Lezione 29
Revisione della teoria del sogno
Signore e signori, poiché vi ho riconvocato, dopo un intervallo di più di quindici anni, per discutere con voi le novità, e forse anche i miglioramenti, che in questo frattempo sono stati recati alla psicoanalisi, è giusto e conveniente da più di un punto di vista che rivolgiamo la nostra attenzione, in primo luogo, allo stato della teoria del sogno. Nella storia della psicoanalisi questa teoria occupa un posto particolare, indica una svolta: con essa l’analisi ha compiuto il passaggio da procedimento psicoterapeutico a psicologia del profondo. Da allora la teoria del sogno è sempre rimasta la parte più caratteristica e peculiare della giovane scienza, qualcosa di cui non vi è riscontro altrove nel nostro sapere, un pezzo di terra vergine sottratto alle credenze popolari e al misticismo. La stranezza delle affermazioni che essa dovette formulare le ha conferito l’aspetto di uno scibboleth,70 la cui applicazione decideva chi poteva diventare un seguace della psicoanalisi e a chi essa rimaneva definitivamente incomprensibile. Questa teoria fu per me un sostegno sicuro nei tempi difficili in cui i fatti sconosciuti delle nevrosi solevano confondere il mio inesperto giudizio. Ogni qual volta cominciavo a dubitare dell’esattezza delle mie malferme conoscenze, la mia fiducia di seguire la giusta traccia si rinnovava purché riuscissi a trasformare un sogno confuso e privo di senso in un corretto e comprensibile processo psichico del sognatore.
È quindi per noi di particolare interesse seguire, proprio nel caso della teoria del sogno, da un lato i mutamenti che la psicoanalisi ha subito in questo intervallo di tempo, e dall’altro i progressi intervenuti in questi anni nella comprensione e nell’apprezzamento di essa da parte del mondo contemporaneo. Vi dico subito che sarete delusi in entrambi i sensi.
Sfogliate con me le annate della “Internationale Zeitschrift für (ärztliche) Psychoanalyse”, nella quale sono riuniti, a partire dal 1913, i lavori che fanno testo nel nostro campo. Troverete, nei primi volumi, una rubrica fissa “Sull’interpretazione dei sogni”, con cospicui contributi sui diversi aspetti della dottrina del sogno. Ma quanto più andate avanti, tanto più rari diventano tali contributi e alla fine la rubrica fissa scompare del tutto. Gli analisti si comportano come se non avessero più nulla da dire sul sogno, come se la teoria del sogno fosse conclusa. Se però chiedete che cosa abbiano accettato, dell’interpretazione dei sogni, gli estranei, i molti psichiatri e psicoterapeuti che cuociono la loro minestrina al nostro focolare (senza essere del resto molto riconoscenti per l’ospitalità), le cosiddette persone colte che usano fare propri i risultati appariscenti della scienza, i letterati e il grande pubblico, la risposta è poco soddisfacente. Alcune formule sono diventate universalmente note, e tra esse alcune che noi non abbiamo mai sostenuto, come la tesi che tutti i sogni siano di natura sessuale; ma le cose veramente importanti, come la fondamentale distinzione tra contenuto onirico manifesto e pensieri onirici latenti, il fatto che i sogni d’angoscia non contraddicono la funzione di appagamento di desiderio propria del sogno, l’impossibilità di interpretare il sogno senza le relative associazioni del sognatore, ma soprattutto la nozione che l’essenziale nel sogno è il processo del lavoro onirico, tutto ciò sembra essere ancora estraneo alla coscienza generale quasi come trent’anni fa. Posso dirlo, perché nel corso di questo periodo ho ricevuto un’infinità di lettere, ove gli scriventi presentano i loro sogni per l’interpretazione o chiedono informazioni sulla natura del sogno; essi affermano di aver letto L’interpretazione dei sogni (1899) e tuttavia rivelano in ogni frase la loro mancanza di comprensione della nostra teoria del sogno. Ciò non deve trattenerci dall’esporre ancora una volta con coerenza quello che sappiamo sul sogno. Vi ricorderete che la volta precedente abbiamo dedicato una intera serie di lezioni71 a illustrare come si sia giunti alla comprensione di questo fenomeno psichico fino allora inesplicato.
Se qualcuno, per esempio un paziente in analisi, ci riferisce uno dei suoi sogni, noi partiamo dal presupposto che in questo modo egli stia facendoci una delle comunicazioni cui era tenuto per il fatto stesso di aver iniziato un trattamento analitico. Invero, una comunicazione eseguita con mezzi impropri, non essendo di per sé il sogno un’espressione sociale, un mezzo per farsi capire. E infatti non comprendiamo che cosa vuol dirci, né lo sa meglio lui stesso. Ora dobbiamo prendere rapidamente una decisione: o il sogno è, come ci assicurano i medici non analisti, un indizio che il sognatore ha dormito male, che non tutte le parti del suo cervello hanno uniformemente raggiunto la quiete, che singole aree hanno cercato di continuare a lavorare sotto l’influsso di stimoli sconosciuti e hanno potuto farlo solo in modo quanto mai incompleto – e se è così, facciamo bene a non occuparci oltre del prodotto della perturbazione notturna, che è privo di valore psichico; infatti, che cosa mai può riservarci di utile il suo esame dati i nostri intenti? – oppure... ma è chiaro che sin dall’inizio ci siamo decisi altrimenti. Abbiamo – ammettiamolo pure, del tutto arbitrariamente – fatto la premessa, formulato il postulato, che anche questo incomprensibile sogno deve essere un atto psichico pienamente valido, dotato di senso e con un suo pregio, che possiamo impiegare nell’analisi al pari di un’altra comunicazione. Solo il risultato dell’esperimento potrà dire se abbiamo ragione. Se riusciremo a trasformare il sogno in una simile espressione valida, ci si apre evidentemente la prospettiva di apprendere cose nuove, di ottenere un certo tipo di comunicazioni che altrimenti ci sarebbero rimaste inaccessibili.
A questo punto ci si parano innanzi le difficoltà del nostro compito e gli enigmi del nostro tema. Come facciamo a trasformare il sogno in una normale comunicazione di questo genere, e come ci spieghiamo che il modo di esprimersi del paziente abbia in parte assunto questa forma, ugualmente incomprensibile per lui come per noi?
