3.
La notte apportò una quantità d’imprevisti. Sopravvenne un tepore insolito per la stagione. Cadeva una pioggia minuta, così leggera che sembrava non toccasse terra, ma si dissolvesse nell’aria in un fumigante pulviscolo acqueo. Ma era solo un’impressione. Le sue acque tiepide, che scorrevano a rivoli, bastarono a spazzar via la neve, a rendere nera la terra come lucida di sudore.
Dai giardini, dove i meli nani erano tutti in germoglio, sporgevano prodigiosamente sulla strada, attraverso gli steccati, i rami, da cui le gocce cadevano in un picchiettio irregolare sui marciapiedi di legno. Il loro discordante tamburellare si propagava per tutta la città. Abbaiava e guaiva nel cortile del fotografo il cucciolo Tomik, messo a catena fino al mattino. Forse irritato dal latrato, il corvo del giardino dei Galuzin faceva udire dappertutto il suo gracchiare.
Nella parte bassa della città, al mercante Ljubeznov erano stati portati tre carri di mercanzia. Ma questi si rifiutava di accettarli, dicendo che c’era un errore, che lui non l’aveva ordinata. Adducendo l’ora tarda, i carrettieri gli avevano chiesto di farli pernottare in casa sua. Il mercante urlava, li voleva mandar via e non apriva la porta. L’alterco si sentiva in tutta la città.
All’ora settima del canone, l’una secondo l’orario normale, dalla campana più pesante del monastero, che si muoveva appena, si staccò e prese lentamente il volo, mescolandosi all’oscura umidità della pioggia, l’onda sommessa di un suono cupo e soave. Si staccò dalla campana come si separa dalla riva, e va in fondo e si discioglie nel fiume una zolla strappata dalla piena.
Era la notte del giovedì santo, il giorno in cui nelle chiese si legge la Passione. In profondità, dietro il reticolato della pioggia si muovevano e nuotavano lumi appena distinguibili, illuminando fronti, nasi e volti. I fedeli andavano al mattutino.
Dopo un quarto d’ora, sulle tavole del marciapiede si udì un passo proveniente dal monastero. Era la negoziante Galuzin, che tornava a casa dalla funzione appena cominciata. Procedeva a un’andatura irregolare, ora prendendo la rincorsa, ora fermandosi, con la pelliccia sbottonata e un fazzoletto sulla testa. Nella calca della chiesa si era sentita male ed era uscita all’aria aperta, ma ora si vergognava e rimpiangeva di non esser rimasta all’uffizio, di non aver fatto le devozioni per la seconda volta in due anni. Ma non era questa la causa della sua agitazione. Era rattristata per l’ordine di mobilitazione affisso quel giorno dappertutto, e che riguardava anche quel povero scemo di suo figlio Terësha. Cercava di non pensarci, ma i manifesti che biancheggiavano ovunque nel buio glielo ricordavano continuamente.
La sua casa era dietro l’angolo, a due passi, ma fuori le pareva di star meglio. Aveva bisogno d’aria e non se la sentiva di tornare a casa, a soffocare.
L’assalivano tristi pensieri. Se li avesse dovuti esporre ad alta voce, per ordine, le parole e il tempo non le sarebbero bastati, anche a far l’alba. E invece lì, in strada, quelle malinconiche riflessioni volavano a brandelli e pochi minuti bastavano per tutte, quanto ci voleva appunto a rifare due o tre volte quel tratto dall’angolo del monastero all’angolo della piazza.
Si sentiva già nell’aria la grande festa, ma in casa non c’era anima viva; tutti se n’erano andati, lasciandola sola. Non l’avevano forse lasciata sola? Si capisce, sola. La figlia adottiva Ksjusha non contava. E poi, chi era? L’anima degli altri è un abisso tenebroso. Forse era una amica, forse una nemica. Forse anche una segreta rivale. L’aveva ereditata dal primo matrimonio di suo marito Vlàsulshka, che l’aveva adottata. E chissà!
Forse nemmeno adottata; forse era una figlia illegittima. O addirittura, nemmeno figlia, ma tutt’altro! Come fai a entrare nell’anima d’un marito? Però, niente da dire sulla ragazza. Intelligente, bella, un modello. Assai più intelligente di quello scemo di Terësha e del padre adottivo.
Eccola dunque sola, la vigilia di Pasqua. L’avevano abbandonata, se n’erano volati via, chi qua, chi là.
Il marito Vlàsushka se n’era andato lungo la grande strada a tener discorsi alle reclute, dietro ai richiamati in guerra. Sai quanto farebbe meglio, quello stupido, a darsi da fare per suo figlio, a salvarlo dal pericolo di morte.
Anche il figlio Terësha non aveva resistito, aveva preso il volo alla vigilia della grande festa, andandosene dai parenti a Kutejnyj posàd, a divertirsi e a consolarsi. Già, quel povero ragazzo, l’avevano espulso dall’istituto. Aveva ripetuto metà delle classi senza aver noie, ma all’ottava non ne avevano potuto più e l’avevano sbattuto fuori.
Ah, che tristezza! Oh, Signore! Perché va tutto a catafascio? Da farti cadere le braccia. Ti crolla tutto, non hai più voglia di vivere. Perché deve andare così? Forse per colpa della rivoluzione? No, ah no! E’ tutta colpa della guerra. In guerra hanno massacrato tutto il fior degli uomini ed è rimasto solo il marciume buono a nulla, inutile.
Era forse così in casa sua, col babbo che faceva l’appaltatore? Il babbo non era un bevitore, era un uomo istruito, e la casa era piena d’ogni bene come una tazza colma. E le due sorelle, Polja e Olja! Tali e quali come i loro nomi andavano d’accordo quelle due, e tutte e due belle! E dal babbo si recavano i capisquadra dei carpentieri, aitanti, alti, così interessanti. E quella volta che, a un tratto, alle ragazze era saltato in testa, non che in casa mancasse qualcosa, era saltato in testa, fantasiose com’erano, di fare a maglia sciarpe di sei colori. Ebbene, s’erano rivelate così brave, che le sciarpe erano diventate famose in tutto il distretto. Tutto, allora, aveva una consistenza, un decoro, era proprio un piacere: il servizio in chiesa, i balli, la gente, le maniere, anche se la famiglia era di origini modeste, piccolo-borghesi di ceto operaio e contadino. E anche la Russia allora era una ragazza, e con veri ammiratori, veri difensori, mica come quelli di oggi. Ma oggi tutto ha perso il suo lustro, c’è solo una marmaglia d’avvocati, e tutti questi giudei che giorno e notte, senza stancarsi, masticano parole, si soffocano di parole. Vlàsulshka e i suoi amici credono di far tornare i vecchi tempi d’oro con lo sciampagna e le buone intenzioni. Ma è forse così che si riconquista il perduto amore? Per questo, bisogna smuovere le pietre, spostare le montagne, rivoltare la terra!