Osservazione di un caso grave di emianestesia
in un paziente isterico
Signori, quando il 15 ottobre del corrente anno ebbi l’onore di richiamare la vostra attenzione su di un breve resoconto dei recenti studi di Charcot nel campo dell’isteria maschile, fui incitato dal mio venerato maestro, il consigliere aulico professor Meynert, a presentare alla Società alcuni di questi casi, in cui fossero riscontrabili in forma evidente i contrassegni somatici dell’isteria, cioè quelle “stigmate isteriche” che per Charcot caratterizzano tale nevrosi. Oggi io assecondo la vostra richiesta, seppur nella misura insufficiente in cui me lo permette il materiale clinico di cui dispongo, mostrandovi un uomo isterico che presenta il sintomo dell’emianestesia più o meno al massimo grado. Prima di cominciare la mia dimostrazione, vorrei solo osservare che io non penso affatto di mostrarvi un caso raro o eccezionale. Anzi, lo considero un caso assai comune e frequente, anche se abbastanza spesso può passare inosservato.
Per questo caso devo ringraziare il collega von Beregszászy, che ebbe la cortesia di inviarmelo per avere conferma della sua diagnosi. Vi trovate di fronte al ventinovenne August P., di professione incisore, una persona intelligente che, nella speranza di una pronta guarigione, ha senz’altro accettato di farsi esaminare da me.
Permettetemi innanzitutto di comunicarvi la sua storia familiare e personale. Il padre del paziente morì a 48 anni, della malattia di Bright; era un cantiniere, bevitore accanito, dal carattere iracondo. La madre morì di tubercolosi, all’età di 46 anni; pare che in precedenza avesse sofferto molto di cefalee; il paziente non è in grado di dire nulla su eventuali accessi convulsivi o simili. Dalla coppia nacquero sei figli, il primo dei quali condusse vita irregolare e morì in seguito a un’affezione luetica cerebrale. Il secondo figlio riveste per noi un interesse particolare; egli è implicato nella etiologia della malattia del fratello, e sembra essere anch’egli un isterico. Aveva infatti raccontato al nostro paziente di aver sofferto di accessi convulsivi; ma una coincidenza singolare ha fatto sì che io incontrassi proprio oggi un collega di Berlino che ivi ha curato il fratello del mio paziente durante una sua malattia, diagnosticandolo come isterico, diagnosi confermata poi anche in un ospedale berlinese. Il terzo fratello disertò dall’esercito, e da allora è scomparso; il quarto e il quinto morirono in tenera età, e il sesto è il paziente di cui ci stiamo occupando.
Il nostro paziente ebbe uno sviluppo normale durante l’infanzia, non soffrì mai di convulsioni, e superò le normali malattie infantili. A otto anni ebbe la sfortuna di subire un incidente stradale, che gli provocò la rottura del timpano destro, lasciandogli poi disturbi auditivi cronici all’orecchio destro; cadde allora in preda a una malattia di parecchi mesi, durante la quale subì frequenti accessi spasmodici, di cui oggi non è possibile stabilire la natura. Gli accessi continuarono per circa due anni. A questo incidente risalgono una lieve inibizione intellettuale che il paziente afferma di aver riscontrato nei suoi progressi scolastici, e una certa tendenza alle vertigini ogni volta che si sentisse male per un qualche motivo. Più tardi egli terminò la scuola elementare e, dopo la morte dei genitori, fu assunto come apprendista da un incisore; testimonia a favore del suo carattere il fatto che egli rimase per dieci anni presso lo stesso principale. Egli si descrive come una persona esclusivamente rivolta a perfezionarsi nella sua arte, dice che a questo fine aveva letto molto e molto disegnato, rinunciando a ogni rapporto umano e a ogni divertimento. Era costretto a riflettere molto su di sé e sulle proprie ambizioni, e così facendo cadeva spesso in uno stato di eccitata fuga d’idee, che lo faceva preoccupare per la propria salute mentale; aveva il sonno spesso disturbato, e la digestione rallentata dalla vita sedentaria. Da nove anni soffriva di palpitazioni, ma per il resto era in buone condizioni di salute e non aveva mai dovuto interrompere il lavoro.
