Lezione 35
Una “visione del mondo”
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Signore e signori, durante il nostro ultimo incontro ci siamo occupati di piccole preoccupazioni quotidiane, in un certo senso abbiamo fatto ordine nella nostra modesta dimora. Oggi vogliamo prendere arditamente la rincorsa e tentare di rispondere a un quesito postoci più volte in varie sedi: se la psicoanalisi conduca a una determinata visione del mondo (Weltanschauung) e a quale.

Weltanschauung è, temo, una parola specificatamente tedesca, la cui traduzione in altre lingue potrebbe creare difficoltà. Qualsiasi definizione io possa tentare di questo concetto, vi apparirà sicuramente goffa. Ritengo che una Weltanschauung sia una costruzione intellettuale che, partendo da una determinata ipotesi generale, risolve in modo unitario tutti i problemi della nostra vita e nella quale, per conseguenza, nessun problema rimane aperto e tutto ciò che ci interessa trova la sua precisa collocazione. È ben comprensibile che gli uomini aspirino, come a un loro ideale, al possesso di una simile Weltanschauung. Avendo fede in essa si può sentirsi sicuri nella vita, si può sapere quali mete vadano perseguite e come collocare nel modo più opportuno i propri affetti e i propri interessi.

Se questo è il carattere di una Weltanschauung, la risposta per quanto concerne la psicoanalisi diventa facile. Come scienza particolare, come ramo della psicologia – psicologia del profondo o psicologia dell’inconscio – essa è totalmente inadatta a crearsi una propria Weltanschauung: deve accettare quella della scienza. La Weltanschauung scientifica, tuttavia, si scosta notevolmente dalla definizione da noi data sopra. Accetta anch’essa l’unitarietà della spiegazione dell’universo, ma solo come un programma il cui adempimento è differito nel futuro. Quanto al resto, è contraddistinta da caratteristiche negative, dalla limitazione a quanto oggi è conoscibile e dal netto rifiuto di certi elementi a lei estranei. Essa afferma che non vi è altra fonte di conoscenza dell’universo all’infuori dell’elaborazione intellettuale di osservazioni accuratamente vagliate – all’infuori, quindi, di ciò che noi chiamiamo ricerca – e che, oltre a questa, non vi è alcuna conoscenza proveniente da rivelazione, intuizione o divinazione. Pareva che negli ultimi secoli questa concezione fosse molto vicina a ottenere il riconoscimento universale, ma nel nostro secolo si levò, piena di arroganza, l’obiezione che una simile Weltanschauung è insieme misera e sconfortante, giacché ignora le esigenze spirituali e i bisogni dell’animo umano.

Non si potrà mai respingere abbastanza energicamente questa obiezione. Essa è del tutto priva di fondamento, poiché lo spirito e l’animo umano sono oggetti della ricerca scientifica esattamente allo stesso modo di qualsiasi altra cosa estranea all’uomo. La psicoanalisi ha uno speciale diritto di farsi qui portavoce di una visione scientifica del mondo, giacché non le si può muovere il rimprovero di aver trascurato l’elemento psichico nella sua immagine del mondo. Il suo contributo alla scienza consiste precisamente nell’aver esteso la ricerca al campo psichico. Senza una simile psicologia, la scienza sarebbe sicuramente molto incompleta. Includendo però nella scienza l’investigazione delle funzioni intellettuali ed emotive dell’uomo (e degli animali), nell’atteggiamento globale della scienza stessa non cambia nulla, non ne risultano nuove fonti di conoscenza o nuovi metodi di ricerca. Tali sarebbero, se esistessero, l’intuizione e la divinazione, che si possono invece annoverare tranquillamente fra le illusioni, fra gli appagamenti di impulsi di desiderio. È facile anche riconoscere che simili esigenze nei confronti di una visione del mondo hanno soltanto un fondamento affettivo. La scienza prende nota del fatto che l’animo umano produce tali esigenze, è disposta a prendere in esame le loro fonti, e non ha però il benché minimo motivo di ritenerle giustificate. Al contrario, si sente esortata a separare accuratamente dal sapere tutto ciò che è illusione, risultato di tale esigenza affettiva.

Ciò non significa affatto accantonare sprezzantemente questi desideri o sottovalutarne il valore per la vita umana. Restiamo pronti a esaminare come si siano appagati nelle creazioni dell’arte, nei sistemi della religione e della filosofia, senza ciò nondimeno ignorare che sarebbe ingiusto ed estremamente inopportuno consentire il trasporto di queste esigenze nel campo della conoscenza. Infatti in tal modo si aprirebbero le vie che portano nel regno della psicosi, sia di quella individuale che di quella di massa, e si sottrarrebbero energie preziose a quegli sforzi che si rivolgono alla realtà per trovare in essa, per quanto è possibile, la soddisfazione dei desideri e bisogni umani.

Dal punto di vista della scienza è inevitabile, in questo campo, esercitare la critica e procedere con confutazioni e rifiuti. È inammissibile concepire la scienza come una sfera di attività della mente umana, e la religione e la filosofia come altre sfere, di valore almeno pari, nelle quali la scienza non debba interferire; dire che tutti questi campi possono rivendicare con pari diritto un valore di verità e ogni uomo è libero di scegliere quello a cui attingere i propri convincimenti e in cui riporre la propria fede. Si ritiene che una simile visione sia particolarmente elevata, tollerante, vasta, scevra da gretti pregiudizi. Purtroppo essa non è sostenibile, condivide tutti i lati perniciosi di una Weltanschauung antiscientifica e praticamente le equivale. È un fatto che la verità non può essere tollerante, non ammette compromessi né limitazioni; che la ricerca considera come propri tutti i campi dell’attività umana e ha il dovere di diventare inesorabilmente critica se un altro potere vuole confiscarne alcuni per sé.

Dei tre poteri che possono contestare alla scienza ogni fondamento, solo la religione è un nemico serio.240 L’arte è quasi sempre innocua e benefica, non vuol essere nient’altro che illusione. Essa non si azzarda a fare incursioni nel regno della realtà, tranne che in poche persone, le quali sono, come si suol dire, “possedute” dall’arte. La filosofia non è antitetica alla scienza, si atteggia a scienza essa stessa e opera in parte con gli stessi suoi metodi, scostandosene però col tener ferma l’illusione che sia possibile fornire un’immagine del mondo coerente e priva di lacune, la quale è peraltro destinata a infrangersi ad ogni nuovo progresso del nostro sapere. L’errore metodologico della filosofia consiste nel sopravvalutare il valore conoscitivo delle nostre operazioni logiche e nel riconoscere fino a un certo punto altre fonti di conoscenza, come l’intuizione. E abbastanza spesso non appare ingiustificata la canzonatura del Poeta che dice del Filosofo:

Mit seinen Nachtmützen und Schlafrockfetzen
Stopft er die Lücken des Weltenbaus.