Come vedete, signore e signori, questa volta non seguo la via di un’esposizione genetica, ma quella di un’esposizione dogmatica. Il primo passo consiste nello stabilire il nostro nuovo atteggiamento nei riguardi del problema del sogno, mediante l’introduzione di due nuovi concetti e termini. Ciò che è stato denominato “sogno” noi lo chiamiamo “testo onirico” o “sogno manifesto”, e “pensieri onirici latenti” ciò che cerchiamo, ciò che, per così dire, presumiamo vi sia dietro al sogno. Possiamo allora formulare i nostri due compiti nel seguente modo: dobbiamo trasformare il sogno manifesto in quello latente e indicare come, nella vita psichica del sognatore, quest’ultimo sia diventato il primo. Il primo è un compito pratico, spetta all’interpretazione onirica e necessita di una tecnica; il secondo è un compito teorico, che deve spiegare il supposto processo del lavoro onirico e non può essere che una teoria. Entrambe, tecnica dell’interpretazione onirica e teoria del lavoro onirico, devono essere create ex novo.
Da dove dobbiamo cominciare? A mio parere, con la tecnica dell’interpretazione onirica; la cosa avrà uno spicco maggiore e vi farà una più viva impressione.
Supponiamo quindi che il paziente abbia raccontato un sogno che noi dobbiamo interpretare. Abbiamo ascoltato tranquillamente, senza mettere in moto la nostra riflessione.72 Che facciamo per prima cosa? Decidiamo di curarci il meno possibile di ciò che abbiamo udito, del sogno manifesto. Naturalmente questo sogno manifesto presenta ogni sorta di caratteristiche, che non ci sono del tutto indifferenti. Esso può essere coerente, costruito con la nitidezza di una composizione poetica, oppure incomprensibilmente ingarbugliato, quasi come un delirio; può contenere elementi assurdi o facezie e conclusioni apparentemente spiritose; può apparire al sognatore chiaro e schietto, oppure torbido e sbiadito; le sue immagini possono presentare la piena forza sensibile delle percezioni o essere vaghe come un soffio indistinto; nello stesso sogno possono trovarsi riuniti i più diversi caratteri, ripartiti in vari punti; il sogno, infine, può presentare un tono emotivo indifferente, oppure essere accompagnato dai più forti sentimenti di gioia o di dolore...; non crediate che non teniamo in alcun conto questa infinita varietà del sogno manifesto, ritorneremo più tardi su di essa e vi troveremo moltissime cose utilizzabili per l’interpretazione; ma prescindiamo da essa per il momento e imbocchiamo la via principale, che conduce all’interpretazione del sogno. Ciò significa che invitiamo il sognatore a liberarsi a sua volta dell’impressione del sogno manifesto, a distogliere la sua attenzione dall’insieme, per rivolgerla alle singole parti del contenuto onirico e a comunicarci per ordine ciò che gli viene in mente a proposito di ognuno di questi frammenti, quali associazioni gli si presentano quando li considera uno per uno.
Siamo d’accordo che questa è una tecnica speciale? che non è il modo consueto di trattare una comunicazione o una dichiarazione? Voi indovinate d’altronde che dietro a questo procedimento si nascondono premesse che non sono ancora state formulate. Ma procediamo. In quale successione lasciamo che il paziente si occupi dei frammenti del suo sogno? Qui ci si schiudono molte vie. Possiamo seguire semplicemente l’ordine cronologico, così come è risultato dal racconto del sogno. Questo è, per così dire, il metodo più rigoroso, classico. Oppure possiamo indirizzare il sognatore a cercare nel sogno in primo luogo i residui diurni; l’esperienza ci ha infatti insegnato che quasi in ogni sogno è entrato un residuo mnestico o un’allusione a un avvenimento – spesso a parecchi avvenimenti – del giorno precedente, e se seguiamo questi collegamenti spesso troviamo d’un sol colpo il passaggio da un mondo onirico apparentemente molto remoto alla vita reale del paziente. Oppure gli diciamo di iniziare con quegli elementi del contenuto onirico che lo colpiscono per la loro particolare nitidezza e intensità sensibile; sappiamo infatti che gli sarà particolarmente facile produrre associazioni in relazione a questi elementi. Non fa alcuna differenza il modo in cui ci avviciniamo alle associazioni cercate.73
Dopo di che otteniamo queste associazioni. Esse recano con sé le cose più diverse: ricordi del giorno precedente (il “giorno del sogno”) e di tempi da lungo trascorsi, riflessioni, discussioni con un pro e un contro, ammissioni e richieste. Alcune di esse scaturiscono spontaneamente dal paziente, davanti ad altre egli esita un poco. La maggior parte mostra un chiaro riferimento a un elemento del sogno; nessuna meraviglia, poiché esse hanno origine appunto da questi elementi. Ma avviene anche che il paziente le introduca con le parole: “Mi sembra che ciò non abbia nulla a che fare con il sogno; lo dico perché mi viene in mente.”
Se si ascolta questo profluvio di associazioni, si nota ben presto che hanno in comune con il contenuto onirico qualcosa di più del solo punto di partenza. Gettano una luce sorprendente su tutte le parti del sogno, colmano le lacune tra di esse, ne rendono comprensibili i singolari accostamenti. Alla fine, è lampante per chiunque il rapporto tra le associazioni e il contenuto del sogno. Il sogno appare come un breve compendio delle associazioni, anche se costruito secondo regole non ancora perspicue, e i suoi elementi sono comparabili con i rappresentanti eletti di una massa. Senza alcun dubbio con la nostra tecnica siamo venuti in possesso di qualcosa che è stato sostituito dal sogno e in cui si può rintracciare il valore psichico del sogno, pur non presentando più le strane peculiarità del sogno, la sua bizzarria, la sua confusione.
Ma non fraintendiamo! Le associazioni relative al sogno non sono ancora i pensieri onirici latenti. Questi sono contenuti nelle associazioni come in un’acqua madre, ma non vi sono contenuti interamente. Le associazioni, da una parte, offrono molto di più di quanto ci occorra per la formulazione dei pensieri onirici latenti, vale a dire tutte le argomentazioni, i passaggi, i collegamenti cui l’intelletto del paziente deve far ricorso per avvicinarsi ai pensieri onirici. D’altra parte, spesso l’associazione si è arrestata proprio davanti ai pensieri onirici autentici, li ha solo avvicinati, li ha sfiorati solo allusivamente. In tal caso noi interveniamo di nostra iniziativa, completiamo gli accenni, traiamo conclusioni inconfutabili, enunciamo esplicitamente ciò che il paziente nelle sue associazioni ha solo sfiorato. Può sembrare che noi lasciamo giocare il nostro ingegno e il nostro arbitrio con il materiale che il sognatore ci mette a disposizione e che ne abusiamo allo scopo di leggere nelle sue dichiarazioni ciò che in esse in realtà non è scritto. Non è facile in un’esposizione astratta dimostrare la legittimità del nostro procedimento. Ma fate voi stessi l’analisi anche di un solo sogno o approfondite un esempio ben descritto nella nostra letteratura e vi convincerete fino a che punto un simile lavoro interpretativo segua una via obbligata.