La sua attuale malattia risale a circa tre anni fa. Allora aveva avuto una lite con il fratello scapestrato, che si era rifiutato di restituirgli una somma prestatagli; il fratello aveva poi minacciato di ucciderlo, scagliandoglisi contro con un coltello. Questo fatto gettò il paziente in uno stato di indescrivibile angoscia; sentì un sibilo nella testa, come se gli dovesse scoppiare; si precipitò a casa e poi, senza poter dire come vi fosse giunto, cadde privo di sensi di fronte alla sua porta. Fu riferito poi che per due ore egli era rimasto in preda a violente scosse, parlando nel frattempo della scenata avvenuta col fratello. Al risveglio si sentì spossato, e per sei settimane soffrì di violente cefalee e senso di pressione intracranica alla parte sinistra. Gli parve di avere una sensibilità mutata nella parte sinistra del corpo, e gli occhi gli si stancavano facilmente sul lavoro, da lui ben presto ripreso. Le sue condizioni rimasero stazionarie, pur con qualche oscillazione, per circa tre anni, finché, sette settimane fa, ci fu un peggioramento provocato da una nuova agitazione. Il paziente era stato accusato di furto da una donna: fu preso da violente palpitazioni, e per quattordici giorni fu talmente depresso da pensare al suicidio; al tempo stesso, fu colto da un tremore abbastanza intenso alle estremità sinistre. Sentiva la parte destra del suo corpo come se avesse subito un lieve colpo; gli occhi gli si indebolirono molto, e a volte vedeva tutto grigio; aveva il sonno disturbato da apparizioni terribili e da sogni in cui gli sembrava di cadere da una grande altezza; comparvero dolori alla parte sinistra della gola, dell’inguine, nella regione sacrale e in altre parti; gli sembrava spesso di avere lo “stomaco gonfio” e si trovò costretto a interrompere il lavoro. Una settimana fa insorse un nuovo peggioramento di tutti questi sintomi. Inoltre il paziente, quando cammina a lungo, soffre di gravi dolori al ginocchio e alla pianta del piede sinistro, ha una particolare sensazione alla gola, come se avesse la lingua inchiodata, sente spesso cantare nelle orecchie e altre cose simili. La sua memoria è sminuita per quel che riguarda le esperienze subite durante la malattia, ma è buona per gli avvenimenti precedenti. Nel corso di tre anni gli accessi convulsivi si ripeterono fra le sette e le nove volte, ma per lo più furono assai leggeri; un solo accesso, avvenuto di notte nello scorso agosto, fu accompagnato da “scosse” piuttosto intense.
E ora osserviamo il paziente, un uomo dal colorito piuttosto pallido e dalla corporatura media. L’esame dei suoi organi interni non ha rivelato alcun elemento patologico, a parte i toni cardiaci cupi. Se premo sul punto di emergenza del nervo sopraorbitale, infraorbitale e mentoniero sinistro, il paziente volge la testa con l’espressione di grave sofferenza. Possiamo dunque supporre un’alterazione nevralgica al trigemino sinistro. Anche la volta cranica è assai sensibile alla percussione nella parte sinistra. Ma la pelle della parte sinistra della testa si comporta in modo del tutto diverso da quanto ci potremmo aspettare: è totalmente insensibile agli stimoli di qualunque genere; posso pungerlo, pizzicarlo, schiacciare fra le dita il lobo dell’orecchio senza che il paziente non si accorga neppure di essere toccato. Ci troviamo dunque di fronte a un’anestesia molto pronunciata, che però non coinvolge soltanto la pelle, bensì anche le mucose, come vi mostrerò nel caso delle labbra e della lingua. Se s’introduce un pezzetto di carta arrotolata nel meato uditivo esterno sinistro e poi nella narice sinistra, ciò non produce alcuna reazione nel paziente. Ora ripeto l’esperimento dalla parte destra, rilevando che qui la sensibilità del paziente è normale. Corrispondentemente all’anestesia, anche i riflessi sensori sono assenti o attutiti: posso quindi introdurre il dito e toccare le pareti della faringe dalla parte sinistra senza provocare una reazione di soffocamento. Ma i riflessi faringei sono attutiti anche a destra: solo se tocco l’epiglottide dalla parte destra compare una reazione. Toccando la congiuntiva palpebrale e il bulbo oculare, le palpebre quasi non si chiudono; invece il riflesso corneale sussiste, ma in misura assai ridotta. Fra l’altro, i riflessi della congiuntiva e corneali dalla parte destra sono anch’essi ridotti, anche se in misura minore, e già da questo comportamento dei riflessi posso dedurre che i disturbi della vista non debbono necessariamente essere limitati a una parte (quella sinistra). In effetti, quando lo visitai per la prima volta, il paziente presentava a entrambi gli occhi la caratteristica poliopia monoculare degli isterici, e disturbi della sensibilità cromatica: con l’occhio destro riconosceva tutti i colori, eccetto il violetto, che egli definiva grigio, mentre con l’occhio sinistro riconosceva solo il rosso chiaro e il giallo, prendendo tutti gli altri colori per il grigio, se chiari, per il nero se scuri. Il dottor Königstein fu così cortese da sottoporre a un esame minuzioso gli occhi del paziente, e riferirà poi egli stesso sull’esito della sua visita. Per quanto riguarda gli altri organi di senso, sia l’olfatto che il gusto sono quasi assenti nella parte sinistra. Solo l’udito è stato risparmiato dalla emianestesia cerebrale. Ricorderete che l’orecchio destro era stato notevolmente danneggiato da un incidente accaduto al paziente all’età di otto anni; il suo orecchio sinistro è quello che funziona meglio; la diminuzione dell’udito che si riscontra in esso è sufficientemente spiegata, secondo la cortese comunicazione del professor Gruber, da una lesione organica riscontrabile alla membrana timpanica.