[Con le sue pezze e le sue toppe,
Tura le lacune nella struttura dell’universo.]241

Ma la filosofia non ha un influsso diretto sulla grande massa degli uomini, forma l’interesse di un esiguo numero di persone persino fra lo strato più elevato degli intellettuali; per tutti gli altri è pressoché inafferrabile. La religione, per contro, è un immenso potere che ha a sua disposizione le più forti emozioni degli uomini. È noto che una volta essa abbracciava tutti i fatti spirituali che hanno una parte nella vita umana, che teneva il posto della scienza quando una scienza quasi non esisteva, e che ha creato una visione del mondo di incomparabile coerenza e organicità, la quale, per quanto scossa, sussiste tuttora.

Se ci si vuol render conto della grandiosità della religione, si deve tener presente ciò che essa tenta di offrire agli uomini. Fornisce loro nozioni sulla provenienza e sulla genesi dell’universo, assicura protezione nelle alterne vicende della vita promettendo alla fin fine felicità, e guida infine i loro pensieri e le loro azioni con precetti che hanno il sostegno di una grandissima autorità. Assolve quindi tre funzioni. Con la prima soddisfa la sete umana di conoscenza, fa quello che la scienza tenta di fare con i propri mezzi e su questo punto entra con essa in rivalità. Alla sua seconda funzione va il merito della maggior parte della sua influenza. Quando placa l’angoscia degli uomini di fronte ai pericoli e alle alterne vicende della vita, quando dà loro la certezza che la conclusione sarà felice e offre conforto nella sventura, la scienza non può competere con essa. La scienza, pur insegnando come si possono evitare certi pericoli e combattere con successo alcune sofferenze – sarebbe ingiusto contestare che essa rappresenta per gli uomini un potente aiuto – in molte situazioni deve lasciare l’uomo alla sua sofferenza, e non può far altro che consigliargli la rassegnazione. Nella sua terza funzione, nel dar precetti e nell’emanare divieti e limitazioni, la religione si allontana maggiormente dalla scienza. Quest’ultima, infatti, si accontenta di indagare e di registrare, benché dalle sue applicazioni derivino precetti e consigli per la condotta nella vita. In alcune circostanze essi coincidono con i precetti e i consigli offerti dalla religione ma, in tal caso, le motivazioni sono differenti.

Perché questi tre contenuti della religione confluiscano insieme non è del tutto chiaro. Che cosa può avere in comune la spiegazione della genesi dell’universo con l’imposizione di determinati precetti etici? Più strettamente connesse con le esigenze etiche sono le assicurazioni di protezione e di felicità. Esse sono la ricompensa per l’adempimento di tali imperativi; solo chi vi si adegua può contare su questi benefici, sui disubbidienti incombono castighi. Del resto, nella scienza vi è qualcosa di analogo: essa è convinta che chi ignora le sue applicazioni si espone a patir danni.

La singolare compresenza nella religione di ammaestramenti, consolazioni, e richieste, si può comprendere solo se la religione stessa viene sottoposta a un’analisi genetica, che può prendere le mosse dal punto più saliente dell’insieme, dall’insegnamento circa l’origine dell’universo: perché mai, infatti, una cosmogonia dovrebbe essere invariabilmente parte costitutiva dei sistemi religiosi? La dottrina dice che l’universo è stato creato da un essere simile all’uomo, che è però ingigantito sotto ogni aspetto – potenza, saggezza, intensità delle passioni –, un superuomo idealizzato dunque. Se i creatori dell’universo sono degli animali, essi denunciano l’influsso del totemismo, che più avanti sfioreremo almeno con un’osservazione. È interessante rilevare che questo creatore dell’universo è sempre uno, anche là dove vi è la credenza in molti dei. È anche interessante che perlopiù egli sia un uomo, benché non manchino affatto accenni a divinità femminili e talune mitologie facciano iniziare la creazione dell’universo proprio con l’eliminazione, da parte di un dio maschile, di una divinità femminile, la quale viene abbassata al rango di mostro. A ciò si riallacciano curiosissimi problemi particolari, ma noi dobbiamo affrettarci.242 Il passo successivo ci è facilitato dal fatto che questo dio-creatore viene chiamato senza ambagi “padre”. La psicoanalisi ne desume che si tratta realmente del padre, un padre magnificato quale appariva una volta al bambino piccolo. L’uomo religioso si raffigura la creazione del mondo al modo stesso in cui si raffigura la propria origine.

Si spiega allora facilmente come le consolanti assicurazioni e le severe esigenze etiche si combinino con la cosmogonia. Infatti, la stessa persona alla quale il bambino deve la propria esistenza, il padre (o, più esattamente, l’istanza parentale composta dal padre e dalla madre), lo ha anche protetto e sorvegliato quando era debole, inerme, esposto a tutti i pericoli che erano in agguato nel mondo esterno; sotto la sua tutela egli si è sentito al sicuro. Divenuto adulto l’uomo sa, è vero, di essere in possesso di forze maggiori, ma anche la sua comprensione dei pericoli della vita si è accresciuta ed egli ne trae giustamente la conclusione di essere rimasto, in fondo, altrettanto inerme e sprovveduto come all’epoca della sua infanzia, di essere ancora un bambino di fronte al mondo. Neanche adesso vuole rinunciare alla protezione di cui ha goduto da piccolo. Da molto tempo ha pure riconosciuto che il padre è un essere strettamente limitato nel suo potere, che non dispone di vantaggi illimitati. Ricorre perciò all’immagine mnestica del padre, da lui tanto sopravvalutato nell’età infantile, lo innalza a divinità e lo trasporta nel presente e nella realtà. La forza affettiva di questa immagine mnestica e il perdurare del suo bisogno di protezione, sostengono congiuntamente la sua fede in Dio.

Anche il terzo punto fondamentale del programma religioso, l’esigenza etica, si inserisce senza sforzo in questa situazione infantile. Vi ricordo la famosa sentenza di Kant, che nomina, l’uno di seguito all’altro, il cielo stellato e la legge morale dentro di noi [vedi lezione 31].243 Per quanto strano possa sembrare questo accostamento – che cosa possono avere a che fare i corpi celesti con il problema se una creatura umana ne ama o ne ammazza un’altra? – esso sfiora tuttavia una grande verità psicologica. Lo stesso padre (l’istanza parentale) che ha dato al bambino la vita e lo ha protetto dai suoi pericoli, gli ha anche insegnato che cosa gli è lecito fare e da che cosa si deve astenere, lo ha istruito ad accettare determinate limitazioni dei suoi desideri pulsionali, gli ha fatto capire che, se vuol diventare un membro tollerato e ben accetto della cerchia familiare, e più tardi di associazioni più ampie, deve corrispondere all’attesa dei genitori e dei fratelli che vogliono essere rispettati. Mediante un sistema di premi d’amore e di punizioni, il bambino viene educato alla conoscenza dei suoi doveri sociali, gli viene insegnato che la sua sicurezza nella vita dipende dal fatto che i genitori, e poi anche gli altri, lo amino e possano credere nel suo amore per loro. L’uomo introduce in seguito tutti questi rapporti, inalterati, nella religione. I divieti e le richieste dei genitori continuano a vivere nel suo intimo sotto forma di coscienza morale; con l’aiuto dello stesso sistema di ricompense e di punizioni, Dio regge il mondo degli uomini; dall’adempimento delle esigenze etiche dipende il grado di protezione e di felicità che è assegnato al singolo; nell’amore verso Dio e nella coscienza di essere da Lui amato trova il suo fondamento la sicurezza con cui l’uomo affronta la lotta contro i pericoli del mondo esterno e dell’ambiente umano che lo circonda. Infine, tramite la preghiera, l’uomo si assicura un’influenza diretta sulla volontà divina e quindi una partecipazione all’onnipotenza di Dio.

