Può essere destino di un moto pulsionale urtare contro resistenze che mirano a renderlo inefficace. Se si verificano determinate condizioni, che dovremo presto esaminare più da vicino, esso perviene allora nello stato della “rimozione”. Se si fosse trattato dell’azione di uno stimolo esterno, la fuga sarebbe stata evidentemente il mezzo più appropriato. Nel caso della pulsione la fuga non serve, giacché l’Io non può sfuggire a sé stesso. In seguito, verrà il momento in cui un buon mezzo contro il moto pulsionale verrà trovato nella riprovazione del giudizio (la condanna). La rimozione è uno stadio preliminare della condanna, qualcosa che sta a metà fra la fuga e la condanna; il concetto di rimozione non poteva essere formulato prima dell’avvento degli studi psicoanalitici.
Non è facile inferire teoricamente la possibilità di una rimozione. Perché mai un moto pulsionale dovrebbe incorrere in un destino siffatto? È evidente che dovrebbe verificarsi la condizione che il raggiungimento della meta pulsionale rechi dispiacere in luogo di piacere. Ma questo caso non è facilmente immaginabile. Non esistono pulsioni siffatte: il soddisfacimento di una pulsione è sempre piacevole. Bisognerebbe pertanto ammettere condizioni particolari, e cioè un processo in virtù del quale il piacere del soddisfacimento venga tramutato in dispiacere.
Allo scopo di delimitare meglio la rimozione, proviamo a prendere in considerazione alcune altre situazioni pulsionali. Può accadere che uno stimolo esterno, ad esempio per il fatto che irrita o lede un organo, si internalizzi, e che in tal modo si producano una nuova fonte di eccitamento permanente e un aumento di tensione. Lo stimolo acquista in tal modo un carattere assai simile a quello di una pulsione. È noto che quando avvertiamo un dolore, si tratta di una situazione di questo genere. La meta di questa pseudopulsione è però soltanto la cessazione dell’alterazione organica e del dispiacere che ad essa è connesso. Dalla cessazione del dolore non può essere tratto un piacere diretto di altra natura. Il dolore è anche imperativo; si lascia sopprimere soltanto dall’azione di un tossico o se è influenzato da una distrazione psichica.
Il caso del dolore è troppo poco perspicuo perché possa servire al nostro scopo.47 Prendiamo dunque il caso in cui uno stimolo pulsionale come la fame rimane insoddisfatto. Lo stimolo diventa imperativo, non può esser placato da null’altro che dall’azione che lo soddisfa48 e alimenta una costante tensione che deriva dal bisogno. Nulla che assomigli a una rimozione sembra qui entrare in causa, neppure lontanamente.
Il caso della rimozione non si verifica dunque certo quando la tensione diventa insopportabilmente grande a causa del mancato soddisfacimento di un moto pulsionale. Ciò di cui l’organismo dispone, in quanto a mezzi di difesa contro questa situazione, dovrà esser preso in considerazione in un altro contesto.49
Atteniamoci piuttosto all’esperienza clinica così come essa ci si presenta nella prassi psicoanalitica. Apprenderemo allora che il soddisfacimento della pulsione soggetta a rimozione sarebbe ben possibile, e che inoltre sarebbe di per sé sempre piacevole; tale soddisfacimento sarebbe però inconciliabile con altre esigenze e propositi. Produrrebbe dunque piacere da un lato e dispiacere dall’altro. Condizione della rimozione diventa dunque che il motivo del dispiacere ottenga un potere maggiore del piacere che si ricava dal soddisfacimento. E l’esperienza psicoanalitica relativa alle nevrosi di traslazione ci costringe a concludere che la rimozione non è un meccanismo di difesa presente fin dalle origini, che essa non può instaurarsi prima che si sia costituita una netta separazione tra l’attività psichica cosciente e quella inconscia, e che la sua essenza consiste semplicemente nell’espellere e nel tener lontano qualcosa dalla coscienza.50 Si potrebbe integrare questo modo di intendere la rimozione supponendo che, nell’epoca precedente a tale stadio dell’organizzazione psichica, il compito della difesa dai moti pulsionali venga assolto mediante gli altri destini in cui può incorrere una pulsione, ossia la trasformazione nel contrario e il volgersi di essa sulla persona stessa del soggetto.