Se nell’interpretazione del sogno dipendiamo in generale e in primo luogo dalle associazioni del sognatore, rispetto a certi elementi del contenuto onirico ci comportiamo invece in modo del tutto indipendente, soprattutto perché vi siamo costretti, perché nel loro caso di regola le associazioni vengono a mancare. Abbiamo ben presto osservato che sono sempre i medesimi contenuti quelli per cui ciò si verifica; essi non sono molto numerosi e l’accumularsi di esperienze ci ha insegnato che devono esser concepiti e interpretati come simboli di qualcos’altro. In confronto agli altri elementi onirici si può attribuire a questi un significato fisso, che però non è necessariamente univoco e il cui ambito viene determinato da regole particolari che ci giungono nuove. Poiché noi sappiamo come tradurre questi simboli e il sognatore no, benché sia stato lui stesso a impiegarli, può succedere che il senso di un sogno ci diventi chiaro immediatamente, prima ancora di ogni tentativo di interpretazione onirica, non appena abbiamo ascoltato il solo testo del sogno, mentre il sognatore stesso si trova ancora dinanzi a un enigma. Tuttavia sul simbolismo, su ciò che di esso sappiamo, sui problemi che ci pone, ho già detto talmente tante cose nelle precedenti lezioni che non ho bisogno di ripetermi oggi.74
Questo è dunque il nostro metodo di interpretazione dei sogni. La successiva domanda, ben giustificata, è: “Con l’aiuto di essa si possono interpretare tutti i sogni?”75 E la risposta è: “No, non tutti, ma tanti, quanto meno, da garantirci l’utilizzabilità e la legittimità del procedimento.” “Ma perché non tutti?” La risposta che daremo ha qualcosa di importante da insegnarci, qualcosa che ci introduce già nelle condizioni psichiche della formazione del sogno: “Perché il lavoro di interpretazione del sogno si imbatte in una resistenza che varia da grandezze insignificanti fino a divenire – almeno per la potenza dei nostri attuali mezzi – insormontabile.” È impossibile, durante il lavoro, ignorare le manifestazioni di questa resistenza. In alcuni punti le associazioni vengono date senza esitazioni e già la prima o la seconda idea che viene in mente al paziente reca la spiegazione. In altri egli incespica e tentenna prima di esporre un’associazione, e poi si deve spesso ascoltare una lunga catena di idee prima di ricavarne qualcosa di utile per la comprensione del sogno. Non vi è dubbio che quanto più lunga e tortuosa è la catena di associazioni, tanto più forte è la resistenza. Anche nella dimenticanza dei sogni avvertiamo lo stesso influsso. Avviene abbastanza spesso che il paziente, nonostante ogni sforzo, non possa più rammentarsi un proprio sogno; tuttavia, dopo che con il lavoro analitico abbiamo eliminato la difficoltà che aveva turbato il paziente nel suo rapporto con l’analisi, il sogno dimenticato si ripresenta improvvisamente. Due altri risultati della nostra osservazione trovano qui il loro posto. Molto spesso capita che di un sogno manchi un pezzo, il quale successivamente viene aggiunto come appendice. Ciò deve essere inteso come un tentativo di dimenticare questo pezzo. L’esperienza mostra che proprio questo pezzo è il più significativo, e noi supponiamo che alla sua comunicazione si sia frapposta una resistenza più forte che per gli altri.76 Inoltre, vediamo spesso che il sognatore pone riparo alla dimenticanza dei suoi sogni fissando per iscritto ciò che ha sognato, immediatamente dopo il risveglio. Tanto vale dirgli che ciò è inutile, poiché la resistenza, cui egli ha strappato la possibilità di conservare il testo onirico, si sposta poi sulle associazioni e rende inaccessibile all’interpretazione il sogno manifesto.77 In queste circostanze non dobbiamo meravigliarci se un ulteriore accrescimento della resistenza reprime del tutto le associazioni rendendo quindi impossibile l’interpretazione del sogno.
Da tutto ciò traiamo la conclusione che la resistenza, che osserviamo durante il lavoro di interpretazione onirica, deve avere una funzione anche nella genesi del sogno. Si può addirittura distinguere tra sogni che sono sorti sotto esigua o sotto elevata pressione della resistenza.78 Questa pressione muta però anche all’interno dello stesso sogno da un punto all’altro; ad essa si devono le lacune, le oscurità e le confusioni che possono interrompere la continuità dei sogni più belli.
