13.
Il giorno seguente, arrivando per pranzo, Zivago disse: «Non vedevi l’ora di partire; be’, sei stato accontentato. Non posso dire ‘beato te’, perché c’è poco da essere beati con il nemico che ha ripreso a darci addosso, se già non ci ha sconfitti. La strada verso est è libera, ma incalzano da occidente. C’è l’ordine per tutte le organizzazioni sanitarie di andarsene. Partiremo domani o dopodomani. Per dove, non si sa. Ma, Karpenko, la biancheria di Michaìl Grigòr’evich naturalmente non è stata lavata. La solita storia. ‘La comare qui, la comare là…’ ma se gli chiedi chi è questa comare, mai che ti sappia rispondere, quell’idiota!»
Non ascoltò che cosa andava dicendo a propria giustificazione l’attendente e non badando a Gordon, che si rammaricava d’aver usato la biancheria dell’amico e di dover partire, anche adesso, con la sua camicia, continuò:
«Ah, la nostra è una vita errabonda, da zingari nomadi. Quando siamo arrivati qui non c’era niente che mi andasse, la stufa non era al posto giusto, il soffitto mi sembrava basso e poi la sporcizia, la mancanza di aria. E ora, neanche se mi ammazzi, riuscirei a ricordarmi dove eravamo prima. E mi sembra che potrei rimanere tutta la vita qui, a guardare quest’angolo di stufa con il sole sulle piastrelle e l’ombra dell’albero vicino alla strada, che ci scivola sopra.»
Cominciarono senza fretta a fare i bagagli.
Nella notte furono svegliati da grida e rumori, sparatorie e fuggi fuggi: il villaggio era illuminato sinistramente. Ombre passavano davanti alla finestra. Dall’altra parte della parete, i padroni di casa si erano alzati.
«Corri in strada, Karpenko, e domanda cos’è questa confusione,» disse Jurij Andrèevich.
Presto se ne seppe la ragione. Zivago, vestitosi di furia, andò personalmente al lazzaretto per accertarsi delle voci che correvano e che risultarono vere. I tedeschi avevano infranto la resistenza nel settore, la linea di difesa si era spostata e continuava ad avvicinarsi. Il villaggio era sotto il fuoco. Il lazzaretto e gli altri impianti venivano smontati in fretta senza attendere l’ordine di evacuazione. Pensavano di terminare prima dell’alba.
«Tu andrai col primo convoglio, i carri stanno per partire, ma ho detto che ti aspettino. Allora, addio. Ti accompagno per vedere come ti sistemano.»
S’avviarono di corsa verso l’altra estremità del villaggio, dove veniva armato un reparto. Passando davanti alle case, si chinavano e si nascondevano dietro ogni sporgenza. Per la strada fischiavano e ronzavano le pallottole. Dagli incroci dei sentieri che portavano nella campagna, si vedevano aprirsi come ombrelli di fiamma gli scoppi degli “shrapnels”.
«E tu?» domandò Gordon sempre correndo.
«Io, poi. Prima devo tornare a casa a prendere la mia roba. Parto col secondo scaglione.»
Si salutarono davanti al recinto. La carrozza e i carri, che componevano il convoglio, si mossero urtandosi e a poco a poco formarono la fila. Jurij Andrèevich agitò la mano in segno di saluto verso l’amico. Le fiamme di un deposito li illuminavano.
E così, cercando di procedere rasente le isbe, al riparo delle loro sporgenze, Jurij Andrèevich tornò lentamente sui propri passi. Due isolati prima di arrivare a casa sua, lo spostamento d’aria di un’esplosione lo buttò a terra e uno “shrapnel” lo ferì. Cadde in mezzo alla strada, coperto di sangue, e perse conoscenza.