenczi il 27 aprile 1929, “l’ultima maschera assunta dalla resistenza alla psicoanalisi, e la più pericolosa di tutte”. Egli, tuttavia, non cedette. In definitiva le varie Società nazionali adottarono criteri differenti. E la situazione è tuttora caratterizzata dal mantenimento dell’obbligo della laurea in medicina nella Società degli Stati Uniti, e da una tolleranza, sotto varie forme, nelle altre Società.
In Italia esiste un quorum per i non medici, così da assicurare una consistente prevalenza numerica dei medici sui non medici, nell’ambito della Società, senza escludere del tutto i non medici. Il criterio è stato adottato soprattutto per i rapporti col resto della classe medica.
Il punto di vista sostenuto nel suo libretto da Freud, che per esercitare l’analisi sia essenziale non tanto una preparazione medica, quanto una preparazione specificamente psicoanalitica, ha quindi prevalso.
La presente traduzione italiana, già apparsa in S. Freud, La mia vita e la psicoanalisi (Mursia, Milano 1963, 2a ed. 1977), è di Cesare Musatti (vedi l’Avvertenza editoriale all’Autobiografia, in OSF, vol. 10). La traduzione del “Poscritto del 1927” è di Renata Colorni.