28.
Dopo aver detto la parola d’ordine al corpo di guardia, la sentinella salì col dottore in uno dei due vagoni collegati da un mantice di cuoio. Al loro apparire, cessarono istantaneamente le risa e il chiasso che prima si erano sentiti.
Attraverso lo stretto corridoio, la sentinella condusse il dottore in un ampio scompartimento dove regnavano ordine e silenzio. Nell’ambiente, pulito e confortevole, lavorava gente ammodo, correttamente vestita. Il dottore aveva immaginato tutto diverso il quartier generale di quell’«esperto militare senza-partito», che in breve era diventato vanto e terrore di un’intera regione.
Ma, probabilmente, il centro della sua attività non era lì, bensì in un luogo più avanzato, nel quartier generale del fronte, più vicino al teatro delle sue gesta. Questo era il suo ufficio privato, il suo gabinetto personale, il quartiere di campagna.
Ecco perché qui c’era quiete, come nei corridoi degli stabilimenti di bagni caldi d’acqua di mare, dalle corsie ricoperte di sughero, lungo le quali gli inservienti camminano silenziosi nelle loro pantofole.
L’ufficio era stato ricavato dall’ex vagone ristorante: era arredato da un tappeto e vari tavoli.
«Subito,» disse un giovane militare, seduto vicino all’ingresso. Dopo di che, tutte le persone che erano ai tavoli si ritennero in diritto di dimenticare il dottore e non gli rivolsero più uno sguardo. Lo stesso militare, con un cenno distratto della testa, congedò la sentinella che si allontanò facendo rintronare il calcio del fucile sulle liste metalliche del corridoio.
Dalla soglia il dottore scorse le proprie carte: erano sul bordo dell’ultimo tavolo, davanti a un militare anziano, un tipo di colonnello vecchio stile. Doveva essere addetto a un qualche lavoro di statistica militare. Canticchiando tra i denti, sbirciava alcuni manuali, esaminava carte militari, confrontava, ritagliava e incollava. Poi guardò una dopo l’altra tutte le finestre del locale e disse: «Oggi farà molto caldo,» come se fosse il risultato dell’esame di tutte le finestre e non apparisse già evidente dalla prima.
Sul pavimento, strisciando fra i tavoli, un altro militare riparava il cavo telefonico interrotto. Quando giunse sotto il tavolo del giovane militare, questi si alzò per non essergli d’impaccio. Accanto si affannava su una macchina da scrivere guasta una dattilografa con una giubba da uomo color cachi. Il carrello della macchina si era spostato da un lato, incastrandosi nel telaio. Il giovane militare le si accostò e si mise a cercare insieme a lei la causa del guasto. Si avvicinò strisciando il telefonista e, di sotto, prese a esaminare i tasti e la trasmissione. Anche il tipo di colonnello si alzò dal suo posto e venne vicino a loro. Tutti si occupavano della macchina.
Il dottore si tranquillizzò. Non si poteva supporre che persone certo più al corrente di lui della sua sorte, si interessassero a cuor leggero di simili sciocchezze alla presenza di un condannato.
«Del resto, chi li capisce?» pensava. «Come fanno a essere così spensierati? Tutt’intorno tuonano i cannoni, la gente muore, e loro prevedono una giornata calda, calda per il clima, non in vista d’una battaglia. O ne hanno vedute tante che ormai non c’è più niente che gli faccia impressione?»
E, non sapendo che fare, dal suo posto cominciò a guardare, attraverso lo scompartimento, fuori dalle finestre che aveva di fronte.