Ma che cosa crea la resistenza e a che cosa essa si oppone? Ebbene, la resistenza è per noi l’indizio certo di un conflitto. Deve esserci una forza che vuole esprimere qualcosa e un’altra forza che non vuole che tale espressione sia consentita. Ciò che poi prenderà forma come sogno manifesto condenserà insieme tutti i modi nei quali è stata decisa questa lotta fra le due tendenze. In un punto una delle due forze può essere riuscita a imporre ciò che voleva dire, in altri l’istanza avversaria è riuscita o a cancellare tutta la comunicazione progettata o a sostituirla con qualcosa che non ne rivela più alcuna traccia. Più frequenti e più caratteristici per la formazione del sogno sono i casi nei quali il conflitto è sfociato in un compromesso, così che l’istanza comunicatrice ha potuto dire quello che voleva, ma non come voleva, bensì solo in forma mitigata, deformata e resa irriconoscibile. Se dunque il sogno non riproduce fedelmente i pensieri onirici, se è necessario un lavoro interpretativo per gettare un ponte sull’abisso che li divide, ciò è un effetto dell’istanza contraria, inibente e restrittiva, che abbiamo desunta dalla percezione della resistenza nell’interpretazione del sogno. Nel periodo in cui studiammo il sogno come fenomeno isolato, indipendente da formazioni psichiche ad esso affini, questa istanza ebbe da noi il nome di censore del sogno.79
Voi sapete da molto tempo che questa censura non è un’istituzione peculiare della vita onirica; che il conflitto tra due istanze psichiche – che noi designamo, in modo impreciso, come il “rimosso inconscio” e il “conscio” – domina la nostra vita psichica in generale, e che la resistenza contro l’interpretazione dei sogni, indizio della censura onirica, non è altro che la resistenza della rimozione, la quale mira a tener separate queste due istanze. Sapete anche che dal conflitto tra queste ultime hanno origine, in determinate condizioni, altre strutture psichiche, che, analogamente al sogno, sono il risultato di compromessi, e non pretenderete che ripeta qui dinanzi a voi tutto quello che vi ho già esposto nella mia introduzione alla teoria delle nevrosi a proposito delle nostre conoscenze sulle condizioni di formazione di tali compromessi. Avete compreso che il sogno è un prodotto patologico, il primo membro di una serie che comprende il sintomo isterico, l’ossessione, il delirio,80 contraddistinto però dagli altri per la sua fugacità e perché sorge in circostanze che appartengono alla vita normale. Infatti, teniamo ben presente che la vita onirica è, come ha già detto Aristotele, il modo in cui la nostra psiche lavora durante lo stato di sonno.81 Lo stato di sonno determina un distacco dal mondo esterno reale, distacco che rappresenta la condizione necessaria allo sviluppo di una psicosi. Il più accurato studio di gravi forme psicotiche non ci farà scoprire alcun altro tratto che sia più di questo caratteristico di tale stato morboso. Tuttavia nella psicosi il distacco dalla realtà viene determinato in duplice modo: o perché il rimosso inconscio diviene troppo forte, così da sopraffare il conscio che è legato alla realtà,82 o perché la realtà è diventata così insopportabilmente tormentosa che l’Io minacciato, ribellandosi disperatamente, si getta nelle braccia delle forze pulsionali inconsce. L’innocua psicosi onirica è la conseguenza di un ritiro dal mondo esterno solo temporaneo, coscientemente voluto, e che scompare con la ripresa delle relazioni col mondo. Durante l’isolamento del dormiente si verifica anche un’alterazione nella distribuzione della sua energia psichica: una parte del dispendio per la rimozione, solitamente utilizzata per tenere a freno l’inconscio, può essere risparmiata: infatti, anche se l’inconscio approfitta della sua relativa libertà per agire, trova tuttavia sbarrata la via della motilità e aperta solo quella, inoffensiva, del soddisfacimento allucinatorio. Ora può dunque formarsi un sogno; la presenza della censura onirica mostra però che anche durante il sonno si è conservato quanto basta della resistenza della rimozione.
Qui si apre una strada per rispondere all’interrogativo se il sogno abbia anche una funzione, se sia investito di una mansione utile. Il riposo privo di stimoli, che lo stato di sonno vorrebbe stabilire, viene minacciato da tre parti: in modo più casuale da stimoli esterni durante il sonno e da interessi diurni che non si lasciano interrompere [prime due parti], e in modo inesorabile dalle spinte pulsionali inappagate e rimosse, che aspettano soltanto l’occasione per estrinsecarsi. In conseguenza dell’allentamento notturno delle rimozioni esisterebbe il pericolo che il riposo del sonno sia turbato ogni qual volta una sollecitazione esterna o interna riesca a collegarsi con una delle fonti pulsionali inconsce. Il processo onirico fa sì che il prodotto di una tale cooperazione sfoci in un’innocua esperienza allucinatoria assicurando così il perdurare del sonno. Non contraddice a questa funzione il fatto che di tanto in tanto il sogno svegli il dormiente sviluppando angoscia; questo è piuttosto il segnale che il guardiano ritiene la situazione molto pericolosa e crede di non riuscire più a dominarla. Non di rado allora, ancora addormentati, avvertiamo un influsso acquietante che vuole impedirci il risveglio: “Ma è solo un sogno!”83
Questo, signore e signori, è quanto volevo dirvi sull’interpretazione onirica, il cui compito è di condurre dal sogno manifesto ai pensieri onirici latenti. Raggiunto questo scopo, l’interesse per il sogno, nell’analisi pratica, di solito si estingue. La comunicazione che è stata ricevuta in forma di sogno viene inserita fra le altre e si prosegue nell’analisi. Noi qui abbiamo interesse a soffermarci ancora sul sogno; siamo curiosi di studiare il processo attraverso il quale i pensieri onirici latenti vengono trasformati nel sogno manifesto. È quel che chiamiamo lavoro onirico. Come ricorderete, l’ho descritto così particolareggiatamente nelle precedenti lezioni,84 che nell’odierno giro d’orizzonte posso limitarmi a una sintesi stringatissima.
Il processo del lavoro onirico è dunque qualcosa di assolutamente nuovo e strano, di cui non si conosceva prima l’uguale. Esso ci ha permesso di gettare il primo sguardo nei processi che si svolgono nel sistema inconscio, mostrandoci che questi processi sono totalmente diversi da ciò che noi conosciamo in base al nostro pensiero cosciente, così da dover apparire a quest’ultimo come inauditi ed erronei. L’importanza di questi risultati è stata poi accresciuta dalla scoperta che nella formazione dei sintomi nevrotici operano gli stessi meccanismi – non ci arrischiamo a dire: processi di pensiero – che hanno trasformato i pensieri onirici latenti nel sogno manifesto.
In ciò che segue non potrò evitare un’esposizione di tipo schematico. Supponiamo, in un determinato caso, di poter abbracciare con lo sguardo tutti i pensieri latenti di maggiore o minore carico affettivo, che hanno sostituito il sogno manifesto di cui è stata effettuata l’interpretazione. Ci colpisce allora una differenza tra essi, e questa differenza ci condurrà lontano. Quasi tutti questi pensieri onirici vengono riconosciuti o accettati dal sognatore; egli ammette di aver pensato così, questa o un’altra volta, o che avrebbe potuto pensare così. C’è un unico pensiero che si rifiuta di ammettere, che gli riesce estraneo, forse persino ripugnante; talora lo respinge da sé con appassionata veemenza. A questo punto è chiaro che i primi pensieri sono frammenti di un pensiero cosciente o, per esprimerci più correttamente, preconscio; avrebbero potuto esser pensati anche nella vita vigile e anzi, verosimilmente, si sono formati durante il giorno. L’unico pensiero rinnegato, o, più esattamente, quest’unico impulso, è invece figlio della notte; appartiene all’inconscio del sognatore e viene perciò da lui rinnegato e respinto. Ha dovuto attendere l’allentarsi notturno della rimozione per giungere in qualche modo a esprimersi. Nondimeno, questa espressione è attenuata, deformata, camuffata; senza il lavoro dell’interpretazione onirica non l’avremmo scoperta. Grazie al suo legame con gli altri pensieri onirici irreprensibili, questo impulso inconscio ha avuto l’opportunità di insinuarsi attraverso le barriere della censura in un travestimento che passa inosservato; d’altra parte, proprio in virtù di questa connessione, i pensieri onirici preconsci hanno il potere di occupare la vita psichica anche durante il sonno. Su un punto non c’è alcun dubbio: questo impulso inconscio è il vero creatore del sogno, è il latore dell’energia psichica che serve a formarlo. Come ogni altro moto pulsionale, non può aspirare ad altro che al proprio soddisfacimento e la nostra esperienza nell’interpretare i sogni ci mostra che tale è il senso del sognatore. In ciascun sogno deve essere rappresentato come appagato un desiderio pulsionale. Lo sbarramento notturno per cui la vita psichica è tagliata fuori dalla realtà, e la regressione a meccanismi primitivi resa così possibile, consentono che questo desiderato soddisfacimento pulsionale venga vissuto in forma allucinatoria come attuale. In conseguenza della stessa regressione, le idee vengono trasformate nel sogno in immagini visive, e quindi i pensieri onirici latenti vengono drammatizzati e illustrati.
