13.
Era buio pesto. Senza motivo apparente il treno era fermo in un punto qualsiasi della linea, costeggiata di abeti. Altri che erano scesi prima di lui e stavano lì battendo i piedi, gli dissero che, a quanto avevano saputo, non era successo niente, ma sembrava che il macchinista avesse fermato il treno col pretesto che la zona era pericolosa e, finché non fosse stato controllato con un carrello lo stato della linea, si rifiutava di proseguire. Si diceva che una piccola delegazione di passeggeri fosse andata da lui per dissuaderlo e, se necessario, per ungerlo un poco. Sembrava poi che fossero intervenuti i marinai, i quali, l’avrebbero convinto.
Mentre parlavano, la neve davanti alla locomotiva, come per il riflesso ansimante di un falò, si illuminava a tratti delle vampe che uscivano dal camino e dal cenerario della macchina. D’improvviso una di quelle lingue di fuoco inquadrò vivamente uno squarcio di campagna nevosa, la locomotiva e alcune figure nere che correvano lungo il telaio della locomotiva.
Quella davanti a tutte, evidentemente il macchinista, arrivò correndo fino all’estremità della locomotiva e saltò al di là dei respingenti, scomparendo alla vista. Lo stesso fecero i marinai che lo inseguivano anch’essi corsero sino alla fine della graticola, saltarono, balenarono nell’aria e parvero sparire sotto terra.
Interessato alla scena, Jurij Andrèevich si diresse con alcuni altri verso la testa del treno.
Davanti alla locomotiva, sulla linea, scorsero il macchinista che si dibatteva, sprofondato fino alla vita nella neve alta del terrapieno, e i marinai, nella neve fino alla cintola anche loro, che lo circondavano a semicerchio, come battitori attorno alla preda.
Il macchinista gridava:
«Grazie, belle procellarie43 che siete! Anche questa dovevo vedere! Con le rivoltelle contro un vostro fratello lavoratore! Perché ho detto che il convoglio non può proseguire. Compagni passeggeri, siete testimoni! Qui c’è gente d’ogni risma che svita i bulloni. Per la madre vostra e per metà di vostra nonna, a me che me ne viene, che me ne importa a me? Non lo faccio mica per me, v’arrivi un getto bollente di vapore sotto le costole! Ma per voi, perché non vi succeda nulla. Ed ecco cosa mi tocca, in contraccambio. E va bene, sparatemi addosso, plotone di mine! Compagni passeggeri, siete testimoni, eccomi, son qua, io non mi nascondo.»
Dal gruppo che stava sul ciglio del terrapieno si levarono esclamazioni confuse.
«Ma che dici?… Sta’ tranquillo!… Ma chi ti abbandona?… Loro fanno così… solo per spaventarti…»
Altri lo provocarono, gridandogli:
«Così si fa, spazzacamino! Non cedere, locomotiva!»
Un marinaio riuscì prima degli altri a liberarsi dalla neve. Era un gigante rosso di capelli, con una testa così enorme che la faccia sembrava schiacciata. Si rivolse calmo alla folla e, con cupa voce di basso, dalle cadenze ucraine come Voronjùk, disse alcune parole che per la loro assoluta tranquillità suonarono comicamente nella notte in quella assurda situazione.
«Mi scuso, ma cos’è ‘sto Termidoro? Badate di non prendervi un malanno con questo vento, cittadini. Via da sto freddo, risalite nei vagoni!»
Quando la folla, che cominciò subito a diradarsi, fu a poco a poco rientrata negli scompartimenti, il fulvo marinaio si avvicinò al macchinista che non era ancora dei tutto tornato in sé e disse:
«Basta con gli isterismi, compagno macchinista. Fuori dal fosso, e partiamo, su.»