Riteniamo a questo punto che vi sia una correlazione talmente grande tra rimozione e inconscio da costringerci a procrastinare l’approfondimento dell’indagine sull’essenza della rimozione a quando avremo appreso qualche cosa di più circa i lineamenti strutturali delle istanze psichiche e la differenziazione tra inconscio e conscio. [Vedi L’inconscio cit., par. 4, in OSF, vol. 8.] Preliminarmente possiamo solo elencare in modo meramente descrittivo alcune altre caratteristiche della rimozione accertate clinicamente; col pericolo tuttavia di ripetere in forma immutata molte cose già dette altrove.
Abbiamo dunque motivo di supporre l’esistenza di una rimozione originaria, e cioè di una prima fase della rimozione che consiste nel fatto che alla “rappresentanza” psichica (ideativa51) di una pulsione viene interdetto l’accesso alla coscienza. Con ciò si produce una fissazione: la rappresentanza in questione continua da allora in poi a sussistere immutata, e la pulsione rimane ad essa legata. Ciò accade in forza di quelle proprietà dei processi inconsci di cui ci dovremo occupare in seguito. [Vedi ibid., par. 5.]
Il secondo stadio della rimozione, la rimozione propriamente detta, colpisce i derivati psichici della rappresentanza rimossa, oppure quei processi di pensiero che pur avendo una qualsiasi altra origine sono incorsi in una relazione associativa con la rappresentanza rimossa. In forza di tale relazione queste rappresentazioni incorrono nello stesso destino di ciò che è stato originariamente rimosso. La rimozione propriamente detta è perciò una post-rimozione.52 È inoltre erroneo dar rilievo soltanto alla ripulsa che viene esercitata dalla coscienza su quanto ha da esser rimosso. Entra pur sempre in gioco anche l’attrazione che il rimosso originario esercita su tutto ciò con cui può collegarsi. E probabilmente la tendenza rimovente non raggiungerebbe il suo scopo se queste due forze non agissero congiuntamente, se cioè non vi fosse un rimosso anteriore, pronto ad accogliere quanto la coscienza allontana da sé.53
Influenzati dallo studio delle psiconevrosi che ci mette di fronte agli effetti più significativi della rimozione, vi è in noi la propensione a sopravvalutarne la consistenza psicologica e a dimenticare troppo facilmente che essa non impedisce alla rappresentanza pulsionale di permanere nell’inconscio, di organizzarsi ulteriormente, di proliferare e di annodare connessioni. La rimozione disturba in effetti solo la relazione con un sistema psichico, quello di ciò che è conscio.
La psicoanalisi può mostrarci anche altre cose che si rivelano importanti per la comprensione degli effetti della rimozione nelle psiconevrosi. Per esempio che la rappresentanza pulsionale si sviluppa con minori inceppi e più copiosamente quando è sottratta all’influenza cosciente mediante la rimozione. Essa prolifera per così dire nell’oscurità, e trova forme espressive estreme che, quando vengono tradotte e fatte presenti al nevrotico, non solo devono apparirgli peregrine, ma anche lo spaventano dandogli l’immagine di una eccezionale e pericolosa potenza della pulsione. Questa potenza illusoria della pulsione è il risultato di una sfrenata espansione nel campo della fantasia e del prodursi di un ingorgo che dipende dalla frustrazione di un soddisfacimento. Il fatto che quest’ultimo esito sia collegato alla rimozione ci indica dove si debba ricercare l’autentico significato di quest’ultima.
