7.
Larisa Fëdorovna allibì e in un primo tempo non credette alle proprie orecchie, quando seppe della decisione di Pasha. «E’ assurdo, un’altra pazzia,» pensò. «Basta non farci caso e finirà per non pensarci più.»
Ma venne fuori che già da due settimane Pasha aveva iniziato i preparativi: i documenti militari erano stati richiesti, al ginnasio c’era già un sostituto e da Omsk era giunta la comunicazione che era stato accettato nella locale scuola militare. Si avvicinava il momento della partenza.
Lara si disperò come una semplice “baba”27 e gli si gettò ai piedi, afferrandogli le mani. «Pashen’ka,» gridava, «come? Mi abbandoni con la nostra Kàten’ka! No, no, non lo fare! Siamo ancora in tempo. Sistemerò tutto io. E poi, non ti sei neppure fatto visitare sul serio dal medico! Col tuo cuore! Te ne vergogni? E di sacrificare la tua famiglia a una pazzia non hai vergogna? Volontario! Per tutta la vita hai riso di quello sciocco di Rod’ka e tutt’a un tratto ti fa invidia? Ecco che t’ha preso anche a te la voglia d’appenderti la sciabola e di far l’ufficiale. Pasha, cosa ti succede? Non ti riconosco più! Ti hanno cambiato o sei impazzito? Dimmi, per carità, dimmi onestamente, per amore di Cristo, senza frasi fatte, è di questo che ha bisogno la Russia?»
Di colpo capì che si trattava di ben altro. Incapace di rendersi conto dei particolari, colse l’essenziale, intuendo che Patulja interpretava erroneamente il suo sentimento per lui. Non apprezzava il senso materno che in lei faceva una cosa sola con l’amore, senza comprendere quanto fosse più grande quell’affetto del comune amore d’una donna.
Si morse le labbra, si ritirò in se stessa come vinta e, senza dire più nulla, inghiottendo in silenzio le lacrime, cominciò i preparativi per la partenza.
Quando Pasha fu partito, le parve che in tutta la città si fosse fatto silenzio e che anche in cielo i corvi volassero meno numerosi. «Signora, signora,» la chiamava invano Marfutka. «Mamma, mammina,» balbettava Katja tirandola per una manica.
Era la più grave sconfitta della sua vita. Le sue migliori, più luminose speranze crollavano.
Dalle lettere provenienti dalla Siberia sapeva tutto del marito. Presto l’umore di lui andò rasserenandosi: provava un’immensa nostalgia della moglie e della figlia. Alcuni mesi dopo, fu nominato anzitempo sottotenente e inviato all’improvviso con una missione in zona d’operazioni. Viaggiò in gran fretta su una linea lontana da Jurjatin, e a Mosca non ebbe il tempo di vedere nessuno.
Cominciarono ad arrivare le sue lettere dal fronte, più vivaci e non così tristi come quelle dalla scuola militare di Omsk. Desiderava distinguersi per poter chiedere una licenza, per merito militare, o, magari, in seguito a una leggera ferita, e riabbracciare così la famiglia. E il modo di distinguersi non mancava. Subito dopo lo sfondamento che poi fu noto col nome di Brusilov, l’esercito era passato all’offensiva. Ma le lettere di Antipov smisero di giungere. Dapprima Lara non se ne preoccupò, spiegandosi il silenzio di Pasha con le azioni militari in corso e l’impossibilità di scrivere durante le marce.
In autunno, il movimento dell’esercito si arrestò e le truppe si fortificarono nelle trincee. Ma di Antipov nessuna notizia. Larisa Fëdorovna cominciò ad allarmarsi e a chiedere informazioni, prima a Jurjatin e poi, per posta, a Mosca e al fronte, alla. base della precedente dislocazione dell’unità di Pasha. Ma nessuno sapeva nulla e non giungeva risposta da nessuna parte.
Come molte dame benefattrici del distretto, Larisa Fëdorovna fin dal principio della guerra aveva prestato il suo aiuto nell’ospedale militare, installato presso la clinica dello “zemstvo” di Jurjatin.
Si mise a studiare seriamente i fondamenti della medicina e sostenne presso l’ospedale l’esame per il diploma di crocerossina.
In questa veste chiese un congedo di sei mesi al ginnasio, affidò la casa a Marfutka e con Kàten’ka in braccio parti per Mosca. Qui sistemò la figlia presso Lìpochka, il cui marito, Friesendank, suddito tedesco, era stato internato a Ufà insieme ad altri prigionieri civili.
Convinta dell’inutilità delle ricerche condotte da lontano, Larisa Fëdorovna decise di continuarle sui luoghi degli ultimi avvenimenti. Per questo si aggregò come crocerossina a un treno sanitario che, attraversando la città di Liski, era diretto a Mezo-Laborc, al confine con l’Ungheria. Era la località da cui Pasha le aveva scritto l’ultima lettera.