Immagino che mentre mi ascoltavate vi siate venuti ponendo numerosi interrogativi, ai quali vi farebbe piacere sentir rispondere. Non è questo il momento e la sede per farlo, ma sono sicuro che nessuna disamina di dettaglio del genere da voi richiesto scuoterebbe la nostra tesi che la Weltanschauung religiosa è determinata dalla situazione tipica dell’infanzia. Tanto più degno di nota, quindi, è che questa situazione, malgrado il suo carattere infantile, sia stata indubbiamente preceduta da un tempo senza religione, senza dei, il cosiddetto periodo animistico. Anche in quest’epoca il mondo era popolato di esseri spirituali simili all’uomo (i “demoni”); tutti gli oggetti del mondo esterno fungevano da sede di questi esseri o forse si identificavano con essi; tuttavia non vi era un potere superiore che li avesse creati e continuasse a dominarli e al quale ci si potesse rivolgere per chiedere protezione e aiuto. I demoni dell’animismo nutrivano perlopiù intenzioni ostili agli uomini, ma l’uomo dimostrava allora maggior fiducia nelle proprie forze di quanto non ne abbia avuta in seguito. Egli era certamente afflitto di continuo da una gran paura di questi spiriti maligni, ma riusciva a difendersi eseguendo determinate azioni alle quali attribuiva il potere di scacciarli. Non si riteneva impotente nemmeno sotto altri riguardi. Quando desiderava qualche cosa dalla natura, per esempio che piovesse, non rivolgeva una preghiera al dio delle stagioni, ma praticava un incantesimo, che consisteva nell’eseguire qualcosa di simile alla pioggia, dal quale si aspettava un influsso diretto sulla natura. Nella lotta contro le forze del mondo circostante, la sua prima arma fu dunque la magia, prima precorritrice della tecnica dei giorni nostri. Presumiamo che la fiducia nella magia derivasse dalla sopravvalutazione delle proprie operazioni intellettuali, dalla fede nell’“onnipotenza dei pensieri”, che ritroviamo, del resto, nei nostri nevrotici ossessivi.244 Vien da pensare che gli uomini di quel tempo andassero particolarmente fieri delle loro acquisizioni in fatto di linguaggio, alle quali doveva accompagnarsi una grande facilitazione del pensiero. Alla parola essi attribuivano un potere magico. Più tardi questo tratto fu adottato dalla religione: “E Dio disse: ‘Sia la luce!’ e la luce fu.” L’esistenza delle azioni magiche mostra d’altronde che l’uomo animistico non faceva affidamento semplicemente sulla forza dei propri desideri: si aspettava piuttosto il successo dall’esecuzione di un atto che avrebbe dovuto indurre la natura a imitarlo. Se voleva la pioggia, versava egli stesso dell’acqua; se voleva incitare il terreno alla fecondità, gli dava lo spettacolo di un rapporto sessuale tra i campi.

Voi sapete com’è difficile che una cosa svanisca una volta che sia pervenuta a espressione psichica. Perciò non vi meraviglierà che molte manifestazioni dell’animismo si siano conservate fino ai giorni nostri, perlopiù nella forma della cosiddetta superstizione, accanto e dietro alla religione. Dirò di più: non potete assolutamente contestare che la nostra filosofia abbia conservato tratti essenziali della mentalità animistica. Tali sono la sopravvalutazione della magia della parola, la credenza che gli eventi reali del mondo seguano il corso che il nostro pensiero vuol loro assegnare. Insomma, siamo in presenza di un animismo senza pratiche magiche.

Infine, possiamo supporre che già in quegli antichi tempi vi fosse una qualche specie di etica, ossia dei precetti circa i rapporti degli uomini fra loro, anche se nulla lascia pensare che vi fosse un intimo nesso tra questi precetti e le credenze animistiche. Probabilmente erano l’espressione diretta dei rapporti di forza fra gli uomini e dei loro bisogni pratici.

Varrebbe la pena di sapere che cosa abbia imposto il passaggio dall’animismo alla religione, ma potete immaginarvi quale oscurità avvolga ancor oggi quei primordi dell’evoluzione dello spirito umano. Sembra certo che la prima forma in cui si è manifestata la religione sia stata quella, assai singolare, del totemismo, il culto degli animali, al cui seguito comparvero anche i primi comandamenti etici, i tabù. In un libro, Totem e tabù (1912-13), ho elaborato uno spunto che fa risalire questa trasformazione a un sovvertimento nei rapporti della famiglia umana. Il successo principale della religione, se la si paragona all’animismo, consiste nell’aver psichicamente vincolato la paura dei demoni. Ciò nonostante a un elemento sopravvissuto dell’epoca primitiva è rimasto un posto nel sistema della religione sotto forma di Spirito Maligno.

Se questa è la preistoria della concezione religiosa, rivolgiamoci, adesso, alle cose che accaddero in seguito e che ancora stanno succedendo sotto i nostri occhi. Lo spirito scientifico, corroborato dall’osservazione dei processi naturali, cominciò nel corso del tempo a trattare la religione come una faccenda umana e a sottoporla a esame critico. A questo la religione non ha potuto reggere. Dapprima furono i suoi racconti di miracoli a suscitare incredulità e sconcerto, perché erano in contraddizione con tutto ciò che l’osservazione spassionata aveva insegnato e tradivano troppo chiaramente l’influenza dell’attività fantastica dell’uomo. Poi, inevitabilmente, furono respinte le sue dottrine miranti a spiegare l’esistenza del mondo, poiché attestavano un’ignoranza che recava l’impronta dei tempi antichi, ignoranza che ormai, grazie a un’accresciuta familiarità con le leggi della natura, gli uomini capivano di aver superato. L’ipotesi che il mondo fosse sorto mediante atti di generazione o di creazione, in modo analogo all’origine del singolo uomo, non apparve più come la più ovvia ed evidente, da quando si impose al pensiero la distinzione fra esseri viventi e dotati di un’anima e natura inanimata, per cui diventò impossibile persistere nell’originario animismo. Non vanno trascurate, inoltre, l’influenza dello studio comparato di differenti sistemi religiosi e la conseguente impressione del loro escludersi a vicenda e della loro reciproca intolleranza.