Tuttavia, se torniamo ancora una volta all’aspetto opposto della rimozione, dobbiamo precisare che non è vero che la rimozione tiene lontane dalla coscienza tutte le propaggini del rimosso originario.54 Quando queste si sono allontanate a sufficienza dalla rappresentanza rimossa, vuoi assumendo determinate deformazioni, vuoi per il numero degli elementi intermedi interpolati, l’accesso alla coscienza è per esse senz’altro libero. È cioè come se la resistenza che la coscienza oppone a tali propaggini fosse una funzione della loro lontananza dal rimosso originario.55 Nell’esercizio della tecnica psicoanalitica noi sollecitiamo ininterrottamente il paziente a produrre quelle propaggini del rimosso che, per la loro lontananza o la loro deformazione, riescono a oltrepassare la censura della coscienza. Altro infatti non sono le associazioni libere che noi pretendiamo dal paziente quando lo invitiamo a rinunciare ad ogni rappresentazione finalizzata cosciente e ad ogni atteggiamento critico; è a partire da queste associazioni che noi riproduciamo una traduzione cosciente della rappresentanza rimossa. Durante tale procedimento osserviamo che il paziente può percorrere questa catena associativa fino al momento in cui urta in un insieme di pensieri la cui relazione col rimosso si impone con tanta intensità da costringerlo a ripetere il suo tentativo di rimozione. Anche i sintomi nevrotici debbono avere soddisfatto la condizione che ho testé menzionato, dato che sono propaggini di quel rimosso che, a mezzo di tali formazioni, si è finalmente conquistato l’accesso alla coscienza che gli era stato interdetto.56
Non è possibile dare una indicazione valida in generale relativa a quanto l’allontanamento dal rimosso e la deformazione debbano procedere affinché sia eliminata la resistenza della coscienza. Vi è qui un dosaggio delicatissimo, il cui gioco non ci è dato di penetrare; tuttavia i suoi effetti ci permettono di supporre che si tratta di arrestarsi prima che l’investimento dell’inconscio abbia raggiunto una determinata intensità, superata la quale l’inconscio si imporrebbe fino a ottenere il soddisfacimento. La rimozione agisce comunque in guise altamente individuali; ogni singola propaggine del rimosso può avere una propria sorte particolare; un po’ più o un po’ meno di deformazione fa sì che l’intero esito si ribalti. Appartiene allo stesso ordine di fenomeni, e come tale va inteso, il fatto che gli oggetti prediletti dagli uomini, i loro ideali, traggono origine dalle stesse percezioni ed esperienze degli oggetti da essi massimamente aborriti; e che originariamente gli uni si distinguono dagli altri solo per lievi modificazioni.57 Addirittura può accadere – come abbiamo scoperto a proposito della formazione del feticcio,58 – che la rappresentanza pulsionale originaria si scinda in due parti, di cui una è incorsa nella rimozione, mentre la parte residua, proprio per questo intimo collegamento, ha subito la sorte dell’idealizzazione.
Lo stesso risultato fornito da una maggiore o minore deformazione può essere ottenuto, all’altro estremo – per così dire – dell’apparato, mediante una modificazione delle condizioni che presiedono alla produzione di piacere e dispiacere. Sono state elaborate tecniche particolari miranti a produrre modificazioni tali nel gioco delle forze psichiche per cui ciò che di norma produce dispiacere diventa a un tratto apportatore di piacere; e, ogniqualvolta entra in azione un tale procedimento tecnico, viene abolita la rimozione di una rappresentanza pulsionale che altrimenti sarebbe messa al bando. Fino ad ora queste tecniche sono state esaminate con una certa precisione soltanto per il motto di spirito.59 Normalmente la rimozione viene abolita solo transitoriamente e si ristabilisce con rapidità.