Da questo pezzo del lavoro onirico otteniamo ragguagli su alcuni dei caratteri più appariscenti e più peculiari del sogno. Ripeto il processo di formazione del sogno. L’introduzione: il desiderio di dormire, il distacco intenzionale dal mondo esterno. Di qui due conseguenze per l’apparato psichico: primo, la possibilità che vi emergano modi di operare più antichi e più primitivi, la regressione; secondo, la diminuzione della resistenza della rimozione che grava sull’inconscio. Discende da quest’ultimo fattore la possibilità della formazione del sogno, che viene sfruttata dalle cause occasionali, dagli stimoli interni ed esterni risvegliatisi. Il sogno, che così ha origine, è già una formazione di compromesso; esso ha una doppia funzione: da una parte è in sintonia con l’Io, per il fatto che, eliminando gli stimoli che turbano il sonno, serve al desiderio di dormire; d’altra parte esso permette a una spinta pulsionale rimossa il soddisfacimento possibile in queste condizioni, sotto forma di un appagamento allucinatorio di desiderio. L’intero processo della formazione del sogno, permesso dall’Io dormiente, sottostà però alla condizione della censura, che viene esercitata da quel tanto di rimozione che si è conservata. Non mi riesce di esporre il processo in modo più semplice: più semplice esso non è. Ma ora posso proseguire nella descrizione del lavoro onirico.
Torniamo, ancora una volta, ai pensieri onirici latenti. Il loro elemento più forte è il moto pulsionale rimosso che in essi si è procurato un’espressione, sia pur mitigata e mascherata, appoggiandosi a stimoli casualmente presenti e trasferendosi sui residui diurni. Come ogni moto pulsionale, anche questo mira al soddisfacimento mediante l’azione, ma la via della motilità gli è preclusa dai meccanismi fisiologici dello stato di sonno; esso è costretto a prendere la direzione regressiva verso la percezione e ad accontentarsi di un soddisfacimento allucinatorio. I pensieri onirici latenti vengono quindi trasformati in una somma di immagini sensoriali e di scene visive. Lungo questo cammino avviene in essi ciò che ci appare tanto nuovo e sorprendente. Tutti i mezzi linguistici con i quali vengono espresse le relazioni di pensiero più sottili – le congiunzioni e le preposizioni, i modi della declinazione e della coniugazione – vengono meno, mancando per essi i mezzi di raffigurazione; come in un linguaggio primitivo privo di grammatica, solo il materiale grezzo del pensiero viene espresso, quello astratto viene ricondotto al concreto che ne costituisce il fondamento. Ciò che rimane può facilmente apparire sconnesso. Il fatto che per rappresentare certi oggetti e processi vengano impiegati in ampia misura simboli estranei al pensiero cosciente corrisponde sia alla regressione arcaica all’interno dell’apparato psichico, sia alle esigenze della censura.
Ma altre modificazioni apportate ai singoli elementi dei pensieri onirici si spingono ancora più in là. Quelli che lasciano scoprire un qualsiasi punto di contatto tra loro vengono condensati in nuove unità. Nella trasposizione dei pensieri in immagini, vengono inequivocabilmente preferiti quelli che consentono siffatta fusione o condensazione; è come se agisse una forza che sottopone il materiale a una pressione, a una concentrazione. A causa della condensazione, un elemento del sogno manifesto può quindi corrispondere a numerosi elementi dei pensieri onirici latenti; e, viceversa, un elemento dei pensieri onirici può essere rappresentato nel sogno da più immagini.
Ancora più degno di nota è l’altro processo dello spostamento o dislocazione dell’accento, che al pensiero cosciente è noto soltanto come errore mentale o come espediente umoristico. Le singole rappresentazioni di pensieri onirici non sono infatti equivalenti: sono investite da importi d’affetto di grandezza diversa e, conseguentemente, sono giudicate più o meno importanti, più o meno degne di interesse. Nel lavoro onirico queste rappresentazioni vengono separate dagli affetti ad esse inerenti; gli affetti vengono risolti indipendentemente, possono essere spostati su qualcos’altro, essere conservati, subire trasformazioni, non apparire affatto nel sogno. L’importanza delle rappresentazioni spogliate dell’affetto ritorna nel sogno come forza sensoriale delle immagini oniriche, ma noi notiamo che questo accento è passato da elementi importanti a elementi indifferenti, così che nel sogno sembra messo in primo piano come cosa principale ciò che nei pensieri onirici aveva solo una parte secondaria, e, viceversa, l’essenziale dei pensieri onirici trova nel sogno solo una descrizione incidentale e poco chiara. Nessun’altra parte del lavoro onirico contribuisce in pari misura a rendere il sogno bizzarro e incomprensibile al sognatore. Lo spostamento è il mezzo principale della deformazione onirica che i pensieri onirici sono costretti a subire per l’influsso della censura.
