9.

Di solito, quando il treno si avvicinava a una stazione, Antonina Aleksàndrovna, che stava sdraiata in alto, sul pancaccio superiore, nell’unica posizione consentitale dal soffitto basso, si sollevava, spenzolando la testa, e attraverso una fessura della porta socchiusa, valutava se la località che si profilava in lontananza presentasse interesse dal punto di vista dello scambio delle merci e se valesse la pena di scendere e di uscire all’aperto.

Così fu anche quella volta. Il rallentare del convoglio la tolse dall’assopimento. Il gran numero di scambi, sui quali il treno sobbalzava con un fragore sempre più alto, indicava l’importanza della stazione e la durata della fermata.

Antonina Aleksàndrovna si levò a sedere, chinata, si sfregò gli occhi, si aggiustò i capelli e, affondando la mano nella bisaccia, ne trasse, dopo aver frugato fino in fondo, un asciugamano tutto ricamato di galli, figure umane, archi e ruote.

Intanto si svegliò anche il dottore che saltò giù per primo dalla dura cuccetta e aiutò la moglie a scendere.

Lungo lo sportello spalancato dei vagone già sfilavano le cabine, le luci e gli alberi della stazione, appesantiti da spessi strati di neve che i rami porgevano al treno in arrivo come fossero il pane e il sale del benvenuto. Dal treno ancora in moto, per primi saltarono giù, sulla neve intatta della banchina, i marinai, e di slancio, precedendo tutti, corsero dietro l’angolo della stazione dove di solito, protette dal muro, si nascondevano le venditrici clandestine di generi alimentari.

L’uniforme nera, i nastri svolazzanti dei berretti e i pantaloni, larghi in basso a forma di imbuto, davano ai loro passi uno slancio e un impeto che faceva scartare la gente di lato, come davanti a sciatori in corsa o a pattinatori lanciati a tutta velocità.

Dietro l’angolo, nascondendosi l’una dietro l’altra, si allungavano in fila indiana, tutte emozionate come davanti all’indovina, le contadine dei villaggi vicini. Vendevano cetrioli, ricotta, carne lessa e pizze di segale, che, al riparo delle coperte imbottite in cui erano avvolte, conservavano anche nel freddo l’aroma e il tepore. Donne e ragazze, cogli scialli aggiustati sotto il bavero dei loro pellicciotti, arrossivano come papaveri a certi scherzi dei marinai che allo stesso tempo temevano come il diavolo, perché soprattutto di marinai erano formati i reparti contro la speculazione e il libero commercio.

Ma il loro turbamento non durò a lungo. Il treno si fermava. Sopraggiunsero anche gli altri passeggeri. Il pubblico si mescolava, lo smercio s’intensificò.

Antonina Aleksàndrovna faceva il giro delle venditrici con l’asciugamano gettato su una spalla come andasse nel retrocortile della stazione per lavarsi con la neve. Già varie volte le avevano gridato dalla fila: «Ehi, ehi, cittadina, cosa chiedi per quella stoffa?»

Ma Antonina Aleksàndrovna, invece di fermarsi passava oltre in compagnia del marito.

In fondo alla fila stava una donna con un fazzoletto nero a ricami scarlatti. Notò l’asciugamano ricamato e gli occhi insolenti le si accesero. Guardò in giro, si assicurò che non vi fosse pericolo, e accostatasi in fretta ad Antonina Aleksàndrovna scoprendo la propria merce, sussurrò rapida e concitata:

«Guarda. Hai mai visto roba simile? Non ti fa voglia? Be’, non star lì a pensarci tanto, altrimenti te lo porta via qualcun altro. Dammi l’asciugamano, e prenditi questo bel pezzo.»

Antonina Aleksàndrovna non capì le ultime parole. Credette che la contadina volesse parlare del fazzoletto e domandò:

«Che cosa dici, mia cara?»

Ma la contadina aveva alluso alla mezza lepre tagliata in lungo e completamente arrostita che teneva in mano. Infatti ripeté:

«Ti dico di darmi l’asciugamano per questo pezzo qua. Cos’hai da guardare? Mica è cane. Mio marito è cacciatore. E’ lepre, lepre.»

Fecero il baratto. A ognuna sembrò d’aver fatto un gran guadagno e che l’altra ci avesse rimesso. Antonina Aleksàndrovna sentì vergogna di ingannare così disonestamente una povera contadina e questa, contenta dell’affare, si affrettò ad allontanarsi al più presto dal luogo del misfatto e, data la voce a una vicina che aveva venduto tutto, si avviò con lei verso casa per una pista di neve che si perdeva lontano.

In quel momento nella folla si produsse un parapiglia. Una vecchia si mise a gridare:

«Dove vai, bello mio? E i soldi? Quando me li hai dati, svergognato? Ah, pancia sfondata! Gli grido e lui se ne va senza nemmeno voltarsi. Fermati, ti dico, fermati, signor compagno! Aiuto! Un furto! Mi hanno derubata! Eccolo, eccolo, tenetelo!»

«Ma chi è?»

«Quello là, senza barba. Quello là che ride, che ride e se ne va.»

«Quello che ha il gomito strappato?»

«Ma sì, ma sì. Tenetelo, quel miscredente!»

«Quello che ha una pezza sulla manica?»

«Ma sì, ma si. Ah, gente, mi hanno derubata!»

«Che è successo qui?»

«Uno che faceva finta di comprare da questa donna. S’è rimpinzato la pancia di frittelle e di latte, e via! Lei piange e si dispera.»

«Non si può fargliela passare così. Bisogna acchiapparlo.»

«Provaci. E’ tutto cinturoni e cartucce. E’ lui che ti acchiappa!»

Il dottor Zivago
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