17.

«Tutto ciò non è per voi. Non lo potreste capire. Voi siete cresciuto in un altro mondo. Il mio era il mondo della periferia cittadina, il mondo dei depositi ferroviari e dei casermoni operai. Sudiciume, mancanza di spazio, miseria, il disprezzo per i lavoratori, le donne oltraggiate. Era la sghignazzante, impunita insolenza della corruzione, dei figli di papà, degli studenti ‘con le fodere bianche’88 e dei mercanti. Rispondevano alle lacrime e ai lamenti dei derubati, degli offesi, delle donne sedotte, con una battuta di spirito, o con uno scatto di sprezzante irritazione. La beata serenità dei parassiti, che si distinguevano solo per non essersi mai dati pensiero di niente, per non aver mai cercato niente, non aver mai dato né lasciato niente al mondo! E noi invece si prendeva la vita come una campagna militare, abbattevamo le montagne per coloro che amavamo. E, benché non si sia riusciti che a farli soffrire, non abbiamo torto loro un capello, ché eravamo ancora più martiri di loro. Sentite, prima di continuare, ritengo mio dovere dirvi questo: dovete andarvene subito di qui, se ci tenete ancora alla vita. Intorno a me la rete si va stringendo e, comunque vada a finire, mischieranno anche voi in questa faccenda, anzi ci siete già coinvolto solo per avermi parlato. E oltretutto, qui ci sono molti lupi, giorni fa gli ho dovuto sparare.»

«Ah, siete stato voi a sparare?»

«Sì. Mi avete sentito, non è vero? Mi stavo recando in un altro rifugio, ma prima di raggiungerlo, da vari indizi ho capito che era stato scoperto e quelli che mi dovevano ospitare probabilmente erano periti. Non resterò qui a lungo, voglio solo passare la notte e domani mattina me ne andrò. Così, col vostro permesso, continuo. Forse che i quartieri come quelli delle vie Tverskaja e Jamskaja89 e i bellimbusti che passavano in carrozza in lieta compagnia, col cappello sulle ventitré e i pantaloni con la staffa, esistevano solamente a Mosca, solamente in Russia? No, la via, la via della sera, la crepuscolare via del secolo, i cavalli roani, i trottatori c’erano dappertutto. Ma qualcosa contrassegnava quell’epoca e faceva del diciannovesimo secolo un unico periodo storico: la nascita del pensiero socialista. Scoppiavano rivoluzioni, giovani pieni d’abnegazione salivano sulle barricate. Gli scrittori si stillavano il cervello per sferzare l’animalesca sfacciataggine del denaro ed elevare e difendere l’umana dignità dei poveri. E venne il marxismo, che vide dov’era la radice del male, dov’era il mezzo per guarirlo e diventò la forza motrice del secolo. Tutto questo fu l’epoca delle vie Tverskaja e Jamskaja, il sudiciume e il fulgore della santità, la corruzione e i quartieri operai, i proclami e le barricate. Com’era bella lei allora, al ginnasio! Non potete immaginarlo! Spesso veniva a trovare una sua compagna di scuola nella casa degli impiegati della ferrovia di Brest. Così si chiamava quella ferrovia un tempo, prima dei vari nomi che le dettero in seguito. Mio padre, che ora è membro del tribunale di Jurjatin, lavorava come sorvegliante sul tratto della stazione. Anch’io andavo in quella casa e la vedevo. Era una ragazza, una bambina, ma nel suo viso, nei suoi occhi già si leggeva un pensiero ansioso, l’inquietudine del secolo. Tutti i motivi dell’epoca, le sue lacrime e le sue offese, i suoi impulsi, la sua sete di vendetta accumulata da tempo e il suo orgoglio erano scritti nel volto e nel portamento di lei, in quella sua mescolanza di timidezza verginale e di grazia ardita. L’accusa al secolo si poteva rivolgere in nome di lei, con le sue labbra. Credetemi, non sono sciocchezze. E’ una sorta di predestinazione, un segno che una persona può avere, che possiede di natura, quasi per diritto.»

«Ne parlate in modo perfetto. Anch’io la vidi a quel tempo, proprio come voi l’avete descritta. La scolara di ginnasio si fondeva in lei con l’eroina d’un mistero tutt’altro che infantile. La sua ombra si disegnava sulla parete in un atteggiamento guardingo e insieme impotente a difendersi. Così l’ho vista, è così che la ricordo. E voi l’avete detto in modo mirabile.»

«L’avete vista e la ricordate? E cosa avete fatto?»

«E’ un’altra questione.»