Dopo che ha esplicato questi effetti sui pensieri onirici, il sogno è quasi ultimato. Vi si aggiunge ancora, quando ormai si è affacciato alla coscienza come oggetto di percezione, un fattore relativamente incostante, la cosiddetta elaborazione secondaria. Da quel momento trattiamo il sogno come siamo abituati a trattare in genere i nostri contenuti percettivi: cerchiamo di colmare lacune, di inserire connessioni, rendendoci così abbastanza spesso responsabili di madornali fraintendimenti. Ma quest’attività, per così dire razionalizzante, che nel migliore dei casi conferisce al sogno una facciata ben levigata, che non corrisponde al suo reale contenuto, può anche venire tralasciata o manifestarsi soltanto in misura molto modesta, nel qual caso il sogno fa apertamente mostra di tutte le sue lacerazioni e le sue crepe. D’altro canto non si deve dimenticare che nemmeno il lavoro onirico procede sempre con uguale energia; abbastanza spesso opera solo su certe parti dei pensieri onirici, mentre altre possono presentarsi nel sogno immutate. Si ha allora l’impressione che nel sogno siano state effettuate le più sottili e complicate operazioni intellettuali, si sia speculato, scherzato, si siano prese decisioni, risolti problemi, mentre invece tutto ciò è il risultato della nostra attività psichica normale, può essere accaduto tanto il giorno precedente al sogno quanto durante la notte, non ha nulla a che fare con il lavoro onirico e non porta alla luce nulla di peculiare al sogno. Non è nemmeno superfluo sottolineare ancora una volta il contrasto che esiste, nell’ambito dei pensieri onirici stessi, tra il moto pulsionale inconscio e i residui diurni. Mentre questi ultimi recano testimonianza di tutta la multiforme varietà dei nostri atti psichici, il moto pulsionale, che diventa il motore vero e proprio della formazione del sogno, sfocia regolarmente in un appagamento di desiderio.
Tutto questo avrei potuto dirvelo già quindici anni fa, anzi credo di avervelo effettivamente detto allora. Facciamo ora una rassegna delle modifiche e delle nuove scoperte che nel frattempo possono essersi aggiunte. Come vi ho già detto, temo che troverete che le novità sono scarse e non comprenderete perché abbia imposto a voi di ascoltare due volte le stesse cose, e a me di dirle. Ma sono passati quindici anni, e spero in questo modo di ristabilire più facilmente il contatto con voi. Inoltre sono cose tanto elementari, di tanta fondamentale importanza per la comprensione della psicoanalisi, che si può ascoltarle volentieri una seconda volta, ed è di per se stesso un fatto degno di essere risaputo che a distanza di quindici anni esse sono rimaste a tal punto le stesse.
Nella letteratura di questo periodo trovate, naturalmente, un gran numero di conferme e di arricchimenti di dettaglio, di cui intendo darvi soltanto alcuni saggi (nello stesso tempo posso anche riprendere alcune cose già note in precedenza). Si riferiscono perlopiù al simbolismo onirico e agli altri metodi di raffigurazione propria del sogno. Ora ascoltate questo: molto di recente i medici di una università americana si sono rifiutati di riconoscere alla psicoanalisi il carattere di scienza, con la motivazione che essa non è suscettibile di alcuna verifica sperimentale. Avrebbero potuto sollevare la stessa obiezione anche contro l’astronomia; essendo la sperimentazione sui corpi celesti particolarmente difficile, non rimane altra risorsa che l’osservazione. Tuttavia, proprio alcuni ricercatori viennesi hanno cominciato a convalidare sperimentalmente il nostro simbolismo onirico. Un certo dottor Schrötter ha trovato già nel 1912 che se a persone profondamente ipnotizzate si impartisce il compito di sognare una vicenda sessuale, nel sogno così provocato il materiale sessuale appare sostituito dai simboli a noi noti.85 Per esempio: si ordina a una donna di sognare di compiere atti sessuali con un’amica. Nel suo sogno questa amica appare con una borsa da viaggio su cui è incollata l’etichetta “Solo per signore”. Ancora più suggestivi sono gli esperimenti di Betlheim e Hartmann, che lavoravano su ammalati affetti dalla cosiddetta psicosi confusionale di Korsakoff.86 Essi raccontavano ai pazienti delle storie a contenuto grossolanamente sessuale e, richiestili di riprodurre il racconto, fermavano l’attenzione sulle deformazioni che ne risultavano. Tornavano qui alla luce i ben noti simboli degli organi e del rapporto sessuale, tra l’altro il simbolo della scala, di cui gli autori giustamente dicono che non sarebbe mai stato concepito per un desiderio cosciente di deformazione.87
In una serie molto interessante di esperimenti, Herbert Silberer ha dimostrato che si può sorprendere il lavoro onirico, per così dire in flagrante, nell’atto in cui trasforma pensieri astratti in immagini visive.88 Se, in stato di affaticamento o di sonnolenza voleva costringere se stesso a un lavoro mentale, spesso il suo pensiero si dileguava e al suo posto subentrava una visione che ne era palesemente il sostituto.
Eccone un semplice esempio: “Sto pensando – dice Silberer – di dover correggere un passaggio zoppicante di un mio scritto.” Visione: “Mi vedo piallare un pezzo di legno.” Spesso, durante questi esperimenti, accadeva che il contenuto della visione fosse non il pensiero in attesa di elaborazione, bensì il suo stesso stato soggettivo durante questo tentativo, lo stato invece dell’oggetto; il che Silberer ha definito “fenomeno funzionale”. Un esempio vi mostrerà subito che cosa si intenda con ciò. L’autore si sforza di mettere a confronto le opinioni di due filosofi riguardo a un certo problema. Nella sua sonnolenza una di esse continua però a sfuggirgli e alla fine egli ha la visione di chiedere un’informazione a un segretario scorbutico il quale, chino sulla scrivania, dapprima non gli fa caso e poi lo osserva sdegnato e scostante. È probabile che le condizioni stesse dell’esperimento spieghino perché la visione in tal modo ottenuta illustri così frequentemente un frutto dell’autoosservazione.89
Fermiamoci ancora ai simboli. Ve ne sono alcuni che crediamo di aver riconosciuto, e nei quali tuttavia ci disturbava di non poter indicare in che modo proprio quel simbolo fosse assurto a quel significato. In tali casi non potevano non esserci particolarmente gradite conferme da altre fonti, dalla linguistica, dal folklore, dalla mitologia e dal rituale. Un esempio di questo genere è il simbolo del mantello. Avevamo detto che nel sogno di una donna il mantello significa un uomo.90 Spero ora che vi faccia una certa impressione sentire che Theodor Reik ci riferisce:91 “Nell’antichissimo cerimoniale di fidanzamento dei beduini, il promesso sposo copre la fidanzata con uno speciale mantello chiamato aba e pronuncia le parole rituali: ‘Nessuno d’ora in avanti ti coprirà tranne me.’” Abbiamo scoperto anche parecchi nuovi simboli, di cui voglio riferirvi almeno due esempi. Secondo Abraham, il ragno è nel sogno un simbolo della madre, ma della madre fallica, che si teme, così che la paura del ragno esprime il terrore per l’incesto con la madre e l’orrore per il genitale femminile.92 Forse sapete che una creazione della mitologia, la testa di Medusa, è da ricondursi allo stesso motivo del terrore dell’evirazione.93 L’altro simbolo di cui voglio parlarvi è quello del ponte, che è stato spiegato da Ferenczi.94 Originariamente esso significa il membro virile, che congiunge tra loro la coppia dei genitori nell’atto sessuale, ma in seguito da quel primo significato ne derivano altri. Dal momento che si deve al membro virile se si può venire al mondo uscendo dal liquido amniotico, il ponte diventa il passaggio dall’aldilà (dal non essere ancora nati, dal grembo materno) all’aldiqua (alla vita); e, poiché l’uomo si rappresenta anche la morte come ritorno nel grembo materno (nell’acqua), il ponte assume anche il significato di trapasso nella morte; infine, allontanandosi ulteriormente dal suo senso iniziale, il ponte designa passaggio, mutamento di stato in genere. Con ciò concorda il fatto che la donna, che non ha superato il desiderio di essere un uomo, sogna tanto spesso di ponti troppo corti per raggiungere l’altra sponda.
