8.
Al fronte, allo stato maggiore della divisione, era giunto un treno di disinfestazione, attrezzato grazie alle offerte private del Comitato di Tat’jana28 per il soccorso ai feriti. Nell’unico vagone a scompartimenti del lungo treno, composto di piccoli e orrendi vagoni merci riadattati, erano giunti alcuni ospiti, personalità di Mosca che recavano doni ai soldati e agli ufficiali. Gordon era del gruppo. Aveva saputo che il lazzaretto della divisione, dove, secondo informazioni ricevute, lavorava il suo amico d’infanzia Zivago, era dislocato nel villaggio vicino.
Si procurò l’autorizzazione necessaria per spostarsi nella zona attigua al fronte e parti a bordo di una “furmanka”29 diretta da quelle parti, per rivedere l’amico.
Il conducente, bielorusso o lituano, parlava male il russo. La paura delle spie riduceva ogni discorso a un unico modello ufficiale, facilmente prevedibile, il cui ostentato ottimismo non invitava alla conversazione. Per la maggior parte del tragitto, viaggiatore e conducente stettero in silenzio.
Allo stato maggiore, abituati com’erano a spostare intere armate e a misurare le distanze a dislocamenti di centinaia di “verste”, avevano assicurato che il villaggio era vicinissimo, a non più di venti o venticinque “verste”. In realtà risultarono più di ottanta.
Durante il viaggio, sulla sinistra dell’orizzonte fu tutto un ringhiare e un tuonare ostili. Gordon non si era mai trovato in un terremoto, ma gli sembrò con ragione che il brontolio tetro, appena percettibile per la lontananza dell’artiglieria nemica, più che a ogni altra cosa si potesse paragonare alle scosse sotterranee e al rombo di un’eruzione vulcanica. Quando imbrunì, la parte più bassa del cielo si accese in quella direzione di un bagliore rosa e tremulo che non si spense fino al mattino.
La “furmanka” attraversava villaggi distrutti. Parte erano stati abbandonati dagli abitanti; in altri, la gente si era rifugiata in cantine scavate in profondità, sottoterra. Tutti quei villaggi apparivano come ammassi di rottami e macerie lungo una linea ininterrotta, là dove un tempo sorgevano le case, e si offrivano allo sguardo dall’una all’altra estremità come campi abbandonati, privi di vegetazione. In superficie formicolavano vecchiette, sopravvissute, ciascuna sulle ceneri della propria casa tutte intente a scavare là in mezzo, nascondendo sempre qualcosa, come sicure d’avere intorno a loro ancora delle pareti a difenderle da sguardi estranei. Osservavano e seguivano Gordon con occhi che sembravano chiedere se al mondo si sarebbero finalmente decisi a mettere giudizio e se l’ordine e la pace sarebbero tornati.
Durante la notte i viaggiatori s’imbatterono in una pattuglia che ordinò loro di abbandonare la carrozzabile e di prendere una strada secondaria. Il conducente non la conosceva e per quasi due ore errarono senza meta. Verso l’alba giunsero al villaggio, ma nessuno sapeva del lazzaretto. Alla fine appurarono che nel distretto esistevano due villaggi con lo stesso nome, questo e l’altro che cercavano. Al mattino finalmente lo raggiunsero. Costeggiando la periferia dell’abitato, in cui stagnava un odore di jodoformio e di camomilla, Gordon pensò che non sarebbe rimasto li a dormire, ma che dopo aver trascorso la giornata con l’amico, la sera sarebbe tornato alla stazione, dove l’attendevano gli altri. Ma le circostanze lo trattennero per più di una settimana.