«E così, vedete, tutto questo secolo diciannovesimo con le sue rivoluzioni a Parigi, con le sue varie generazioni di emigranti russi, a cominciare da Herzen, coi progettati regicidi falliti o no, tutto il movimento operaio nel mondo, tutto il marxismo nei parlamenti e nelle università d’Europa, tutto il nuovo sistema di idee, la novità e la rapidità delle deduzioni, la sua ironia, tutta la conseguente spietatezza elaborata in nome della pietà, tutto questo assorbì in sé ed espresse con tutto se stesso, sintetizzandolo, Lenin, per scagliarsi, come la personificazione della vendetta, sul vecchio mondo contro ogni nequizia.

«Insieme con lui si levò l’immagine incancellabile e immensa della Russia, che a un tratto, sotto gli occhi di tutto il mondo, avvampò come un cero di redenzione per tutta l’inanità e le sofferenze del genere umano. Ma perché vi dico questo? Per voi non è che tintinnio di cembali, vuoto suono.

Per quella ragazza sono andato all’università, per lei sono diventato professore e sono andato a insegnare a Jurjatin, che allora non conoscevo. Ho divorato un monte di libri e acquistato un’infinità di cognizioni per essere utile a lei, per trovarmi pronto se avesse avuto bisogno del mio aiuto. Sono andato in guerra per conquistarla di nuovo, dopo tre anni di matrimonio, e poi, dopo la guerra, al ritorno dalla prigionia, ho approfittato del fatto che mi credevano morto e sotto falso nome mi sono buttato nella rivoluzione per vendicare tutto ciò che lei aveva sofferto, per cancellare ogni traccia dei suoi tristi ricordi, perché non fosse più possibile tornare al passato, perché non esistessero più vie come la Tverskaja e la Jamskaja. E loro, lei e mia figlia erano vicine, erano qui! Che sforzo disumano mi è costato soffocare il desiderio di precipitarmi da loro, di vederle! Ma prima volevo portare a termine l’impresa della mia vita. Oh, che cosa non darei ora per poterle vedere anche solo una volta! Quando lei entrava nella stanza, sembrava si spalancasse la finestra, che la stanza si riempisse d’aria e di luce.»

«So quanto l’amavate. Ma, scusatemi, avete idea di quanto anche lei vi amasse?»

«Come? Cosa avete detto?»

«Dico se potete immaginare fino a che punto le foste caro, più caro di chiunque al mondo?»

«Come lo sapete?»

«Me l’ha detto.»

«Lei? A voi?»

«Sì.»

«Scusate. Vi chiedo una cosa cui potete non rispondere, ma, se è consentito dai limiti della discrezione, se vi sentite di farlo, ripetetemi, vi prego, il più esattamente possibile che cosa vi ha detto.»

«Certo, volentieri. Vi ha definito un uomo straordinario, un uomo di cui non esiste l’uguale, unico per la sua assoluta onestà, e ha detto che se in capo al mondo le apparisse di nuovo la visione della vostra casa, si trascinerebbe fino alla sua soglia, strisciando in ginocchio, da qualunque luogo, anche dai confini della terra.»

«Scusate, se non è un’intrusione in un vostro segreto, cercate di ricordare quando, in quale circostanza, lo ha detto.»

«Stava riordinando questa stanza. E poi è uscita per sbattere il tappeto.»

«Quale, scusatemi? Qui ce ne sono due.»

«Il più grande.»

«Da sola non ce l’avrebbe fatta. La stavate aiutando?»

«Sì.»

«Voi tenevate l’altra estremità del tappeto, lei si buttava indietro, sollevando in alto le braccia, come sull’altalena, volgeva la testa da una parte per evitare la polvere, chiudeva gli occhi e rideva? Non è vero? Come conosco ogni suo gesto! E poi avete cominciato ad avvicinarvi piegando il pesante tappeto prima in due, poi in quattro, e così facendo lei scherzava e vi prendeva in giro? Non è vero? Non è vero?»

Si alzarono dai loro posti, si avvicinarono ognuno a una finestra, guardando in direzioni diverse. Dopo una pausa, Strèl’nikov si avvicinò a Jurij Andrèevich, gli prese le mani, se le portò al petto, riprendendo a parlare con la stessa concitazione:

«Scusate, capisco che tocco qualcosa di caro, di intimo. Ma, se me lo permettete, vi interrogherò ancora. Non ve ne andate. Non lasciatemi solo. Presto me ne andrò anch’io. Pensate, sei anni di separazione, sei anni di inimmaginabile violenza su me stesso. Ma mi sembrava che non tutta la libertà fosse stata ancora conquistata. Pensavo: prima conquistarla e poi apparterrò tutto a loro, non avrò più le mani legate. E, invece, tutti i miei progetti sono andati in frantumi. Domani mi prenderanno. Voi le siete caro e l’amate, forse un giorno la rivedrete. Ma no, che cosa vi chiedo? E’ una follia. Mi prenderanno e non mi daranno il tempo di giustificarmi. Mi si butteranno subito addosso, tappandomi la bocca con urla e insulti; proprio io dovrei non sapere come vanno queste cose?»

Il dottor Zivago
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