11.
Jurij Andrèevich sedeva in un angolo appartato della sala, circondato di libri. Davanti a lui stavano riviste di statistica agraria e alcune opere di etnografia sulla regione. Chiese ancora due volumi sulla storia di Pugacëv, ma la bibliotecaria con la blusa di seta gli fece osservare con un sussurro, attraverso il fazzoletto premuto sulle labbra, che non si potevano dare tanti libri in una sola volta e che, per averne degli altri, avrebbe dovuto restituire parte di quelli che aveva già preso.
Si accinse allora a esaminare con maggior diligenza e rapidità i volumi che non aveva ancora guardato, in modo da poter scegliere e trattenere quelli più necessari e cambiare gli altri con le opere storiche che lo interessavano. Sfogliava rapidamente le pagine e scorreva gli indici, assorto, senza guardarsi intorno. La gente nella sala non lo disturbava, né lo distraeva. Aveva già studiato i propri vicini e li sentiva alla sua destra e alla sua sinistra, senza alzare gli occhi dal libro, persuaso che non avrebbero cambiato posizione fin quando anche lui non se ne fosse andato, come non mutavano di posto le chiese e le case che si scorgevano dalla finestra.
Intanto il sole, però, non era rimasto fermo e nel suo cammino aveva aggirato l’angolo orientale della biblioteca: ora scintillava sulle finestre esposte a mezzogiorno, abbagliando quelli che vi erano seduti vicino e impedendo loro di leggere.
La bibliotecaria raffreddata scese dalla pedana, come da un palcoscenico, si diresse verso le finestre e abbassò le tende a saliscendi, di stoffa bianca, che attenuarono gradevolmente la luce. Di una sola finestra che era in ombra, non abbassò le tende, ma tirando un cordoncino ne aprì il vasistas ribaltabile. E starnutì.
Quando ebbe starnutito dieci o undici volte, Jurij Andrèevich capì che era la cognata di Mikùlicyn, una delle Tuncev, di cui gli aveva raccontato Samdevjatov. Come gli altri lettori, anch’egli alzò la testa e guardò verso di lei.
Si accorse allora che qualcosa era mutato nella sala. Nell’angolo opposto si era seduta una nuova lettrice. Riconobbe subito la Antipov. Volgeva le spalle al tavolo dove stava seduto lui e conversava a mezza voce con la bibliotecaria raffreddata, che le parlava china, in un sussurro. Evidentemente la conversazione doveva esercitare un influsso benefico sulla bibliotecaria, perché guarì all’istante, non solo del noioso raffreddore, ma anche della sua tensione nervosa. Dopo aver gettato alla Antipov un caldo sguardo di riconoscenza, si tolse dalle labbra il fazzoletto, lo mise in tasca e ritornò al suo posto oltre il bancone, tutta allegra, sorridente e sicura di sé.
La scena, caratterizzata da tali commoventi particolari, non passò inosservata. Dai tavoli, molti guardavano con simpatia alla Antipov e sorridevano. Sintomi impercettibili: ma bastarono perché Jurij Andrèevich si rendesse conto che in città la conoscevano e l’amavano.