Esperienze di tal sorta sono tuttavia sufficienti a farci notare ulteriori caratteristiche della rimozione. Essa non è soltanto, come è stato testé enunciato, individuale, ma anche estremamente mobile. Non ci si deve rappresentare il processo della rimozione come un accadimento che si produce una volta per tutte e le cui conseguenze sono permanenti, più o meno come quando viene ammazzato un essere vivente che, da quel momento in poi, è morto; la rimozione richiede al contrario un costante dispendio di energia e, se questo cessasse, il successo della rimozione verrebbe messo in forse talché si renderebbe necessario un rinnovato atto di rimozione. Possiamo supporre che il rimosso eserciti una costante pressione nella direzione del cosciente, pressione che deve essere bilanciata da una ininterrotta contropressione.60 Il mantenimento di una rimozione implica dunque una costante emissione di energia, e la sua eliminazione rappresenta, dal punto di vista economico, un risparmio. La mobilità della rimozione trova altresì un modo di esprimersi nelle caratteristiche psichiche dello stato di sonno, l’unica condizione che rende possibile la formazione dei sogni.61 Quando ci si sveglia gli investimenti della rimozione che erano stati ritratti, vengono nuovamente esternati.
Infine non dobbiamo scordarci che abbiamo detto ancora assai poco di un moto pulsionale quando abbiamo stabilito che esso è rimosso. Senza recar pregiudizio alla rimozione, un moto pulsionale può trovarsi in condizioni svariatissime: può essere inattivo, e cioè pochissimo investito con energia psichica, oppure essere investito in misura oscillante, ed essere perciò suscettibile di farsi attivo. Il suo attivarsi non avrà l’effetto di eliminare direttamente la rimozione, ma piuttosto di stimolare tutti quei processi che finiscono per consentirgli di penetrare nella coscienza per vie indirette. Per le propaggini dell’inconscio che non sono incorse nella rimozione, è spesso la misura di questa attivazione o investimento a decidere circa i destini della singola rappresentazione. È una esperienza comune quella di un tale derivato dell’inconscio che rimane non rimosso fin tanto che rappresenta una lieve energia, quantunque il suo contenuto sia idoneo a stabilire un conflitto col fattore cosciente dominante. L’elemento quantitativo si rivela invece decisivo ai fini del conflitto; appena la rappresentazione che in definitiva risulta sconveniente si rinforza oltre un certo livello, il conflitto si fa attuale, e proprio la sua attivazione porta con sé la rimozione. L’accrescersi dell’investimento energetico agisce dunque nelle faccende della rimozione nel senso stesso dell’avvicinamento all’inconscio, mentre il suo decrescere agisce come l’allontanamento da quello o come la deformazione. Comprendiamo così come le tendenze rimoventi possano trovare nella attenuazione di quanto è sgradito un sostituto della rimozione stessa.
Nelle considerazioni fatte finora ci siamo occupati della rimozione di una rappresentanza pulsionale, intendendo con questa una rappresentazione o un gruppo di rappresentazioni che sono state investite, a opera della pulsione, di un certo ammontare di energia psichica (libido, interesse). L’osservazione clinica ci costringe a scindere quanto fin qui abbiamo considerato globalmente, giacché ci mostra che accanto alla rappresentazione entra in gioco un altro elemento, che pure rappresenta la pulsione, e che può incorrere in una rimozione del tutto diversa da quella della rappresentazione. Per designare questo altro elemento della rappresentanza psichica si è imposto il termine di ammontare affettivo;62 esso corrisponde alla pulsione nella misura in cui quest’ultima si è staccata dalla rappresentazione e trova un modo di esprimersi proporzionato al suo valore quantitativo in processi che vengono avvertiti sensitivamente come affetti. Nel descrivere un caso di rimozione dovremo d’ora in poi seguire separatamente ciò che in virtù della rimozione è accaduto alla rappresentazione, e ciò che invece è accaduto all’energia pulsionale che ad essa era ancorata.