Se procediamo ora a un esame del tronco e delle estremità, riscontriamo anche qui una totale anestesia, soprattutto al braccio sinistro. Come vedete, posso inserire un ago appuntito in una piega cutanea senza suscitare alcuna reazione nel paziente. Anche le parti profonde, i muscoli, le articolazioni, devono parimenti essere notevolmente insensibili, poiché posso torcere l’articolazione del polso, stirare le giunture, senza provocare alcuna sensazione nel paziente. Concorda con questa anestesia delle parti profonde il fatto che il paziente, a occhi bendati, non ha alcuna idea della posizione del suo braccio sinistro nello spazio, né di eventuali movimenti che io gli faccio fare. Io gli bendo gli occhi e poi gli chiedo che cosa ho fatto con la sua mano sinistra: egli non lo sa. Gli chiedo di afferrare con la mano destra il pollice, il gomito, la spalla sinistri: egli la fa brancolare in aria, prende magari per sua la mano che gli offro, e ammette infine di non sapere di chi sia la mano che ha afferrato.
Sarà certo particolarmente interessante stabilire se il paziente sia in grado di trovare le parti della metà sinistra del suo viso. Si sarebbe indotti a pensare che ciò non provochi in lui alcuna difficoltà, poiché la metà sinistra della faccia è per così dire saldamente connessa alla parte destra, che ha la sensibilità intatta: ma l’esperienza ci dimostra il contrario. Il paziente manca il proprio occhio sinistro, il lobo dell’orecchio e via dicendo: sembra invero che tastando con la mano destra le parti anestetiche della sua faccia egli si orienti meno bene che se toccasse il corpo di un’altra persona. E non si può attribuirne la causa a un disturbo della mano destra, di cui egli si serve per toccarsi, perché potete vedere con quale rapidità e sicurezza egli si orienta, quando lo invito a toccare punti della metà destra della faccia.
La medesima anestesia si riscontra nel tronco e nella gamba sinistri, dove rileviamo che l’insensibilità è limitata dalla linea mediana, o si estende un poco al di là di essa.
Mi sembra di particolare interesse l’analisi dei disturbi del movimento, che si riscontrano negli arti anestetici del paziente. Io ritengo che tali disturbi vadano ascritti unicamente all’anestesia. Certamente non si tratta di una paralisi, per esempio del braccio sinistro: un braccio paralizzato o cade flosciamente o si mantiene rigidamente in posizioni forzate mediante contrazioni. Qui le cose vanno diversamente: se bendo gli occhi al paziente, il suo braccio sinistro mantiene la posizione che aveva prima. I disturbi del movimento sono mutevoli e dipendono da varie circostanze. In un primo momento, quelli di voi che hanno osservato come il paziente si sia spogliato con entrambe le mani, come si sia tappata la narice sinistra con le dita della mano sinistra, non avranno avuto l’impressione che sussistano gravi disturbi del movimento. A un’osservazione più attenta, si riscontrerà che il braccio sinistro, e in particolare le dita, si muovono un po’ più lentamente e con meno precisione, come se avessero una certa rigidità, e con un lieve tremito. Ma il paziente è in grado di compiere qualsiasi movimento, anche quello più complicato, e così avviene sempre, se si distoglie la sua attenzione dagli organi del movimento, indirizzandola solo sulla meta del movimento stesso. Il risultato è del tutto diverso se gli chiedo di compiere con il braccio sinistro singoli movimenti fine a sé stessi, come per esempio di piegare il braccio all’articolazione del gomito, seguendo il movimento con gli occhi. In questi casi il braccio sinistro appare molto più inibito, il movimento è eseguito con grande lentezza, in modo incompiuto, in stadi separati, come se ci fosse una grande resistenza da superare, ed è accompagnato da un tremito assai pronunciato. In tali condizioni i movimenti delle dita sono estremamente deboli. Infine, un terzo e più grave tipo di disturbi del movimento compare quando egli deve compiere determinati movimenti ad occhi chiusi. L’arto totalmente anestetico riesce, è vero, a fare qualcosa, perché, come vedete, l’innervazione motoria è indipendente da ogni informazione sensoriale che di solito affluisce da un arto che si debba muovere; ma il movimento è minimo, non è rivolto a un segmento particolare, né il malato ne può determinare la direzione. Non crediate però che questo tipo di disturbo motorio sia una necessaria conseguenza dell’anestesia; proprio in questo campo si riscontrano ampie differenze individuali. Alla Salpêtrière abbiamo osservato pazienti anestetici che a occhi chiusi possedevano un controllo molto più ampio su un arto di cui avevano perso coscienza.23