Nel contenuto manifesto dei sogni compaiono molto spesso immagini e situazioni che ricordano noti motivi tratti da fiabe, miti e leggende. L’interpretazione di tali sogni getta allora luce sugli interessi originari che hanno creato questi motivi, ma non dobbiamo naturalmente dimenticare il mutamento di significato che nel corso dei tempi questo materiale ha subito. Il nostro lavoro interpretativo scopre, per così dire, la materia grezza, che abbastanza spesso dev’esser chiamata sessuale nel senso più lato, ma che in successive elaborazioni è stata impiegata nei modi più disparati. Tali derivazioni provocano, di norma, l’ira di tutti gli studiosi di indirizzo non analitico, quasi che noi volessimo rinnegare o tenere in poco conto tutto ciò che in successivi sviluppi è stato costruito sopra lo spunto originario. Ciò nonostante tali scoperte sono istruttive e interessanti. Lo stesso vale per l’origine di certi motivi dell’arte figurativa, ad esempio quando M. J. Eisler, seguendo l’indicazione di sogni dei suoi pazienti, interpreta analiticamente l’adolescente che gioca con un bambino, rappresentato nell’Ermete di Prassitele.95 Per finire, non posso impedirmi di menzionare la frequenza con la quale proprio i temi mitologici trovano spiegazione mediante l’interpretazione onirica. Così, ad esempio, nella leggenda del Labirinto può essere ravvisata la rappresentazione di una nascita anale: i corridoi aggrovigliati sono l’intestino, il filo di Arianna il cordone ombelicale.
I modi di raffigurazione propri del lavoro onirico, tema affascinante e pressoché inesauribile, ci sono diventati sempre più familiari approfondendo gli studi; anche di ciò voglio darvi alcuni saggi. Il sogno, ad esempio, presenta la relazione di frequenza mediante la moltiplicazione di cose identiche. Ascoltate questo strano sogno di una giovanetta: essa entra in un salone e vi trova, ripetuta sei, otto e più volte, una persona seduta su una sedia, la quale però è sempre suo padre. Questo si comprende facilmente quando dalle circostanze accessorie dell’intepretazione si apprende che questa stanza rappresenta il grembo materno. Il sogno diventa allora l’equivalente della ben nota fantasia della fanciulla che pretende di essersi incontrata col padre già nella vita intrauterina, quando costui faceva visita al corpo della madre durante la gravidanza. Il fatto che nel sogno qualcosa sia invertito, che l’entrare sia spostato, e anziché al padre sia riferito alla propria persona, non deve trarvi in errore: fra l’altro ha anche un particolare significato. La moltiplicazione della persona del padre non può che esprimere il fatto che l’evento in questione si è verificato più e più volte. In realtà dobbiamo convenire che il sogno non si prende una grande libertà quando esprime la frequenza con la molteplicità: si limita a ritornare al significato originario della parola, la quale designa oggi per noi una ripetizione nel tempo, ma è derivata da un ammassamento nello spazio.96 In genere il lavoro onirico traspone, dove è possibile, i rapporti temporali in rapporti spaziali e li presenta come tali. Per esempio, nel sogno si vede una scena tra persone che appaiono molto piccole e molto lontane, come se le si osservasse attraverso l’estremità capovolta di un binocolo. La piccolezza, come la lontananza nello spazio, significano qui la stessa cosa: ciò che si intende è la lontananza nel tempo, si deve comprendere che si tratta di una scena che appartiene a un passato molto remoto.
Inoltre, ricorderete forse che già nelle precedenti lezioni vi ho detto (illustrandovelo con esempi) che abbiamo imparato a utilizzare per l’interpretazione anche aspetti puramente formali del sogno manifesto, trasformandoli in contenuto proveniente dai pensieri onirici latenti.97 Ora, voi sapete certo che tutti i sogni di una notte appartengono al medesimo contesto. Tuttavia, non è affatto indifferente se questi sogni appaiono al sognatore come un continuo oppure se sono articolati in più parti, e in quante. Il numero di queste parti corrisponde spesso ad altrettanti fulcri distinti della formazione ideativa nei pensieri onirici latenti, o a correnti in lotta tra loro nella vita psichica del sognatore, ognuna delle quali trova la sua espressione predominante, seppure mai esclusiva, in un particolare frammento onirico. Un breve sogno preliminare e un lungo sogno principale sono spesso tra loro nel rapporto di premessa e seguito con conclusione: di ciò potete trovare un esempio molto chiaro nelle lezioni precedenti.98 Un sogno che il soggetto reputa una specie di interpolazione corrisponde in realtà a una proposizione secondaria nei pensieri onirici. Franz Alexander ha dimostrato in uno studio su coppie di sogni che non di rado due sogni di una notte si dividono l’espletamento del compito onirico in modo che, presi insieme, danno come risultato un appagamento di desiderio in due tappe, ciò che ciascun sogno da solo non riuscirebbe a fare.99 Se ad esempio il desiderio onirico ha per contenuto un’azione illecita nei riguardi di una determinata persona, questa persona appare scopertamente nel primo sogno, mentre l’azione viene accennata solo timidamente. Il secondo sogno rovescia quindi la situazione: l’azione viene nominata scopertamente, ma la persona o viene resa irriconoscibile o viene sostituita con un’altra persona indifferente. Ciò dà veramente un’impressione di astuzia. Una seconda e analoga relazione tra le due parti di una coppia di sogni è che una raffigura la punizione, l’altra l’appagamento del desiderio colpevole. Dunque, quasi a dire: purché ci si addossi il relativo castigo, ci si può permettere la cosa proibita.