Reso più forte da questi primi passi, lo spirito scientifico trovò finalmente il coraggio di affrontare l’esame degli elementi più importanti e di maggior valore affettivo della visione religiosa del mondo. Da sempre avrebbe dovuto esser chiaro – ma soltanto più tardi ci si arrischiò a esprimerlo – che anche le affermazioni della religione la quale promette all’uomo protezione e felicità, a patto che egli adempia a determinate richieste etiche, si dimostrano inattendibili. Non corrisponde al vero che nell’universo vi sia un potere che veglia con paterna sollecitudine sul benessere del singolo, portando a buon fine tutto quanto lo riguarda. Al contrario, i destini degli uomini non sono conciliabili né con l’ipotesi della benevolenza universale né con quella, parzialmente contrastante, di una giustizia universale. Terremoti, mareggiate, incendi non fanno alcuna distinzione fra il buono o il pio e il malvagio o l’infedele. Anche laddove la natura inanimata non c’entra, e il destino del singolo dipende dai suoi rapporti con gli altri uomini, la regola non è che la virtù sia ricompensata e il malvagio abbia il castigo che merita, ma anzi è il violento, l’astuto, la persona senza scrupoli che abbastanza spesso si accaparra i beni invidiati del mondo mentre il pio resta a bocca asciutta. Potenze oscure, insensibili e spietate determinano il destino umano; il sistema di ricompense e di castighi, che a detta della religione governerebbe il mondo, a quanto pare non esiste affatto. Ecco qui un’altra ragione per lasciar cadere quel po’ di panpsichismo che dall’animismo era passato nella religione.

L’ultimo contributo alla critica della visione religiosa del mondo è stato fornito dalla psicoanalisi, che ha indicato l’origine della religione nello stato del bambino privo di ogni difesa e ha fatto derivare i suoi contenuti dai desideri e dai bisogni dell’infanzia, protrattisi sin nella maturità. Ciò non significa propriamente che ci siamo messi a confutare la religione, anche se è stato necessario un perfezionamento delle nostre conoscenze su di essa per contraddirla se non altro in un punto, e cioè nella sua pretesa di aver origine divina. Benché in questo la religione non abbia torto, se si accetta la nostra spiegazione di Dio.

Il giudizio riassuntivo della scienza sulla visione religiosa del mondo è dunque questo: mentre le singole religioni contendono fra loro su quale di esse sia in possesso della verità, noi riteniamo che il contenuto di verità della religione possa essere del tutto trascurato. La religione è un tentativo di vincere il mondo dei sensi, nel quale siamo posti, per mezzo del mondo dei desideri che abbiamo sviluppato in noi in seguito a necessità biologiche e psicologiche. Ma in quest’opera non può riuscire. Le sue dottrine recano l’impronta dei tempi in cui sono sorte, tempi di ignoranza, appartenenti all’infanzia del genere umano. Le sue consolazioni non meritano fiducia. L’esperienza ci insegna che il mondo non è un giardino d’infanzia. Le esigenze etiche, che la religione vuole accentuare, richiedono ben altri fondamenti; essendo indispensabili alla società umana, è pericoloso mettere in rapporto la loro osservanza con la fede religiosa. Se si cerca di inserire la religione nel percorso evolutivo dell’umanità, essa non appare come una conquista permanente, ma piuttosto un corrispettivo della nevrosi attraverso cui ogni individuo civilizzato deve passare nel suo itinerario dall’infanzia alla maturità.245

Siete naturalmente liberi di criticare questa mia esposizione e sarò io stesso a facilitarvi il compito. Ciò che vi ho detto sul graduale sgretolarsi della Weltanschauung religiosa è stato certamente incompleto nella sua brevità. L’ordine di successione dei singoli stadi non è stato indicato in modo del tutto esatto; non è stata posta in luce la convergenza delle diverse forze che hanno destato lo spirito scientifico. Ho tralasciato inoltre i mutamenti che si sono verificati nella stessa visione religiosa del mondo durante il periodo del suo incontrastato dominio e, poi, sotto l’influsso della critica che andava destandosi. Infine, ho limitato la mia discussione, a rigor di termini, a un’unica forma assunta dalla religione, a quella dei popoli occidentali. Mi sono creato, per così dire, un fantasma ai fini di una dimostrazione veloce e il più possibile efficace. Lasciamo da parte la questione se la mia preparazione sarebbe comunque stata sufficiente per un’esposizione migliore e più completa. So che tutto quello che vi ho detto potete trovarlo altrove, esposto meglio, e che non ho detto nulla di nuovo. Lasciatemi tuttavia esprimere la convinzione che la disamina più accurata in materia di problemi religiosi non metterebbe in crisi il nostro risultato.

Sapete benissimo che la lotta dello spirito scientifico contro la visione religiosa del mondo non è giunta alla fine, ma sta ancora svolgendosi sotto i nostri occhi. Per quanto la psicoanalisi faccia di solito poco uso delle armi della polemica, non vogliamo astenerci dal gettare uno sguardo agli argomenti di questa disputa. Forse ne otterremo un ulteriore chiarimento della nostra posizione nei confronti delle varie visioni del mondo. Vedrete con quanta facilità potranno essere respinti alcuni degli argomenti addotti dai sostenitori della religione, anche se dobbiamo riconoscere che altri argomenti riescono a sottrarsi alla confutazione.

La prima obiezione che ci è dato ascoltare afferma che da parte della scienza è una presunzione fare oggetto delle sue indagini la religione, poiché questa è qualcosa di sovrano, di superiore a qualsiasi attività dell’umano intelletto, qualcosa cui non è consentito avvicinarsi con critiche cavillose. La scienza, in altri termini, non è competente a giudicare la religione, ed è comunque utilissima e apprezzabile fin tanto che si limita al suo campo; ma non facendo parte la religione di questo campo, essa non ha qui niente da dire. Se non ci lasciamo scoraggiare da questa brusca presa di posizione e proseguiamo ponendo la domanda su che cosa si fondi questa pretesa di una posizione eccezionale fra tutte le cose umane, otteniamo in risposta – ammesso che siamo ritenuti degni di una risposta – che la religione non può essere misurata col metro umano, poiché è di origine divina, ci fu data mediante rivelazione da uno Spirito che la mente umana non è in grado di concepire. Mi pare che nulla sia più facile da controbattere di questo argomento, trattandosi di una palese petitio principii, di un begging the question (in tedesco non conosco una buona espressione equivalente).246 Si sta giusto mettendo in discussione se vi sia uno spirito divino e una sua rivelazione, e certo non si contribuisce a risolvere la questione affermando che questo problema è improponibile, giacché la divinità non può essere messa in discussione. Si ha qui la stessa situazione che si verifica talvolta nel lavoro analitico. Se un paziente, solitamente ragionevole, respinge un determinato suggerimento con un pretesto particolarmente sciocco, questo punto debole nella sua logica garantisce l’esistenza di un motivo di opposizione particolarmente forte, il quale può essere soltanto di natura affettiva, un legame emotivo.