Anche alla gamba sinistra si verifica lo stesso effetto diverso se si distoglie l’attenzione del paziente o se lo si invita a guardare. Oggi, il paziente ha camminato con me in strada per una buona ora a passo rapido, senza guardarsi i piedi mentre andava, e tutto ciò che io potei osservare è che il paziente poneva a terra il piede sinistro voltandolo un poco all’infuori e strascicandolo un poco sul terreno.24 Ma se io gli ordino di camminare, egli deve seguire con gli occhi ogni movimento della gamba anestetica, e i movimenti sono quindi lenti e insicuri e lo stancano molto. Infine, a occhi chiusi, egli procede con grande insicurezza, strascicandosi avanti senza alzare i piedi dal suolo, come faremmo tutti noi al buio, se non conoscessimo il terreno. Ha anche grande difficoltà a stare in piedi sulla gamba sinistra: se chiude gli occhi mentre si trova in questa posizione, cade immediatamente.
Descriverò ora il comportamento dei suoi riflessi, che nel complesso sono più vivaci del normale e pochissimo concordanti fra loro. I riflessi del tricipite e del flessorio sono decisamente più vivaci alla estremità destra, non anestetica; il riflesso patellare sembra accentuato a sinistra, i riflessi achillei sono uguali da entrambe le parti. È anche facilissimo produrre un lieve fenomeno del piede, che è più pronunciato a destra. I riflessi cremasterici sono assenti, mentre i riflessi addominali sono assai vivi, ed enormemente più pronunciati a sinistra, in modo che il minimo strofinio in qualsiasi punto della pelle dell’addome provoca una massima contrazione del muscolo (sinistro) retto dell’addome.
Conformemente al quadro dell’emianestesia isterica, il nostro paziente mostra zone dolenti spontaneamente e su stimolazione nelle parti altrimenti insensibili del corpo: le cosiddette “zone isterogene” [vedi Isteria (1888), par. 3, punto 2, in OSF, vol. 1], anche se, in questo caso, non c’è un marcato rapporto fra esse e la provocazione degli attacchi. Il trigemino, ad esempio, le cui branche terminali, come vi ho mostrato prima, sono sensibili alla pressione, sono la sede di una zona isterogena di questo tipo; così pure una piccola zona nella fossa cervicale mediana sinistra, una zona più ampia nella parte sinistra del torace (dove anche la pelle ha conservato la sensibilità), la porzione lombare della spina dorsale (anche qui la pelle è sensibile) e la parte mediana della zona sacrale. Infine, il cordone spermatico sinistro è assai sensibile al dolore, e questa zona si prolunga, lungo il decorso del cordone spermatico, nella cavità addominale, fino all’area che nelle donne è assai spesso sede dell’“ovarialgia”.
Devo ancora aggiungere due osservazioni concernenti i punti in cui il nostro caso devia dal quadro tipico dell’emianestesia isterica. La prima è che anche la parte destra del corpo del paziente non è esente da anestesia, sebbene questa sia di lieve grado, e sembri coinvolgere solo la cute. Così riscontriamo una zona di sensibilità dolorifica (e termica) ridotta sopra all’articolazione della spalla sinistra, e un’altra, che si estende a fascia attorno alla zona periferica dell’avambraccio; la gamba destra è ipoestetica nella parte esterna della coscia e nella parte posteriore del polpaccio.
Una seconda osservazione concerne il fatto che nel nostro paziente l’emianestesia mostra evidenti caratteri d’instabilità. Così ad esempio, in un esperimento sulla sua sensibilità all’elettricità, senza volerlo ho sensibilizzato una zona di cute sul gomito sinistro; ed esperimenti ripetuti hanno dimostrato che l’estensione delle zone dolorifiche del tronco e i disturbi visivi oscillavano d’intensità. Su questa instabilità dei disturbi sensoriali io fondo la speranza di riportare in breve tempo il malato alla sensibilità normale.