2. SGUARDO GENERALE ALL’AMBIENTE
E ALLA STORIA DELLA MALATTIA

Non sono in grado di scrivere la storia del mio paziente né dal punto di vista puramente cronologico né da quello puramente tematico; non posso fornire né la sola storia del trattamento né la sola storia della malattia; mi vedo quindi costretto a fondere i due sistemi di esposizione. È noto che non s’è ancora trovato il modo di trasmettere al resoconto di un’analisi la forza persuasiva che emana dall’analisi stessa. Né servirebbe a questo scopo la redazione di verbali esaustivi di quel che accade durante le sedute; comunque tale procedimento non è compatibile con le regole tecniche del trattamento. Resoconti come questi non si pubblicano dunque per convincere chi finora ha rifiutato la psicoanalisi o ha assunto nei suoi confronti un atteggiamento scettico; l’intento di queste pubblicazioni è di recare un contributo originale destinato unicamente agli studiosi che si sono già procurati le loro convinzioni grazie a esperienze personali condotte sui malati.

Comincerò col fare un quadro del mondo che attorniava il soggetto da bambino, e col riferire quella parte della sua storia infantile che si lasciò assodare senza difficoltà e che nel corso di parecchi anni non fu possibile rendere né più completa né più perspicua.

Genitori sposati giovani, che conducono una vita coniugale ancora felice, su cui ben presto le rispettive malattie gettano le prime ombre. La madre comincia a soffrire di disturbi addominali, il padre ha le prime crisi di depressione che ne provocano l’assenza da casa. Naturalmente il paziente imparerà a conoscere la malattia del padre solo molto più tardi; la sofferenza della madre invece gli è nota fin dai primi anni dell’infanzia. A causa di questa ella si occupa relativamente poco dei bambini. Un giorno, certamente prima del suo quarto anno d’età,686 tenuto per mano dalla mamma, il piccolo la segue mentre ella riaccompagna il medico e la sente lamentarsi con quest’ultimo; le sue parole gli si imprimono profondamente nella mente ed egli le applicherà più tardi a se medesimo [vedi oltre par. 7]. Non è figlio unico; ha una sorella di due anni circa maggiore di lui, vivace, dotata, e precocemente maliziosa, la quale avrà grande importanza nella sua vita.

I primi ricordi del paziente risalgono all’epoca in cui è affidato alle cure di una bambinaia – una incolta e anziana donna del popolo che gli prodiga instancabilmente tutto il proprio affetto. Egli rappresenta per lei il sostituto di un figlioletto morto in tenera età. La famiglia vive in una tenuta di campagna e d’estate si trasferisce in un’altra tenuta. Entrambi i possedimenti non distano molto dalla città (più tardi verranno venduti e la famiglia si trasferirà in città; l’avvenimento costituirà una netta cesura nell’infanzia del bambino). Nell’una o nell’altra tenuta vengono spesso ospitati per lunghi periodi parenti prossimi: fratelli del padre, sorelle della madre con i loro bambini, i nonni materni. D’estate i genitori sogliono assentarsi per un viaggio di qualche settimana. In un ricordo di copertura il paziente si vede mentre insieme alla bambinaia guarda allontanarsi la vettura che trasporta il padre, la madre e la sorella; egli rientra poi in casa allegramente. Doveva essere allora molto piccolo.687 L’estate seguente la sorella fu lasciata a casa e per la supervisione dei bambini fu assunta una governante inglese.

Molti episodi della sua infanzia furono appresi dal paziente più tardi, dai racconti dei familiari.688 Molti fatti li rammentava egli stesso, ma naturalmente erano disarticolati dal punto di vista cronologico e del contenuto. Uno di questi racconti, ripetuto infinite volte in sua presenza in occasione della successiva malattia, ci mette di fronte al problema di cui dovremo occuparci. Pare che in un primo tempo egli fosse stato un bambino dolcissimo, docile e piuttosto tranquillo, tanto che in casa si era soliti dire che avrebbe dovuto lui nascer femmina e la sorella maschio. Ma una volta, al ritorno dal solito viaggio estivo, i genitori lo trovarono trasformato. Era diventato scontento, irritabile, violento; per un nonnulla si offendeva e, preso dall’ira, si metteva a strepitare selvaggiamente; al punto che i genitori, perdurando questo stato, esternarono la preoccupazione che più tardi non sarebbe stato possibile mandarlo a scuola. Era l’estate in cui c’era stata la governante inglese, ben presto rivelatasi persona balzana, intrattabile e per giunta dedita al bere. La madre era perciò propensa ad attribuire il cambiamento di carattere del figlioletto all’influenza di costei, che presumibilmente l’aveva irritato col suo modo di trattare. La perspicace nonna, che aveva trascorso l’estate insieme ai bambini, riteneva invece che l’irritabilità del maschietto fosse stata provocata dai dissapori che si erano verificati tra l’inglese e la bambinaia. La prima aveva più volte dato della strega alla seconda, costringendo quest’ultima a uscire dalla stanza; il piccolo aveva preso apertamente le parti della nanja689 diletta ed esternato alla governante tutto il suo odio. Comunque stessero le cose, l’inglese venne licenziata poco dopo il ritorno dei genitori, senza che ciò provocasse peraltro il benché minimo cambiamento nel carattere insopportabile del bambino.