Si può anche ottenere un’altra risposta, nella quale un simile motivo viene ammesso apertamente. La religione non può essere sottoposta a esame critico perché è quanto di più elevato, di più prezioso, di più sublime lo spirito umano abbia prodotto, perché dà espressione ai sentimenti più profondi, perché sola rende sopportabile il mondo e degna di essere vissuta la vita. Non è necessario rispondere contestando tale apprezzamento della religione, ma basterà indirizzare l’attenzione a un altro ordine di fatti. Faremo rilevare che non si tratta per nulla di un’invasione dello spirito scientifico nel dominio della religione ma, al contrario, di un’invasione della religione nella sfera del pensiero scientifico. Quali che possano essere il valore e il significato della religione, essa non ha alcun diritto di limitare in qualche modo il pensiero e non ha quindi nemmeno il diritto di escludere se stessa dall’applicazione del pensiero.

Il pensiero scientifico non è diverso, nella sua essenza, dalla normale attività mentale che noi tutti, credenti e miscredenti, impieghiamo nel disbrigo delle faccende della nostra vita. Ha solo sviluppato alcuni tratti particolari: si interessa anche di cose che non hanno un utile immediato, tangibile; si sforza con ogni cura di tenere lontani fattori individuali e influenze affettive; verifica più rigorosamente l’attendibilità delle percezioni sensoriali sulle quali fonda le sue conclusioni; si procura nuove percezioni, che non possono essere ottenute con i mezzi ordinari e isola le condizioni di queste nuove esperienze in esperimenti intenzionalmente variati. La sua aspirazione è di raggiungere la concordanza con la realtà, ossia con ciò che esiste al di fuori e indipendentemente da noi, e che, come l’esperienza ci ha insegnato, è decisivo ai fini dell’appagamento o della vanificazione dei nostri desideri. Questa concordanza con il mondo esterno reale, da noi chiamata “verità”, continua a essere la meta del lavoro scientifico anche quando si prescinda dal suo valore pratico. Se quindi si afferma che la scienza può essere sostituita dalla religione, la quale, per il fatto di essere benefica ed edificante, deve anche essere vera, è questo in effetti uno sconfinamento che tutti dovrebbero avere interesse a respingere. Nessuno può pretendere che l’uomo – il quale ha imparato a sbrigare i suoi affari consueti regolandosi sull’esperienza e tenendo conto della realtà – affidi la cura dei suoi veri e più intimi interessi a un’istanza che considera suo privilegio l’essere esentata dalle norme del pensiero razionale. E per quanto riguarda la protezione che la religione garantisce ai suoi fedeli, io credo che nessuno di noi vorrebbe salire su un’automobile il cui autista dichiarasse non solo di infischiarsene delle regole del traffico, ma anche di seguire i capricci della sua fantasia esaltata.

La proibizione di pensare, sancita dalla religione in funzione della propria autoconservazione, è tutt’altro che priva di pericoli sia per il singolo che per la collettività umana. L’esperienza analitica ci ha insegnato che tale proibizione, seppure originariamente confinata a un determinato dominio, ha la tendenza a estendersi e diviene quindi causa di gravi inibizioni nella condotta della persona. Quest’effetto può anche essere osservato nel sesso femminile come conseguenza del divieto di occuparsi, anche solo col pensiero, della propria sessualità.247 Il danno provocato dall’inibizione religiosa del pensiero risulta dalle biografie di quasi tutti gli individui illustri dei tempi passati. Non dimentichiamo che l’intelletto – o, per chiamarlo col nome che ci è familiare, la ragione – è uno dei poteri dai quali è lecito attendersi un’influenza unificatrice sugli uomini: su questi uomini così difficili da tenere uniti e quindi quasi ingovernabili. Immaginate che cosa diverrebbe la società umana se ognuno avesse una propria tavola pitagorica e una speciale unità di peso e di misura. La nostra più viva speranza è che l’intelletto (lo spirito scientifico, la ragione) ottenga con l’andar del tempo una preminenza dittatoriale sulla vita psichica umana. L’essenza stessa della ragione garantisce che in seguito essa non mancherà di concedere al lato emotivo dell’animo umano e a quanto ne discende il posto che gli spetta. Ma la coartazione collettiva imposta da un simile dominio della ragione si rivelerà come il più forte elemento di coesione tra gli uomini e aprirà la strada a unificazioni più vaste. Ciò che si oppone a un tale sviluppo, come la proibizione di pensare sancita dalla religione, rappresenta un pericolo per il futuro dell’umanità.

Ci si può chiedere perché la religione non ponga fine a questa controversia, che non si presenta per lei propizia, dichiarando apertamente: “D’accordo, io non posso darvi ciò che comunemente vien chiamato ‘verità’; per questa rivolgetevi alla scienza. Ma quello che ho da darvi è incomparabilmente più bello, più consolante, più edificante di qualsiasi cosa possiate mai ottenere dalla scienza. E perciò vi dico che ciò che vi do è vero in un senso diverso e più elevato.” È facile trovare la risposta. La religione non può fare questa ammissione perché in tal modo verrebbe a perdere la sua influenza sulla massa. L’uomo comune conosce una sola verità, comunemente intesa. Non sa immaginare che cosa possa essere una verità superiore o suprema. La verità, al pari della morte, non gli sembra capace di accrescimento, ed egli non riesce a partecipare a questo salto dal bello al vero. Forse siamo tutti d’accordo che in questo ha ragione.

Così la lotta non è terminata. I seguaci della Weltanschauung religiosa si muovono secondo l’antica massima: la miglior difesa è l’attacco. E insistono: “Ma cos’è questa scienza che ha la presunzione di screditare la nostra religione che ha dispensato consolazione e salvezza a milioni di uomini per interi millenni? Cosa ha realizzato finora dal canto suo? Cos’altro possiamo aspettarci da essa? Per sua stessa ammissione, è incapace di recare conforto e di elevarci spiritualmente. Prescindiamo pure da ciò, benché non sia una rinuncia facile. Ma che ne è delle sue teorie? Può dirci come ha avuto origine il mondo e a quale destino va incontro? È in grado, almeno, di tracciarci un quadro coerente del mondo, mostrarci quale posto occupino i fenomeni inspiegati della vita, come le forze spirituali possano agire sulla materia inerte? Se riuscisse a rispondere a questi interrogativi non mancheremmo di concederle la nostra stima. Ma non ha ancora risolto nulla di tutto ciò, nessun problema di tal genere. Ci dà frammenti di presunta conoscenza che non riesce ad armonizzare tra loro, raccoglie osservazioni su un certo numero di regolarità nello svolgersi degli eventi, che contraddistingue col nome di leggi e sottopone alle sue azzardate interpretazioni. E quale scarso grado di certezza attribuisce ai suoi risultati! Tutto quello che insegna vale solo in via provvisoria; ciò che oggi è decantato come suprema sapienza, domani viene ripudiato e sostituito con qualcos’altro, e sempre solo in via ipotetica. Poi l’ultimo errore viene chiamato verità. E a questa verità noi dovremmo sacrificare il nostro bene supremo!”

