Dalla storia di una nevrosi infantile
Il caso clinico che mi accingo a riferire677 – ancora una volta in modo frammentario – si distingue per una serie di particolarità che è opportuno mettere in rilievo prima di passare all’esposizione vera e propria. Esso riguarda un giovane la cui salute aveva subito un crollo in seguito a un’infezione blenorragica contratta nel diciottesimo anno d’età, e che quando iniziò il trattamento psicoanalitico, parecchi anni più tardi, era assolutamente incapace di affrontare la vita e di fare a meno dell’altrui aiuto. Aveva trascorso in modo pressoché normale i dieci anni dell’adolescenza prima che insorgesse la malattia e condotto a termine senza speciali difficoltà gli studi secondari.
I suoi primi anni invece erano stati dominati da gravi disturbi nevrotici i quali, presentatisi subito prima del compimento del quarto anno d’età sotto forma di isteria d’angoscia (zoofobia), si erano poi trasformati in una nevrosi ossessiva a contenuto religioso, protrattasi con i suoi postumi fino al decimo anno d’età.678
Oggetto delle comunicazioni che seguono sarà soltanto questa nevrosi infantile. Ho difatti ritenuto tecnicamente inattuabile e socialmente inammissibile riferire la storia completa della malattia, del trattamento e della guarigione del paziente, benché questi mi avesse sollecitato esplicitamente a farlo. Con ciò cade anche la possibilità di indicare le connessioni tra la sua malattia infantile e quella che si è sviluppata in seguito in forma definitiva. Circa quest’ultima dirò soltanto che a causa di essa il malato ha trascorso un lungo periodo in sanatori tedeschi, dove il suo caso è stato classificato da chi di dovere679 come uno “stato maniaco-depressivo”. La diagnosi si attagliava certamente al padre del paziente, la cui vita, densa d’attività e d’interessi, era stata a più riprese sconvolta da attacchi di grave depressione. Ma quanto al figlio, in parecchi anni di osservazione, non ho mai potuto riscontrare alcuna variazione d’umore che per intensità o per le condizioni del suo insorgere risultasse inadeguata alla situazione psichica in cui egli palesemente si trovava. Mi sono fatto l’opinione che questo caso – come tanti altri ai quali la psichiatria clinica dispensa le diagnosi più varie e mutevoli – va concepito come l’esito di una nevrosi ossessiva risoltasi spontaneamente, ma imperfettamente.
La mia relazione si riferisce dunque a una nevrosi infantile analizzata non già mentre era in atto, ma quindici anni dopo la sua conclusione.680 Questa situazione, confrontata con l’altra, ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. L’analisi effettuata direttamente sul bambino nevrotico parrà a tutta prima più attendibile, ma essa non può avere un contenuto molto ricco; occorre prestare al bambino troppe parole e troppi pensieri e, anche così, non è detto che gli strati più profondi risultino accessibili alla coscienza. L’analisi di una malattia infantile compiuta con la mediazione dei ricordi di un individuo adulto intellettualmente maturo è esente da queste limitazioni; essa dovrà tuttavia tener conto dei travisamenti e degli aggiustamenti cui è soggetto il nostro passato quando ci volgiamo a guardarlo a distanza. Il primo caso ci dà forse risultati più convincenti; il secondo è in compenso di gran lunga più istruttivo.
Si può comunque affermare che le analisi delle nevrosi infantili possono rivendicare un interesse teorico elevatissimo. Esse forniscono all’esatta comprensione delle nevrosi dell’adulto più o meno lo stesso contributo dei sogni infantili rispetto ai sogni dell’adulto. Non che le nevrosi infantili siano più facili da penetrare o più povere di elementi, giacché anzi la difficoltà di immedesimarsi nella vita psichica infantile rende il lavoro del medico particolarmente arduo. Ma in esse mancano così tante delle successive stratificazioni, che l’essenza della nevrosi salta agli occhi in modo inequivocabile. Nell’attuale fase della lotta intorno alla psicoanalisi, la resistenza contro le scoperte psicoanalitiche ha assunto, com’è noto, una forma nuova. In passato ci si contentava di contestare la veridicità dei fatti asseriti dalla psicoanalisi; e a tal scopo la tecnica migliore sembrava quella di evitarne la verifica. Sembra che a poco a poco questo procedimento si stia esaurendo; oggi si batte la strada nuova di riconoscere i fatti, ma di eluderne le conseguenze per mezzo di interpretazioni distorte che ottengono ugualmente lo scopo di tenere a bada le novità che non sono gradite. Lo studio delle nevrosi infantili prova l’assoluta inadeguatezza di questi superficiali o arbitrari tentativi di reinterpretazione. Questo stesso studio rivela l’enorme funzione che nello strutturarsi della nevrosi svolgono le forze pulsionali libidiche la cui esistenza è così spesso contestata, e consente di riconoscere la mancanza di qualsiasi aspirazione verso lontani obiettivi culturali di cui il bambino nulla sa e che pertanto nulla significano per lui.
