15.
Rimase in delirio per due settimane, salvo brevi. intervalli. Sognava che sulla sua scrivania Tonja aveva messo le due Sadòvye, a sinistra la Sadòvaja Karètnaja e a destra la Sadòvaja Triumfàl’naja, e che gli aveva avvicinato troppo la lampada da tavolo, ardente, rossastra. Nelle strade c’era luce. Si poteva lavorare. Ed ecco che lui scrive.
Scrive con foga e straordinaria facilità ciò che sempre ha voluto e da tempo avrebbe dovuto scrivere: mentre prima non era mai stato capace, ora gli riesce benissimo. Solo a momenti lo disturba un ragazzo con gli stretti occhi chirghisi e una pelliccia di renna, sbottonata, come quelle che si portano in Siberia o negli Urali.
E’ chiaro, quel ragazzo è lo spirito della sua morte o, più semplicemente, la sua morte. Ma come può essere la sua morte se lo aiuta a scrivere una poesia? Si può forse trarre qualche vantaggio dalla morte, può forse la morte essere d’aiuto?
La sua poesia non è sulla resurrezione, né sulla deposizione nella tomba, bensì sui giorni trascorsi tra l’una cosa e l’altra. E’ intitolata “Smarrimento”.
Sempre aveva pensato di scrivere come, per tre giorni, una tormenta di terra verminosa avesse assediato, fosse andata all’assalto della immortale incarnazione dell’Amore, gettandovisi contro col suo fango e le sue zolle, con l’impeto delle onde della risacca che coprono le spiagge. Così per tre giorni imperversa, si scatena e poi si ritira la nera tormenta di terra.
Due versi lo tormentavano: «Lieti di sfiorarlo» e «Bisogna destarsi».
«Lieti di sfiorarlo», l’inferno e la disgregazione e la decomposizione e la morte, e nondimeno, insieme a loro, «liete di sfiorarlo» anche la primavera e Maddalena e la vita. E «bisogna destarsi». Bisogna destarsi e alzarsi. Risorgere.