A mio avviso, signore e signori, se davvero aderite alla Weltanschauung scientifica che qui viene attaccata, questa critica vi lascerà abbastanza indifferenti. Nell’Austria imperialregia circolava un tempo una storiella che vorrei ricordare a questo proposito. Il Vecchio Signore248 gridò una volta alla delegazione di un partito che gli dava fastidio: “Questa non è più un’opposizione normale, è un’opposizione faziosa!” Analogamente, ammetterete che i rimproveri mossi alla scienza per non aver ancora risolto l’enigma dell’universo sono esagerati in una maniera che è insieme ingiusta e astiosa; in verità la scienza non ha avuto ancora il tempo di raggiungere simili traguardi. La scienza è molto giovane, è un’attività umana sviluppatasi tardi. Teniamo presente, per scegliere solo alcune date, che sono trascorsi circa trecento anni da quando Keplero scoprì le leggi del moto planetario; che Newton, che scompose la luce nei suoi colori e ideò la teoria della forza di gravità, si spense nel 1727, quindi poco più di duecento anni fa; e che Lavoisier scoprì l’ossigeno poco prima della Rivoluzione francese. L’esistenza di un uomo è molto breve in confronto ai tempi dell’evoluzione dell’umanità; eppure, benché io sia oggi un uomo molto anziano,249 ero già al mondo quando Darwin dette alle stampe la sua opera sull’origine delle specie. Nello stesso anno, il 1859, nacque lo scopritore del radio, Pierre Curie. E se risalite ancora più indietro, agli albori delle scienze esatte presso i greci, ad Archimede, ad Aristarco di Samo (intorno al 250 a.C.), che fu il precursore di Copernico, o addirittura ai primi albori dell’astronomia presso i babilonesi, avrete coperto solo una piccola frazione dello spazio di tempo che secondo l’antropologia è richiesto per l’evoluzione dell’uomo dalla sua forma primitiva simile a quella della scimmia, e che abbraccia sicuramente più di un migliaio di secoli. E non dimentichiamo che l’ultimo secolo ha portato una tal quantità di nuove scoperte, una tale accelerazione del progresso scientifico, che abbiamo tutte le ragioni di guardare con fiducia all’avvenire della scienza.

Alle altre critiche dobbiamo in una certa misura dare ragione. È vero che il cammino della scienza è lento, faticoso e incerto. Inutile rinnegarlo o tentare di cambiare le cose. Non c’è da meravigliarsi che i signori dell’altro fronte ne siano insoddisfatti, dato che sono viziati, avendo la Rivelazione reso loro tutto più facile. Il progresso del lavoro scientifico si compie in modo assolutamente analogo a quello dell’analisi. Si comincia il lavoro con determinate aspettative, ma bisogna trattenersi dall’esternarle. Mediante l’osservazione si impara, un po’ qui un po’ là, qualcosa di nuovo, ma a tutta prima i pezzi non combaciano. Si procede per congetture, si ricorre a costruzioni ausiliarie, che vengono ritrattate qualora non trovino conferma, si fa uso di molta pazienza, si è pronti a ogni eventualità, si rinuncia a convinzioni precedenti per non trascurare, sotto il loro peso, nuovi e inattesi fattori; e alla fine tutta la fatica viene ripagata, le scoperte sparse trovano il loro luogo d’incastro, si acquista la visione di tutto un settore dell’accadere psichico, si è portato a termine un compito e si è liberi per il compito successivo. Si noti che nell’analisi si deve fare a meno dell’aiuto rappresentato per la ricerca dall’esperimento.

Nella critica mossa alla scienza a quest’ultimo proposito vi è anche una buona dose di esagerazione. Non è vero che essa brancoli ciecamente da un esperimento all’altro, passi da un errore all’altro. Normalmente lavora come l’artista sul modello d’argilla, modificandone instancabilmente l’abbozzo greggio, aggiungendo e togliendo, finché non raggiunge un grado soddisfacente di somiglianza con l’oggetto veduto o immaginato. Già oggi, inoltre, perlomeno nelle scienze più antiche e mature, vi è un fondamento solido che viene solo modificato e affinato, ma non più demolito. Non tutto va poi così male nelle faccende della scienza.

E in definitiva, a cosa mirano queste veementi denigrazioni della scienza? Malgrado la sua odierna incompiutezza e le difficoltà ad essa legate, la scienza rimane per noi indispensabile e nulla può sostituirla. È capace di insospettati perfezionamenti, mentre la Weltanschauung religiosa non lo è. Quest’ultima è compiuta sotto tutti gli aspetti essenziali; se fu un errore, tale deve rimanere per sempre. Nessun deprezzamento della scienza può minimamente alterare il fatto che essa tenta di farsi una ragione della nostra dipendenza dal mondo esterno reale, mentre la religione è un’illusione che trae la sua forza dalla condiscendenza ai nostri moti pulsionali di desiderio.250

Mi vedo obbligato a menzionare anche altre visioni del mondo che si trovano in contrasto con quella scientifica; lo faccio però malvolentieri, sapendo che mi manca la dovuta competenza per valutarle. Accogliete pertanto le osservazioni seguenti tenendo presente quest’avvertenza; se risveglierò il vostro interesse, cercate di istruirvi meglio altrove.

In primo luogo, andrebbe qui fatto un cenno ai diversi sistemi filosofici che hanno osato tracciare un’immagine dell’universo rispecchiatasi poi nella mente dei pensatori i quali, perlopiù, si sono estraniati dal mondo. Ma ho già tentato di dare una caratterizzazione generale della filosofia e dei suoi metodi e sono senz’altro inadatto, più forse di chiunque altro, a valutarne i singoli sistemi. Vi invito quindi a considerare con me altre due manifestazioni tipiche della nostra epoca, sulle quali non si può sorvolare.

La prima di queste concezioni del mondo fa in certo qual modo riscontro all’anarchismo politico, anzi forse ne è un’emanazione. Nichilisti intellettuali se n’erano già visti in passato, ma si direbbe che attualmente la moderna teoria fisica della relatività abbia dato loro alla testa. Essi partono dalla scienza, ma intenderebbero costringerla all’autoannullamento, al suicidio; le attribuiscono il compito di togliersi di mezzo da sé, confutando essa stessa le proprie pretese. Spesso si ha l’impressione che questo nichilismo sia solo un atteggiamento temporaneo, che verrà mantenuto fino a quando il compito sopra accennato sarà stato portato a termine. Una volta eliminata la scienza, il posto rimasto libero sarà occupato da una qualche forma di misticismo, oppure ancora dalla vecchia Weltanschauung religiosa. Secondo la dottrina anarchica, non vi è alcuna verità, alcuna conoscenza accertata del mondo esterno. Ciò che noi spacciamo per verità scientifica è solo il prodotto dei nostri bisogni, così come sono spinti a manifestarsi dal variare delle condizioni esterne, ed è quindi a sua volta illusione. In fondo noi troviamo solo ciò di cui abbiamo bisogno e vediamo solo ciò che vogliamo vedere. Non possiamo fare altrimenti. Dal momento che il criterio della verità – la concordanza con il mondo esterno – viene a mancare, è del tutto indifferente a quali opinioni aderiamo. Tutte sono ugualmente vere e ugualmente false. E nessuno ha il diritto di accusare l’altro di errore.

