4.
Continuava a migliorare. Verso la metà di dicembre provò ad alzarsi, ma era ancora molto debole. Le consigliarono di restare ancora a letto per ristabilirsi completamente.
Spesso mandava a chiamare Jura e Tonja e per ore raccontava della propria infanzia trascorsa nella tenuta del nonno a Varykino, sul fiume Ryn’va, negli Urali. Jura e Tonja non erano mai stati laggiù, ma, dalle parole dì Anna Ivànovna, Jura immaginava facilmente quelle cinquemila “desiatiny”20 di foresta secolare, impenetrabile, nera come la notte, tagliata in due o tre punti dai colpi di coltello delle sue sinuosità, dal rapido fiume col letto sassoso e le alte ripe della costa Krueger.
A Jura e Tonja facevano in quei giorni i primi abiti da società: a Jura una finanziera nera e a Tonja un vestito da sera di rasochiaro leggermente scollato. Li avrebbero indossati la prima volta il ventisette, giorno del tradizionale albero di Natale in casa Sventickij.
Il sarto e la sarta congegnarono gli abiti nello stesso giorno. Jura e Tonja se li misurarono e ne furono soddisfatti: li avevano ancora indosso, quando venne la Egòrovna a dire che Anna Ivànovna desiderava vederli. Così com’erano, con gli abiti nuovi, Jura e Tonja si recarono da lei.
Quando li vide entrare, si sollevò su un gomito, li guardò di lato, li fece voltare e disse:
«Benissimo. Proprio magnifico. Non sapevo che fossero già pronti. Su, Tonja, fammi vedere un’altra volta. No, non è nulla, Mi sembrava che alla vita facesse un po’ di piega. Sapete perché vi ho chiamati? Ma prima parliamo un momento di te, Jura.»
«Lo so, Anna Ivànovna. Ho detto io stesso di farvi vedere la lettera. Voi, come Nikolàj Nikolàevich, ritenete che io non debba rinunciare. Un momento di pazienza. Parlare, vi fa male. Ora vi spiegherò tutto. Per quanto sappiate già benissimo ogni cosa.
«Dunque, per cominciare. C’è una causa sull’eredità di mio padre, che si trascina per far guadagnare gli avvocati con le spese giudiziarie, ma in realtà non esiste nessuna eredità, solamente debiti e pasticci, oltre tutte le cose sporche che possono venire a galla. Se ci fosse da cavarne del denaro, vi sembra che lo regalerei al tribunale e non me ne servirei? Ma il fatto è che la causa è tutta una gonfiatura e, piuttosto che frugare in quelle cose, meglio rinunciare a ogni diritto su beni inesistenti e cederlo ad alcuni rivali posticci o a pretendenti invidiosi. Delle richieste di una certa madame Alice, che vive coi figli a Parigi sotto il nome di Zivago, già da molto tempo ne ho sentito parlare. Ma si sono aggiunti nuovi pretendenti, non so se ne siate a conoscenza: io l’ho saputo solo ultimamente.
«A quanto pare, mentre era ancora in vita la mamma, il papà si era invaghito di un’esaltata, una sognatrice, la principessa Stolbùnova-Enrici, dalla quale ebbe un figlio, che ora ha dieci anni, si chiama Evgràf.
«La principessa vive come una reclusa, col figlio, in una sua palazzina alla periferia di Omsk, e non si sa con quali mezzi tiri avanti. Ho visto una fotografia della palazzina. E’ una bella. casa con cinque, finestre a vetrate e medaglioni in altorilievo lungo il cornicione. Be’, da un po’ di tempo in qua, ho sempre la sensazione che la casa, da quelle cinque finestre, mi stia spiando con uno sguardo cattivo attraverso tutte le migliaia di “verste” che separano la Russia europea dalla Siberia, e che presto o tardi mi getterà il malocchio. Proprio non so che farmene di queste ricchezze immaginarie, di questi rivali creati a bella posta, con la loro malevolenza e le loro invidie. Per non parlare degli avvocati.»
«Tuttavia non bisognava rinunciare,» obiettò Anna Ivànovna. «Sapete perché vi ho chiamati?» ripeté, e subito proseguì: «Mi è venuto in mente quel nome. Ricordate che ieri vi ho raccontato del guardaboschi? Si chiamava Vakch21. Straordinario, no? Uno spauracchio della foresta, nero nero, barbuto fino ai sopraccigli, e si chiama Vakch! Aveva il volto sfigurato, era stato azzannato da un orso, ma se l’era scampata. Laggiù sono tutti così. Con nomi di questo genere, d’una sillaba. Perché fanno più suono e spiccano bene. Vakch. O come Lupp. O anche come Favst, diciamo. Sentite, sentite. A volte capitava che annunciassero un Avkt o un Frol, e faceva un suono come una schioppettata dalle due canne della doppietta del nonno, e noi allora sgattaiolavamo in fretta dalla stanza dei piccoli in cucina. E là, figuratevi, un boscaiolo con un orsacchiotto vivo o una guardia confinaria con un campione minerale. E il nonno dava a tutti un buono. Per l’ufficio. A chi del denaro, a chi del grano, a chi delle munizioni. Il bosco era sotto le finestre. E la neve, la neve! Più alta della casa!» Anna Ivànovna fu presa da un accesso di tosse.
«Basta, mamma, ti fa male,» ammoni Tonja e Jura le dette ragione.
«Non importa. Non è niente. Sentite, a proposito. Egòrovna ha raccontato che siete indecisi se andare o no alla festa dell’albero di Natale dopodomani. Non voglio sentire simili sciocchezze! Non vi vergognate? E tu, Jura, che medico sei? Ormai è deciso. Ci andrete senza discussioni. Ma torniamo a Vakch. In gioventù era stato fabbro. In una rissa gli cavarono le budella, e lui se le rifece, di ferro. Che stupido sei, Jura, credi che non lo sappia? Si capisce che non va preso alla lettera. Ma il popolo diceva così.»
Anna Ivànovna fu assalita da un nuovo accesso di tosse, così lungo questa volta, che non le dava modo di riprendere il respiro.
Jura e Tonja accorsero insieme verso di lei e si misero spalla a spalla accanto al suo letto. Continuando a tossire, Anna Ivànovna afferrò loro le mani che si toccavano e le tenne per un certo tempo unite. Poi, riacquistati la voce e il respiro, disse:
«Se muoio, non separatevi. Voi siete fatti l’uno per l’altra. Sposatevi. Ecco, vi ho fidanzati,» soggiunse e si mise a piangere.