Ci piacerebbe molto enunciare qualcosa di valido circa le vicissitudini di entrambi questi processi. E saremo in grado di farlo se ci orientiamo un po’. Il destino generale della rappresentanza ideativa della pulsione difficilmente può essere diverso dal seguente: essa scompare dalla coscienza se prima era cosciente, o viene tenuta lontana dalla coscienza se era in procinto di diventare cosciente. La differenza non è del resto essenziale: è più o meno come se io invitassi a uscire dal mio salotto o dalla mia anticamera un ospite indesiderato, o se invece, dopo averlo riconosciuto, non gli lasciassi neppure varcare la soglia della mia casa.63 Il destino del fattore quantitativo della rappresentanza pulsionale può essere di tre tipi, come apprendiamo da un rapido esame delle esperienze compiute in psicoanalisi: la pulsione può essere totalmente repressa così che di essa non si trova più traccia alcuna; oppure si manifesta come un affetto con una coloritura qualsivoglia di tipo qualitativo; oppure si tramuta in angoscia.64 Le due ultime possibilità ci pongono il compito di prendere in considerazione, come nuovo destino in cui possono incorrere le pulsioni, la trasformazione delle loro energie psichiche in affetto, e in particolar modo in angoscia.
Ricordiamoci che il motivo e il proposito della rimozione non sono consistiti in altro che nell’evitare il dispiacere. Ne consegue che il destino dell’ammontare affettivo della rappresentanza [pulsionale] è di gran lunga più importante dell’esito cui va incontro la rappresentazione; e questo fatto è decisivo per una valutazione del processo di rimozione. Se la rimozione non riesce a prevenire la nascita di impressioni spiacevoli o di angoscia, dobbiamo dire che essa ha subito uno scacco; e ciò anche se ha eventualmente raggiunto la sua meta per quanto si riferisce alla componente rappresentativa. Naturalmente la rimozione fallita ha più ragione di imporsi al nostro interesse di quella eventualmente riuscita, la quale perlopiù si sottrae alla nostra disamina.
È ora nostra intenzione penetrare con uno sguardo d’insieme il meccanismo che presiede al processo di rimozione. E, prima di ogni altra cosa, desideriamo sapere se esiste un unico meccanismo del genere o se invece ve n’è più d’uno, e se per caso ogni singola psiconevrosi è caratterizzata da un meccanismo suo proprio. Fin dall’inizio di questa indagine ci imbattiamo tuttavia in alcune complicazioni. Il meccanismo della rimozione ci è accessibile soltanto quando risaliamo ad esso partendo dai suoi effetti. Se limitiamo l’osservazione agli effetti che derivano alla componente ideativa della rappresentanza, apprendiamo che la rimozione produce di norma una formazione sostitutiva. Orbene, qual è il meccanismo di tale formazione sostitutiva? Oppure vanno distinti anche qui più meccanismi? Sappiamo anche che la rimozione lascia dietro di sé dei sintomi. È lecito dunque far coincidere formazione sostitutiva e formazione di sintomi, e, se in complesso le cose stanno così, identificare il meccanismo di formazione dei sintomi col meccanismo della rimozione? Lo stato attuale delle nostre provvisorie conoscenze indurrebbe piuttosto a ritenere che si tratta di due meccanismi diversissimi, che non la rimozione in quanto tale produce formazioni sostitutive e sintomi, ma che questi ultimi, in quanto indizi di un ritorno del rimosso,65 devono la loro esistenza a processi di tutt’altra natura. E sembra altresì raccomandabile prendere in esame i meccanismi della formazione sostitutiva e della formazione dei sintomi prima di quelli della rimozione.
È chiaro che la speculazione non ha qui più nulla da dire, e che deve lasciare il campo a un’accurata analisi degli esiti della rimozione osservabili nelle singole nevrosi. Devo tuttavia proporre di procrastinare anche questo lavoro al momento in cui saremo riusciti a rappresentarci in modo attendibile la relazione tra coscienza e inconscio.66 Soltanto, affinché non si riveli del tutto infruttuosa la discussione fin qui svolta, voglio anticipare: 1) che effettivamente il meccanismo della rimozione non coincide con quello o con quelli della formazione sostitutiva; 2) che vi sono meccanismi molto differenti di formazione sostitutiva; e 3) che i diversi meccanismi della rimozione hanno perlomeno un fattore in comune, la sottrazione dell’investimento energetico (o della libido, se si tratta di pulsioni sessuali).