Chi è interessato ai problemi di gnoseologia potrà magari indagare per quali vie e con quali sofismi gli anarchici riescano a pervenire a tali conclusioni partendo dalla scienza. È probabile che s’imbatta in situazioni simili a quelle che derivano dal noto paradosso: “Un cretese dice: tutti i cretesi sono mentitori” eccetera.251 A me però manca sia la voglia che la capacità di andare più a fondo su questo punto. Posso soltanto dire che la dottrina anarchica sembra straordinariamente elevata fin tanto che si riferisce a opinioni su cose astratte; nella vita pratica crolla al primo passo. Ora, le azioni degli uomini sono guidate dalle loro opinioni, dalle loro conoscenze, ed è lo stesso spirito scientifico che da una parte specula sulla struttura degli atomi e sulla provenienza dell’uomo, e dall’altra progetta la costruzione di un ponte capace di sostenere un carico; se fosse realmente indifferente credere in una cosa o nell’altra, se fra le nostre opinioni non vi fossero conoscenze contraddistinte dalla loro concordanza con la realtà, potremmo indifferentemente costruire ponti di cartone o di pietra, iniettare al malato un decigrammo di morfina invece di un centigrammo, impiegare per la narcosi gas lacrimogeno al posto dell’etere. Ma anche gli intellettuali anarchici respingerebbero energicamente simili applicazioni pratiche della loro teoria.

L’altra opposizione va presa assai più seriamente, e in questo caso rimpiango più che mai l’insufficienza della mia informazione. Presumo che su questo argomento ne sappiate più di me e che da tempo abbiate preso posizione pro o contro il marxismo. Le indagini di Karl Marx sulla struttura economica della società e sull’influsso dei diversi modi di produzione in ogni campo della vita umana hanno acquistato nel nostro tempo un’incontestabile autorità. Fino a che punto queste tesi, prese una per una, corrispondano al vero o siano errate, non posso naturalmente dirlo, e ho saputo che non riesce facile neppure ad altre persone, meglio informate di me. Nell’ambito della teoria marxista mi hanno reso perplesso certe asserzioni, come quella che l’evoluzione delle forme sociali è un processo che rientra nella storia naturale, o che i mutamenti nella stratificazione sociale scaturiscono l’uno dall’altro alla stregua di un processo dialettico. Non sono sicuro di comprendere esattamente queste affermazioni, che non mi sembrano nemmeno “materialistiche”, ma piuttosto un sedimento di quell’oscura filosofia di Hegel alla cui scuola si è formato anche Marx. Non so in che modo liberarmi dalla mia mentalità profana, che è abituata a far risalire la formazione delle classi sociali alle lotte che si svolsero, fin dall’inizio della storia, fra orde umane252 tra loro lievemente diverse. Le differenze sociali, a mio parere, furono originariamente differenze di stirpe o di razza. Decisero della vittoria fattori psicologici quali il grado di aggressività costituzionale, ma altresì la solidità dell’organizzazione all’interno dell’orda, e fattori materiali come il possesso delle armi migliori. Convivendo nello stesso territorio, i vincitori diventarono i padroni, i vinti gli schiavi. Non c’è qui alcuna legge naturale o metamorfosi concettuale253 da scoprire. Per contro, è inconfondibile l’influenza che il progressivo dominio delle forze naturali esercita sui rapporti sociali degli uomini, dal momento che questi pongono sempre gli strumenti di potere che via via acquisiscono al servizio della loro aggressività, usandoli gli uni contro gli altri. L’introduzione del metallo, del bronzo e del ferro ha segnato la fine di intere civiltà e delle loro istituzioni sociali. Io credo realmente che sia stata la polvere da sparo, l’arma da fuoco, ad abolire la cavalleria e il dominio aristocratico, e che il dispotismo russo fosse già condannato prima che perdesse la guerra, poiché nessun incrocio fra le famiglie regnanti in Europa avrebbe potuto generare una stirpe di zar capace di resistere alla forza esplosiva della dinamite.

Chissà, forse con la presente crisi economica, seguita alla guerra mondiale, non facciamo che pagare lo scotto per l’ultima grandiosa vittoria sulla natura, la conquista dello spazio aereo. Quest’ipotesi non sembra molto convincente, ma si possono se non altro riconoscere chiaramente i primi anelli della catena. La politica dell’Inghilterra si fondava sulla sicurezza garantitale dal mare che lambisce le sue coste. Dal momento in cui Blériot ebbe sorvolato in aeroplano la Manica, questa protezione dovuta all’isolamento fu infranta, e la notte in cui, in tempo di pace e a scopo di esercitazione, uno Zeppelin tedesco volteggiò sopra Londra, la guerra contro la Germania fu praticamente decisa.254 Non va neppure dimenticata, a questo riguardo, la minaccia costituita dal sommergibile.

Quasi mi vergogno di trattare un tema di tale importanza e complessità, accompagnandolo con così pochi e insufficienti commenti; so anche di non avervi detto nulla che vi giunga nuovo. Mi preme una cosa sola: farvi rilevare che tra l’uomo e la natura, dal cui dominio egli trae le armi per lottare contro i propri simili, si stabilisce un rapporto che deve necessariamente influire anche sulle istituzioni economiche. Può sembrarvi che ci siamo molto allontanati dai problemi della “visione del mondo”, ma vi ritorneremo subito. La forza del marxismo non risiede evidentemente nella sua concezione della storia e nella predizione del futuro che su di essa si basa, bensì nell’aver acutamente dimostrato l’influenza cogente che hanno le condizioni economiche degli uomini sui loro atteggiamenti intellettuali, etici e artistici. È stata così scoperta una serie di nessi e di implicazioni, prima quasi completamente ignorati. Ma non si può ipotizzare che i motivi economici siano i soli a determinare il comportamento dell’uomo nella società. Già l’indubbio dato di fatto che persone, razze e popoli diversi si comportano differentemente nelle medesime condizioni economiche esclude la possibilità di una preminenza esclusiva dei fattori economici. Quando si tratta delle reazioni di esseri umani viventi, non si comprende come possano essere ignorati i fattori psicologici, poiché non solo tali fattori avevano già avuto parte nell’instaurazione dei rapporti economici stessi, ma anche sotto il loro dominio, gli uomini non possono far altro che esplicare i loro moti pulsionali originari: la loro pulsione di autoconservazione, la loro aggressività, il loro bisogno di amore, il loro anelito a ottenere piacere e a evitare dispiacere. Già in precedenza [nella lezione 31] abbiamo messo in risalto le importanti esigenze del Super-io, che rappresenta la tradizione e gli ideali del passato e che, per un certo tempo, opporrà resistenza alle sollecitazioni derivanti da una nuova situazione economica. Non dimentichiamo, infine, che sulla massa degli uomini, soggetti alle necessità economiche, è in atto anche il processo dell’incivilimento (civilizzazione, dicono altri),255 che viene certo influenzato da tutti gli altri fattori, ma che è sicuramente indipendente da essi per quanto riguarda la sua origine, essendo comparabile a un processo organico, ed essendo perfettamente in grado di agire per parte sua sugli altri fattori.256 Esso sposta le mete passionali e fa sì che gli uomini si oppongano a quanto fino a quel momento avevano tollerato. Sembra inoltre che il progressivo rafforzamento dello spirito scientifico sia una parte essenziale di questo processo. Se qualcuno riuscisse a dimostrare nei dettagli il modo in cui questi diversi fattori – la generale predisposizione pulsionale umana, le sue varianti razziali e le sue trasformazioni culturali – si comportano nelle varie condizioni in cui vengono a trovarsi – classe sociale, attività professionale e possibilità di guadagno – inibendosi e promuovendosi a vicenda, se qualcuno potesse fare questo, darebbe al marxismo l’integrazione necessaria per farne una vera scienza sociale. Infatti anche la sociologia, che tratta del comportamento dell’uomo nella società, non può essere altro che psicologia applicata. A rigor di termini vi sono solo due scienze: la psicologia, pura e applicata, e la scienza naturale.

