Il Mosè di Michelangelo403
Premetto che in fatto d’arte non sono un intenditore, ma un profano. Ho notato spesso che il contenuto di un’opera d’arte esercita su di me un’attrazione più forte che non le sue qualità formali e tecniche, alle quali invece l’artista attribuisce un valore primario. Per molte manifestazioni e per più d’un effetto che l’arte produce mi manca invero l’esatta comprensione. Devo dire questo per assicurare al tentativo che sto per fare l’indulgenza dei lettori.
Le opere d’arte esercitano tuttavia una forte influenza su di me, specialmente la letteratura e le arti plastiche, più raramente la pittura. Sono stato indotto perciò a indugiare a lungo di fronte ad esse quando mi se ne è presentata l’occasione, con l’intento di capirle a modo mio, cioè di rendermi conto per qual via producano i loro effetti. Nel caso in cui ciò non mi riesce, come per esempio per la musica, sono quasi incapace di godimento. Una disposizione razionalistica o forse analitica si oppone in me a ch’io mi lasci commuovere senza sapere perché e da che cosa.
La mia attenzione è caduta così sul fatto, apparentemente paradossale, che proprio alcune delle creazioni artistiche più meravigliose e travolgenti sono rimaste oscure alla nostra comprensione. Le ammiriamo, ci sentiamo sopraffatti dalla loro grandezza, ma non sappiamo dire che cosa rappresentino. Non sono abbastanza erudito per sapere se questa costatazione sia già stata fatta, o se qualche studioso di estetica non abbia trovato che questa perplessità intellettiva sia addirittura una condizione necessaria ai fini degli effetti più elevati che un’opera d’arte è destinata a provocare. Mi sarebbe assai difficile risolvermi a credere a una condizione siffatta.
Non già che i conoscitori o gli entusiasti dell’arte non trovino le parole quando vogliono decantarci un’opera d’arte del genere. Ne trovano fin troppe, direi. Ma di regola chiunque si pone davanti a uno di questi capolavori dice una cosa diversa da quella che hanno detto gli altri, e nessuno risolve l’enigma all’ammiratore sprovveduto. Ciò che ci avvince con tanta forza non può essere a mio modo di vedere se non l’intenzione dell’artista, nella misura in cui egli sia riuscito a esprimere tale intenzione nella sua opera e a renderla intelligibile ai nostri occhi. Mi rendo conto che non può trattarsi di una comprensione puramente intellettuale: deve destarsi in noi la stessa disposizione affettiva, la stessa costellazione psichica che ha sospinto l’artista alla creazione. Ma perché l’intenzione dell’artista non dovrebbe essere comunicabile ed esprimibile in parole come un qualunque altro fatto della vita psichica? Forse, per le grandi opere d’arte, questa meta è irraggiungibile se non si ricorre all’analisi. Se l’opera d’arte è davvero l’espressione che noi cogliamo delle intenzioni e dei moti dell’animo propri dell’artista, essa stessa dovrà dopotutto consentire tale analisi. Peraltro, per penetrare questa intenzione, devo comunque rintracciare anzitutto il senso e il contenuto di quel che è raffigurato nell’opera d’arte, devo cioè poterla interpretare. È quindi possibile che un’opera d’arte di questo genere necessiti di un’interpretazione, e che solo al termine di essa io possa rendermi conto delle ragioni per le quali sono stato sottoposto a un’impressione così violenta. Nutro addirittura la speranza che questa impressione non impallidisca, una volta che la nostra analisi sia stata condotta a buon fine.
Pensiamo per esempio all’Amleto, il capolavoro creato da Shakespeare oltre tre secoli fa.404 Mi sono tenuto al corrente della letteratura psicoanalitica, e concordo con l’affermazione secondo cui soltanto la psicoanalisi, riconducendone la materia al tema di Edipo, ha risolto l’enigma dell’effetto suscitato da questa tragedia.405 Ma prima, che sovrabbondanza di tentativi d’interpretazione diversi e tra loro incompatibili, che grande disparità di opinioni sul carattere dell’eroe e sulle intenzioni del poeta! Shakespeare si è proposto di farci partecipare alle vicende di un malato, di un inetto minus habens, o di un idealista che è solo troppo buono per il mondo reale? E quante di queste interpretazioni ci lasciano freddi, al punto che non possono far niente per spiegare l’effetto suscitato dalla poesia e ci inducono piuttosto all’ipotesi che il suo incanto risieda unicamente nell’impressione provocata dai pensieri e nello splendore della lingua! Eppure questi sforzi non rimandano precisamente all’esigenza che si avverte di trovare, al di là di questa, un’altra fonte dell’effetto poetico?
Un’altra di queste enigmatiche e meravigliose opere d’arte è la statua marmorea del Mosè di Michelangelo innalzata nella chiesa di San Pietro in Vincoli a Roma e che, com’è noto, è una parte soltanto di quel gigantesco monumento funebre che l’artista avrebbe dovuto erigere per il potente papa Giulio II.406 Io mi rallegro ogni volta che mi capita di leggere su questa figura un’espressione del tipo: “È l’apice della scultura moderna” (Herman Grimm),407 giacché nessun’altra scultura ha mai esercitato un effetto più forte su di me. Quante volte ho salito la ripida scalinata che porta dall’infelice via Cavour alla solitaria piazza dove sorge la chiesa abbandonata! e sempre ho cercato di tener testa allo sguardo corrucciato e sprezzante dell’eroe, e mi è capitato qualche volta di svignarmela poi quatto quatto dalla penombra di quell’interno, come se anch’io appartenessi alla marmaglia sulla quale è puntato il suo occhio, una marmaglia che non può tener fede a nessuna convinzione, che non vuole aspettare né credere, ed esulta quando torna a impossessarsi dei suoi idoli illusori.
Ma perché chiamo enigmatica questa statua? Non c’è il minimo dubbio che essa rappresenti Mosè, il legislatore degli Ebrei, che tiene le tavole dei sacri Comandamenti. Questo è certo, ma tutte le certezze si fermano qui. Pochissimo tempo fa (1912) uno scrittore di cose d’arte (Max Sauerlandt) ha potuto affermare: “Su nessun’opera d’arte al mondo sono stati espressi giudizi così contrastanti come su questo Mosè dalla testa di Pan. Perfino la semplice interpretazione della figura ha dato luogo a valutazioni assolutamente contraddittorie...” Sulla scorta di un testo che risale soltanto a cinque anni fa,408 esporrò quali dubbi si riallacciano alla concezione della figura del Mosè; e non sarà difficile mostrare che dietro questi dubbi si cela quanto vi è di essenziale e più idoneo ai fini della comprensione di quest’opera d’arte.