Il ricordo di questo periodo di “cattiveria” si è conservato nella memoria del paziente. A suo dire, egli avrebbe fatto la prima scenata il giorno di Natale perché non aveva ricevuto la doppia dose di regali che gli era dovuta dal momento che in quel giorno ricorreva anche il suo compleanno. Con la sua petulanza e le sue permalosità non risparmiava neppure la cara nanja, anzi le lamentele più insistenti erano forse riservate proprio a lei. Ma questo periodo di alterazione del carattere è indissolubilmente connesso nel ricordo del paziente con molti altri fenomeni strani e patologici ch’egli non sa collocare secondo un ordine cronologico. Tutti i fatti che sto per riferire (che certo non si sono verificati contemporaneamente e presentano una quantità di contraddizioni interne) egli li riunisce alla rinfusa in un unico periodo, che è solito chiamare “ancora al tempo della prima tenuta”. Questa tenuta era stata lasciata, gli sembra, quand’egli aveva cinque anni.690 A un certo punto racconta di aver sofferto di una paura che veniva sfruttata dalla sorella per tormentarlo. In un certo libro illustrato c’era la figura di un lupo che stava eretto, nell’atto di allungare il passo. Alla vista di questa figura egli si metteva a urlare come un ossesso poiché era preso dal terrore che il lupo venisse da lui per divorarlo. La sorella d’altro canto faceva sempre in modo che la figura gli capitasse davanti agli occhi e si dilettava moltissimo del suo spavento. In quel periodo egli aveva paura anche di altri animali, grandi e piccoli. Una volta, mentre stava correndo per acchiappare una bella grande farfalla dalle ali a punta striate di giallo (probabilmente un “macaone”691), lo aveva colto una paura terribile dell’insetto e gridando aveva abbandonato la caccia. Anche i coleotteri e i bruchi gli incutevano paura e orrore. Tuttavia, ricorda di avere in quello stesso periodo tormentato coleotteri e tagliuzzato bruchi. Anche i cavalli gli ispiravano un senso di inquietudine; se vedeva picchiare un cavallo si metteva a gridare, motivo per cui una volta si dovette condurlo fuori dal circo durante una rappresentazione. In altre occasioni, però, provava egli stesso gusto a picchiare i cavalli. Se questi atteggiamenti contraddittori verso gli animali fossero veramente sussistiti contemporaneamente, o se piuttosto non si fossero alternati (e allora in quale ordine e quando), i ricordi del paziente non permettevano di precisare. Né egli era in grado di dire se al periodo della cattiveria fosse poi subentrata una fase di malattia, ovvero se la cattiveria avesse perdurato durante la malattia stessa. In ogni caso, le informazioni seguenti, che egli stesso ha fornito, giustificano l’ipotesi che in quegli anni dell’infanzia egli avesse attraversato una crisi palese di nevrosi ossessiva. Racconta di esser stato assai pio per un lungo periodo di tempo: prima di addormentarsi doveva pregare a lungo e farsi un’infinità di volte il segno della Croce; aveva anche l’abitudine, la sera, di fare il giro delle numerose immagini sacre appese alle pareti e di baciarle una a una devotamente, salendo su uno sgabello. Con questo devoto cerimoniale si accordava assai male – o forse anzi benissimo – il fatto che come per ispirazione del demonio gli venivano in mente dei pensieri blasfemi. Era costretto a pensare “Dio porco”, “Dio merda”, e così via. Una volta durante un viaggio verso una stazione balneare tedesca fu tormentato dalla coazione a pensare alla Santissima Trinità ogniqualvolta vedeva sulla strada tre mucchietti di sterco di cavallo o di altri animali. In quella stessa epoca osservava un altro curioso cerimoniale: quando incontrava persone che gli incutevano compassione – accattoni, storpi, vecchietti – doveva espirare rumorosamente allo scopo di non diventare come loro. In altre circostanze invece doveva inspirare energicamente. Ero naturalmente propenso a credere che questi chiari sintomi di nevrosi ossessiva appartenessero a un’epoca e a uno stadio di sviluppo posteriore alle manifestazioni d’angoscia e alla crudeltà nel trattare gli animali.

Gli anni più maturi furono contraddistinti per il paziente da un rapporto assai insoddisfacente con il padre che a quel tempo, dopo ripetuti attacchi di depressione, non era più in grado di nascondere gli aspetti patologici del suo carattere. Nei primi anni dell’infanzia questo rapporto era stato tenerissimo, e il figlio ne serbava il ricordo. Il padre gli voleva un gran bene e giocava volentieri con lui. Fin da piccolissimo egli era orgoglioso del suo papà e continuava a ripetere che da grande voleva diventare un signore come lui. La nanja gli aveva detto che la sorella era della mamma, ma che lui era del papà, e questo lo aveva reso felice. Verso la fine dell’infanzia padre e figlio cominciarono a estraniarsi. Il padre nutriva una predilezione palese per la bambina e il maschietto ne era profondamente mortificato. Più tardi la paura del padre divenne la nota dominante.

Tutti i fenomeni che il paziente ascrive alla fase della sua vita iniziatasi con la “cattiveria” scomparvero intorno agli otto anni. Non sparirono d’un colpo, si ripresentarono anzi di tanto in tanto; ma il malato pensa che essi cedettero infine all’influsso dei maestri e degli educatori che presero in seguito il posto delle donne che si erano curate di lui. Ecco dunque a grandi linee gli enigmi che l’analisi si trovò di fronte: donde procede l’improvviso cambiamento di carattere del bambino? che significato hanno la sua fobia e le sue perversità? come si spiega la sua devozione ossessiva? e che rapporto c’è tra tutti questi fenomeni? Rammenterò ancora una volta che il nostro lavoro analitico era accentrato su una ulteriore e recente sofferenza nevrotica, e che pertanto fu possibile far luce su questi problemi del passato soltanto quando il corso dell’analisi, allontanatosi temporaneamente dal presente, ci costrinse a una lunga disgressione nell’epoca preistorica dell’infanzia del paziente.

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