Non posso trattenermi a lungo su simili scoperte minori, e nemmeno sulle questioni che si riferiscono all’impiego dell’interpretazione onirica nel lavoro analitico. Piuttosto, sarete impazienti di ascoltare quali mutamenti si siano verificati nelle concezioni fondamentali sulla natura e sul significato del sogno. Vi ho già avvertito che a questo proposito ho poco da riferire. Il punto più controverso dell’intera teoria era senza dubbio l’affermazione che tutti i sogni sono appagamenti di desiderio. L’inevitabile e sempre ricorrente obiezione dei profani, che pure vi sono tanti sogni d’angoscia, è stata da noi già smantellata, si può dire completamente, nelle precedenti lezioni.100 Con la suddivisione dei sogni in sogni di desiderio, d’angoscia e di punizione abbiamo tenuto in piedi la nostra teoria.
Anche i sogni di punizione sono appagamenti di desideri, desideri invero non dei moti pulsionali ma dell’istanza critica, censoria e punitrice della vita psichica. Quando ci troviamo di fronte un puro sogno di punizione, una facile operazione mentale ci permette di ripristinare il sogno di desiderio cui il sogno di punizione si oppone; è proprio a causa di questo rifiuto che esso si presenta come sogno manifesto al posto dell’altro.
Voi sapete, signore e signori, che lo studio del sogno ci ha aiutato per primo a comprendere le nevrosi. Troverete anche comprensibile che la nostra conoscenza delle nevrosi abbia potuto in seguito influenzare la nostra concezione del sogno. Come apprenderete,101 ci siamo visti costretti a supporre nella vita psichica una speciale istanza che critica e proibisce, che chiamiamo il Super-io. L’aver poi riconosciuto che anche la censura onirica è opera di questa istanza, ci ha spinto a considerare più attentamente la parte che svolge il Super-io nella formazione del sogno.
Contro la teoria del sogno come appagamento di desiderio sono emerse soltanto due difficoltà serie, la cui discussione ci ha portato molto lontano senza aver trovato, invero, una soluzione pienamente soddisfacente.
La prima è data dal fatto che coloro i quali hanno subito uno shock, un grave trauma psichico – com’è accaduto spessissimo in tempo di guerra, e come si riscontra alla base delle isterie traumatiche –, vengono dal sogno regolarmente ricondotti nella situazione traumatica. Secondo le nostre ipotesi sulla funzione del sogno, ciò non dovrebbe succedere. Esiste un impulso di desiderio che potrebbe venire soddisfatto da questo ritorno all’esperienza traumatica, che fu estremamente penosa? È difficile dirlo.
Il secondo fatto lo incontriamo quasi quotidianamente nel lavoro analitico e non implica un’obiezione così rilevante come l’altro. Uno dei compiti della psicoanalisi è, come sapete, sollevare il velo dell’amnesia che avvolge i primi anni dell’infanzia e portare al ricordo cosciente le manifestazioni della vita sessuale infantile in essi contenute. Ora, queste prime esperienze sessuali del bambino sono congiunte a impressioni dolorose di angoscia, divieto, delusione e castigo; si comprende che siano state rimosse, ma non si comprende perché abbiano un così vasto accesso alla vita onirica, perché costituiscano i modelli di tante fantasie oniriche, perché i sogni esibiscano tante riproduzioni di queste scene infantili e tante allusioni ad esse. Il loro carattere spiacevole e la tendenza del lavoro onirico all’appagamento di desiderio sembrano mal conciliarsi tra loro. Ma forse in questo caso facciamo la difficoltà troppo grande. Dopotutto, a queste esperienze dell’infanzia sono connessi tutti gli imperituri e inappagati desideri pulsionali che, durante l’intera vita, forniscono l’energia per la formazione dei sogni, desideri ai quali si può ben accordare la facoltà di portare alla superficie, coinvolto nella loro spinta possente, anche il materiale sentito come penoso. E, d’altra parte, nella forma e nel modo in cui questo materiale viene riprodotto, è inconfondibile lo sforzo del lavoro onirico che si serve della deformazione per rinnegare il dispiacere e trasformare la delusione in esaudimento.
Nelle nevrosi traumatiche la situazione è diversa: qui i sogni sfociano regolarmente in uno sviluppo d’angoscia. Nulla di male, penso, ad ammettere che in questo caso la funzione del sogno viene meno. Non voglio appellarmi al detto che l’eccezione conferma la regola: la sua saggezza mi sembra quanto mai dubbia. Ma è certo che l’eccezione non abolisce la regola. Se dall’intero congegno psichico si isola a scopo di studio una singola prestazione com’è quella del sognare, si rende possibile scoprire le leggi che ad essa sono proprie; quando la si reinserisce nella compagine, si deve essere preparati a scoprire che questi risultati vengono oscurati e pregiudicati dall’impatto con altre forze. Noi diciamo che il sogno è un appagamento di desiderio: se volete tener conto delle ultime obiezioni, dite pure che il sogno è un tentativo di appagamento di desiderio. Chiunque sia in grado di penetrare nel dinamismo psichico non ci vedrà alcuna differenza. In certi casi il sogno può imporre la sua intenzione solo in modo molto incompleto o deve rinunciarvi del tutto; la fissazione inconscia a un trauma sembra essere il primo fra questi impedimenti della funzione onirica. Mentre il dormiente non può non sognare, perché l’allentamento notturno della rimozione permette alla spinta emergente della fissazione traumatica di divenire attiva, qualcosa non funziona nel suo lavoro onirico, che vorrebbe trasformare in appagamento di desiderio le tracce mnestiche dell’evento traumatico. In queste circostanze può sopravvenire l’insonnia, si rinuncia al sonno per paura del fallimento completo della funzione onirica. La nevrosi traumatica ci mostra qui un caso estremo, ma non si deve escludere che anche le esperienze dell’infanzia possano avere carattere traumatico, e non c’è bisogno di meravigliarsi se anche in altre condizioni si manifestano disturbi, sia pure più lievi, della funzione del sogno.102