Con la scoperta ricca di implicazioni dell’importanza delle condizioni economiche, affiorò la tentazione di non lasciare i mutamenti di queste ultime all’evoluzione storica, ma di imporli mediante un intervento rivoluzionario. Ora, nella sua attuazione nel bolscevismo russo, il marxismo teorico ha acquisito l’energia, la compiutezza, il carattere esclusivo di una visione del mondo, ma nel contempo anche una inquietante rassomiglianza con ciò che intendeva combattere. Benché originariamente esso stesso faccia parte della scienza, e sia costruito, nella sua attuazione, sulla scienza e sulla tecnica, ha tuttavia istituito una proibizione di pensare altrettanto implacabile quanto, a suo tempo, quella della religione. Un esame critico della teoria marxista è vietato, i dubbi sulla sua esattezza vengono puniti così come una volta l’eresia dalla Chiesa cattolica. Le opere di Marx hanno preso, come fonte di rivelazione, il posto della Bibbia e del Corano, benché non sembrino più esenti da contraddizioni e da oscurità di questi libri sacri più antichi.

E benché il marxismo pratico abbia fatto inesorabilmente piazza pulita di tutti i sistemi idealistici e di tutte le illusioni, ha generato a sua volta illusioni che non sono meno discutibili e gratuite delle precedenti. Esso spera di cambiare, nel corso di poche generazioni, la natura umana in modo tale che nel nuovo ordine sociale la convivenza risulti quasi esente da attriti e che gli uomini si assumano i compiti del lavoro senza esservi costretti. Intanto trasporta altrove le restrizioni pulsionali indispensabili in ogni società e devia verso l’esterno le inclinazioni aggressive che minacciano ogni collettività umana, mentre trova sostegno nell’ostilità dei poveri contro i ricchi e di coloro che finora non hanno contato nulla contro quelli che in passato hanno avuto tutto il potere. Ma una simile trasformazione della natura umana è assai inverosimile. L’entusiasmo con cui le masse seguono attualmente l’incitamento dei bolscevichi, fin tanto che il nuovo ordine è incompiuto e minacciato dall’esterno, non dà alcuna garanzia per un futuro in cui tale ordine fosse compiuto e non più in pericolo. Anche il bolscevismo, in modo del tutto analogo alla religione, deve risarcire i suoi fedeli delle sofferenze e delle privazioni della vita presente con la promessa di un aldilà migliore, nel quale nessun bisogno rimarrà insoddisfatto. Questo paradiso, tuttavia, deve essere nell’aldiqua, deve venir istituito sulla terra e inaugurato entro un lasso di tempo prevedibile. Ma rammentiamoci che anche gli ebrei, la cui religione non conosce una vita nell’aldilà, hanno aspettato l’arrivo del Messia sulla terra, e che il Medioevo cristiano ha creduto varie volte che il regno di Dio fosse imminente.

Non vi sono dubbi sulla risposta che il bolscevismo darà a queste obiezioni. Dirà che finché gli uomini non saranno cambiati profondamente nella loro natura, dobbiamo servirci dei mezzi che oggi possono influenzarli; nell’educarli, è impossibile fare a meno della costrizione, della proibizione di pensare, dell’impiego della violenza fino allo spargimento di sangue; e se non destassimo in loro quelle illusioni, non li indurremmo nemmeno a piegarsi a questa costrizione. E potrebbe chiederci, gentilmente, che gli si dica pure come si potrebbe fare altrimenti. In tal modo saremmo messi con le spalle al muro. Io non saprei dare alcun consiglio. Confesserei che le condizioni di questo esperimento avrebbero scoraggiato me e la gente come me dall’intraprenderlo; ma non siamo gli unici ad aver voce in capitolo. Vi sono anche uomini d’azione, irremovibili nelle loro convinzioni, inaccessibili al dubbio, insensibili alle sofferenze altrui qualora si frappongano alle loro intenzioni. Dobbiamo a tali uomini se il grandioso esperimento di un ordine nuovo è attualmente in corso in Russia. In un’epoca in cui grandi nazioni annunciano di aspettarsi la salvezza dal mantenimento della devozione cristiana, la rivoluzione russa – malgrado un buon numero di particolari sgradevoli – appare dopotutto un messaggio per un futuro migliore. Purtroppo né dal nostro dubbio né dalla fede fanatica degli altri scaturisce un’indicazione su quello che sarà l’esito di questo esperimento. Il futuro lo insegnerà; forse mostrerà che l’esperimento fu intrapreso prematuramente, che un cambiamento radicale dell’ordine sociale ha scarse prospettive di successo fin tanto che nuove scoperte non avranno accresciuto il nostro dominio sulle forze naturali e quindi facilitato il soddisfacimento dei nostri bisogni. Solo allora, forse, diverrà possibile che un nuovo ordine sociale non solo scongiuri il bisogno materiale delle masse, ma esaudisca anche le esigenze culturali dell’individuo. Invero, anche allora avremo da lottare per un periodo lunghissimo di tempo con le difficoltà che l’indomabile natura umana procura ad ogni genere di comunità sociale.

Signore e signori, consentitemi, per concludere, di riassumere quanto ebbi a dire sulla relazione che la psicoanalisi ha con il problema della “visione del mondo”. La psicoanalisi, a mio parere, è incapace di crearsi una sua particolare Weltanschauung. Essa non ne ha bisogno, è parte della scienza e può dunque aderire alla Weltanschauung scientifica. Questa, tuttavia, quasi non merita tale nome altisonante, perché non abbraccia ogni cosa, è troppo frammentaria, non ha alcuna pretesa di essere un tutto in sé compiuto e di costituire un sistema. Il pensiero scientifico è ancora molto giovane, e di moltissimi grandi problemi non è ancora potuto venire a capo. Una visione del mondo eretta sulla scienza ha, tranne l’accento posto sul mondo esterno reale, tratti essenzialmente negativi, come quello di sottomettersi soltanto alla verità, nel rifiuto di ogni illusione. Chi fra di noi mortali è insoddisfatto di questa situazione, chi pretende qualcosa di più per trovare una momentanea consolazione, cerchi questo qualcosa dove pensa di poterlo trovare. Noi non ce ne adonteremo: non possiamo aiutarlo, ma nemmeno, per riguardo a lui, cambiare le nostre idee.

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