Un altro aspetto notevole dell’analisi che mi accingo a presentare si collega alla gravità della malattia e alla durata del trattamento. Le analisi che raggiungono in breve una felice conclusione sono preziose perché accrescono la considerazione che il medico ha di se stesso e testimoniano l’importanza terapeutica della psicoanalisi. Ma per quanto concerne il progresso delle conoscenze scientifiche, sono perlopiù irrilevanti. Da queste analisi non si apprende nulla di nuovo. Se si sono concluse felicemente con tanta rapidità è proprio perché sapevamo già tutto quello ch’era necessario per portarle a termine. Si apprende qualcosa di nuovo soltanto da quelle analisi che presentano difficoltà tali da esigere molto tempo per superarle. Solo in questi casi si riesce a scendere negli strati più profondi e primitivi dell’evoluzione psichica e ad attingere colà le soluzioni dei problemi presentati dalle formazioni successive. Ci si dice allora che, a rigor di termini, solo l’analisi che si è spinta così a fondo merita questo nome. Naturalmente, un singolo caso non può ragguagliarci su tutto quel che desideriamo sapere, o meglio potrebbe farlo se fossimo in grado di comprendere questo tutto e se l’inesperienza della nostra stessa percezione non ci obbligasse a contentarci di poco.
Quanto a siffatte feconde difficoltà il caso che mi accingo a descrivere non lascia nulla a desiderare. I primi anni di trattamento non apportarono quasi alcun mutamento. Per un felice concorso di fattori diversi fu possibile procedere nel tentativo terapeutico a dispetto di tutte le circostanze esterne; ma posso facilmente immaginare che in condizioni meno favorevoli la cura sarebbe stata abbandonata dopo un certo periodo. Per quanto riguarda il medico dirò soltanto che se vuole imparare qualche cosa o raggiungere qualche risultato deve comportarsi, di fronte a un caso del genere, con la stessa “atemporalità” dell’inconscio.681 Vi riuscirà a un patto: se saprà rinunciare ad ogni miope ambizione terapeutica. Non ci si potrà attendere, se non in pochissimi casi, la pazienza, la docilità, la comprensione e la fiducia che da parte del malato e dei suoi congiunti sarebbero auspicabili nei confronti del medico. Ma l’analista potrà dirsi che i risultati tanto faticosamente ottenuti con un determinato paziente l’aiuteranno in seguito ad abbreviare sostanzialmente la durata del trattamento di un altro caso altrettanto grave, e a superare così, gradualmente, l’“atemporalità” dell’inconscio a cui si è sottomesso la prima volta.682
Il paziente di cui sto per occuparmi si trincerò per parecchio tempo dietro un atteggiamento di docile indifferenza. Stava a sentire, capiva, ma restava inattingibile. La sua irreprensibile intelligenza era come messa fuori giuoco dalle forze pulsionali che dominavano il suo comportamento nelle scarse relazioni umane che ancora possedeva. Fu necessaria una lunga educazione per indurlo ad assumersi la sua parte nel lavoro analitico, e non appena grazie a questo sforzo si ebbero i primi segni di liberazione, egli interruppe il lavoro nell’intento di impedire nuovi mutamenti e starsene tranquillamente nella situazione acquisita. Il suo orrore di un’esistenza indipendente era talmente grande da controbilanciare tutte le pene della malattia. Non c’era che un modo di superarlo. Dovetti attendere che l’attaccamento alla mia persona fosse divenuto abbastanza forte da equiparare quell’orrore, poi giocai questo fattore contro l’altro. Quando da indizi inequivocabili mi resi conto che era giunto il momento di farlo, palesai al paziente la seguente decisione: a una certa data, indipendentemente dai progressi compiuti, il trattamento avrebbe dovuto concludersi. Ero risoluto a rispettare questo termine; il paziente si convinse finalmente che facevo sul serio. Sotto la pressione inesorabile di questa scadenza la sua resistenza e la fissazione alla malattia cedettero, e in un tempo straordinariamente breve l’analisi fornì tutto il materiale necessario per la soluzione delle inibizioni del malato e l’eliminazione dei suoi sintomi. Da quest’ultima fase del lavoro, durante la quale la resistenza fu temporaneamente eliminata e il paziente dimostrò una lucidità che normalmente si ottiene solo nell’ipnosi, emersero anche tutti gli elementi che mi permisero la comprensione della sua nevrosi infantile.683
L’evoluzione di questo trattamento illustrò dunque un principio di tecnica analitica da tempo messo nel dovuto rilievo. La lunghezza della via che l’analisi deve percorrere col paziente e la quantità del materiale incontrato su questa via e di cui è necessario rendersi padroni non hanno alcuna importanza se confrontati alla resistenza da superare nel corso del lavoro, o meglio, hanno importanza solo in quanto sono necessariamente proporzionali alla resistenza stessa. Le cose procedono cioè come quando un esercito nemico impiega settimane e mesi per attraversare un territorio che in tempo di pace un direttissimo avrebbe percorso in poche ore, e che l’esercito del paese occupato ha precedentemente coperto in pochi giorni.
Una terza particolarità di quest’analisi ha reso ancor più ardua la mia decisione di pubblicarla. Nell’insieme i suoi risultati hanno coinciso in modo soddisfacente con le nostre precedenti conoscenze o con esse si sono rivelati compatibili. Tuttavia alcuni dettagli sono apparsi anche a me talmente sorprendenti e incredibili che ho esitato a chiedere ad altri di prestarvi fede. Esortato a vagliare il più rigorosamente possibile i propri ricordi, il paziente sostenne di non trovare nulla di inverosimile nelle dichiarazioni resemi e ad esse si attenne fermamente. Che i lettori siano almeno persuasi che quelli che riferirò sono fatti venutimi innanzi da soli, a prescindere dalle mie aspettative in proposito, che per nulla li hanno influenzati. Non mi restava che ricordarmi delle sagge parole: ci sono più cose, tra cielo e terra, di quante ne insegni la nostra filosofia.684 E di queste cose, ne scopriranno certo di più coloro che sapranno prescindere radicalmente da convinzioni preconcette.685