Sia pure limitatamente alle tre psiconevrosi più note, intendo mostrare con alcuni esempi come i concetti qui introdotti trovino applicazione nello studio della rimozione.
Per l’isteria d’angoscia sceglierò l’esempio, che è stato ben analizzato, di una zoofobia.67 Il moto pulsionale che soggiace alla rimozione è un atteggiamento libidico verso il padre, accompagnato da paura nei suoi confronti. In seguito alla rimozione, questo moto è scomparso dalla coscienza, e il padre non vi appare più quale oggetto della libido. Come sostituto del padre – e in una posizione analoga a quella che egli occupava – si trova un animale più o meno idoneo ad essere assunto quale oggetto d’angoscia. La formazione che sostituisce la componente ideativa [della rappresentanza pulsionale] si è determinata per uno spostamento avvenuto lungo una catena peculiarmente determinata di connessioni. La componente quantitativa non è scomparsa, ma si è trasformata in angoscia. Il risultato è un’angoscia di fronte a un lupo in luogo di una pretesa amorosa riferita al padre. Naturalmente le categorie qui impiegate non sono sufficienti a soddisfare le esigenze di spiegazione anche soltanto del più semplice caso di psiconevrosi. Entrano sempre in causa anche altri punti di vista.
Una rimozione come quella che si verifica nelle zoofobie è da ritenersi completamente fallita. L’opera della rimozione è consistita semplicemente nel mettere da parte la rappresentazione e sostituirla; non si è affatto riusciti a realizzare l’obiettivo di risparmiare dispiacere. Perciò l’opera della nevrosi non ha posa e anzi procede al fine di raggiungere, in una seconda fase, la sua meta più diretta e importante. Si giunge così a configurare un tentativo di fuga, la fobia propriamente detta, che consiste in una serie di scansamenti intesi a evitare lo sprigionarsi dell’angoscia. Una indagine più specifica ci consente di intendere attraverso quale meccanismo la fobia raggiunge il suo scopo. [Vedi L’inconscio cit., par. 4, in OSF, vol. 8.]
Il quadro di una vera e propria isteria di conversione ci costringe a valutare in modo del tutto diverso il processo di rimozione. Qui ciò che più si impone è il fatto che si può riuscire a far scomparire completamente l’ammontare affettivo. L’ammalato rivela di fronte ai propri sintomi quel comportamento che Charcot indicava come “la belle indifférence des hystériques”.68 Altre volte questa repressione non riesce in modo così completo, una parte delle sensazioni penose si collega ai sintomi stessi o comunque non si riesce a evitare una parziale produzione di angoscia, che a sua volta mette in moto il meccanismo della formazione fobica. Il contenuto ideativo della rappresentanza pulsionale è radicalmente sottratto alla coscienza; come formazione sostitutiva – e contemporaneamente come sintomo – si riscontra una innervazione sovraintensa (che nei casi tipici è somatica) di natura ora sensoriale ora motoria, sotto forma di eccitamento o di inibizione. La zona sovrainnervata si rivela, a un’analisi più accurata, un frammento della stessa rappresentanza pulsionale rimossa, frammento che ha attirato su di sé, come per condensazione, l’intero investimento. Naturalmente anche con queste osservazioni non penetriamo completamente il meccanismo dell’isteria di conversione; soprattutto bisognerà aggiungervi l’elemento della regressione, che valuteremo appieno in un altro contesto.69
La rimozione nell’isteria di conversione può dirsi completamente fallita giacché è stata resa possibile solo mediante imponenti formazioni sostitutive; tuttavia, per ciò che riguarda la liquidazione dell’ammontare affettivo, che costituisce il vero e proprio compito della rimozione, quest’ultima ottiene di norma un pieno successo. Inoltre, nell’isteria di conversione, il processo di rimozione giunge a compimento con la formazione del sintomo, e non ha bisogno di prolungarsi in una seconda fase (o per essere più esatti indefinitamente) come accade nell’isteria d’angoscia.
