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Chi era quell’uomo? Era sorprendente che fosse arrivato e avesse potuto mantenersi a un posto così alto, senza essere iscritto al partito, quello sconosciuto, originario di Mosca, che appena finita l’università era andato a insegnare in provincia e che durante la guerra era caduto prigioniero per rimanere fino a poco tempo prima così a lungo irreperibile da esser dato per morto.
Il ferroviere progressivo Tiverzin, in casa del quale era cresciuto, lo aveva raccomandato e aveva garantito per lui. Le persone da cui allora dipendevano le nomine gli avevano creduto. In quei giorni di accese passioni e di estremismi, l’entusiasmo rivoluzionario di Strèl’nikov, anch’esso senza limiti, s’era imposto per la sua autenticità e per un fanatismo non improvvisato, ma preparato da tutta una vita, reale e non occasionale.
Strèl’nikov si era mostrato degno della fiducia riposta in lui.
Il suo stato di servizio dell’ultimo periodo comprendeva i fatti di Ust-Nemdà e Niznij-Kel’mès, la questione dei contadini di Gubasov, che avevano opposto resistenza armata al “Prodotjial”46, e quella del saccheggio, alla stazione di Medvez’ij Poëm, del convoglio di provvigioni da parte del Quattordicesimo fanteria. Nella sua biografia figuravano inoltre l’azione dei «soldati di Razin»47, che avevano provocato la sollevazione della città di Turkatue e, con le armi in pugno, erano passati alle guardie bianche; e la rivolta militare nel porto fluviale di Cirkin Us, durante la quale il comandante rimasto fedele al potere sovietico era stato assassinato.
Strèl’nikov era piombato dovunque come un fulmine, condannando, decretando, decidendo, rapido, severo, inflessibile.
Le incursioni del suo treno avevano posto fine, nel territorio, alle diserzioni in massa. La revisione delle organizzazioni di reclutamento aveva mutato le cose e l’arruolamento nell’Esercito Rosso procedeva ora con successo. Le commissioni di leva lavoravano febbrilmente.
Infine, negli ultimi tempi, quando era cominciata la pressione bianca dal nord e la situazione si presentava grave, a Strèl’nikov erano stati affidati nuovi compiti, strategici, operativi, di carattere propriamente bellico. I risultati del suo intervento non avevano tardato a farsi sentire.
Strèl’nikov sapeva che il popolo gli aveva affibbiato il soprannome di Rasstrèl’nikov48: non se ne curava minimamente, nulla gli faceva paura.
Era nato a Mosca, figlio di un operaio che nel 1905 aveva preso parte alla rivoluzione ed era stato perseguitato. Lui, personalmente, era rimasto estraneo al movimento rivoluzionario, prima perché troppo giovane, poi, negli anni successivi, perché studiava all’università, e i giovani dei ceti poveri, se arrivano a frequentare una scuola superiore, lo fanno con maggior impegno e diligenza che non i figli dei ricchi. Così, tutti i fermenti della gioventù studentesca delle classi agiate, non l’avevano toccato. Era uscito dall’università con una profonda cultura umanistica e l’aveva completata applicandosi per suo conto allo studio della matematica.
Benché esonerato per legge dal servizio militare, era andato in guerra volontario. Dopo essere caduto prigioniero col grado di sottotenente, era riuscito a fuggire e a rientrare in patria alla fine del ‘17, appena saputo che in Russia c’era la rivoluzione.
Due tratti distintivi, due passioni lo dominavano.
I suoi pensieri erano d’una chiarezza e d’un equilibrio estremi. Possedeva in misura rara purezza morale e senso della giustizia, era acceso dai più nobili sentimenti.
Ma, per essere uno scienziato che apre nuove vie, alla sua intelligenza mancava il dono del fortuito, la forza che, con scoperte impreviste, viola la sterile armonia del prevedibile. Nello stesso modo, per operare il bene, alla sua coerenza di principi mancava l’incoerenza del cuore, che non conosce casi generali, ma solo il particolare, ed è grande perché agisce nella sfera del piccolo.
Strèl’nikov, che fin dalla fanciullezza aspirava alle cose più nobili ed elevate, considerava la vita un’immensa arena, dove gli uomini, rispettando onestamente le regole, gareggiano nel raggiungere la perfezione.
Quando si accorse che non è così, non gli venne in mente d’aver torto, d’aver giudicato in modo troppo schematico l’ordinamento del mondo. Tenendo chiusa dentro di sé per molto tempo l’offesa, cominciò ad accarezzare l’idea di poter erigersi un giorno a giudice fra la vita e l’oscuro elemento che la deforma, di assumerne le difese e farne le vendette.
Le delusioni lo avevano esasperato. La rivoluzione gli fornì le armi.