16.
Così, prese a congedarsi da lui con le semplici, comuni parole di una conversazione animata e alla buona, che oltrepassava i limiti della realtà e non aveva senso, come non hanno senso i cori e i monologhi delle tragedie, il linguaggio in versi e la musica e altre convenzioni, giustificate solo dal fatto che ogni emozione richiede una convenzione. La convenzione che giustificava l’innaturalezza di quel suo libero, scorrevole colloquio, erano ora le lacrime in cui affondavano, si bagnavano e nuotavano le sue usuali, comuni parole.
Sembrava che, intrise di lacrime, si fondessero nel suo tenero, convulso mormorio, come seriche foglie bagnate da una calda pioggia nel fruscio del vento.
«Eccoci di nuovo insieme, Jùrochka; in che modo il destino ha voluto che ci rivedessimo! Che cosa terribile, pensa! Oh, non ce la faccio! Signore! Singhiozzo! Singhiozzo! Pensa! Ecco di nuovo proprio una di quelle cose tipiche di noi che sono nel nostro genere! La tua morte, la mia fine. Di nuovo qualcosa di troppo grande, d’irreparabile. Il mistero della vita, il mistero della morte, il fascino del genio, il fascino della rivelazione, questo, sì, questo noi avevamo capito. Ma le piccole contese del mondo, come rimaneggiare un po’ tutto il globo terrestre, no, no, permettete, questo non ci riguardava.
«Addio, mio grande, mio caro, addio, mio orgoglio, addio, mio rapido profondo piccolo fiume, come amavo il tuo incessante gorgoglio, come amavo gettarmi nelle tue fresche onde!
«Ricordi quando ti salutai laggiù, tra la neve? Come m’hai ingannata! Credi che sarei partita senza di te? Oh, lo so, lo so, per farlo hai compiuto uno sforzo sovrumano, credendo di fare il mio bene. E tutto è crollato. Dio mio, quanto ho sofferto laggiù, che cosa non ho sopportato! Tu non sai nulla. Oh, cosa ho fatto, Jura, cosa ho fatto! Sono una criminale, non puoi neanche immaginarlo! Ma non è colpa mia. Sono stata per tre mesi all’ospedale, di cui uno in coma. E da allora non è più vita la mia, Jura. La mia anima non ha pace per il tormento e la pena. Ma vedi, non ti dico, non ti rivelo l’essenziale. Non posso dirlo, non ne ho la forza. Quando giungo a quel punto della mia vita, mi si rizzano i capelli dal terrore. E, sai, non credo nemmeno di essere perfettamente normale. Eppure, vedi, non bevo, come fanno molti, non prendo questa strada, perché per una donna il bere è la fine, è qualcosa di spaventoso, non è vero?»
Parlò ancora a lungo, singhiozzando e tormentandosi. A un tratto sollevò stupita la testa e si guardò intorno. Da tempo nella stanza c’era gente, movimento, preoccupazione. Scese dallo sgabello, e vacillando si staccò dalla bara, passandosi le mani sugli occhi come per togliere un resto di lacrime non piante.
Alcuni uomini si avvicinarono alla bara, la sollevarono su tre tele e cominciò il funerale.