La rimozione offre un quadro ancora completamente diverso nella terza affezione che prendiamo in esame in questo nostro confronto, e cioè nella nevrosi ossessiva. Qui si rimane a tutta prima in dubbio su che cosa si debba intendere per rappresentanza pulsionale soggetta a rimozione, se una tendenza libidica oppure una tendenza ostile. L’incertezza proviene dal fatto che la nevrosi ossessiva presuppone una regressione in virtù della quale in luogo di una inclinazione tenera appare un impulso sadico. Proprio questo impulso ostile rivolto a una persona amata soggiace a rimozione. L’effetto, in una prima fase del lavoro di rimozione, è completamente diverso da quello che si verifica in seguito. Dapprima la rimozione ha pieno successo: il contenuto rappresentativo viene respinto e l’affetto è fatto scomparire. Come formazione sostitutiva si ha un’alterazione dell’Io, un’accentuazione degli scrupoli di coscienza, il che non può propriamente esser considerato un sintomo: formazione sostitutiva e formazione del sintomo qui non coincidono. In questa occasione apprendiamo anche qualche cosa circa il meccanismo della rimozione. Anche qui, come sempre, la rimozione ha provocato una sottrazione di libido, ma si è servita a tale scopo di una formazione reattiva ottenuta rafforzando un opposto. La formazione sostitutiva presenta dunque in questo caso lo stesso meccanismo della rimozione, e coincide in definitiva con essa; si differenzia però cronologicamente, non meno che concettualmente, dalla formazione del sintomo. È assai verosimile che l’intero processo sia reso possibile dal rapporto ambivalente in cui viene inscritto l’impulso sadico che ha da essere rimosso.
Tuttavia la rimozione, inizialmente efficace, non tiene, e col progredire degli eventi il suo scacco risulta con evidenza sempre maggiore. L’ambivalenza che ha permesso la rimozione mediante formazione reattiva è anche il punto in relazione al quale il rimosso riesce a ritornare. L’affetto scomparso ritorna sotto forma di angoscia sociale, di angoscia morale, di rimproveri a non finire; la rappresentazione respinta viene rimpiazzata da un sostituto per spostamento, spesso in direzione di cose minime e insignificanti.70 Perlopiù è inequivocabilmente presente una tendenza allo schietto affermarsi della rappresentazione rimossa. Il fallimento della rimozione per ciò che si riferisce al fattore quantitativo, affettivo, fa entrare in gioco quello stesso meccanismo di fuga, fatto di scansamenti e divieti, che abbiamo imparato a conoscere nella formazione delle fobie isteriche. Il rifiuto della rappresentazione da parte della coscienza viene tuttavia ostinatamente mantenuto, giacché a suo mezzo si riesce a trattenere l’azione, si ottiene cioè l’imbrigliamento motorio dell’impulso. Così il lavoro della rimozione nella nevrosi ossessiva si dibatte in un conflitto infruttuoso e interminabile.
Dalla breve serie di esempi qui presentati si può trarre la persuasione che siano necessarie ancora vaste indagini prima che si possa sperare di penetrare i processi connessi alla rimozione e alla formazione dei sintomi nevrotici. Il carattere estremamente aggrovigliato di tutti i fattori che entrano in gioco ci consente una sola modalità espositiva. Dobbiamo assumere isolatamente un punto di vista dopo l’altro e applicarlo rigorosamente al nostro materiale fintantoché il suo impiego ci sembra proficuo. Ciascuna di queste elaborazioni sarà di per sé incompleta e non potrà non risultare oscura laddove si imbatterà in temi non ancora trattati; mettendole insieme tutte quante possiamo tuttavia sperare di giungere a una buona comprensione.